Le SU si pronunciano sulla revocabilità (ordinaria e fallimentare) di atti dispositivi , quando l’acquirente è però già fallito.
Già c’era sul tema una pronuncia in negativo del 2018 (Casss. sez. un. 30416/2018), , che però non soddisfa la 1 sez. remittente, la quale ne propone un ripensamento.
Esclusa la recuperabilità del bene, acquisito irreversibilmente alla massa fallimentare, ai creditori vittoriosi in revocatoria non resta che l’ammissibilità al passivo del fallimento per il controvalore.
così Cass. s.u. 24.06.2020 n. 12.476, rel. Terrusi.
Si basa sostanzialmente sulla natura costitutiva della sentenza che dispone la revoca (sub VIII e anche IX): <<quando invece la domanda [di revoca] è successiva al fallimento dell’acquirente, quel che unicamente rileva è questo: che l’azione revocatoria, ove accolta, finirebbe per recuperare il bene che ne costituisce oggetto alla garanzia patrimoniale del solo creditore dell’alienante (ovvero, secondo il caso, del di lui ceto creditorio) – e quindi, specularmente, finirebbe per determinare la sottrazione del bene medesimo alla garanzia collettiva dei creditori dell’acquirente – sulla base di un titolo giudiziale formato dopo la sentenza dichiarativa del fallimento di costui, e con efficacia postuma rispetto a essa. Questo certamente contrasta col complesso di regole desumibili dagli artt. 42, 44, 45, 51 e 52 legge fall. e spiega perché è inammissibile ipotizzare l’azione costitutiva in casi simili>>, sub X.
La tutela del creditore allora, da mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale, si muterà nella possibilità di concorso tramite insinuazione al passivo per l’equivalente pecuniario: <<ll fallimento del terzo acquirente, dichiarato dopo l’atto di alienazione, vale a dire dopo l’atto di frode determinativo della lesione della garanzia patrimoniale ma prima che l’azione revocatoria sia esercitata, impedisce solo l’esercizio dell’azione costitutiva, non anche invece l’esercizio di quell’azione restitutoria per equivalente parametrata al valore del bene sottratto alla garanzia patrimoniale. Il fallimento del terzo acquirente, prevenuto all’azione costitutiva, rende l’azione suddetta inammissibile perché non è consentito incidere sul patrimonio del menzionato fallimento recuperando il bene alla sola garanzia patrimoniale del creditore dell’alienante: e quindi perché non è dato di sottrarre quel bene all’asse fallimentare cristallizzato al momento della dichiarazione di fallimento. Ma, così come accade ove prevenuta sia la rivendita con atto già trascritto, il fallimento dell’acquirente impedisce di recuperare il bene onde esercitare su questo l’azione esecutiva, non di insinuarsi al passivo di quel fallimento per il corrispondente controvalore>>, sub § XIII