appalti: la difettosa insonorizzazione costituisce “grave difetto” ex art. 1669 c.c. (nonchè sulla decorrenza del termine per la denuncia del vizio)

Secondo il Tribunale di Padova (pronuncia del 19.06.2018, est. Saturni, leggibile in www.ilcaso.it, doc. 21040 ) il difetto di insonorizzazione costituisce <<grave difetto>> ai sensi dell’art. 1669 cc e diventa quindi fonte della relativa responsabilità decennale.

Il giudice affronta specificamente la questione ai §§ 2.1 e 2.2, pagg. 10-12

Il punto non è per vero discutibile; tuttavia l’affermazione giudiziale è utile, in tempi di costruzioni immobiliari poco curate sotto questo aspetto.

Anche se il giudice scrive di “mancata insonorizzazione”, il principio è estendibile anche al caso in cui l’insonorizzazione non è assente ma solamente insufficiente: ciò sempre che la insufficienza superi una soglia de minims, che però va collocata molto in basso. Ci pare infatti che basti anche un difetto modesto per integrare il presupposto del “grave difetto” richiesto dall’art. 1669 (l’apparente bisticcio lessicale non costituisce contraddizione concettuale, si badi)

Quanto al termine annuale per la denuncia del vizio (questione assai rilevante nella pratica), il Tribunale condivisibilmente afferma che decorre da quando la parte ha <<sicura conoscenza>> del difetto e della sua causa : cioè -in mancanza di altri elementi- solo a partire dall’atto di acquisizione di perizia specialistica (nel caso: da quando l’architetto, incaricato come consulente di parte, dimise la propria perizia ante causam).

Analogamente v. sul punto il sintetico passaggio di Cass.  07/02/2019, n. 3674: <<Per costante giurisprudenza di questa Corte, i gravi difetti che, ai sensi dell’art. 1669 c.c., fanno sorgere la responsabilità dell’appaltatore nei confronti dei committente e dei suoi aventi causa consistono in quelle alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura. A tal fine, rilevano pure vizi non totalmente impeditivi dell’uso dell’immobile, come quelli relativi all’efficienza dell’impianto idrico o alla presenza di infiltrazioni e umidità, ancorchè incidenti soltanto su parti comuni dell’edificio e non sulle singole proprietà dei condomini (v. tra le tante, Sez. 2 -, Ordinanza n. 24230 del 04/10/2018 Rv. 650645; Sez. 2 -, Ordinanza n. 27315 del 17/11/2017 Rv. 646078; Sez. 2, Sentenza n. 84 del 03/01/2013 Rv. 624395). Sempre secondo la costante giurisprudenza di legittimità, però, il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti nella costruzione di un immobile, previsto dall’art. 1669 c.c., a pena di decadenza dall’azione di responsabilità contro l’appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua una sicura conoscenza dei difetti e delle loro cause, e tale termine può essere postergato all’esito degli accertamenti tecnici che si rendano necessari per comprendere la gravità dei vizi e stabilire il corretto collegamento causale (v. Sez. 2 -, Sentenza n. 10048 del 24/04/2018 Rv. 648162; Sez. 3, Sentenza n. 9966 del 08/05/2014 Rv. 630635; Sez. 2, Sentenza n. 1463 del 23/01/2008 Rv. 601284; Sez. 2, Sentenza n. 11740 del 01/08/2003 Rv. 565596)>>.

Con l’occasione ricordo che l’art. 1669 si applica non solo alle costruzioni originarie, ma anche alle successive ristrutturazioni, come da dettagliato insegnamento offerto dalle sezioni unite nel 2017 (Cass. sez. un. 27.03.2017 n. 7756). Questo è il principio di diritto formulato nell’occasione: Lart. 1669 c.c., è applicabile, ricorrendone tutte le altre condizioni, anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o  modificativi di lunga durata su immobili preesistenti, che (rovinino o) presentino (evidente pericolo di rovina o) gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di questultimo.

La Cassazione torna sull’onere della prova nella responsabilità medica

Secondo Cass. 13.07.2018 n .18549, est.: Porreca , <<nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente danneggiato dimostrare con qualsiasi mezzo di prova l’esistenza del nesso di causalità  -secondo il criterio del <<più probabile che non>>- tra la condotta del medico e il pregiudizio di cui si chiede il ristoro : con la conseguenza che -ove al termine dell’istruttoria il suddetto nesso non risulti provato- la domanda va rigettata<< (massima de Il Foro It., 2018/11, I, 3570)

Si leggono alcune considerazioni interessanti nel § 2

  1. Nei giudizi di risarcimento contrattuale e anche extracontrattuale, la condotta colposa del responsabile e il nesso di causa costituiscono l’oggetto di due accertamenti distinti, sì che la sussistenza della prima non comporta di per sè la dimostrazione del secondo e viceversa.
  2. L’articolo 1218  solleva il creditore dell’obbligazione, che si afferma non adempiuta, dall’onere di provare la colpa del debitore, ma non dall’onere di provare il nesso di causa tra condotta debitoria e danno chiesto in risarcimento.
  3. Infatti :
    1. la previsione dell’articolo 1218 si giustifica nell’opportunità di far gravare sulla parte che si assume inadempiente l’onere della prova positiva dell’avvenuto adempimento , sulla base del criterio della maggiore vicinanza   alla prova, secondo cui va posta a carico della parte che più agevolmente può fornirla;
    2. questa maggior vicinanza del debitore non sussiste in relazione al nesso causale, per il quale dunque non ha ragion d’essere l’inversione dell’onere della prova di cui all’articolo 1218;
    3. ciò vale sia con riferimento al nesso causale materiale sia in relazione al nesso causale giuridico,
    4. trattandosi di elementi egualmente distanti da entrambe le parti (anzi -circa il secondo- maggiormente vicini al danneggiato),  non c’è spazio per ipotizzare a carico dell’asserito danneggiante una prova liberatoria rispetto al nesso di causa, a differenza di quanto accade per la prova dell’avvenuto adempimento;
    5. nè può valere in senso contrario il riferimento dell’art. 1218 alla causa non imputabile ( “(…) se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”). Infatti, come già affermato da Cass. 26.07.2017 n. 18.392, la causa in questione attiene alla non imputabilità della impossibilità di adempiere, che si colloca nell’ambito delle cause estintive dell’obbligazione, costituente <<tema di prova della parte debitrice>>, e concerne un ciclo causale che è del tutto distinto da quello relativo all’evento dannoso conseguente all’adempimento mancato o inesatto [segue la teoria del doppio ciclo causale introdotto dalla cit. Cass. , est. Scoditti, i cui passaggi essenziali sul punto riporto nel mio post 4 dicembre u.s.]
    6. ciò non contrasta con Cass. sez. un. 11.01.2008 n. 577 [la quale secondo molta dottrina è stata la prima ad introdurre la presunzione del nesso di causalità, onerando il debitore -cioè il medico- di provarne l’eventuale assenza] : in tale decisione infatti il principio era stato affermato a fronte di una situazione in cui l’inadempimento qualificato, allegato dall’attore, era tale da comportare di per sè, in assenza di fattori alternativi più probabili nel caso singolo di specie, la presunzione della derivazione del contagio dalla condotta. La prova della prestazione sanitaria conteneva già, in questa chiave di analisi, quella del nesso causale, sicché non poteva che spettare al convenuto l’onere di fornire una prova idonea a superare tale presunzione secondo il criterio generale di cui all’articolo 2697 secondo comma, e non la prova liberatoria richiesta dall’articolo 1218.

potere-dovere degli amministratori ad impugnare delibera invalida ma approvata alla unanimità

Anche se approvata dai soci all’unanimità, gli amministratori hanno il potere-dovere di impugnare la delibera invalida, alla luce dell’esigenza di tutela dell’interesse generale alla legalità societaria (Trib. Roma 26.06.2018, sez. specializz. in m. di i., RG 74636/2015, rel. Guido Romano).

La sentenza riguarda una s.r.l. ma il ragionamento può essere applicato pure ad una s.p.a.

 

legittimazione degli amministratori ad impugnare delibera approvata alla unanimità

Anche se approvata dai soci all’unanimità, gli amministratori hanno il potere-dovere di impugnare la delibera invalida, alla luce dell’esigenza di tutela dell’interesse generale alla legalità societaria (Trib. Roma 26.06.2018, sez. specializz. in m. di i., RG 74636/2015, rel. Guido Romano).

La sentenza riguarda una s.r.l. ma il ragionamento può essere applicato pure ad una s.p.a.