Insegnamento della S.C. sul tema in oggetto, che vale per entrambe le specie di responsabilità civile (aquiliana e da violazione di obblighi). Secondo Cass. , sez. III, 30 novembre 2018 N. 30998 (rel. Rossetti):
<<5-Il settimo motivo di ricorso.
5.1. Col settimo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 2236 e 2697 c.c., nonchè degli artt. 40 e 41 c.p..
Al di là di tali richiami normativi, nell’illustrazione del motivo si denuncia l’inversione, da parte della Corte d’appello, delle regole sul riparto dell’onere della prova.
Vi si sostiene che nel caso in cui rimanga incerto il nesso di causa tra la condotta del medico e il danno patito dal paziente, tale incertezza deve ricadere sul medico e non sul paziente.
5.2. Il motivo è infondato.
Nel nostro ordinamento esistono molte norme che sollevano l’attore dall’onere di provare la colpa del convenuto, sia in materia di contratti (ad esempio, gli artt. 1218 o 1681 c.c., o il D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, art. 178), sia in materia di fatti illeciti (ad esempio, gli artt. 2048 c.c. e ss.).
Non esiste, invece, alcuna norma che sollevi l’attore dall’onere di provare il nesso di causa (rectius, i fatti materiali sui quali fondare il giudizio di causalità) tra l’inadempimento o il fatto illecito, ed il danno che si assume esserne derivato.
Tale non è, in particolare, l’art. 1218 c.c., per due diverse ragioni.
La prima è che tale norma si fonda sul principio della vicinanza alla prova (così le Sez. U, Sentenza n. 13533 del 30/10/2001, Rv. 549956 – 01), principio che è sussiste con riferimento alla prova della diligenza della condotta (che attiene alla sfera giuridica del debitore), ma è inconcepibile con riferimento alla prova del nesso tra illecito e danno, che si realizza nella sfera giuridica del creditore.
La seconda ragione è che l’art. 1218 c.c., là dove richiede al debitore di provare “che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”, richiede la prova della “non imputabilità dell’impossibilità di adempiere”, che si colloca nell’ambito delle cause estintive dell’obbligazione (costituenti “tema di prova della parte debitrice”), e concerne un ciclo causale ben distinto da quello che ha prodotto l’evento dannoso conseguente all’adempimento mancato o inesatto.
Altra è la causa che ha determinato l’impossibilità di adempimento, ben altra è la causa che ha determinato il danno: l’art. 1218 c.c. addossa al debitore l’onere di prova l’esistenza della prima, ma non l’onere di provare l’inesistenza della seconda.
Poichè dunque il nesso di causa tra fatto illecito e danno è un fatto costitutivo del diritto al risarcimento, la prova di esso grava su chi di quel danno invoca il ristoro, secondo la regola generale di cui all’art. 2697 c.c..
Resta solo da aggiungere che tale regola vale, ovviamente, sia in riferimento al nesso causale materiale (attinente alla derivazione dell’evento lesivo dalla condotta illecita o inadempiente) che in relazione al nesso causale giuridico (ossia alla individuazione delle singole conseguenze pregiudizievoli dell’evento lesivo).
5.3. I principi appena esposti sono ormai pacifici nella giurisprudenza più recente di questa Corte: da ultimo, in tal senso, Sez. 3 -, Sentenza n. 3704 del 15/02/2018, Rv. 647948 – 01, secondo cui “nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, causa del danno, sicchè, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata”; nello stesso senso, Sez. 3 -, Ordinanza n. 19199 del 19/07/2018, Rv. 649949 – 01; Sez. 3 -, Sentenza n. 29315 del 07/12/2017, Rv. 646653 – 01, e Sez. 3 -, Sentenza n. 18392 del 26/07/2017.>>
Pare riprendere la teoria del duplice ciclo causale proposta Cass. 26.07.2017 n° 18.392, est. Scoditti