Invalidità della delibera condominiale e riparto delle spese comuni

Cass. sez. un. 9.839 del 14.04.2021, rel. Lombardo Luigi G. ,  sull’oggetto così enuncia i principi di diritto, § 6.5 (erano state sollevate anche altre questioni):

<<– “In tema di condominio negli edifici, sono affette da nullità, deducibile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, le deliberazioni dell’assemblea dei condomini che mancano ab origine degli elementi costitutivi essenziali, quelle che hanno un oggetto impossibile in senso materiale o in senso giuridico – dando luogo, in questo secondo caso, ad un “difetto assoluto di attribuzioni” – e quelle che hanno un contenuto illecito, ossia contrario a “norme imperative” o all’ordine pubblico” o al “buon costume”; al di fuori di tali ipotesi, le deliberazioni assembleari adottate in violazione di norme di legge o del regolamento condominiale sono semplicemente annullabili e l’azione di annullamento deve essere esercitata nei modi e nel termine di cui all’art. 1137 c.c.”;

– “In tema di deliberazioni dell’assemblea condominiale, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalle legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2) e 3), e che è sottratta al metodo maggioritario; sono, invece, meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, cosicchè la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137 c.c., comma 2″>>.

Anche Taiwan conferma che l’inventore deve essere un umano, per cui non può esserlo un sistema di Intelligenza Artificiale (ancora su DABUS)

GRUR International dà notizia di una decisione dell’ufficio brevettuale taiwanese (incardinato presso un Tribunale/Court, parrebbe dal nome) che rigetta la domanda di brevetto intestata alla intelligenza artificiale.

Manco a dirlo, si tratta del noto sistema di A.I. detto DABUS, autore del quale è il solito Stephen L. Thaler.

Ecco le massime presenti nella cit. rivista:

1. Only a natural person qualifies as an inventor under the patent laws of Taiwan. This reading is confirmed by a plain reading of the relevant statutes, the overall purpose of the patent system, and the inventor’s moral rights to indicate their name in the patent application.

2. An artificial intelligence system (AI) is not a person but an object of rights under the law of Taiwan. As such it cannot become a subject of rights, have legal capacity, or be entitled to legal rights.

3. The fact that an applicant only provides the name of an AI can be considered a failure to indicate the name and nationality of the inventor. If the applicant fails to remedy the omission within the statutory or specified time periods, the patent application shall be lawfully dismissed.

La Cassazione sulla responsabilità civile dei sindaci di sp.a. (quasi una lectio magistralis)

Cass. 24.045 del 06 settembre 2021 interviene sulla responsabilità dei sindaci di spa (art. 2407 cc., essenzialmente  comma 2).

Nulla di innovativo ma un ripasso approfondito.

E’ ante riforma 2003 ma il testo è  uguale nella parte pertinente della disposizione.

Due soprattutto sono i  punti da cogliere.

Il primo riguarda il nesso di causalità :

quando  il  danno  non  si  sarebbe
prodotto se essi avessero  vigilato  in  conformita'  degli  obblighi
della loro carica.

Ebene: << In altri termini, perché sussista il nesso di causalità ipotetica tra l’inadempimento dei sindaci ed il danno cagionato dall’atto di mala gestio degli amministratori, nel senso che possa ragionevolmente presumersi che, senza il primo, neppure il secondo si sarebbe prodotto, o si sarebbe verificato in termini attenuati, è necessario che il giudice, di volta in volta, accerti che i sindaci, riscontrata la illegittimità del comportamento dell’organo gestorio nell’adempimento del dovere di vigilanza, abbiano poi effettivamente attivato, nelle forme e nei limiti previsti, gli strumenti di reazione, interna ed esterna, che la legge implicitamente od esplicitamente attribuisce loro, privilegiando, naturalmente, quello più opportuno ed efficace a seconda delle circostanze del singolo caso concreto.  E precisamente, di fronte ad un atto di mala gestio degli amministratori, i sindaci che vogliano evitare l’azione di responsabilità nei propri confronti, devono, oltre che verbalizzare il proprio dissenso (rispetto alle deliberazioni del collegio stesso) nel verbale delle adunanze del collegio sindacale (art. 2404 c.c., u.c.), anche: a) chiedere, se del caso per iscritto, notizie e chiarimenti al consiglio di amministrazione in ordine all’andamento delle operazioni sociali o su determinati affari (cfr. Cass. n. 5263 del 1993); b) procedere in qualsiasi momento, anche individualmente, ad atti di ispezione e di controllo (art. 2403 c.c., anche nel testo oggi vigente sotto l’art. 2403-bis c.c.), se del caso avvalendosi, sotto la propria responsabilità ed a proprie spese, di propri dipendenti ed ausiliari (art. 2403-bis c.c., anche nel testo attualmente vigente); c) convocare e partecipare, come è loro obbligo, alle riunioni del consiglio di amministrazione (art. 2405 c.c.), verbalizzare l’eventuale dissenso sul libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio, ed impugnarne le deliberazioni affette da nullità od annullabilità (vedi l’art. 2388 c.c., comma 4), specie quando il vizio sia idoneo a danneggiare la società od i creditori (arg. ex art. 2391 c.c., comma 3, art. 2394 c.c. e art. 2407 c.c., commi 2 e 3); d) convocare (art. 2406 c.c.) e partecipare, come è loro obbligo, all’assemblea dei soci (art. 2405 c.c.), nonché impugnare le deliberazioni dell’assemblea che non siano state prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo (art. 2377 c.c., comma 1, anche nel testo in vigore); e) formulare esposti al Pubblico Ministero, affinché questi provveda ex art. 2409 c.c., quando tale iniziativa sia rimasta davvero l’unica praticabile in concreto per poter legittimamente porre fine alle illegalità di gestione riscontrate, essendosi rilevati insufficienti i rimedi endosocietari (cfr., in tal senso, Cass. n. 9252 del 1997), ovvero, come è stato espressamente riconosciuto dalla riforma del 2003, promuovere direttamente il controllo giudiziario sulla gestione se si ha il fondato sospetto che gli amministratori abbiano compiuto gravi irregolarità (art. 2409 c.c., u.c. nuova formulazione)>>, § 2.2.4.

Si noti la gravosità del dovere impugnatorio ex lett. c) e d).

Riassunto fatto dalla  SC stessa: << 2.3 . Riassumendo, dunque, se è vero che il sindaco non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale in ragione della sua mera “posizione di garanzia”, si esige tuttavia, a fini dell’esonero dalla responsabilità, che egli abbia esercitato o tentato di esercitare l’intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge. Da un lato, solo un più penetrante controllo, attuato mediante attività informative e valutative – in primis, la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403-bis c.c. – può dare concreto contenuto all’obbligo di tutela degli essenziali interessi affidati al collegio sindacale, “…cui non è consentito di rimanere acriticamente legato e dipendente dalle scelte dell’amministratore, quando queste collidano con i doveri imposti dalla legge, al contrario avendo il primo il dovere di individuarle e di segnalarle ad amministratori e soci, non potendo assistere nell’inerzia alle altrui condotte dannose: senza neppure potersi limitare alla richiesta di chiarimenti all’organo gestorio, ma dovendosi spingere a pretendere dal medesimo le cd. azioni correttive necessarie” (cfr., in motivazione, Cass. n. 18770 del 2019). Dall’altro lato, il sindaco dovrà fare ricorso agli altri strumenti previsti dall’ordinamento, come i reiterati inviti a desistere dall’attività dannosa, la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c. (ove omessa dagli amministratori, o per la segnalazione all’assemblea delle irregolarità di gestione riscontrate), i solleciti alla revoca delle deliberazioni assembleari o sindacali illegittime, l’impugnazione delle deliberazioni viziate, il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex art. 2487 c.c., la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c. o all’autorità giudiziaria penale, ed altre simili iniziative. Dovendosi ribadire che, come questa Corte ha già osservato, anche la semplice minaccia di ricorrere ad un’autorità esterna può costituire deterrente, sotto il profilo psicologico, al proseguimento di attività antidoverose da parte dei delegati (cfr. Cass. n. 31204 del 2017 e Cass. 11 novembre 2010, n. 22911 del 2010, entrambe richiamate, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 18770 del 2019). Senza trascurare, altresì, che la condotta impediente omessa va valutata nel contesto complessivo delle concrete circostanze, in quanto l’inerzia del singolo, nell’unirsi all’identico atteggiamento omissivo degli altri) acquista efficacia causale, atteso che, all’opposto, una condotta attiva giova a “rompere il silenzio” sollecitando, con il richiamo agli obblighi imposti dalla legge ed ai principi di corretta amministrazione, un analogo atteggiamento degli altri (cfr., in motivazione, Cass. n. 18770 del 2019, nonché, in sede penale, Cass. pen. 7 marzo 2014, n. 32352, Tanzi).

2.3.1. A fronte di iniziative anomale da parte dell’organo amministrativo di società di capitali, dunque, i sindaci hanno l’obbligo di porre in essere, con tempestività, tutti gli atti necessari all’assolvimento dell’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, attivando ogni loro potere (se non di intervento sulla gestione, che non compete se non in casi eccezionali, certamente) di sollecitazione e denuncia diretta, interna ed esterna, doveroso per un organo di controllo. In mancanza, essi concorrono nell’illecito civile commesso dagli amministratori della società per omesso esercizio dei poteri-doveri di controllo loro attribuiti per legge (cfr., in motivazione, Cass. n. 18770 del 2019)>>.

Sugli oneri di allegazione e prova: <<Resta da precisare che l’onere di allegazione e di prova nelle azioni di responsabilità avverso l’organo sindacale si atteggia nel senso che spetta all’attore allegare l’inerzia del sindaco e provare il fatto illecito gestorio, accanto all’esistenza di segnali d’allarme che avrebbero dovuto porre i sindaci sull’avviso; assolto tale onere, l’inerzia del sindaco integra di per sé la responsabilità, restando a carico del medesimo l’onere di provare di non aver avuto nessuna possibilità di attivarsi utilmente, ponendo in essere tutta la gamma di atti, sollecitazioni, richieste, richiami, indagini, sino alle denunce alle autorità civile e penale (cfr., in motivazione, Cass. n. 18770 del 2019). Costituisce, infatti, costante indirizzo interpretativo quello per cui la natura contrattuale della responsabilità degli amministratori e dei sindaci verso la società comporta che quest’ultima ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori e sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti (cfr. Cass. n. 28642 del 2020, in motivazione; Cass. n. 2975 del 2020; Cass. n. 17441 del 2016; Cass. n. 14988 del 2013; Cass. n. 22911 del 2010).>>, § 2.5.

Il secondo punto importante riguarda la fattispecie del concorso ex art. 2055 cc:

<< 2.7.3. In altri termini, la diversità delle condotte illecite e dei soggetti che le hanno poste in essere è circostanza del tutto indifferente alla integrazione della fattispecie di cui all’art. 2055 c.c., comma 1, atteso che l’unica questione rilevante ai fini della responsabilità solidale dei soggetti che hanno contribuito alla produzione dell’eventus damni attiene alla verifica del rapporto di causalità materiale, ex art. 41 c.p., (da intendersi in senso civilistico secondo il criterio del “più probabile che non”) tale per cui tutte le cause concorrenti, preesistenti, simultanee o sopravvenute, debbono ritenersi parimenti determinanti, ove non accertata l’esclusiva efficienza causale di una di esse (cfr. Cass. n. 7016 del 2020).

2.7.4. Deve ribadirsi, in proposito, il consolidato principio, enunciato da questa Corte, secondo cui l’unicità del fatto dannoso richiesta dall’art. 2055 c.c. ai fini della configurabilità della responsabilità solidale degli autori dell’illecito va intesa in senso non assoluto, ma relativo al danneggiato, sicché ricorre tale responsabilità, volta a rafforzare la garanzia di quest’ultimo e non ad alleviare la responsabilità degli autori dell’illecito, pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempre che le singole azioni o omissioni, legate da un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno, a nulla rilevando, a differenza di quanto accade nel campo penalistico, l’assenza di un collegamento psicologico tra le stesse (cfr., ex aliis, Cass. n. 1842 del 2021; Cass. n. 7016 del 2020; Cass. n. 23450 del 2018; Cass. n. 18753 del 2017; Cass. n. 18899 del 2015; Cass., SU, n. 16503 del 2009, in motivazione).>>

Tutela delle ricette culinarie tramite diritto di autore? Pare difficile …

Un tribunale newyorkese decide sulla copiatura di ricette da cucina (vegana) sotto vari profili , tra qui quello -unico qui richiamato- del copyright (è il count 14 della domanda introduttiva, p. 17-18)

Si tratta di United States District Court, S.D. New York, Coscarelli v. Esquared Hosp., Decided Nov 24, 2021, n° 18-CV-5943 (JMF) (letta in casetext.com).

<<Applying the fact/expression dichotomy to recipes, courts have held that “the lists of required ingredients and the directions for combining them to achieve the final products” are not eligible for copyright protection, although original elementsreflecting the author’s creative expression – such as“musings about the spiritual nature of cooking, ”“reminiscences [the author] associate[s] with thewafting odors of certain dishes in various stages ofpreparation, ” and “suggestions for presentation,advice on wines to go with the meal, or hints onplace settings and appropriate music” – may be protectible . Publ’ns Int’l, Ltd. v. Meredith Corp.,88 F.3d 473, 480-81 (7th Cir. 1996); accordLambing v. Godiva Chocolatier, 142 F.3d 434 (6thCir. 1998); see also 37 C.F.R. § 202.1(a)(providing that the “mere listing of ingredients orcontents” 33 is “not subject to copyright”); seealso LaPine, 2009 WL 2902584, at *7 (noting that“individual recipes do not necessarily qualify forcopyright protection” (citing Publ’ns. Int’l, 88 F.3dat 481)), af ‘d, 375 Fed.Appx. 81 (2d Cir. 2010)(summary order).

Il che condanna la domanda attorea;: <That is because the elements that Defendants allegedly copied from Coscarelli’s cookbooks are primarily lists of ingredients and directions for combining them. For example, Plaintiffs allege thatDefendants copied, nearly verbatim, the ingredients and steps in the recipe for peanut butter dog treats that Coscarelli published in her Chloe’s Kitchen cookbook. But – critically – theymake no argument that the commentary (stating,“Now, something for our furry friends! There’s a whole lot of tail-waggin’ and lip-smackin’ whenmy pups smell these all-natural treats baking.These also make great gifts: Wrap these treats and,when you tie them off, attach a dog-bone cookiecutter and a copy of this recipe”) was copied. FAC¶¶ 192(e), 192(f). Whereas the latter may be entitled to copyright protection, the former plainly is not. 

Plaintiffs seek to distinguish Coscarelli’s “exciting, unique – and above all – original” recipes from the cases cited above, arguing that her recipes “bear no resemblance” to the “simple – and unoriginal -recipes not protected by copyright.” Pls.’ MSJMem. & Opp’n 28.

But the Supreme Court has held that “[n]o matter how much originalauthorship the work displays, the facts and ideas itexposes are free for the taking. The very samefacts and ideas may be divorced from the contextimposed by the author, and restated or reshuffledby second comers, even if the author was the firstto discover the facts or to propose the ideas.”Feist, 499 U.S. at 349 (cleaned up). It is the“selection and arrangement” of factual materialsthat may be subject to copyright. Id. Here, thelayout and color scheme of the two sets ofpublications of recipes are entirely different.  Defendants’ online version of the recipes features a two-column layout with the 34 ingredients shown on the left and the steps on the right andblack and white lettering, while Plaintiffs’ versionuses a single column and colorful lettering for thetitle and section headers. Cf. Boisson, 273 F.3d at274 (“In particular, the overwhelming similaritiesin color choices lean toward a finding ofinfringement”). And Plaintiffs’ failure to submit complete copies of her cookbooks and Defendants’online recipe collection prevents a reasonable jury from making the requisite finding of substantial similarity between the collections to support aclaim based on the selection or arrangement of acompilation. See Matthew Bender & Co.. v. WestPub. Co., 158 F.3d 674, 681-82 (2d Cir. 1998) (“If originally combined, a selection or arrangement ofunderlying materials that are themselvesunoriginal may support copyright protection.”).

Plaintiffs therefore fail to allege that Defendants copied any protectible elements of Coscarelli’s recipes. Cf. Barbour v. Head, 178 F.Supp.2d 758,764 (S.D. Tex. 2001) (denying summary judgmenton a claim of copyright infringement with respectto “recipes [that] contain[ed] more thanmechanical listings of ingredients and cookingdirections, ” including original “commentary” and“suggestions on the presentation of food”(emphasis added))>>

In breve n short, il claim 14 va respinto <<because Plaintiffs fail to allege that Defendants copied any protectible materia>>

Nullità di fideiussione perchè in esecuzione di intesa vietata dalla legge antitrust

App. Milano 13.12.2021, n° 3580/2021, RG 857/2020, affronta il tema (in attesa delle Sezioni Unite, avendo Cass. ord. 30.04.2021 n. 11.486 rimesso al Primo Presidente allo scopo).

1) la nullità poer violazione di norma imperativa (divieto di intese restritive della concorenza, nella forma di contratti c.d. a valle , esecutivi dell’intesa vietata) è rilevabile di ufficio (con le conseguenze processuali).

2) la nullità non è integrale ma segue la disciplina dell’art. 1419 cc in tema di nulità parziale (è il punto più importante): << Una preziosa indicazione in tal senso, come è stato osservato a margine della rimessione dellaquestione alle Sezioni Unite, ci viene dallo stesso provvedimento della Banca d’Italia, in funzione diAutorità garante, che ha valutato lo schema ABI e che ha considerato illecite soltanto le tre clausole dicui sopra, confermando la piena validità, per il resto, del modello.  Secondo il provvedimento dell’Autorità garante, le tre clausole considerate anticoncorrenziali non risultavano funzionali e necessarie (quindi essenziali) per consentire l’accesso al credito bancario,mirando esclusivamente a scaricare in modo ingiustificato sul fidejussore le conseguenza negativederivanti dall’inosservanza di obblighi di diligenza della banca, ovvero dalla invalidità o dallainefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa.Peraltro, che la essenzialità delle clausole in commento non sia fondatamente predicabile, emergeall’evidenza dal fatto che:- da un lato, avuto riguardo alla posizione dei garanti, la riproduzione nelle fidejussioni delleclausole 2,6 e 8 dello schema ABI ha avuto l’effetto di rendere la disciplina contrattuale per essipiù gravosa, sicchè la loro eliminazione ne alleggerirebbe la posizione, con indubbi vantaggi aloro favore; né può fondatamente ritenersi – salvo la rigorosa allegazione e prova del contrario -che i fidejussori non avrebbero prestato la garanzia senza le clausole predette e cioè acondizioni economiche per loro decisamente più favorevoli.- dall’altro lato, avuto riguardo alla posizione dell’istituto bancario, l’alternativa sarebbe stataquella dell’assenza completa di fidejussione: il che depone, semmai, nel senso che la banca nonavrebbe, prima ancora, concesso il fido o il finanziamento, in assenza di garanzie a tutela delproprio credito, ma non certo che avrebbe rinunciato alla garanzia se le condizioni fossero statepiù vantaggiose per i garanti>>, p. 17.

3) sulla decadenza ex art. 1957 cc: << Secondo un orientamento giurisprudenziale già condiviso da questa Corte, ad evitare la decadenza exart. 1957 c.c., sarebbe sufficiente la previsione di una clausola “a prima richiesta”, atteso che,diversamente opinando, vi sarebbe una insanabile contraddizione tra le due clausole contrattuali, nonpotendosi considerare “a prima richiesta” l’adempimento subordinato all’esercizio di un’azionegiudiziale.La S.C. ha avuto, però, modo di prendere posizione sul punto, osservando che la presenza di unaclausola c.d. a prima richiesta, in concorrenza con la previsione di cui all’art. 1957 c.c. (la cuireviviscenza è la naturale conseguenza della nullità del patto di deroga), determinerebbe non giàl’elusione del termine semestrale per agire nei confronti del debitore, ma solo il venir menodell’obbligo di esperire un’azione giudiziale in quel termine, essendo sufficiente, per evitare ladecadenza, anche una mera iniziativa stragiudiziale: “L’eventuale rinvio pattizio alla previsione dellaclausola di decadenza di cui all’art. 1957 comma 1 c.c. deve intendersi riferito esclusivamente altermine semestrale indicato dalla predetta disposizione; peraltro, deve ritenersi sufficiente ad evitarela decadenza la semplice proposizione di una richiesta stragiudiziale di pagamento, non essendonecessario che il termine sia osservato mediante la proposizione di una domanda giudiziale” (Cass. n.22346/2017).L’argomento è stato, poi, ulteriormente sviluppato in una recente sentenza (Cass. n. 5598/2020) che hastatuito come, ferma restando la “compatibilità” delle due previsioni sopra citate (id. est. clausola “aprima richiesta” e art. 1957 c.c.) “spetta al giudice di merito accertare la volontà in concretomanifestata dalle parti con la sua stipulazione”.>>, p. 18

(testo della sentenza fornito dall’avv. prof. Paolo Mondini su Linkedin)

Pagamenti preferenziali nella fase del crepuscolo imprenditoriale

Trib. Milano 14-09.2021, RG 22523/2017, n° 7286/2021, affronta alcune questioni di cuia ll’oggetto nella lite promossa dalla Curatela fallimentare contro alcuni amministratori ex artt. 2393-2394 cc (era però una s.r.l.)

Interessano le affermazioni relative alle due domande azionate in causa (per vero, interesserebbe pure la loro applicazione ai fatti di causa, qui però non possibile):

1) <<Ciò posto, ritiene il Tribunale che, quando la società versa in stato di insufficienza patrimoniale irreversibile, il pagamento di debiti sociali senza il rispetto delle cause legittime di prelazione – quindi n violazione della par condicio creditorum – costituisce un fatto generativo di responsabilità degliamministratori verso i creditori, salvo che sia giustificato dal compimento di operazioni conservativedell’ integrità e del valore del patrimonio sociale, a garanzia dei creditori medesimi, o di operazioniassimilabili (v. postea) ….

A conforto di tali conclusioni sovvengono, con riferimento alla responsabilità degli amministratori,considerazioni relative a principi già immanenti ma ormai positivizzati nel sistema, ed in particolareche, a fronte della crisi ed a maggior ragione dell’insolvenza sub specie di dissesto, il parametrogestorio deve cambiare, essendo da orientare non più a realizzare un lucro ma: (i) al fine esclusivo diconservare il valore e l’integrità del patrimonio sociale (art. 2486 c.c.; cfr. anche OIC 5, OIC 11 par.23, 24), cioè in base a criteri diversi da quelli tipici della società in bonis e di salvaguardia dellagaranzia dei creditori (art. 2740 c.c.); (ii) all’adozione di uno degli strumenti previsti per il superamentodella crisi ed il recupero della continuità aziendale: piani attestati di risanamento, accordi diristrutturazione, concordato preventivo (artt. 67 let. d, 160, 182 bis, l.f.). E con l’obbligo di chiedere ilfallimento in proprio ove si profili un rischio di incremento del dissesto (art1. 217 n. 4, 224 n. 1 l.f.).D’altro canto, significativamente, il danno prospettabile sia con riferimento all’azione ex art. 2394 c.c.– ove concepita, come prevalentemente riconosciuto, quale azione diretta ed autonoma, nonsurrogatoria, cui è legittimato ciascun creditore -, sia con riferimento al danno da pagamentopreferenziale è comunque costituito dalla minor soddisfazione che il credito riceve per effetto delcompimento dell’atto illegittimo , chiaro sintomo, questo, della operatività del principio di parcondicio creditorum in presenza di insufficienza patrimoniale. La stessa determinazione del danno secondo il criterio della differenza dei netti patrimoniali (art. 2486, comma 2, c.c.) – portato positivo diuna precedente elaborazione giurisprudenziale poliennale – consiste in una diminuzione patrimoniale in danno anzitutto dei creditori e si sostanzia in una tutela della par condicio creditorum, andando il risarcimento ottenuto dalla procedura ad incrementarne l’attivo distribuibile>>, pp. 11 e 13.

2) <<Deve essere accolta parzialmente, per quanto di ragione, la domanda risarcitoria proposta dalFallimento con riferimento all’addebito sub B), ovvero il danno costituito da sanzioni irrogate edinteressi maturati in relazione all’omesso pagamento, da parte della Società in persona degliamministratori, dei debiti fiscali e contributivi. Ha dedotto il Fallimento che gli amministratori hanno preferito pagare altri creditori, invece che l’Erario, creditore privilegiato, soprattutto considerando che tali omissioni comportano altrettantiilleciti amministrativi cui accedono consistenti sanzioni ed applicazioni di interessi.  I convenuti hanno molto genericamente fatto appello alla discrezionalità gestoria degli amministratoried all’impossibilità di pagare quando la società si trova in situazione di crisi.  Osserva il Tribunale che la discrezionalità degli amministratori trova un limite naturale nel rispetto dispecifiche e tassative norme di legge la cui violazione integra un illecito amministrativo assistito dallerelative sanzioni, quali sono (tra le altre) le norme che prevedono i pagamenti di imposte, tasse  e contributi. I nvero questo Tribunale ha costantemente affermato: “La condotta degli amministratori caratterizzata dalla perdurante violazione degli obblighi tributari è gravemente inadempiente rappresentando uno dei primi doveri dell’amministratore il rispetto degli obblighi contributivi e fiscali” .  Inoltre, accertato il mancato pagamento delle imposte, spetta all’amministratore dimostrare la suamancanza di colpa, essendosi costantemente e condivisibilmente affermato in giurisprudenza dilegittimità che, in caso di violazione degli obblighi specifici derivanti dall’atto costitutivo o dalla legge,la responsabilità degli amministratori di una società può essere esclusa solo nel caso, previsto dall’art.1218 c.c., in cui l’inadempimento sia dipeso da causa non imputabile e che non poteva essere evitata nésuperata con la diligenza richiesta al debitore. Merita infine di essere ricordato – al fine di circoscrivere le situazioni che possono escludere laresponsabilità dell’amministratore – anche quell’orientamento della giurisprudenza penale di legittimità secondo cui una situazione di crisi di liquidità del contribuente (nel caso di specie un’impresa) può giustificare e comportare l’assoluzione solo se questi sia in grado di provare che per lui non sia stato altrimenti possibile reperire le risorse necessarie al corretto e puntuale adempimento delle obbligazionitributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni dirette a consentire il recupero dellesomme necessarie>>

Giudice USA sulla illecita estrazione di audio da un audiovisivo su Youtube (c.d. stream ripping)

Interessante il Report and Recommendations del giudice Buchanan della Virginia per la District Court  sulla pratica di business in oggetto, attuata da tal sig. Kurbanov, titolare e creatore dei siti www.FLVTO.biz e www.2conv.com .

La proposta segue un precedente contenzioso, reperibile in rete.

Si tratta di East. Dist. of Virginia, Alexandria Division, 16 dicembre 2021, Case 1:18-cv-00957-CMH-TCB, UMG Recordings e altri c. Kurbanov.

Interessante non è tanto il giudizio di illiceità (violazine del diritto di riproduzione e di distribuzione), che è ovvio; quanto invece, da un lato,  la descrizione della pratica del ripping (stream-ripping, con circonvenzione delle misure di sicurezza predisposte da Youtube) dell’audio dall’audiovisivo e, dall’altro,  la quantificazione dei danni ($ 1.250,0 per ogni violazione, che , moltiplicate per 1.618 violazioni, danno un totale di $ 2.022.500).

Da segnalare pure che viene accertata sia una violazione diretta che in compartecipazione alla violazione altui (contributory infringement), laddove incitava gli utenti a procedere in tale senso.

Ciò in base al DMCA.

In base al copyright act, poi, liquida aggiuntivi $ 80.990, dati da $ 50 per ogni violazione.   I criteri sono i soliti, parzialmente simili al ns. art. 158 l. aut.: spese risparmiate, profitti maturati , elemento soggettivo etc. (v. IV requested relief, sub A e sub B).

“Luxy” non è confondibile con “Luxury”: quasi un caso di keyword advertising

Il tribunale del Central District of California, 3 ottobre 2021, Case 2:20-cv-00423-RGK-KS, Reflex media c. Luxy decide una domanda di violazione di marchio e concorrenza sleale.

Il marchio azionato era <Luxy> scritto con una certa paricolarità grafica.

Il resistente aveva fatto un’inserzione in Google Search: digitando <luxy> compariva -tra quattro- il suo annuncio a pagamento con titolo <Luxury dating site. For elite relatgionship> (v. riproduzione sotto).

La corte nega che tale titolo violi il diritto sul marchio predetto: <<Plaintiffs’ advertisement does not contain the word “Luxy” or appear to cause any more confusion than the other three advertisements. Even so, Defendant alleges that the title of Plaintiffs’ advertisement — “Luxury Dating Site – For Elite Relationships”—causes confusion because SeekingElite.com and OnLuxy.com offer the same services and because the word “Luxury” is similar to Defendant’s trademark. However, the word “Luxury” and Defendant’s trademark are not alike….the dissimilarity between the marks suggests that Plaintiffs did not intend to deceive the public by incorporating the word “Luxury” into the title of their advertisement.>>

La corte poi nega la genericità di termini  <seeking> <seeking millionaire> etc. per siti di incontri.

(notizia e link alla sentenza , come pure l’immagine di cui sotto, tratti dal blog di Eric Goldman)

https://blog.ericgoldman.org/wp-content/uploads/2021/12/luxy.jpg

Contratto di edizione musicale e sua prova ex art. 110 l.aut.: che rilevanza hanno i bollettini SIAE firmati dalle parti?

Cass. n° 36.753 del 25.11.2021 affronta il tema.

Non ci sono passagi di rilievo se non quello in cui riepiloga il decisum dell’appello, che poi conferma.

E in particolare così al § 2.4:

<< Invero la Corte d’appello, nel pronunciarsi sulla contestata idoneità dei bollettini SIAE a costituire prova scritta della cessione dei diritti di sfruttamento economico delle opere musicali, con chiare e logiche argomentazioni ha confermato la valutazione del giudice di primo grado affermando che:

a) il contratto atipico di edizione musicale (con cui l’autore o compositore di un’opera musicale trasferisce all’editore i diritti di utilizzazione economica, riservandosi una quota dei proventi che maturano in conseguenza della sua utilizzazione) può essere concluso anche verbalmente, sebbene tra le parti la conclusione debba essere provata per iscritto, ai sensi dell’art. 110 L.d.a.;

b) nel caso di specie, la sottoscrizione dei bollettini SIAE da parte di autore ed editore attestava l’avvenuta conclusione del contratto di edizione, poichè in essi era chiaramente “riportato lo schema del riparto dei proventi” – comunicato alla SIAE affinchè vi desse esecuzione in forza del mandato congiunto ricevuto – e, nel sottoscriverli, autori ed editori avevano espressamente dichiarato che “le indicazioni e i dati contenuti nel presente bollettino corrispondono a verità”, sicchè fu lo stesso D.S. a dare atto della qualifica di editore delle società cofirmatarie, e dunque “implicitamente, ma inequivocabilmente, dichiarò di aver trasferito i propri diritti di utilizzazione economica delle due opere, con conseguente loro diritto a percepire i relativi proventi nella misura concordata”;

c) era quindi lo stesso contenuto dei bollettini a provare per iscritto la conclusione del contratto (e non la deduzione del fatto ignoto della previa stipula del contratto di edizione dal fatto noto della loro sottoscrizione);

d) a tal fine non rilevava la Delib. Commissione SIAE 3 luglio 2007 (che inserì nei bollettini la dicitura “non sostituisce il contratto di edizione”) perchè i bollettini in esame furono depositati il 13/01/2000 e comunque non valevano a sostituire il contratto di edizione, bensì a fornirne la prova scritta;

e) peraltro, alla data del 13/01/2000 l’album era stato già pubblicato e sino al 2003 il D.S. non lamentò alcunchè a fronte della disposta ripartizione dei proventi, “il che – prosegue il giudice di secondo grado – conferma ulteriormente che egli fosse ben consapevole dell’avvenuta conclusione del contratto di edizione musicale”;

f) non vi è nemmeno contestazione che gli editori abbiano concretamente impegnato la loro attività imprenditoriale per promuovere la diffusione delle opere, ottenendo – com’è pacifico un grande successo, di cui ha indubbiamente beneficiato il D.S.;

g) nè vi è incertezza sull’oggetto del contratto, i cui contenuti essenziali sono menzionati nel bollettino (segnatamente: titolo delle opere, nomi degli autori, ragioni sociali degli editori, quote di ripartizione tra autori ed editori, proventi relativi allo sfruttamento fono-meccanico e alla pubblica esecuzione delle opere, territorio di riferimento “tutto il mondo”)>>.

Tutto bene; c’è però un grave errore.         La prova per iscritto , quando serve, deve riguardare tutti gli elementi essenziali del contratto: qui invece riguarda molto meno e cioè solo l’accordo sul riparto dei proventi.

Ancora la Cassazione sulla responsabilità dell’hosting provider c.d. attivo per la diffusione di contenuti in violazione

Cass. 13.12.2021 n. 39.763, rel. Scotti, TMFT Enterprises LLC – Break Media c. Reti Televisive Italiane spa, decide la lite nel caso Break Media.

Non ci sono particolarità di rilievo.

La SC conferma la decisione di appello, confermando la teoria dell’hosting provider attivo. Questi , in quanto tale (in quanto <attivo>), non può fruire dell’esimente da responsabilità posta dall’art. 16 d. lgs. 70 del 2003: <<A tal proposito questa Corte con ampia e complessiva ricostruzione dell’istituto, in piena armonia con la giurisprudenza recente della Corte di giustizia, ha accolto la nozione di hosting provider attivo, riferendola a tutti quei casi che esulano da un’attività di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, in cui l’internet service provider (ISP) non conosce, nè controlla, le informazioni trasmesse o memorizzate dalle persone alle quali fornisce i suoi servizi, e ha affermato che tali limitazioni di responsabilità non sono applicabili nel caso in cui un prestatore di servizi della società dell’informazione svolge un ruolo attivo.

Si può quindi parlare di hosting provider attivo, sottratto al regime privilegiato, quando sia ravvisabile una condotta di azione, nel senso ora richiamato; gli elementi idonei a delineare la figura o indici di interferenza, da accertare in concreto ad opera del giudice del merito, sono – a titolo esemplificativo e non necessariamente tutte compresenti – le attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti, operate mediante una gestione imprenditoriale del servizio, come pure l’adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione: condotte che abbiano, in sostanza, l’effetto di completare e arricchire in modo non passivo la fruizione dei contenuti da parte di utenti indeterminati.>>, § 1.4.

Dalla ctu erano emersi i seguenti indici del ruolo di p. “attivo” (indici di interfenza): <<(a) la cernita dei contenuti audio-video a fini pubblicitari; (b) lo sviluppo di un sistema operativo incompatibile con la figura dell’hosting provider passivo; (c) la creazione e la distribuzione di contenuti di intrattenimento digitali collegati alla selezione dei contenuti e collocati nella home page; (d) la presenza di una sorta di editorial team, ossia un gruppo di persone addetto proprio alla cernita dei contenuti a fini pubblicitari.>>, § 1.6.

Per le ragioni dedotte in Sulla responsabilità civile degli internet service provider per i materiali caricati dagli utenti (con qualche considerazione generale sul loro ruolo di gatekeepers della comunicazione), la tesi non persuade.

la Sc si appoggia in toto al proprio noto precedente Cass. 7708/2019, rel. Nazzicone, nella lite promossa sempre da RTI ma contro Yahoo.

Ad abundantiam (ma senza che fosse necessario, come la Corte riconosce) , la Sc precisa: <<E’ quindi solo per completezza che si ricorda che questa Corte ha affermato che la responsabilità dell’hosting provider, prevista dal D.Lgs. n. 70 del 2003, art. 16, sussiste in capo al prestatore dei servizi che non abbia provveduto alla immediata rimozione dei contenuti illeciti, oppure abbia continuato a pubblicarli, quando ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: a) sia a conoscenza legale dell’illecito perpetrato dal destinatario del servizio, per averne avuto notizia dal titolare del diritto leso oppure aliunde; b) sia ragionevolmente constatabile l’illiceità dell’altrui condotta, onde l’hosting provider sia in colpa grave per non averla positivamente riscontrata, alla stregua del grado di diligenza che è ragionevole attendersi da un operatore professionale della rete in un determinato momento storico; c) abbia la possibilità di attivarsi utilmente, in quanto reso edotto in modo sufficientemente specifico dei contenuti illecitamente immessi da rimuovere. Resta affidato al giudice del merito l’accertamento in fatto se, in riferimento al profilo tecnico-informatico, l’identificazione di video, diffusi in violazione dell’altrui diritto, sia possibile mediante l’indicazione del solo nome o titolo della trasmissione da cui sono tratti, oppure sia indispensabile, a tal fine, la comunicazione dell’indirizzo URL, alla stregua delle condizioni esistenti all’epoca dei fatti (Sez. 1, n. 7708 del 19.3.2019, Rv. 653569 – 02).>>, § 2.6

Sulla determinazione del danno: <<Questa Corte (Sez.1, n. 21833 del 29.7.2021) ha recentemente ribadito che l’art. 158 l.d.a. prevede il duplice criterio della retroversione degli utili conseguiti e del prezzo del consenso, sempre nella cornice di una liquidazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c.; che la legge non esprime un precetto rigido di preferenza per i due criteri suggeriti, ma con l’espressione utilizzata (“quanto meno”) lascia intendere che quello del prezzo del consenso rappresenta la soglia minima della liquidazione; che quindi i due criteri si pongono come cerchi concentrici, a avendo il legislatore indicato come il secondo sia quello che permette una liquidazione minimale, mentre il primo, dall’intrinseco significato anche sanzionatorio, permette di attribuire al danneggiato i vantaggi economici che l’autore del plagio abbia in concreto conseguito, certamente ricomprendenti anche l’eventuale costo riferibile all’acquisto dei diritti di sfruttamento economico dell’opera, ma ulteriormente maggiorati dai ricavi conseguiti dall’autore della violazione sul mercato; che l’art. 158 l.d.a. indica espressamente i parametri su cui fondare la liquidazione equitativa del danno, consistente negli utili conseguiti dal responsabile dell’illecito grazie all’utilizzo indebito dell’opera altrui; che anche il criterio del prezzo del consenso richiama la valutazione equitativa del danno (“in via forfettaria”), offrendo un’indicazione minimale sul quantum da liquidare (“quanto meno”) secondo il metro del prezzo per la cessione dei diritti di utilizzazione economica di quell’opera; che tale criterio va inteso come individuazione, pur sempre in via di prognosi postuma, del presumibile valore sul mercato del diritto d’autore de quo, nel tempo della operata violazione; che si tratta di una valutazione media ed ipotetica, tenuto conto dei prezzi nel settore specifico, dell’intrinseco pregio dell’opera, dei guadagni dalla medesima conseguiti nel periodo di legittima utilizzazione da parte dell’autore medesimo per il tempo in cui ciò sia avvenuto, e di ogni altro elemento del caso concreto.

D’altro canto, secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di tutela del diritto d’autore, la violazione di un diritto di esclusiva integra di per sè la prova dell’esistenza del danno, restando a carico del titolare del diritto medesimo solo l’onere di dimostrarne l’entità (Sez. 3, n. 8730 del 15.4.2011, Rv. 617890 – 01; Sez. 1, n. 14060 del 7.7.2015, Rv. 635790 – 01) a meno che l’autore della violazione fornisca la prova dell’insussistenza nel caso concreto di danni risarcibili, nei limiti di cui all’art. 1227 c.c. (come ha avuto cura di precisare Sez. 1, n. 12954 del 22.6.2016 Rv. 640103 – 01).>>.

Il che è riassunto nel principio di diritto: <<“In tema di diritto d’autore, la violazione del diritto d’esclusiva che spetta al suo titolare costituisce danno in re ipsa, senza che incomba al danneggiato altra prova del lucro cessante che quella della sua estensione, a meno che l’autore della violazione fornisca la dimostrazione dell’insussistenza, nel caso concreto, di danni risarcibili, e tale pregiudizio è suscettibile di liquidazione in via forfettaria con il criterio del prezzo del consenso di cui alla L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 158, comma 2, terzo periodo, che costituisce la soglia minima di ristoro”.>>