Secondo Cass. 13.07.2018 n .18549, est.: Porreca , <<nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente danneggiato dimostrare con qualsiasi mezzo di prova l’esistenza del nesso di causalità -secondo il criterio del <<più probabile che non>>- tra la condotta del medico e il pregiudizio di cui si chiede il ristoro : con la conseguenza che -ove al termine dell’istruttoria il suddetto nesso non risulti provato- la domanda va rigettata<< (massima de Il Foro It., 2018/11, I, 3570)
Si leggono alcune considerazioni interessanti nel § 2
- Nei giudizi di risarcimento contrattuale e anche extracontrattuale, la condotta colposa del responsabile e il nesso di causa costituiscono l’oggetto di due accertamenti distinti, sì che la sussistenza della prima non comporta di per sè la dimostrazione del secondo e viceversa.
- L’articolo 1218 solleva il creditore dell’obbligazione, che si afferma non adempiuta, dall’onere di provare la colpa del debitore, ma non dall’onere di provare il nesso di causa tra condotta debitoria e danno chiesto in risarcimento.
- Infatti :
- la previsione dell’articolo 1218 si giustifica nell’opportunità di far gravare sulla parte che si assume inadempiente l’onere della prova positiva dell’avvenuto adempimento , sulla base del criterio della maggiore vicinanza alla prova, secondo cui va posta a carico della parte che più agevolmente può fornirla;
- questa maggior vicinanza del debitore non sussiste in relazione al nesso causale, per il quale dunque non ha ragion d’essere l’inversione dell’onere della prova di cui all’articolo 1218;
- ciò vale sia con riferimento al nesso causale materiale sia in relazione al nesso causale giuridico,
- trattandosi di elementi egualmente distanti da entrambe le parti (anzi -circa il secondo- maggiormente vicini al danneggiato), non c’è spazio per ipotizzare a carico dell’asserito danneggiante una prova liberatoria rispetto al nesso di causa, a differenza di quanto accade per la prova dell’avvenuto adempimento;
- nè può valere in senso contrario il riferimento dell’art. 1218 alla causa non imputabile ( “(…) se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”). Infatti, come già affermato da Cass. 26.07.2017 n. 18.392, la causa in questione attiene alla non imputabilità della impossibilità di adempiere, che si colloca nell’ambito delle cause estintive dell’obbligazione, costituente <<tema di prova della parte debitrice>>, e concerne un ciclo causale che è del tutto distinto da quello relativo all’evento dannoso conseguente all’adempimento mancato o inesatto [segue la teoria del doppio ciclo causale introdotto dalla cit. Cass. , est. Scoditti, i cui passaggi essenziali sul punto riporto nel mio post 4 dicembre u.s.]
- ciò non contrasta con Cass. sez. un. 11.01.2008 n. 577 [la quale secondo molta dottrina è stata la prima ad introdurre la presunzione del nesso di causalità, onerando il debitore -cioè il medico- di provarne l’eventuale assenza] : in tale decisione infatti il principio era stato affermato a fronte di una situazione in cui l’inadempimento qualificato, allegato dall’attore, era tale da comportare di per sè, in assenza di fattori alternativi più probabili nel caso singolo di specie, la presunzione della derivazione del contagio dalla condotta. La prova della prestazione sanitaria conteneva già, in questa chiave di analisi, quella del nesso causale, sicché non poteva che spettare al convenuto l’onere di fornire una prova idonea a superare tale presunzione secondo il criterio generale di cui all’articolo 2697 secondo comma, e non la prova liberatoria richiesta dall’articolo 1218.