Violazione di marchio, determinazione del danno e rifiuto di ostensione delle scritture contabili da parte dei convenuti

Il Trib. Milano (poi: T.)  con sentenza 29.03.2021 n. 2622/2021-RG 47381/2015, Alfredo Salvatori srl c. fall. Stone Project srl e altri, ha deciso una lite su violazione di marchio.

Qui interessa riferire della questione della determinazione del danno (da lucro cessante), resa complicata dal fatto che i covnenuti si erano rifiutati di produre le scritture contabili: pertanto di forte interesse pratico.

Il T. non si ferma per questo e adotta il criterio equitativo ex art. 1226 cc (e 125 cpi) nei seguent itermini, p. 10 ss.

Non potendo adottare quello consueto del margine opertivo lordfo  MOL (il quale si ottiene moltiplicando il prezzo praticato dal titolare del diritto leso per il numero di pezzi venduti dal contraffattore, al netto dei costi variabili che il titolare avrebbe sostenuto per la produzione dei prodotti interessati), ha usato i dati desumibili dai bilancio depositati in CCIAA.

Ha inoltre tratto altre informazioni (numero di prodotti venduti) dal sito delle stesse convenute.

Ha quindi individuato quali siano stati i ricavi dei prodotti recanti il marchio contraffatto (ricavo unitario)

Fatto ciò, il tribunale ha ritenuto condivisibile <<quanto indicato da parte attrice circa l’utilizzo del criterio del giusto prezzo, il quale consente di determinare il lucro cessante in un importo non inferiore a quello dei canoni che l’autore della violazione avrebbe dovuto pagare qualora avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto leso. Nel caso in esame, tale royalty deve essere determinata equitativamente, in considerazione del vantaggio che altrimenti ne deriverebbe per il contraffattore nel vedersi assicurata una licenza “obbligatoria” senza sostenere i relativi costi e oneri>>.

Passando all’ammontare, il T. ha ritenuto <<congrua applicare una royaltydeterminata nella misura pari al 15% del fatturato, tenuto conto sia della rilevanza del marchio silk georgette, comprovato dal fatto che diversi operatori del settore avevano scelto di utilizzare tale segno per contraddistinguere i medesimi prodotti, sia di una maggiorazione dovuta alla illiceità della condotta delle convenute, con la conseguenza che il valore della licenza di uso deve essere determinato per Granitasia Srl in € 24.941,748 (15% di € 166.278,32) e per Abitare Marmo Srl in € 13.090,968 (15% di € 87.273,12). Le somme così determinate sono onnicomprensive di interessi e di rivalutaizone>>

Si tratta di ammontare frequente nelle licenze volontarie.

Ha poi liquidato euro 8.000,00 a titolo di danno morale (in solido tra i convenuti), espressamente ammesso dall’art. 125/1 cpi.

Responsabilità professionale dell’avvocato

Il Tribunale di Vicenza con sent. 05.02.2021 n. 302/2021, RG n. 1993/2018, decide con interessante sentenza una lite tra clienti e avvocato (notizia e link alla sentenza da  www.ilcaso.it ).

L’addebito (a parte altri meno interessanti) era  quello di aver lasciato decorrere il termine lungo per l’appello dopo una setneza sfavorevole: la quale aveva rigettato la domanda di nullità di un mutuo fondiario, perchè utilizzato a fini di solo interesse della banca e quindi in violazione della normativa del TUB.

Il T. prima ricorda la disciplina e giurisprudenza in tema di inadempimento e responsabilità professionale: spt. <<per quanto concerne il profilo dell’accertamento della causalità ai fini dell’affermazione della responsabilità professionale del difensore, la Suprema Corte ha chiarito a più riprese che in materia vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, destinata a trovare applicazione in luogo del più stringente principio “dell’oltre ogni ragionevole dubbio” che regola, invece, la responsabilità penale>>, p. 9.

Quindi per il T. <<l’errore professionale in cui è incorso l’avv. …. per non avere tempestivamente comunicato agli attori l’avvenuto deposito della sentenza del Tribunale di Vicenza n. 163/2017 (doc. 3 fascicolo attoreo) emerge indiscutibilmente dagli atti di causa>>.

Tuttavia, nonostante l’acclarata inadempienza del difensore, nessun risarcimento <<può essere riconosciuto in capo a PALMIERI ANTONIO e MURARO CARMELA, difettando la dimostrazione dell’effettiva esistenza di un danno eziologicamente ricollegabile all’errore professionale in cui è incorso l’avv. MAI.
Ed, infatti, come si è in precedenza evidenziato, ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’avvocato non basta che il cliente fornisca la prova del negligente adempimento dell’incarico conferito, occorrendo, altresì, la dimostrazione che, senza l’inadempimento, il risultato sarebbe stato almeno con elevata probabilità conseguito.     Nel caso di specie gli attori hanno trascurato di fornire gli elementi alla cui stregua condurre quel giudizio controfattuale che solo consentirebbe di accertare, in chiave prospettica, la relazione causale tra l’inadempimento e la perdita di un risultato probabile, e non meramente sperato>>.

In pratica, non hanno dimostrato che la sentenza avrebbe avuto buone possibilità di essere riformata , ad es .per l’esistenza di autorevoli voci contrarie alla tesi da essa seguita.

Ottimo caso di scuola sulla distinzione tra inadempimento e responsabilità.

La cosa più interessante è che il T., per la stessa ragione, riconosce all’avvocato convenuto il diritto al compenso, da lui chiesto in riconvenzionale: se il cliente non  prova un danno, il mero inadempimento non lo esonera dal pagamento del compenso.

Per sottrarsi al pagamento del compenso, si sarebbe potuto esplorare la via della risoluzione del contratto (poteva già considerarsi cessato il rapporto?) o della eccezione di inadempimento. Ma in sentenza non ve ne è menzione, per cui gli attori probabilmente non le avevano invocate.

Primo Emendamento, Twitter e account Twitter del Presidente Trump

Nell’impugnazione della rimozione fatta da Trump su suoi follower Twitter, la Suprema Corte USA ha dismesso il caso, essendo nel frattempo cambiato il Presidente (perchè mai? per cessata materia del contendere?).

Ma ha ritenuto di esprimere una concurring opinion il giudice Thomas, 05 aprile 2021, caso n° 20-197 (seconda parte del documento linkato).

Egli dubita della applicabilità del Primo Emendamento all’impedimento del diritto di parola, trattandosi di parte privata (nel caso di azione verso Twitter, naturalmente), ad es. p. 3 e 11.

Propone una doppia possibilità regolatoria per le grandi piattaforme: common carrier, p. 4  o public accomodation, p. 6

Infine ipotizza l’incostituzionalità del safe harbour ex § 230 CDA perchè reprimerebbe le leggi statali che proteggono il free spech dalla censura privata: nota 5 p. 11.

Qui intendo solo riportare le sue parole circa gli argomenti, che talora si sentono, per cui non è obbligatorio usare i servizi della piattarforme (potendo usare quelli tradizionali, sottinteso), per cui sarebbe errata l’analogia con un common carrier:

<<It changes nothing that these platforms are not the sole means for distributing speech or information. A person always could choose to avoid the toll bridge or train and instead swim the Charles River or hike the Oregon Trail. But in assessing whether a company exercises substantial market power, what matters is whether the alternatives are comparable. For many of today’s digital platforms, nothing is>>, p. 8.

Ben detto, giudice Thomas!

Sulla contraffazione di marchio figurativo registrato

Si vedano i tre marchi in lite (eccepite due anteriorità):

Registrante (Huawei):

Opponente (Chanel) per la tutela normale ex art. 8.1b reg. 2017/1001:

Sempre l’opponent Chanel per la tutela della rinomanza ex art. 8.5. reg. 2017/2001:

Dopo l’esito negativo in sede  amministrativa, Chanel tenta la via giudiziaria avanti il tribunale UE (T.).

Anche il T. però dà ragione al registrante e torto a Chanel con sentenza 21.04.2021, T-44/20, Chanel c. EUIPO (e Huawei).

(NB: i fatti di causa sono però giudicati ex reg. 2009 n° 207).

Il giudizio è duplice: la prima parte riguarda la rinomanza, la seconda il marchco ordinario.

Sulla prima parte il giudizio del T si appunta sulla <somiglianza>: la quale ricorre quando il pubblico è portato a ravvisare un link tra i marchi, § 23.

Preliminarmente (il punto è assai importante anche per la pratica), il T. dice che il giudizio va dato sui marchi così come registrati e non così come usati, §§ 25 e 32.  Nel caso specifico, essenzialmetne significa che il giudizio va dato tenendo fermi i rispettivi orientamenti verticale e orizzontale indicati in domanda.

Ci sono però opinioni diverse sia in giurisprudenza, pure europea, sia in dottrina italiana (Vanzetti – Di Cataldo,  Manuale di diritto industriale, Giuffrè, 2018, 8 ed., 240-1).

Per vero questi aa. ne parlano sul giudizio di confondibilità di marchio ordinario, mentre il T. circa la somiglianza ad un marchio rinomato: ma non c’è motivo di adottare criteri diversi (la confondibilità si basa, quanto ai segni, proprio sulla loro somiglianza. art. 8.1.b reg. 2007 del 2009). In breve, il concetto di <somiglianza> dei segni a paragone va inteso allo stesso modo nei due casi.

Ci son bensì delle somiglianze, § 34.

Ma anche differenze: <<35.    The visual differences between the marks at issue result, first, from the more rounded shape of the curves, resembling the image of two letters ‘c’ in the allegedly reputed mark, as compared with the image of the letter ‘h’ in the mark applied for, second, from the different stylisation of those curves and their arrangement, horizontally in the allegedly reputed mark and vertically in the mark applied for, third, the orientation of the central ellipse, resulting from the intersection of those curves, vertical in the allegedly reputed mark and horizontal in the mark applied for and, fourth, the greater thickness of the line of those curves in the allegedly reputed mark as compared with the line of the curves in the mark applied for, as well as the line forming the circle of the mark applied for as compared with that of the allegedly reputed mark.  36.  Furthermore, although the intersection of the interlaced curves of the mark applied for is visible, in that the line is interrupted in the places where those curves cross, the same is not true of the allegedly reputed mark. It can also be noted that the distance between the line forming the circle and the ends of the curves in each of the marks at issue, namely the points where those curves begin and end, differs>>.

Per cui visivamente son diversi, § 37.

Il giudizo fonetico non si può dare, § 38.

Concettualmetne , infine, sono pure diversi, § 39-40: quello di Huawei fa infatti pensare a due U contrapposte verticalmente oppure ad una H.

Secondo giudizio , sulla tutela ordinaria, § 43 ss: le cose non cambiano e anche qui il ricorso Chanel va rigettato, sostanzialmente per le stesse ragioni.

Sulla imputabilità alla controllata dell’illecito antitrust commesso dalla controllante : si pronuncia l’AG

L’avvocato generale Pitruzzella (AG)  nella causa C-882/19 Sumal contro Mercedes Benz Trucks Espana, ha presentato il 15 aprile 2021 le sue conclusioni .

La Commissione nel 2016 aveva accertato accordi collusivi tra i principali produttori di autocarri , tra cui Daimler.

Un acquirente di autocarri spagnolo cita in causa la controllata spagnola di Daimler, appunto Mercedes Benz Trucks Espana, per sovrapprezzo anticoncorrenziale, chiedendo il risarcimento dei danni

Essendo il cartello stato accertato nei confronti della capogruppo/controllante e non della controllata, quest’ultima eccepisce subito il difetto di legittimazione passiva

L’AG , a conclusione di un articolato ragionanento, ritiene che la controllata abbia legittimazione passiva per la domanda risarcitoria di danni cagionati dalla controllante.

Egli ricorda la centralità del concetto di impresa come unità economica nel diritto antitrust europeo . Ricorda che <<  La teoria dell’«unità economica» è stata elaborata intorno agli anni ’70 e utilizzata dalla Corte sia per escludere dall’ambito di applicazione del divieto di cui all’attuale articolo 101 TFUE gli accordi infragruppo (16), sia per imputare, all’interno di un gruppo di società, il comportamento anticoncorrenziale di un’affiliata alla capogruppo, inizialmente in situazioni in cui veniva eccepita l’incompetenza della Commissione a sanzionare quest’ultima, non avendo essa agito direttamente all’interno della Comunità>>, § 27.

(a ciò si può aggiungere qualche altra finalità, ad esempio la determinazione del fatturato ai fini delle sanzioni).

Le ragioni di questa estensione di responsabilità “ascendente” (dalla controllata alla controllante), possono essere due: o l’esercizio di influenza determinante, § 34, o l’esistenza stessa (in sè, potremmo dire) di un’unità economica, § 35: <<per altro verso, nella giurisprudenza si ritrovano altresì diversi elementi che militano nel senso di ritenere che sia l’esistenza stessa di un’unità economica a determinare la responsabilità della società madre per i comportamenti anticoncorrenziali della controllata. La Corte ha più volte sottolineato che la formale separazione tra due entità, conseguente alla loro personalità giuridica distinta, non esclude l’unità del loro comportamento sul mercato (34) e, pertanto, che esse costituiscano un’unità economica, vale a dire un’unica impresa, ai fini dell’applicazione delle norme sulla concorrenza. Sebbene la nozione funzionale di impresa non richieda che l’unità economica sia essa stessa dotata di personalità giuridica (35), la giurisprudenza le riconosce tuttavia una sorta di soggettività distinta e autonoma rispetto a quella delle entità che la costituiscono, che si sovrappone alla personalità giuridica di cui siano eventualmente dotate tali entità. Così, a partire dalla sentenza Akzo, la Corte non ha esitato a definire l’unità economica come un «ente» capace di violare le regole di concorrenza e di «rispondere di tale infrazione» (36). Nella prospettiva appena descritta, il fattore decisivo ai fini dell’imputazione della responsabilità della società madre per il comportamento anticoncorrenziale della controllata sarebbe dunque la loro condotta unitaria sul mercato (37), che connette insieme in un’unica unità economica più entità giuridicamente indipendenti.>> p. 35

La seconda ragione non è molto chiara e dunque condivisibile: sembra una tautologia e non mostra l’iter  logico seguito per arrivare alla conclusione

Comunque l’AG ammette che con la prima ragione non si potrebbe estendere la responsabilità al caso opposto (quello de quo) e cioè a quello della responsabilità discendente; mentre con la seconda ragione ciò è possibile, §§ 37-38

Come detto , la preferenza dell’AG cade sulla seconda ragione , §§ 40 e 44-45.

Il nucleo centrale del ragionamento è al paragrafo 46 dov’è vuole spiegare come si concilia questa regola con il principio di responsabilità personale: <<Poiché tale fondamento è del tutto indipendente da una qualche colpa della società madre (54), l’unico modo per conciliarlo con il principio della responsabilità personale è ritenere che tale principio operi a livello dell’impresa nel senso del diritto della concorrenza, ovvero a livello dell’entità economica che ha colpevolmente commesso l’infrazione (55). Tale entità, in quanto soggetto economico che agisce unitariamente sul mercato, è responsabile perché una delle sue componenti ha agito in modo da violare le regole sulla tutela della concorrenza (56). Tuttavia, non essendo tale entità dotata di soggettività giuridica, l’infrazione alle regole di concorrenza va imputata a una o, congiuntamente, a più entità alle quali potranno essere inflitte ammende (57). In effetti, benché le norme di concorrenza dell’Unione si rivolgano alle imprese e siano ad esse immediatamente applicabili, indipendentemente dalla loro organizzazione e forma giuridica, risulta tuttavia dalla necessaria effettività dell’attuazione di tali norme che la decisione della Commissione volta a reprimerne e a sanzionarne la violazione debba essere indirizzata a soggetti‑persona nei cui confronti sia possibile agire a fini esecutivi per ottenere il pagamento della relativa ammenda >>.

Il ragionamento non è molto lineare. Giuridicamente ritenere responsabile un’ <<entità economica>> (come un gruppo)  che non sia entità giuridica è un po’ problematico: soprattutto quando la conseguenza si basa sul solo fatto che una delle sue componenti  ha violato le regole dell’agire giudicico. Il superamento della personalità giuridica deve avere alla base una ragione molto forte e cioè giuridicamente dotata di senso, come ad esempio l’abuso della personalità giuridica.

in breve dice l’AG che i passi logici da compiere sono tre : <<49.  Il primo passo è l’accertamento dell’influenza determinante della società madre sulle controllate. Il secondo consequenziale passaggio è l’individuazione di una singola unità economica. L’influenza determinante è condizione necessaria affinché ci sia un’unità economica, cioè un’unica impresa in senso funzionale.

  1.     A questi due passaggi ne segue un terzo: l’attribuzione degli obblighi relativi al rispetto delle regole sulla concorrenza e della responsabilità per averle colpevolmente violate all’impresa unitaria così individuata, risultante da più soggetti giuridici distinti.
  1.     L’ultimo passaggio consiste nella concreta allocazione della responsabilità per l’infrazione commessa dall’impresa alle singole entità che la compongono, le quali, essendo munite di personalità giuridica, possono essere centro di imputazione di tale responsabilità e sopportarne le relative conseguenze in termini finanziari.
  1.     In questo modello ricostruttivo dell’unità economica non ci sono ragioni logiche per escludere che l’allocazione della responsabilità possa operare non solo in senso «ascendente» (dalla controllata alla società madre), ma anche in senso «discendente» (dalla società madre alla controllata).>>

Da ultimo l’AG indica le condizioni affinché la controllata risponda della condotta illecita della controllante: <<è, inoltre, necessario che tali controllate abbiano preso parte all’attività economica dell’impresa diretta dalla società madre che ha materialmente commesso l’infrazione.>> ,§ 56

In altri termini <<nel caso di responsabilità ascendente [responsabilità della madre per condotta delal figlia], in cui le controllate adottano un comportamento anticoncorrenziale nel quadro generale del potere di influenza della società madre, tale potere è sufficiente sia a individuare un’unità economica sia a fondare la responsabilità congiunta della società madre. Nel caso inverso, di responsabilità discendente [responsabilità della figlia per condotta della madre: come nel caso de quo], in cui è la società madre a commettere l’infrazione, l’unitarietà dell’attività economica risulterà – oltre che dall’influenza determinante esercitata dalla prima – dal fatto che l’attività della controllata è, in qualche modo, necessaria alla realizzazione della condotta anticoncorrenziale (per esempio perché la filiale vende i beni oggetto del cartello) (70). Poiché la nozione funzionale d’impresa in quanto unità economica attiene al concreto atteggiarsi di più entità giuridiche sul mercato, i suoi esatti confini vanno delineati proprio con riferimento alle attività economiche che tali entità svolgono e al ruolo che esse rivestono all’interno del gruppo societario: da un lato, l’influenza determinante esercitata dalla società madre, dall’altro, l’attività della o delle controllate oggettivamente necessaria a concretizzare la pratica anticoncorrenziale>> § 57

Nella sezione 5 l’AG affronta il tema della estendibilità di questo ragionamento, nato nella nel settore del Public enforcement e(erogazione di sanzioni), al private enforcement e cioè al risarcimento dei danni. Afferma questa estendibilità, § 66.

Il giudizio si può condividere astrattamente: non c’è motivo per differenziare.

Il problema tecnico giuridico è nu altro: che il diritto al risarcimento dei danni in generale in tutta la tort law europea è di competenza nazionale, non europea. Anche qui allora -come altrove: proprietà intellettjuale- c’è la dicotomia tra un settore appunto di competenza europea e le misure rimediali di competenza nazionale

Sul punto l’AG ricorda il precedente Skanska del 2019 secondo cui la legittimazione passiva alla domanda risarcitoria è di competenza Europea.

Si tratta forse della questione più complessa, attenendo al riparto normativo tra due ordinamenti Nazionale ed europeo: da un lato, lasciare il contenuto delle misure rimediali in toto ai diritti nazionali pregiudica l’uniforme applicazione del diritto europeo armonizzato; dall’altro e all’opposto, imporne una lettura europea significa vanificare la cometenza normativa nazionale.

Ancora sul diritto di parola nei confronti di Twitter

la corte distrettuale northern district della Californa, 9 aprile 2021, Case No. 4:21-cv-00548-YGR, Rutenberg c. Twitter, rigetta l’istanza di Rutenberg (R.), che aveva  impugnato la cbiusura del suo account @realdonaldtrump, tramite il quale interagiva con i tweet dell’ex Presidente.

La domanda è avanzata tramite la § 1983, ma è rigettata in poche righe.

Bisogna che ricorra l’esercizio di funzione statale e che si tratti di state actor, ricorda la corte, p. 3 righe 8 ss.

Nessuno dei due requisiti ricorre nel caso specifico.

A nulla vale la tesi per cui T. sarebbe public forum: l’esercizio dei poteri di piattaforma da parte di T. non costituisce esercizio di potere sovrano statale. Nemmeno è esatto che T. , amministratndo gli account dell’ex presidente, diventi state actor.

R., conclude la corte, confonde la posizione della piattafoma T. con quella di uno dei suoi più famosi utenti, l’ex presidente-.

Ed in effetti (questo è un punto importante, anche se ovvio), una cosa è contestare la decisione della piattaforma, un’altra è contestare la decisione di un suo utente (di cui sei ad es. follower).

(notizie e link alla sentenza dal blog di Eric Goldman)

Ancora su safe harbour ex § 230 CDA e Twitter

Una modella (M.) si accorge di alcune sua foto intime pubblicate su Twitter (T.) da un soggetto editoriale (E.) di quel settore.

Chiede pertanto a T. la rimozione delle foto, dei tweet e la sospensione dell’account.

T. l’accontenta solo sul primo punto.

Allora M. agisce verso T. e E. , azionando:  <<(1) copyright infringement; (2) a violation of FOSTA-SESTA, 18 U.S.C. 1598 (named for the Allow States and Victims to Fight Online Sex Trafficking Act and Stop Online Sex Trafficking Act bills); (3) a violation of the right of publicity under Cal. Civ. Code § 3344; (4) false advertising under the Lanham Act; (5) false light invasion of privacy; (6) defamation, a violation under Cal. Civ. Code § 44, et seq.; (7) fraud in violation of California’s Unfair Competition Law, Cal. Bus. & Prof. Code § 1 17200 et seq.; (8) negligent and intentional infliction of emotional distress; and (9) unjust enrichment>>

Decide  US D.C. Central District della California 19.02.2021 , caso CV 20-10434-GW-JEMx,  Morton c. Twitter+1.

Manco a dirlo T eccepisce l’esimente ex § 230 CDA per tutti i claims tranne quello di copyright.

E’  sempre problematico il requisito del se l’attore tratti o meno il convenuto come publisher o speaker: conta la sostanza, non il nome adoperato dall’attore. Cioè la domanda va qualfiicata dal giudice, p. 5.

M. cerca di dire che E. non è terzo ma affiliato a T. . La corte rigetta, anche se di fatto senza motivazione, pp.-5-6. Anche perchè sarebbe stato più appropriato ragionarci sul requisito del se sia materiale di soggetto “terzo”, non sul se sia trattato come publisher.

IL punto più interessante è la copertura col § 230 della domanda contrattuale, 7 ss.

M. sostiene di no: ma invano perchè la corte rigetta per safe harbour e per due ragioni, p. 7/8:

Primo perchè M. non ha indicato una clausola contrattuale  che obbligasse T. a sospendere gli account offensivi: la clausola c’è, ma è merely aspirational, non binding.

Secondo , perchè la richiesta di sospendere l’account implica decisione editoriale, per cui opera l’esimente: <<“But removing content is something publishers do, and to impose liability on the basis of such conduct necessarily involves treating the liable party as a publisher of the content it failed to remove.” Barnes, 570 F.3d at 1103 (holding that Section 230 barred a negligent-undertaking claim because “the duty that Barnes claims Yahoo violated derives from Yahoo’s conduct as a publisher – the steps it allegedly took, but later supposedly abandoned, to de-publish the offensive profiles”)>>, p .8.

E’ il punto teoricamente più  interessante: la condotta censurata costituisce al tempo stesso sia  (in-)adempimento contrattuale che decisione editoriale. Le due qualificazione si sovrappongono.

Invece la lesione dell’affidamento  (promissory estoppel) non è preclusa dall’esimente, per cui solo qui M. ottiene ragione: <<This is because liability for promissory estoppel is not necessarily for behavior that is identical to publishing or speaking (e.g., publishing defamatory material in the form of SpyIRL’s tweets or failing to remove those tweets and suspend the account). “[P]romising . . . is not synonymous with the performance of the action promised. . . . one can, and often does, promise to do something without actually doing it at the same time.” Barnes, 570 F.3d at 1107. On this theory, “contract liability would come not from [Twitter]’s publishing conduct, but from [Twitter]’s manifest intention to be legally obligated to do something, which happens to be removal of material from publication.” Id. That manifested intention “generates a legal duty distinct from the conduct at hand, be it the conduct of a publisher, of a doctor, or of an overzealous uncle.” Id>>

(sentenze e link dal blog di Eric Goldman)

safe harbour ex § 230 CDA per responsabilità contrattuale: si conferma la non applicabilità

La Northern District Court di S. Josè Californa, 31.03.3021, Case No.20cv04687VKD, Daniels c. Alphabet e altri, conferma la vasta applicazione del § 230 CDA, che però non arriva a coprire la violazione contrattuale.

Infatti di tutte le doamnde avanzate, solo quest’ultima evita il rigetto per safe harbour: p. 20 righe 26.28 sul§ 230.c.1.

All’attore non va bene invece la domanda sul § 230.c.2.A, essendo rigettata la tesi della macnanza di buona fede.

La lamentela consisteva, al solito, nella rimozione di video dell’attore da Youtube.

Inoltre non gli va bene nemmeno la domanda di tutela del diritto di parola ex 42 US code § 1983, dato che questo riguarda solo state law e non federal law, p. 8-9.

Non gli va meglio la domanda ex Primo Emedamento: Google e Youtube infatti sono enti privati, cui non è applicabile la dottrina della state action. 

L’attore aveva in strano e originale modo tentato di argomentare il contrario, valorizzando discorsi pubblici di politici statunitensi (tra cui Nancy Pelosi) , per  cui le piattagorme meritano regolazione per il loro ruolo esteso nella società statunitense. Ciò però varrà de lege ferenda , non de lege lata.

Sul conto corrente bancario cointestato: rapporto esterno (vs. banca) e interno (tra cointestari)

Chiarimenti utili nella pratica sul tema in oggetto da parte di Cass. 4838 del 23.02.2021, rel. Tedesco.

Gli eredi (fratelli) di un cointestatario di conto corrente, titolare assieme alla moglie, agiscono verso quest’ultima per ottenere la metà della somma presente sul conto. Ottengono ragione in primo grado ma non in secondo grado.

La Cass. afferma  questi principi:

<<La cointestazione di un conto corrente tra coniugi attribuisce agli stessi, ex art. 1854 c.c., la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto, sia nei confronti dei terzi che nei rapporti interni, e fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto; tale presunzione dà luogo ad una inversione dell’onere probatorio che può essere superata attraverso presunzioni semplici – purchè gravi, precise e concordanti – dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa (Cass. n. 18777/2015). Pertanto, ove il saldo attivo del conto cointestato a due coniugi risulti discendere dal versamento di somme di pertinenza di uno soltanto di essi, si deve escludere che l’altro coniuge, nel rapporto interno, possa avanzare diritti sul saldo medesimo (Cass. n. 3248/1989; n. 4066/2009)>>.

Segue poi il punto relativo ai rapporti interni: <<Nel conto corrente bancario intestato a due (o più) persone, i rapporti interni tra correntisti non sono regolati dall’art. 1854 c.c., riguardante i rapporti con la banca, bensì dall’art. 1298 c.c., comma 2, in base al quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali, solo se non risulti diversamente; sicchè, non solo si deve escludere, ove il saldo attivo derivi dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, che l’altro possa, nel rapporto interno, avanzare pretese su tale saldo ma, ove anche non si ritenga superata la detta presunzione di parità delle parti, va altresì escluso che, nei rapporti interni, ciascun cointestatario, anche se avente facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, possa disporre in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito dell’altro, della somma depositata in misura eccedente la quota parte di sua spettanza, e ciò in relazione sia al saldo finale del conto, sia all’intero svolgimento del rapporto (Cass. n. 77/2018).>>

Piana applicazione del safe harbour per copyright (§ 512 DMCA)

Una piana applicazione dell’esimente da responsabilità, costituita dal § 512 DMCA , è condotta dalla Northern District Court della California con sentenza 31 marzo 2021, case No.19cv04334JSC,  Kinsley c. Udemy.

Udemy (U.) vende servizi di piattaforma/hosting “educational”.

Kinsley (computer programing educator; poi: K.) aveva trovato sulla stessa  due suoi video contenti lezioni di programmazione informatica. Aveva dunque notificato la violazione a U. e questa aveva prontamente rimosso e bannato il docente, autore dell’illecito uploading.

Nonostanta la pronta e corretta reazione di U., K. aveva  ugualmente agito in giudizio per violazione di copyright (ma non solo).

Caratteristici qui sono l’actual knowledge (§512 suv C.1.A)  e ii) il giudizio sul <<right and ability to control such activity>>, circa il requisito del aver tratto beneficio finanziario (§ 512 sub c.1.B)

Sul primo punto, la conoscenza non c’era nè c’erano le c.d. red flags: <<Regarding a service provider’s “red flag” knowledge, § 512(c)(1)(A)(ii) “turns on whether the provider was subjectively aware of facts that would have made the specific infringement objectively obvious to a reasonable person.” Columbia Pictures Indus., Inc. v. Fung, 710 F.3d 1020, 1043 (9th Cir. 2013) (internal quotation marks and citation omitted); see also Ventura Content, 885 F.3d at 610 (“And for red flag knowledge, infringement must be apparent, not merely suspicious.”).Nothing in the record supports a findingthat Udemy was aware of facts that would have made the infringements at issue “objectively obvious to a reasonable person.” Fung, 710 F.3d at 1043>>, p. 6.

Sul secondo punto, U. non aveva la capacità di controllare i materiali , avendo oltre 50.000 corsi on line, p. 8.

E ciò pure se esisteva il programma di scan/detection <Link Busters> , visto che non funzionava sulla piattaforma di U. , ivi (punto non chiaro, dato che K. afferma che U. lo utilizzava, ma il giudice dice che “[did] not run against Udemy’s platform.”).

Quindi a carico di U. nè condanna risarcitoria nè inibitoria, p. 9-10.

(sentenza e link alla stessa dal blog di Eric Goldman)