Rifiuto di Apple di inserire applicazioni di terza parte sul suo marketplace: non è abuso di dominanza

Un tribunale californiano esamina la domanda giudiziale di un soggetto le cui applicazioni sono escluse dal marketplace di Apple

Si tratta del distretto nord della California, 30 novembre 2021 , Case No. 21-cv-05567-EMC, Coronivirus reportter e altri c. Apple .

Si trattava soprattutto di applicazioni per finalità sanitarie tra cui la gestione di dati sull’infezione da covid-19.

La domanda era basata su violazione dello sherman act e di contratto.

La domanda in antitrust è respinta sia per motivi processuali (insufficiente definizione del mercato rilevante; “implausibilità” del claim, secondo le regole  processuali ) sia nel merito.

Circa quest’ultimo egli aveva l’onere di allegare un danno <<to “competition in the market as a whole”—such as marketwide  reduction in output or increase in prices—“not merely injury to itself as a competitor” in the market>>, p. 22.15-17.

La sua allegazione era:

“Apple’s refusal to sell notarization stamps or onboarding
software . . . is intended to harm competition app developers,
like Plaintiffs and Class Members.” FAC ¶ 173.
• “The artificial monopoly created by notarization stamps and
software onboarding results in damages to nearly twenty
million proposed class members of approximately one
thousand dollars each. . . When the stamps aren’t issued,
further damages accrue from lost app revenues. . . In China,
‘open’ app stores are ten times the size of Apple’s App Store
in China.” FAC ¶ 174.
• “Much damage is done to the overall competition within the
institutional app markets, as a result of Apple’s
anticompetitive practices in userbase access, notarization and
onboarding. But the damages extend beyond those markets,
into the overall US economy, and even public health
response, in the case of Coronavirus Reporter.” FAC ¶ 179
• “Apple’s conduct and unlawful contractual restrains harm a
market that forms a substantial part of the domestic
economy, the smartphone enhanced internet device app
market.” FAC ¶ 200.

Il tribuale però ritiene non rispetti il requisito di cui sopra.

Sentenza alquanto ragionata e utile per eventuale approfondimento.

Uno dei massimi esperti USA suggerisce l’adozione nel suo paese della disciplina europea dell’abuso di posizione dominante : v. il breve ma chiaro articolo 20.12.2021 di Hovenkamp in promarket.org.

Altra Cassazione sulla confondibilità tra marchi

Purtroppo permane la bizzarria  tutta italiana di omettere nelle decisioni su marchi (figurativi) la loro rappresentazione grafico, invece essenziale per capire la fattispecie concreta (nel caso de quo li ho individuati in rete).

Parliamo di Cass. 13.12.2021 n. 39.764, Permasteelisa c. Bluesteel, rel. U. Scotti, che contiene anche molti snodi processuali, assai rilevanti per il pratico (ricordo solo quello -condivisibilissimo- sulla non contestazione ex art. 115 cpc, spesso superficialmente applicata: l’istituto riguarda solo fatti storici, non affermazioni diverse come le difese, § 2.5: ne segue che la disposizione non si applica all’affermazione di rinomanza del marchio, fatta dall’attore)

Passando al merito , va rimarcata l’affermazine per cui la rinomanza non va provata con <<l’internazionalità e notorietà della sua azienda; fatturato annuo; utilizzo costante del marchio; estensione del marchio in ventuno Paesi) >>. Sono invece <<fattori essenziali il grado di conoscenza da parte del pubblico e semmai il volume di investimenti pubblicitari, quale fatto presuntiva mente capace di generare a sua volta una presunzione di conoscenza collettiva>, § 2.6.

Su marchio debole/forte al § 3.7: <<Se il collegamento logico è intenso, si parla di marchio debole, se il collegamento logico si fa sempre più evanescente, si parla di marchio sempre più forte.

La ratio evidentemente sottesa a tale principio vuol impedire che attraverso la privativa sul segno si venga a precostituire un monopolio sullo stesso prodotto o servizio contraddistinto.

Inoltre il grado di tutela accordata al marchio muta, in termini di intensità, a seconda della sua qualificazione di esso quale marchio “forte” (e cioè costituito da elementi frutto di fantasia senza aderenze concettuali con i prodotti contraddistinti e, quindi, senza capacità descrittiva rispetto alla tipologia di prodotto contrassegnata) o “debole” (ossia costituito da un elemento avente una evidente aderenza concettuale rispetto al prodotto contraddistinto).

La distinzione fra i due tipi di marchio, debole e forte, si riverbera poi sulla loro tutela di fronte alle varianti: nel senso che, per il marchio debole, anche lievi modificazioni o aggiunte sono sufficienti ad escludere la confondibilità, mentre, al contrario, per il marchio forte devono ritenersi illegittime tutte le variazioni e modificazioni, anche se rilevanti ed originali, che lascino sussistere l’identità sostanziale del “cuore” del marchio, ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandolo in modo individualizzante.

Questi principi ispirano il costante orientamento di questa Corte in tema di marchi d’impresa, secondo cui la qualificazione del segno distintivo come marchio debole non incide sull’attitudine dello stesso alla registrazione, ma soltanto sull’intensità della tutela che ne deriva, nel senso che, a differenza del marchio forte, in relazione al quale vanno considerate illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante, per il marchio debole sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni od aggiunte (Sez. 1, n. 8942 del 14.5.2020, Rv. 657905 – 01; Sez. 1, n. 10205 del 11.4.2019, Rv. 653877 – 03; Sez. 1, n. 15927 del 18.6.2018, Rv. 649528 – 01; Sez. 1, n. 9769 del 19.4.2018, Rv. 648121 – 01; Sez. 1, Numero di raceolta gendale 39764/2021 Rv. 637809 – 01)>>.

Sul giudizio di confondibilità, si leggono affermazioni comunemente ricevute: <Ancora recentemente (Sez.6.1, n. 12566 del 12.5.2021) questa Corte ha riepilogato la propria giurisprudenza ferma nel ritenere che l’apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità fra segni distintivi similari deve essere compiuto non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica (Sez. 1, n. 8577 del 6.4.2018, Rv. 647769 – 01; Sez. 1, n. 1906 del 28.1.2010, Rv. 611399 – 01; Sez. 1, n. 6193 del 7.3.2008, Rv. 602620 – 01); tale accertamento va condotto con riguardo all’insieme degli elementi salienti grafici e visivi, mediante una valutazione di impressione, che prescinde dalla possibilità di un attento esame comparativo e che va condotta in riferimento alla normale diligenza e avvedutezza del pubblico dei consumatori di quel genere di prodotti, dovendo il raffronto essere tra il marchio che il consumatore guarda ed il mero ricordo dell’altro (cfr. quanto evidenziato in motivazione da Cass. 17.10.2018, n. 26001, attraverso il richiamo a Sez. 1, n. 4405 del 28.2.2006, Rv. 589976 – 01).

Il principio inoltre è conforme all’insegnamento della giurisprudenza della Corte di giustizia, secondo cui il rischio di confusione tra marchi deve essere oggetto di valutazione globale, in considerazione di tutti i fattori pertinenti del caso di specie: valutazione che deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visuale, auditiva o concettuale dei marchi di cui trattasi, sull’impressione complessiva prodotta dai marchi, in considerazione, in particolare, degli elementi distintivi e dominanti dei marchi medesimi (Corte Giust. CE 11.11.1997, C-251.95, Sabel, 22 e 23; Corte Giust. CE 22.6.1999, C-342.97, Lloyd, 25, la quale precisa, al punto 26, che, il consumatore medio di una data categoria di prodotti, per quanto sia normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, solo raramente ha la possibilità di procedere a un confronto diretto dei vari marchi, ma deve fare affidamento sull’immagine non perfetta che ne ha mantenuto nella memoria).>

Su marchi di insieme e marchio complesso: <<Questa Corte ha ripetutamente chiarito che il marchio complesso consiste nella combinazione di più elementi, ciascuno dotato di capacità caratterizzante e suscettibile di essere autonomamente tutelabile (Sez. 1, n. 12368 del 18.05.2018, Rv. 648933 – 01; Sez. 1, n. 12860 del 15.06.2005, Rv. 583122 – 01).

Il marchio d’insieme si distingue dal marchio complesso: mentre quest’ultimo è riconoscibile nel segno risultante da una composizione di più elementi ciascuno dotato di capacità caratterizzante, la cui forza distintiva è tuttavia affidata ad uno di essi costituente il c.d. cuore, assolutamente protetto per la sua originalità, nel marchio d’insieme, invece, si ha la mancanza di un elemento caratterizzante (il c.d. cuore), essendo i vari elementi tutti singolarmente mancanti di distintività, ed essendo soltanto la combinazione cui tali elementi danno vita, ovvero appunto il loro insieme, che può avere, per come viene percepito dal mercato, un valore distintivo più o meno accentuato (Sez. 1, n. 7488 del 20.04.2004, Rv. 572177 – 01)>>, § 3.11.

Ancora, il giudizio sulla confondibilità è di merito, non censurabile presso la SC, § 3.12. Sul punto non concordo: i fatti riservati ai giudici di merito sono solo i fatti storici: quello di confondibilità tale non eè, dato che presuppne accertati  i fatti storici ed è un giudizio di diritto.

Principio di diritto : “In tema di tutela del marchio, l’apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità dei segni nel caso di affinità dei prodotti – apprezzamento che costituisce un giudizio di fatto, incensurabile in cassazione, se sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici – non deve essere compiuto in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica, con riguardo all’insieme degli elementi salienti grafici e visivi, mediante una valutazione d’impressione, che prescinde dalla possibilità di un attento esame comparativo e che va condotta in riferimento alla normale diligenza e avvedutezza del pubblico dei consumatori quel genere di prodotti, dovendo il raffronto essere eseguito tra il marchio che il consumatore guarda ed il mero ricordo mnemonico dell’altro; il predetto giudizio deve essere motivato e corredato dall’indicazione, concisa e sintetica, delle ragioni che lo hanno orientato e degli elementi che attirano primariamente l’attenzione del fruitore“.

Registrazione come marchio di segni di particolare interesse pubblico (art. 7.1.i, reg. 207/2009)

Un’astuto soggetto austriaco chiede la registrazione come marchio per olio di semi di un segno figurativo/denominativo  contenente (in posizione preminente ) il segno IGP (in tedesco ….)= dell’Unione Europea, posto dal reg. 1152/2021 sul regime di qualità dei prodotto alimetnaire, ivi § 6 (però in GUCE L343 del 14.12.2012 il segno non c’è, salvo errore).

Vi aggiugne l’espressine <<Olio di semi di zucca, conforme all’indicazione geografica protetta “olio di semi di zucca della Stiria”>> (in tedesco).

La domanda è respinta per inottemperanza all’art. 7.1.i del reg. 207-2009: <<i marchi che comprendono distintivi, emblemi o stemmi diversi da quelli previsti dall’articolo 6 ter della convenzione di Parigi e che presentano un interesse pubblico particolare, a meno che le autorità competenti ne abbiano autorizzato la registrazione;>>.

Decide Trib. UE , 01.12.2021, T-700/20, Schmid c. EUIPO , annullando la decisione amminsitrativa di rigetto , perchè non ha considerato nel suo esame  <<se il pubblico rischi di credere, a causa della presenza nel marchio contestato della riproduzione del simbolo IGP, che i prodotti designati da tale marchio beneficino dell’approvazione o della garanzia dell’autorità alla quale tale emblema rinvia, vale a dire l’Unione, oppure che siano collegati in altro modo con quest’ultima. I>>, § 34.

Tale condizione per vero non è prescritta in modo esplicito, ma viene desunta dalla precedente lettera h) del medesimo art. 7.1: il quale rinvia all’art. 6 ter della Conv. Unione di Parigi (e qui al § 1.c), ove invece figura.

Solo che mentre la lett. h contiene un rinvio espresso, la lettera i) tace. Per cui, se si dà importanza al brocardo ubi lex voluit dixit , ubi noluit tacuit, la soluzione appare faticosa.

Curatore speciale ex art. 78 cpc per la società in lite: interessante intervento della Cassazione

Cass. n° 38.883 del 07.12.2021, rel. Nazzicone, interviene sul tema.

Nonostante riguardi il diritto processuale, ne dò conto per la sua importanza pratica.

Il provvedimento analizza partitamente l’applicazione dell’art. 78 cpc alle società e dunque sarà la decisione di riferimento in tema

Riporto il principio di diritto, affermato ex art. 383 cpc: <<Non sussiste un conflitto immanente d’interessi, tale da condurre in ogni caso alla nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c., nei giudizi di impugnazione delle deliberazioni assembleari di società, in cui il legislatore prevede la legittimazione passiva esclusivamente in capo alla società, in persona di chi ne abbia la rappresentanza legale; nè è fondata una valutazione di conflitto di interessi in capo all’amministratore, solo in quanto la deliberazione assembleare abbia ad oggetto profili di pertinenza dello stesso organo gestorio (come per l’approvazione del bilancio sociale d’esercizio che l’organo amministrativo abbia come per legge redatto, o per la deliberazione di determinazione dei compensi dell’organo gestorio ex art. 2389 c.c. o per la delibera di autorizzazione al compimento di un atto gestorio ex art. 2364 c.c., comma 1, n. 5, etc.), posto che ravvisarvi un’immanente situazione di conflitto di interessi indurrebbe alla nomina di un curatore speciale alla società in tutte o quasi tutte le cause di impugnazione delle deliberazioni assembleari o consiliari, con l’effetto discorsivo, non voluto dal legislatore processuale, per cui il socio impugnante tenterebbe sempre di ottenere, mediante il surrettizio ricorso al procedimento di nomina di un curatore speciale alla società ex art. 78 c.p.c., l’esautoramento dell’organo amministrativo dalla decisione delle strategie di tutela a nome della stessa>.>

Segni distintivi dei partiti: tra segni privati/civili e segni di impresa

La lite sui segni distintivi tra “PARTITO LIBERALE EUROPEO” e “PARTITO LIBERALE ITALIANO” è decisa in sede cautelare (art. 700 cpc.) da  Trib. Roma, sez. specializz., ord.  13.12.2021, g.d.: F. Basile, proc. caut. n. 48755-1 e al n. 48755-2 del R.A.C.C.- per l’anno 2021 .

IN causa erano stato azionati sia segni privato-civili che di impresa. La domanda è rigettata sui secondi (per mancata allegazione di uso coommerciale e per mancata distintività, § 23 ss)  ma è accolta per i primi.

L’iter motivatorio è tradizionale ma interessante , costtuendo un ripasso della disciplina dei partiti e in particolare dei loro segni distintivi (che è poi quella delle assocaizioni non riconosciute).

E’ di buona fattura ma abbisognante di qualche messa a punto . Ad es. :

1) Che la disciplina del segno distintivo associativo sia quello della persona fisica ex artt. 6/7 cc (§ 33 ) è tutt’altro che sicuro. L’art. 6.2 parlando di nome e di prenome si riferisce solo alle seconde (così anche Breccia nel Comm. Scialoia Branca, sub art. 6 , pp. 373 e 375).   Sarebbe servito quanto meno un ragionamento analogico (non certo estensivo)  e probabilmente partendo dalla disciplina dei segni di impresa (denominazione/ragione sociale, art. 2567 cc) più che dalle citt. disposizoni

2) Inoltre è errato applicare i requisiti della originalità/distintività  (§ 41 ss), se la disciplina di riferimento è quella delle persone fisiche: in tale modo infatti surfrettiziamente si va verso la disciplina degli enti commerciali. Cioè si declama l’adesione ad una discipljna ma se ne applica una diversa: le persona fisiche infatti possono senza problema avere un nome diffusissimo (Paolo Rossi) o generico” (il cognome Persona è diffuso e certo ammissibile sarebbe un  prenome Tizio).

La responsabilità amministrativa ex d. lgs. 231/2001 si applica anche alle s.r.l. unipersonali

Secondo Cass. penale 45.100 del 2021, ud. 16.02.2021, rel. Silvestri,  la responsabilità amminsitrativa da reato si applica anche alle srl unipersonali.

Il più interessante è il § 5: <<Si è già detto di come il tema della interferenza tra società unipersonali aresponsabilità limitata e socio unico attenga alla distinzione tra soggettività giuridicaautonoma e presupposti per la responsabilità dell’ente.Sotto il primo profilo, la società a responsabilità limitata unipersonale è un soggettogiuridico a cui il decreto legislativo si applica.

Quanto al secondo profilo, il tema attiene alla verifica dei limiti e delle condizioni inpresenza delle quali la società unipersonale possa rispondere ai sensi del d. Igs. 231 del2001.La questione non si pone nei casi di società unipersonale partecipata da una societàdi capitali o di società unipersonali che evidenzino una complessità e unapatrimonializzazione tali da rendere percettibile, palpabile, l’esistenza di un centro diimputazione di interessi giuridici autonomo ed indipendente rispetto a quello facentecapo al singolo socio.E tuttavia, anche nel caso di società unipersonali di piccole dimensioni, in cui laparticolare struttura dell’ente rende labile e difficilmente percettibile la dualitàsoggettiva tra società ed ente, tra l’imputazione dei rapporti alla persona fisica edimputazione alla persona giuridica, il tema attiene solo al se sia configurabile unaresponsabilità dell’ente sulla base del sistema normativo previsto dal d.lgs. n. 231 del2001.In tal senso deve essere conciliata l’esigenza di evitare violazioni del principio del bisin idem sostanziale, che si realizzerebbero imputando alla persona fisica un cumulo disanzioni punitive per lo stesso fatto, e quella opposta, quella, cioè, di evitare che lapersona fisica, da una parte, si sottragga alla responsabilità patrimoniale illimitata,costituendo una società unipersonale a responsabilità limitata, ma, al tempo stesso,eviti l’applicazione del d. Igs. n. 231 del 2001, sostenendo di essere una impresaindividuale.Il fenomeno è quello della creazione di persone giuridiche di ridottissime dimensioniallo scopo di frammentare e polverizzare i rischi economici e ‘normativi’.

Esiste allora un’esigenza di accertamento in concreto del se, in presenza di unasocietà unipersonale a responsabilità limitata, vi siano i presupposti per affermare laresponsabilità dell’ente; un accertamento che non è indissolubilmente legato solo acriteri quantitativi, cioè di dimensioni della impresa, di tipologia della strutturaorganizzativa della società, quanto, piuttosto, a criteri funzionali, fondatisulla impossibilità di distinguere un interesse dell’ente da quello della persona fisica chelo ‘governa’, e dunque, sulla impossibilità di configurare una colpevolezza normativa dell’ente- di fatto inesigibile – disgiunta da quella dell’unico socio.Un accertamento secondo i criteri dettati dal d. Igs. n. 231 del 2001 di imputazioneoggettiva e soggettiva del fatto della persona fisica all’ente, in cui la dimensionesostanziale interferisce con quella probatoria, in cui assume rilievo la distinzione e ladistinguibilità fra l’interesse della società e quello della persona fisica delrappresentante.

Una verifica complessa che si snoda attraverso l’accertamento della organizzazione della società, dell’attività in concreto posta in essere, della dimensione della impresa, dei rapporti tra socio unico e società, della esistenza di un interesse sociale e del suoeffettivo perseguimento.

In tal senso, proprio allo scopo di prevenire comportamenti abusivi, il codice civilericollega all’unipersonalità (nella s.p.a.) talune previsioni che finiscono per gravare laposizione del socio e degli amministratori di specifici oneri sia in tema di conferimentisia in ambito pubblicitario (a titolo esemplificativo, artt. 2478- 2497 cod. civ.); alrispetto di tali adempimenti è, tra l’altro, «condizionata l’applicazione del regime diresponsabilità esclusiva della società col proprio patrimonio sociale per le obbligazioniinsorgenti dalla propria attività».

L’imputazione dell’illecito all’ente richiede un nesso «funzionale» tra persona fisicaed ente; ciò che conta, si legge nella relazione al decreto legislativo n. 231 del 2001, èche «l’ente risulti impegnato dal compimento […] di un’attività destinata a riversarsi nella sua sfera giuridica». In tal senso si spiega la previsione contenuta nel secondo comma dell’articolo 5 deld.lgs. n. 231 del 2001 che mutua dalla lett. e) della legge delega la clausola di chiusuraed esclude la responsabilità dell’ente quando le persone fisiche (siano esse apici osottoposti) abbiano agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.

La norma stigmatizza il caso di “rottura” dello schema di immedesimazione organica;si riferisce cioè alle ipotesi in cui il reato della persona fisica non sia in alcun modoriconducibile all’ente perché non realizzato neppure in parte nell’interesse di questo»e,ove risulti per tal via la manifesta estraneità della persona giuridica, il giudice non dovràneanche verificare se essa abbia per caso tratto un vantaggio (Cosi la Relazioneministeriale al decreto legislativo; in tal senso, Sez. 6, n. 15543 del 19/01/2021,2Ecologia Servizi srl, Rv. 281052).>>

 

Airbnb non perde il safe harbour per avere evidenziato tra i dati della casa in affitto un idromassaggio non a norma

L’Appello dell’Oregon (15.12.2021, n° 316 Or App 378 (2021), Smith c. Airbnb) ritiene che Airbnb , per aver evidenziato tra i dati del cliente la vasca idromassaggi, rivelatasi poi difettosa e fonte di danni alla persona, e per aver creato una categoria di ricerca ad hoc, non diventi CONTENT PROVIDER e dunque non gli precluda di invocare il safe harbour ex § 230 CDa

Cioè tali operazioni non hanno  augmented il contenuto, proveniente dal locatore, fonte di danno e dunque non gli fanno perdere il titolo al safe harbour: <<Airbnb’s provision of a “special search category”allowing users to search for and obtain results based onuser-provided information about hot tubs does not make Airbnb a content provider or developer. Merely providing that search tool did not augment—much less, materially contribute to—Dennis’s indication that the Old Barn hada hot tub.

Moreover, the search function was simply a neutral tool that provided listings of properties with hot tubsto Airbnb users in response to their queries. See Dart, 665F Supp 2d at 969 (“The word-search function is a ‘neutraltool.’”); Gonzalez, 2 F4th at 893 (“A website is not transformed into a content creator or developer by virtue of supplying ‘neutral tools’ that deliver content in response to userinputs.”); La Park La Brea A LLC, 285 F Supp 3d at 1104(Airbnb’s “auto-complete search function” does “not makeAirbnb an information content provider.”); cf. Carafano, 339F3d at 1124 (“[T]he fact that Matchmaker classifies usercharacteristics into discrete categories,” allowing “highlystructured searches,” did “not transform Matchmaker intoa developer of the underlying misinformation.”).

Likewise, by “highlighting” the user-created listings that mention hot tubs—including Dennis’s Old Barnlisting—Airbnb did not materially contribute to any portionof the hot tub information contained in Dennis’s listing and,thus, did not become a content provider. See Dowbenko v.Cite as 316 Or App 378 (2021) 389Google Inc., 582 Fed Appx 801, 805 (11th Cir 2014) (rejecting argument that Google was transformed into a contentprovider when it “manipulated its search results to prominently feature the article at issue”); Ascentive, LLC v. Op.Corp., 842 F Supp 2d 450, 476 (EDNY 2011) (“The fact thatthe defendants *** alter the way [users’] postings are displayed” and caused content to “appear higher in searchengine results list *** do[es] not render [defendant] aninformation content provider.”); cf. Dyroff, 934 F3d at 1096(The defendant’s website “is immune from liability underCDA because its functions, including recommendations andnotifications, were content-neutral tools used to facilitatecommunications.”)>>

La sentenza cita ampjamente il notissimo precedente Fair Hous. Council of San Fernando Valley v. Roommates.Com del 2008.

La sentenza pare esatta.

(notizia e link alla sentenza dal blog di Eric Goldman)

Determinazione giudiziale del prezzo nell’appalto (sull’art. 1657 cc)

Cass. ord. 11.11.2021 n. 33.575 , rel. dongiacomo, sul tema.

Questo il passaggio rilevante:

<<5.2.  L’appaltatore che chieda il pagamento del propriocompenso ha, in effetti, l’onere di fornire la prova dellacongruità di tale somma, alla stregua della natura, dell’entità edella consistenza delle opere, non costituendo idonee provedell’ammontare del credito le fatture emesse dall’appaltatore,trattandosi di documenti di natura fiscale provenienti dallastessa parte (Cass. n. 10860 del 2007).            5.3.  Il potere, conferito al giudice dall’art. 1657 c.c., di determinare il prezzo dell’appalto se le parti non ne abbiano pattuito la misura, né stabilito il modo per calcolarlo, sempre che non possa farsi riferimento, per tale calcolo, alle tariffeesistenti e agli usi, è, pertanto, esercitabile solo ove non si controverta sulle opere eseguite dall’appaltatore: allorquando,invece, il contrasto riguardi anche tale aspetto del rapporto, incombe sull’attore l’onere di fornire la prova dell’entità e della consistenza di dette opere, non potendo il giudice stabilire ilprezzo di cose indeterminate, né, d’altra parte, offrire all’attorel’occasione di sottrarsi al preciso onere probatorio che lo riguarda (Cass. n. 17959 del 2016).         5.4.  Tuttavia, una volta che, come ha ritenuto dallacorte d’appello, le opere eseguite dall’appaltatore siano state,sia pur in parte, dimostrate in giudizio, il giudice di merito, una volta accertato che le parti non avevano determinato la misuradel corrispettivo dovuto all’appaltatore né il modo dideterminarlo, non può, evidentemente, sottrarsi al proprio dovere di determinare il corrispettivo della misuraconseguentemente dovuta, avendo riguardo, a norma dell’art.1657 c.c., alle tariffe esistenti o agli usi, ovvero, in mancanza,procedendo direttamente alla relativa determinazione>>

L’editore può mantenere l’anonimato sugli autori di post critici verso esponenti politici, pubblicati nella sezione commenti del sito web

Sentenza importante della CEDU essenzialmente sull’art. 10 della Covenzione  che recita così: <<“1.  Everyone has the right to freedom of expression. This right shall include freedom to hold opinions and to receive and impart information and ideas without interference by public authority and regardless of frontiers. This Article shall not prevent States from requiring the licensing of broadcasting, television or cinema enterprises.

2.  The exercise of these freedoms, since it carries with it duties and responsibilities, may be subject to such formalities, conditions, restrictions or penalties as are prescribed by law and are necessary in a democratic society, in the interests of national security, territorial integrity or public safety, for the prevention of disorder or crime, for the protection of health or morals, for the protection of the reputation or rights of others, for preventing the disclosure of information received in confidence, or for maintaining the authority and impartiality of the judiciary.”>>

Si tratta di Corte E.D.U. 7 dicembre 2021 , ricorso 39378/15, STANDARD VERLAGSGESELLSCHAFT MBH v. AUSTRIA.

L’editore non può dire che si tratta di fonte giornalistica, protetta da confidentiality, dato che i post dei lettori erano destinati non ai giornalisti ma al pubblico, § 71.

Purtuttavia l’anonimato è giustificato ugualmente perchè , dopo bilanciamento, è necessario per manterere un ambiente democratico vibrante e proteggere gli autori da possibili ritorsioni: <<the Court has no doubt that an obligation to disclose the data of authors of online comments could deter them from contributing to debate and therefore lead to a chilling effect among users posting in forums in general. This affects, indirectly, also the applicant company’s right as a media company to freedom of press. It invites users to comment on its articles in order to further discussion on its journalistic work (see paragraphs 5 and 65 above). To achieve this goal, it allows authors of comments to use usernames (see paragraph 7 above); upon registration, users are informed that their data will not be seen publicly and will only be disclosed if required by law (see paragraphs 6 and 7 above). The forums’ rules dictate that certain content is not accepted, and that comments are screened by a keyword system, may be subject to a manual review and will be deleted if they are not in line with the rules (see paragraphs 7-12 above).>>, § 74

E poi , circa il bilanciamento intorno alla necessità in una società democratica di cui al cit. art. 10, omesso dalle corti di impugnazione che avevano immotivatametne ritenute prevalente il diritto degli “offesi” a conoscere il nome dell’offensore: <<95. (…) However, even a prima facie examination requires some reasoning and balancing. In the instant case, the lack of any balancing between the opposing interests (see paragraph 94 above) overlooks the function of anonymity as a means of avoiding reprisals or unwanted attention and thus the role of anonymity in promoting the free flow of opinions, ideas and information, in particular if political speech is concerned which is not hate speech or otherwise clearly unlawful. In view of the fact that no visible weight was given to these aspects, the Court cannot agree with the Government’s submission that the Supreme Court struck a fair balance between opposing interests in respect of the question of fundamental rights (see paragraph 60 above).

96.The Court finds that in the absence of any balancing of those interests the decisions of the appeal courts and of the Supreme Court were not supported by relevant and sufficient reasons to justify the interference [la comunicaizone dei nomi]. It follows that the interference was not in fact “necessary in a democratic society”, within the meaning of Article 10 § 2 of the Convention.

97.  There has accordingly been a violation of Article 10 of the Convention>>.

Per l’esposizione dell’immagine del figlio minore sui social serve il consenso di entrambi i genitori

Sull’annosa questione si pronuncia l’ordinanza Trib.Trani 30.08.2021 rel. M.A. Guerra, pubblicata in varii siti tra cui ad es. in avvocatoandreani .

La capacità di agire circa la condotta sui social è raggiunta ad anni 16 per il GDPR (art. 89) ma ad anni 14 da noi (art. 2 quinqies cod. priv,. permesso dal GDPR).

Nel caso, la minore aveva nove anni e la foto su TikTok era stata pubblicata dalla sola madre.

Il padre agisce in via cautelare d’urgenza ma il ricorso  è rigettato per mancata indicazoine della domanda di merito.

Il padre reclama e ottiene ragione.

Questo il passaggio sul punto di interesse: << Passando all’esame del merito, la domanda proposta in primo grado può trovare accoglimento, sussistendo entrambi i requisiti per la concessione della tutela cautelare. Appare opportuno ribadire,come già precisato da questo Tribunale in analoga fattispecie, che “i requisiti del fumus e delpericulum vengono valutati anche tenendo conto di elementi quali l’a – territorialità della rete, checonsente agli utenti di entrare in contatto ovunque, con chiunque, spesso anche attraverso immaginie conversazioni simultanee, nonché la possibilità, insita nello strumento, di condividere dati con unpubblico indeterminato, per un tempo non circoscrivibile” (Trib. Trani, ord. 7.6.2021). Il fattostorico è incontestato, in quanto la stessa Caia, nella comparsa di costituzione e risposta in primogrado (depositata il 4.6.2021) non ha negato di aver postato i video della minore ,,,, sul socialnetwork Tiktok a partire dal maggio 2020. Tale comportamento integra violazione di plurimenorme, nazionali, comunitarie ed internazionali: art. 10 c.c. (concernente la tutela dell’immagine),artt. 1 e 16 I co. della Convenzione di New York del 20.1111989 ratificata dall’Italia con L. n.176/1991 (in particolare, l’art. 1 prevede l’applicazione delle norme della convenzione ai minori dianni diciotto mentre l’art. 16 stabilisce che “1. Nessun fanciullo sarà oggetto di interferenzearbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza eneppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione. 2. Il fanciullo ha diritto allaprotezione della legge contro tali interferenze o tali affronti”); art. 8 Reg. 679 /2016 (entrato invigore il 25.5.2018) che considera l’ immagine fotografica dei figli dato personale, ai sensi del c.d.Codice della Privacy (e specificamente dell’art. 4, lett. a), b) c) D.Lgs n. 196/20039 e la sua diffusione integra un’interferenza nella vita privata, sicchè nel caso di minori di anni sedici, è necessario che il consenso alla pubblicazione di tali dati sia prestato dai genitori, in vece dei propri figli, concordemente fra loro e senza arrecare pregiudizio all’onore, al decoro e alla reputazionedell’immagine del minore (art. 97 L.n. 633/41). In tale prospettiva, il legislatore italiano, all’art. 2quinquies del D.Lgs. 101/2018 ha fissato il limite di età da applicare in Italia a14 anni>>.

Sul periculum in mora bene osserva: <<l’inserimento di foto di minori sui social network costituisce comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi in quanto ciò determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte in foto on-line, non potendo inoltre andare sottaciuto l’ulteriore pericolo costituito dalla condotta di soggetti che taggano le foto on-line dei minori e, con procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare fra gli interessati. Dunque, il pregiudizio per il minore è insito nella diffusione della sua immagine sui social network sicché l’ordine di inibitoria e di rimozione va impartito immediatamente” (cfr. Trib. Mantova, 19.9.2017). Alla luce delle suesposte considerazioni, dunque, il provvedimento gravato deve essere integralmente riformato conconseguente accoglimento della domanda cautelare e condanna di Caia alla rimozione dai propriprofili social delle immagini relative alla minore … … ed alla contestuale inibitoria dalla futuradiffusione di tali immagini, in assenza del consenso di entrambi i genitori>>.

Viene impartita la penale per il ridardo: <<Infine, merita accoglimento la richiesta di condanna ex art. 614 bis c.p.c., tenuto conto della necessità, nella vicenda in esame, di tutelare l’integrità della minore e l’interesse ad evitare ladiffusione delle proprie immagini a mezzo web nonchè, in quanto collegato a questo, dell’interessedel genitore a cui spetta pretendere il rispetto degli obblighi sopra sanciti>> pari ad euro 50,00 al giorno (v. dispositivo).