Laa Corte di Giustizia UE (sentenza 12.12.2019, C-143/19 P, Der Grüne Punkt – Duales System Deutschland GmbH c. EUIPO ), affronta un caso un pò particolare di decadenza di marchio collettivo.
Le norme rilevanti soni l’art. 15 e l’art. 66 del reg. 207/2009.
Il noto marchio Grune Punkt, riferito ad imballaggi ecologici, era stato registrato anche per quasi tutte le altre classi merceologiche. A seguito di istanza di parte, però, era stato dichiarato decaduto per non uso per tutte le classi tranne che per i prodotti consistenti in imballaggi (§ 16).
I successivi tentativi del titolare di invalidare la decisione in via amministrativa e poi avanti il Trib. Ue sono andati male. La perseveranza però è stata premiata dato che la Corte ne ha accolto le ragioni.
La questione centrale è sottile e non semplice: si tratta di capire se l’uso del segno sugli imballaggi costituisca uso solo per il prodotto “imballaggio” oppure anche per gli svariati tipi di prodotti che sono presenti dentro l’imballaggio stesso. Nelle prime istanze era stato risposto nel primo modo; la Corte risponde invece nel secondo modo (o meglio non esclude il secondo modo e obbliga a valutare tale possibilità).
Vediamo i passi centrali del ragionamento del Tribunale, secondo il resoconto dela Corte .
<<Il pubblico di riferimento è perfettamente in grado di distinguere tra un marchio che indica l’origine commerciale del prodotto e un marchio che indica il recupero dei rifiuti di imballaggio. Inoltre, occorre tener conto del fatto che «i prodotti stessi sono di regola designati dai marchi che appartengono a società differenti»>> (§ 31). Ne segue che <<«l’uso del marchio [in questione] in quanto marchio collettivo che designa i prodotti dei membri dell’associazione distinguendoli dai prodotti che provengono da imprese che non fanno parte di tale associazione sarà percepito dal pubblico di riferimento come un uso relativo agli imballaggi. (…) ]l comportamento ecologico dell’impresa, grazie alla sua affiliazione al sistema di accordo di licenza della [DGP], sarà attribuito dal pubblico di riferimento alla possibilità del trattamento ecologico dell’imballaggio e non ad un simile trattamento del prodotto imballato medesimo, che può rivelarsi inadeguato ad un trattamento ecologico»>> (§ 32).
Infine, <<l’uso del marchio in questione non aveva per obiettivo neppure di creare o di conservare uno sbocco per i prodotti. Detto marchio sarebbe conosciuto dal consumatore solo come l’indicazione che l’imballaggio, grazie al contributo del fabbricante o del distributore del prodotto, sarà smaltito e recuperato ove il consumatore porti l’imballaggio in un punto di raccolta locale. Pertanto, l’apposizione del suddetto marchio sull’imballaggio esprimerebbe semplicemente il fatto che il fabbricante o il distributore di questo prodotto opera nel rispetto del requisito fissato dalla normativa dell’Unione, secondo la quale l’obbligo di recupero dei rifiuti di imballaggio spetta a tutte le imprese. Secondo il Tribunale, nel caso, poco probabile, in cui il consumatore optasse per l’acquisto di un prodotto basandosi unicamente sulla qualità dell’imballaggio, resterebbe sempre il fatto che detto marchio crea o conserva uno sbocco non già rispetto a tale prodotto, ma esclusivamente per quanto riguarda l’imballaggio di quest’ultimo>> (§ 33).
Secondo il Tribunale infatti il presupposto è che <<«un marchio forma oggetto di un uso effettivo allorché assolve alla sua funzione essenziale, che è di garantire l’identità di origine dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato, al fine di trovare o mantenere per essi uno sbocco>> (§ 26). Si tratta dell’affermazione centrale, perno di tutto il ragionamento, ratio decidendi anche delle Corte (pur se con esito opposto). Questa infatti lo estende ai marchi collettivi laddove dice che: <<questi marchi fanno parte, come i marchi individuali, dell’ambito del commercio. Per poter essere qualificato come «effettivo» ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009, il loro uso deve pertanto perseguire concretamente l’obiettivo delle imprese interessate di creare o di conservare uno sbocco per i loro prodotti e servizi. Ne consegue che un marchio collettivo dell’Unione europea è oggetto di un uso effettivo quando viene utilizzato conformemente alla sua funzione essenziale, che è quella di distinguere i prodotti o i servizi dei membri dell’associazione che ne è titolare da quelli di altre imprese, al fine di creare o di conservare uno sbocco per detti prodotti e servizi>> (§§ 56-57).
Peraltro <<ai fini della valutazione dell’esistenza di tale requisito, era necessario, secondo la costante giurisprudenza della Corte, esaminare se il marchio in questione fosse effettivamente utilizzato «sul mercato» dei prodotti o dei servizi interessati. Detto esame doveva essere realizzato valutando, in particolare, gli usi considerati giustificati, nel settore economico interessato, per conservare o creare quote di mercato per i prodotti o servizi contrassegnati dal marchio, la natura di tali prodotti o servizi, le caratteristiche del mercato, nonché l’ampiezza e la frequenza dell’uso del marchio>> (§ 62).
Il Tribunale doveva << –prima di pervenire a tale conclusione e di pronunciarsi quindi sulla decadenza del titolare dai diritti dal medesimo detenuti sul marchio in questione per la quasi totalità dei prodotti per i quali esso è registrato – (…) esaminare se l’uso debitamente dimostrato nel caso di specie, vale a dire l’apposizione del marchio in questione sulle confezioni dei prodotti delle imprese affiliate al sistema della DGP, fosse considerato, nei settori economici interessati, giustificato per conservare o creare quote di mercato per taluni prodotti. Un siffatto esame, che doveva anche riguardare la natura dei prodotti interessati e delle caratteristiche dei mercati sui quali essi sono immessi in commercio, è assente nella sentenza impugnata. Il Tribunale ha sì ritenuto che il consumatore comprende che il sistema della DGP riguarda la raccolta locale e il recupero degli imballaggi dei prodotti e non la raccolta o il recupero dei prodotti in sé, però non ha debitamente considerato se l’indicazione al consumatore, al momento dell’immissione in commercio dei prodotti, della messa a disposizione di un simile sistema di raccolta locale e di smaltimento ecologico dei rifiuti di imballaggio apparisse giustificata, nei settori economici interessati o in alcuni di essi, per conservare o creare quote di mercato per taluni prodotti>> (§§ 67-68).
Si potrebbe pensare che tale valutazione, per ciascun tipo di prodotto domandato in registrazione, fosse eccessiva. Se anche fosse così, <<era tuttavia opportuno, stante la diversità dei prodotti interessati da un simile marchio, fornire un esame che distinguesse diverse categorie di prodotti in funzione della loro natura e delle caratteristiche dei mercati e che valutasse, per ciascuna di tali categorie di prodotti, se l’uso del marchio in questione perseguisse effettivamente l’obiettivo di conservare o di creare quote di mercato>> (§ 69). Infatti <<alcuni dei settori economici interessati riguardano prodotti di consumo quotidiano, come alimenti, bevande, prodotti per l’igiene personale e per la pulizia della casa, idonei a generare quotidianamente rifiuti di imballaggio che i consumatori devono gettare via. Non si può pertanto escludere che l’indicazione sull’imballaggio di prodotti di questo tipo, da parte del fabbricante o del distributore, dell’affiliazione a un sistema di raccolta locale e di trattamento ecologico dei rifiuti di imballaggio possa influenzare le decisioni di acquisto dei consumatori e, in tal modo, contribuire alla conservazione o alla creazione di quote di mercato relative a tali prodotti>> (§ 70).
Il Tribunale si era ben chiesto se il marchio servisse a creare/conservare uno sbocco commerciale: ma aveva concluso che ciò avveniva solo per il prodotto <<imballaggio>> e mai per i prodotti presenti dentro l’imballaggio: con ciò però violando il tipo di analisi richiesto e che la Corte aveva prima indicato al § 62 (§ 71).
Questa è dunque la ratio decidendi. Il marchio apposto sull’imballaggio può valere come uso anche del marchio sui prodotti in esso contenuti, quando l’imballaggio costituisca (in tutto o in parte, direi: la Corte genericamente dice “possa influenzare le decisioni di acquisto”) motivo di acquisto dei prodotti stessi: cioè quando conferisca loro appeal e ne incrementi l’apprezzamento del pubblico.
Il punto è complesso e servirebbe un’indagine specifica, toccando profili apicali del diritto dei marchi. Ad una primissima riflessione la posizione della Corte non persuade: il che invece accade per quella del Tribunale. L’uso nel commercio di un componente di un prodotto finale (tale è l’imballaggio) è distinta dall’uso del prodotto stesso: quindi l’uso dei rispettivi segni resta pure distinto. Altrimenti si avrebbe che il prodotto recherebbe due marchi, i quali indicherebbero due provenienze aziendali diverse. Invece il segno proprio dell’imballaggio (come di qualunque componente) indica solo la provenienza del componente medesimo.
Infine seguono un paio di considerazioni giustificative a posteriori o comunque generiche, di scarso ausilio per le scelte pratiche.
La necessità di questa analisi (id est l’applicazione del concetto “contributo a creare o conservare uno sbocco commerciale”, in cui si sostanzia l’uso effettivo ai fini del giudzio di decadenza), <<che tenga debitamente conto della natura dei prodotti o dei servizi interessati nonché delle caratteristiche dei rispettivi mercati e che distingua, di conseguenza, fra vari tipi di prodotti o servizi, laddove questi ultimi siano molto diversificati, riflette adeguatamente la delicatezza della posta in gioco di tale valutazione. Tale valutazione stabilisce, infatti, se il titolare di un marchio sia decaduto dai diritti su quest’ultimo e, in caso affermativo, per quali prodotti o servizi viene dichiarata la decadenza>> (§ 72). E’ infatti certamente importante <<assicurare il rispetto del requisito di un uso che concretamente persegua l’obiettivo di creare o di conservare uno sbocco per i prodotti e i servizi per i quali il marchio è stato registrato, affinché il titolare di quest’ultimo non resti indebitamente protetto con riferimento a prodotti o servizi la cui commercializzazione non sia veramente promossa da tale marchio. Ciò nondimeno, è altrettanto importante che i titolari dei marchi e, nel caso di un marchio collettivo, i loro membri possano, in modo debitamente protetto, sfruttare il proprio segno nell’ambito del commercio>>, § 73. E’ una sorte di hysteron proteron dato che, se si tratti di sfruttamento del segno rientrante nella privativa di legge, è proprio il quid demonstrandum.
Avendo uil Tribunale omesso di effettuare tale esame, la sua sentenza va annullata.