L’articolo 378 rubricato <<Responsabilità degli amministratori>> modifica l’art. 2476 sulla società a responsabilità limitata e l’art. 2486 sui doveri degli amministratori in presenza di una causa di scioglimento nelle soc. di capitali.
L’art. 2476 estende alle s.r.l. l’azione di responsabilità dei creditori sociali, prevista per le società per azioni dall’art. 2394. L’estensione non avviene tramite rinvio, ma riproponendone il contenuto in un nuovo sesto comma. La norma non è particolarmente innovativa, dal momento che la maggioranza di dottrina e giurisprudenza già si era espressa in tale senso. Però è utile perché toglie eventuali dubbi, fonti di contenzioso.
Ben più rilevante è l’innovazione dell’art. 2486.
Secondo il nuovo terzo comma di tale disposizione, quando è accertata la responsabilità degli amministratori ai sensi del medesimo articolo (meglio sarebbe stato dire: “quando è accertata la violazione dei loro doveri”: si può parlare di responsabilità solo quando un danno è accertato, il che costituisce un passaggio logicamente successivo), il danno si presume pari alla differenza tra i patrimoni netti alla data di cessazione dalla carica/dell’apertura della procedura concorsuale, da una parte, e alla data di verificazione della causa di scioglimento, dall’altra.
Vanno tuttavia detratti i costi sostenuti o da sostenere “secondo un criterio di normalità” dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione. Ciò perchè sono costi, che sarebbero stati sostenuti anche con una pronta apertura della liquidazione: pertanto non possono essere considerati danno addebitabile all’amministratore (sarà da approfondire la portata della precisazione temporale: “fino al compimento della liquidazione”).
Probabilmente ci saranno anche altri criteri, in base ai quali rettificare in riduzione la differenza dei netti patrimoniali addebitabile agli amministratrori: ad es. la diminuzione di valore dei cespiti, che si sarebbe comunque verificata per il fatto in sè dell’apertura della liquidazione. In generale, andranno dedotte tutte le poste passive non addebitabili a negligenza (o dolo) degli amministratori (v. art. 1223 cc: “in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”) : cioè quelle che si sarebbero comunque manifestate.
Questa la regola di legge: è però data la possibilità di provare un diverso ammontare del danno. Il relativo onere incombe sugli amministratori.
Ancor più importante è la seconda parte di questo nuovo terzo comma dell’articolo 2486. Qui si dice che, aperta una procedura concorsuale (quindi: solo in presenza di questa), se mancano le scritture contabili o comunque se -per irregolarità nelle stesse o per qualunque altra ragione- non siano determinabili i netti patrimoniali [basta che la indeterminabilità ne colpisca uno solo, direi], il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura.
Cioè in caso di non ricostruibilità della contabilità, la legge impone quel criterio che, seppur diffuso in passato, era ormai recessivo e in via di abbandono tra quelli adoperati dalle corti: e la ragione stava nel fatto che non rispetta le norme generali di determinazione e liquidazione del danno, enucleabili dal cit. art. 1223 c.c.
Tale criterio, essendo scollegato dalla prova di specifici inadempimenti (e delle relative conseguenze dannose), non ha struttura risarcitorio/compensativa. Dato però che non ha nemmeno struttura restitutoria nè di arricchimento ingiusto, assume una veste punitiva. La sua previsione esplicita, però, almeno ad una prima lettura, offre la copertura di legge chiesta dall’articolo 25 Costituzione (o almeno dall’art. 23 Cost).
Resta un duplice dubbio, visto che si applica solo in presenza di procedure concorsuali: i) cosa si intende per procedure concorsuali: il dubbio concerne soprattutto gli accordi di ristrtturazione ex art. 182 bis l.f., che per recente giurisprudenza (Cass. 21/06/2018, n. 16347, sub § 5.1, e altre Cass. ivi ricordate) sono “procedura concorsuale”, anche se molta dottrina ne dubita per più motivi, ad es. non esistendo il dovere di rispettare la par condicio creditorum (nemmeno nel nuovo art. 61 cod. crisi impr. insolv., che pure permette talora di estendere l’efficacia ai creditori non aderenti); ii) se è è giustificato che tale regola punitiva sia applicabile solo entro tale ambito applicativo, anzichè pure in questioni di responsabilità sorgenti al di fuori di una procedura concorsuale (salvo arrivarci per via analogica o per principio generale: operazione ermeneutica tuttavia implausibile, stante l’art. 14 prel.)