Chiarimenti sull’ampiezza della divisione giudiziale (art. 727 cc)

La Cassazione (n. 1065 del 14.01.2022, rel. Tedesco) sul tema così si esprime nella massima da essa coniata:

Quando non vi sia stato accordo tra i condividenti per limitare le operazioni divisionali ad una parte soltanto del compendio comune, il giudizio di divisione ereditaria deve ritenersi instaurato per giungere al completo scioglimento della comunione, previa esatta individuazione di tutto ciò che ne costituisca oggetto; conseguentemente, fermo il rispetto delle preclusioni tipiche del normale giudizio di cognizione, l’indicazione dei beni può essere fatta anche in un secondo tempo anche dal condividente che non abbia ha proposto la domanda, costituendo una tale indicazione una precisazione dell’unitaria istanza, comune a tutte le parti, rivolta allo scioglimento della comunione“.

Si noti l’importante profilo processuale, cui va aggiunto quell sulla relazione notarile ex 567 cpc:

Nel giudizio di scioglimento della comunione, quando la situazione di comune appartenenza dei beni sia incontroversa fra i condividenti, il giudice d’appello, dinanzi al quale sia stata impugnata la sentenza di primo grado che abbia erroneamente dichiarato inammissibile la domanda di divisione, non può rigettare l’appello in base al rilievo che l’appellante non ha curato di estrarre copia della relazione notarile relativa agli immobili da dividere, già acquisita dinanzi al primo giudice, ma non rinvenibile nel fascicolo della parte che ne aveva curato la produzione. La documentazione mancante, infatti, non integra la prova di un fatto favorevole a una parte e sfavorevole all’altra, ma ridonda a vantaggio di tutti i condividenti, ai quali la domanda di divisione è comune; conseguentemente, il giudice d’appello, qualora ritenga di non poter prescindere dalla suddetta documentazione, potrà ordinarne alle parti la produzione anche nel corso delle operazioni divisionali, venendo in considerazione solo l’esigenza di reiterare il riscontro documentale, già dato in primo grado, di una comune appartenenza pacifica e incontroversa“.

Marchi di forma: la Corte Suprema svizzera afferma regole simili a quelle dell’UE

1. The ratio legis for excluding shapes that are technically
necessary is the same in Swiss law and in European law:
shapes incorporating a technical solution must remain
freely available to the public. It is important to avoid
granting a perpetual monopoly through trademark law,
and under other intellectual property rights legislators
have given inventors a time-limited advantage to recover
their investment before allowing free competition after
the expiry of a protection.
2. In the present case only those alternative shapes of cap-
sules that are compatible with the overall device (coffee
machine) must be assessed to determine whether the con-
tested capsule shape is technically necessary.
3. Two elements are to be considered when assessing the
exclusion of technically necessary shapes. First, a strict
standard must be applied when considering the existence
of alternative solutions: these must be equivalent and not
entail any disadvantages for the competitors, who must
be placed on an equal footing. A solution that entails only
minor additional costs or which is less efficient is already
inadmissible. Second, the alternative capsules have to be
sufficiently different from the contested shape in the mind
of the purchasing public.

Queste le massime di Corte Suprema Federale svizzera, 07.09.2021, 4A_61/2021, tradotta in inglese in GRUR International, 2022, 1–11.

La decisione riguardava la questione della registrabilità come marchio delle forma della capsule di caffè Nespresso, scdaduto il brevetto inventivo. Nestlè l’aveva ottenutga uin Svizzera ma non in altri imporanti paesi (tra cui UE).

Il Tribunale del cantone Vaud annulla la registrazione e così pure la corte Suprema. Questa però cambia lamotivaizone (da noi una simile disposizione processuale prob. è ,l’art. 384/2 cpc): la ragione dell anullità non è il fatto che il marchio è di uso comune nel commercio (emendabile dalla rinomanza), bensì che è costgituito da forma tenciametne necessitata (non emendabile). Il passso più importante allora è quello nella massima 3. Ad es.: <<Furthermore, expert E3.___ indicated that the perforation of the double-cone capsules could be insufficient. It could also be incomplete or non-existent in the case of parabolic capsules. A test with a prototype parabolic capsule (based on capsule 2 [93]) showed that perforation was zero; this type of capsule should be pre-punched. The diameter of the parabolic capsules was also likely to cause sealing problems and even the risk of tearing. Moreover, the five capsules had a smaller volume, allowing less than 5 g of coffee to be stored and causing the drip tray to fill up more quickly. Finally, it is worth noting the ‘theoretical’ aspect of these designs and prototypes, as opposed to competing capsules that have passed the test of commercialization.

These disadvantages already rule out the possibility that these alternative shapes could be reasonably imposed on competitors ‒ not to mention the fact that they do not appear to be sufficiently distinct from the Nespresso capsule.>>

Google non è responsabile per la presenza di app ad uso illecito nel suo play-store, stante il safe harbour ex 230 CDA

Un ex ambasciatore statunitense, di religione ebraica, chiede l’accetameonto di responsabilità di Google perchè permette la presenza sul PlayStore di un social (Telegram) notoriamente usato -anche- da estremisti autori di propaganda antisemita.

In particollare afferma che G. non fa rispetare la propria policy vincolante i creatori di app sullo  Store.

La corte californiana U.S. D C NORTHERN DISTRICT OF CALIFORNIA , SAN JOSE DIVISION, Case No. 21-cv-00570-BLF, Ginsberg c .Google, 18.02.2022, però ,accoglie l’eccezione di safe harbour ex 230 CDA sollevata da Google.

Dei tre requisiti chiesti allo scopo (che sia un service provider; che sia chiamato come Publisher; che si tratti di informazione di terzi), è il secondo quello di solito più litigato.

Ma giustamente la corte lo ravvisa anche in questo caso: <<In the present case, Plaintiffs’ claims are akin to the negligence claim that the Barnes court found to be barred by Section 230. Plaintiffs’ theory is that by creating and publishing guidelines for app developers, Google undertook to enforce those guidelines with due care, and can be liable for failing to do so with respect to Telegram. As in Barnes, however, the undertaking that Google allegedly failed to perform with due care was removing offending content from the Play Store.
But removing content is something publishers do, and to impose liability on the basis of such conduct necessarily involves treating the liable party as a publisher of the content it failed to remove. Barnes, 570 F.3d at 1103. Plaintiffs in the present case do not allege the existence of a contract or indeed any interaction between themselves and Google. Plaintiffs do not allege that Ambassador Ginsberg purchased his smartphone from Google or that he downloaded Telegram or any other app from the Play Store. Thus, the Barnes court’s rationale for finding that Section 230 did not bar Barnes’ promissory estoppel claim is not applicable here.
>>

(notizia a link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

La legittimazione ex art. 2 terdecies cod. priv. ad accedere all’account del familiare deceduto prevale su eventuali patti contrari

Trib. Roma, 8 sez. civ., ord. caut. 10.02.2022, rep. 2688/2022 , RG 63936/2021, rel. Luparelli, decide sulla domanda cautelare avanzata dalla moglie di un titolare di iPhone (XR 218 GB) di relativo account, tragicamente deceduto qualche mese prima.

La domadna mirava ad avere l’accesso all’account per recupare i materiali (spt. fotografici) ivi archiviati, quale testimoinianza e memoria del congiunto.

Quattro  i punti più significativi.

1) La cautela è concessa ex art  700 CPC , a protezione del diritto (nel merito) previsto dal cit. art. 2 terdecies cod. priv.

2) Il giudice ricorda che il cod. priv. noin chiarisce se tale disposizione presupponga nell’istante un diritto iure proprio (come parrebbe) oppure iure successionis. In ogni caso egli implicitametne accoglie la prima tesi, dato che accoglie la domadna cautelare, la quale a sua vola era basata sul diritto proprio di accesso e non per acquisto mortis causa.

3) la tutela della memoria del defunto costituisce <ragione familiare meritevole di protezione> ex art. 2 terdecies c. 1 c. priv. [difficilmente contestabile]

4) soprattutto, l’accettazione delle clausole gernali imposte da Apple, che dispongano l’estinzione di ogni diritto dell’utente in occasione del decesso (sic !!), non costitusicono quella <volontà> del titolare di vietare l’accesso a terzi, di cui ai commi 2 e 3 della citata disposizione. Quindi non sono di ostacolo all’accoglimento della domanda cautelare.

Non pertinente ci pare il riferimento del giudice romano all’art. 6.f reg. 696/2016 GDPR  sul legittimo interesse.

Interessante sarebbe approfondire la valutazione giuridica del patto in sè (quindi a prescidere dal cod. priv.) di estinzione di ogni diritto dell’utente in caso di suo decesso (che sembra fosse presente nella condizioni imposta da Apple): il che significa pattuire la non succedibilità mortis causa in tali diritti, e cioè l’apposizone di termine finale coincidente con la morte.

L’autore di opera dell’ingegno non può essere l’intelligenza artificiale (novità amministrative dagli USA)

Si consolida l’orientamento che nega legittimazione alla privativa in capo all’algoritmo di Intelligenza Artificiale, copyright o brevetto inventivo che sia.

Ora si pronuncia in tale sneo pure il  reclamo del US copyright office 14.02.2022, relativo alla composizione grafica “A Recent Entrance to Paradise”.

Si tratta sempre di uno dei tentativi dell’indomito dr. Stephen Thaler.

<<For this reason, the Compendium of U.S. Copyright Office Practices — the practice manual for the Office — has long mandated human authorship for registration. After enactment of the 1976 Copyright Act, the second edition of the Compendium was updated to reflect the Office’s understanding that human authorship is required by the law. See U.S. COPYRIGHT OFFICE, COMPENDIUM OF U.S. COPYRIGHT OFFICE PRACTICES § 202.02(b) (2d ed. 1984) (“COMPENDIUM (SECOND)”) (“The term ‘authorship’ implies that, for a work to be copyrightable,
it must owe its origin to a human being. Materials produced solely by nature, by plants, or by animals are not copyrightable.”), available at  https://www.copyright.gov/history/comp/compendium-two.pdf. The current Compendium retains this requirement and articulates its application in multiple circumstances where non-human expression raises unique challenges.
See COMPENDIUM (THIRD) §§ 709.1 (automated computer translations); 803.6(B) (derivative sound recordings made by purely mechanical processes); 805.4(C) & 806.4(C) (human performance required for choreography and pantomimes); 808.8(E) (human selection of color in colorized motion pictures); 906.8 (machine produced expression in visual arts works, such as linoleum flooring); 909.3(B) (x-rays and other medical imaging); 1006.1(A) (hypertext markup language if created by a human being “rather than a website design program”). Although no
Compendium section explicitly addresses artificial intelligence, the Board concludes that Office policy and practice makes human authorship a prerequisite for copyright protection.
The Office’s position is supported by a recent report from the U.S. Patent and Trademark Office (“USPTO”) addressing intellectual property issues raised by AI. USPTO sought public comment on whether “a work produced by an AI algorithm or process, without the involvement of a natural person . . . qualif[ies] as a work of authorship” under the Copyright Act. U.S. PATENT AND TRADEMARK OFFICE, PUBLIC VIEWS ON ARTIFICIAL INTELLIGENCE AND INTELLECTUAL PROPERTY POLICY at 19 (2020), available at https://www.uspto.gov/sites/default/files/documents/USPTO_AI-Report_2020-10-07.pdf. In its summary of responses,
USPTO noted that “the vast majority of commenters acknowledged that existing law does not permit a non-human to be an author [and] this should remain the law.” Id. at 20–21.

The Board agrees.>>.

E’ rigdettato anche la domanda bdsata sul work made for hire (creazione da parte del dipendente), non essendoci chiaramente alcun rapporto di lavoro tra la macchina e Thaler.

C’è già molta letteratura sul punto.

Per altri cenni v. mio post 01.12.2018 .

Tutela degli emoji come opera dell’ingegno o almeno come marchio di forma?

Tutele negate dalla corte del nord della california 16.02.2022, Case No. 21-cv-06948-VC, Cub Club Investment c. Apple.

Il creatore di emoji <racially diverse> cita Apple che li aveva copiati, anche se con alcune differenze.

<<The copyrighted works are expressions of Cub Club’s idea of racially diverse emoji. Each of the emoji described in the complaint are variations on this theme, depicting body parts in certain positions (thumbs up; thumbs down; a fist; etc.) in varying skin tones. There aren’t many ways that someone could implement this idea. After all, there are only so many ways to draw a thumbs up. And the range of colors that could be chosen is similarly narrow—only realistic skin colors (hues of brown, black, and beige, rather than purple or blue) fall within the scope of the idea. Cub Club’s emoji are therefore “entitled to only thin copyright protection against virtually identical copying.” Mattel, 616 F.3d at 915>>.

Quelli di A. sono assai simili ma non identici: <<As alleged in the complaint, Apple’s emoji are not “virtually identical” to Cub Club’s. Compared side by side, there are numerous differences. Whereas Cub Club’s emoji are filled in with a gradient, the coloring of Apple’s emoji are more consistent. The shape of Apple’s thumbs-up emoji is cartoonish and bubbled, while Cub Club’s is somewhat flatter. Many of Cub Club’s emoji have shadows; Apple’s do not. Even the colors used are distinct—although both Cub Club and Apple have chosen a variety of
skin tones ranging from dark to light, the specific colors vary. These differences are sufficient to take Apple’s emoji outside the realm of Cub Club’s protected expression>.

confronto tra il primo gruppo di emoji

Anche la tutela da trade dress (marchio di forma, o disegno, suppergiù) è negata  e per ragioni simili, ovviamente: <<Cub Club’s allegations that the asserted trade dress goes beyond these functional elements to the “look and feel” of the product
is not enough to save its claim. “As a matter of law, a product’s ‘overall appearance’ is functional, and thus unprotectable, where the product is ‘nothing other than the assemblage of functional parts.’ ” Blumenthal Distributing, Inc., 963 F.3d at 866 (quoting Leatherman Tool Group, Inc. v. Cooper Industries, Inc., 199 F.3d 1009, 1013 (9th Cir. 1999)). In the absence of allegations identifying non-functional elements of Cub Club’s product, such a conclusory statement is not sufficient to plausibly allege that the asserted trade dress is non-functional>>

(notizia e link alla sentenza dal blog de lprof. Eric Goldman)

Accettazione di adempimento parziale ex art. 1181 c.c. e risoluzione del contratto di appalto: possono coesistere?

L’accettazione di adempimento parziale ex art. 1181 cc non preclude al creditore di chiedere la risoluzione ricorrendone i presupposti (la non scarsa importanza dell’inademnpouimento, spt..).

Così Cass. 2223 del 25.01.2022, rel. Penta:

<<Questa Corte (Sez. 2, Sentenza n. 3786 del 17/02/2010) ha affermato
che nel contratto d’appalto il committente può rifiutare, ai sensi dell’art.
1181 c.c., l’adempimento parziale oppure accettarlo e, anche se la
parziale esecuzione del contratto sia tale da giustificarne la risoluzione,
può trattenere la parte di manufatto realizzata e provvedere direttamente
al suo completamento, essendo, poi, legittimato a chiedere in via
giudiziale che il prezzo sia proporzionalmente diminuito e, in caso di colpa
dell’appaltatore, anche il risarcimento del danno.

Inoltre, il committente può rifiutare l’adempimento parziale (art. 1181
c.c.) oppure accettarlo, secondo la propria convenienza, sicché,
quand’anche la parziale o inesatta esecuzione del contratto sia tale da
giustificarne la risoluzione, ciò non impedisce al committente stesso di
trattenere la parte di manufatto realizzata e di provvedere direttamente al
completamento e alla eliminazione degli eventuali difetti riscontrati,
chiedendo poi (al giudice) il risarcimento dei danni, che può tradursi in
una riduzione del prezzo pattuito, tenuto conto sia del valore dell opera
ineseguita che dell’ammontare delle spese sostenute dal suddetto (Sez. 2,
Sentenza n. 2573 del 12/04/1983).

E’ chiaro, poi, che la parte contraente la quale, di fronte all’inadempienza
dell’altra, anziché ricorrere alla domanda di risoluzione (o all’eccezione di
inadempimento), preferisce comunque dare esecuzione al contratto,
dimostra con tale comportamento di attribuire scarsa importanza,
nell’economia del negozio, all’inadempimento della controparte, con la
conseguenza che non sussiste per la risoluzione del contratto il
presupposto costituito dall’inadempimento di non scarsa importanza
secondo il disposto dell’art. 1455 c.c. (Sez. 2, Sentenza n. 4630 del
12/05/1994).

Senza tralasciare che, ai sensi dell’art. 1665, comma 4, c.c., è necessario
distinguere tra atto di “consegna” e atto di “accettazione” dell’opera,
atteso che, mentre la consegna costituisce un atto puramente materiale
che si compie mediante la messa a disposizione del bene a favore del
committente, l’accettazione esige, al contrario, che il committente esprima
(anche per facta concludentia) il gradimento dell’opera stessa, con
conseguente manifestazione negoziale la quale comporta effetti ben
determinati, quali l’esonero dell’appaltatore da ogni responsabilità per i
vizi e le difformità ed il conseguente suo diritto al pagamento del prezzo
(cfr. Sez. 1, Sentenza n. 19019 del 31/07/2017)
>>

In conclusione, <<l’accettazione, da parte del creditore, dell’adempimento
parziale che, a norma dell’art. 1181 c.c., egli avrebbe potuto rifiutare
non estingue il debito, ma semplicemente lo riduce, non precludendo
conseguentemente al creditore stesso di azionare la risoluzione del
contratto, nè al giudice di dichiararla, ove la parte residuale del credito
rimasta scoperta sia tale da comportare ugualmente la gravità
dell’inadempimento (Sez. 1, Sentenza n. 20 del 08/01/1987).

Nella fattispecie in esame, del resto, la risoluzione del contratto si pone
sullo sfondo, laddove la domanda principale della originaria opponente
accolta dalla corte di merito è quella di risarcimento dei danni, che può
anche essere sganciata dalla prima>>

La SC si dilunga anche sulla differenza: i) tra accettazione e consegna nell’appalto; ii) tra eccezione e mera difesa nel diritto processuale

Il keyword advertsing illecito (perchè riproducente un marchio altrui) è perseguibile tramite il diritto proprietario?

la risposta è negativa secondo la Corte Suprema della Georgia, 15.02.2’022, S21G0798, EDIBLE IP, LLC v. GOOGLE, LLC.

Edible (poi: E.) , accortasi che alcuni suoi marchi sono concessi da Google (G.) a terzi tramite la pratica del keyword advertising, cita G. per violazine non già della disciplina di marchio bensì di quella proprietario/dominicale: <Civil Theft of Personal Property> e <conversion> (appropriazione di risorse altrui, all’incirca).

Tale causa petendi apparentemente ingegnosa (essendo stata infruttuosa la precedente basata sul diritto dei marchi) viene però rigettata in tutti i gradi di giudizio.

Secondo la S.C. , assente rischio di confusione o di inganno, il marchio (come pure il goodwill) non ha tutela. Nè si può considerarlo oggetto della disciplina relativo al furto (theft).

<<Under each of these statutes, it is clear that trade names are only protected from use by others to the extent that such use is deceptive or there is a likelihood of confusion by the public.>>, p. 13.

Cioè la SC non dice che la disciplina si applica solo alle res, corporali, bensì  cbe tra le risorse , riservate dalla legge al titolare del marchio e solo per le quali dunque si può discorrere di <furto> o <appropriazione>, figura il proibire l’uso di terzi confusorio o decettivo: non vi figura invece la pretesa che i terzi si astengano in modalità più ampie.

<<Here, Edible IP has not alleged that Google’s use of the “Edible Arrangements” trade name in its keyword advertising program causes any confusion, and in fact, has disclaimed in the complaint that it is “seek[ing] any . . . relief for any consumer confusion.” Thus, we see no basis in Georgia statutory law for Edible IP’s claim that Google has appropriated the “Edible Arrangements” trade name simply by using it in Google’s algorithms and keyword advertising programs.

The common law likewise does not provide a basis for Edible IP’s civil theft claim. Under the common law, a cause of action based on the use of a trademark or trade name has also generally beenpredicated on either an intent to cause consumer confusion or the likelihood of creating confusion or misunderstanding.>>

Da noi con l’istituto del marchio rinomato, che prescinde dalla confondibilità, le cose forse sarebbero potute andare diversamente: se non fosse che la disciplina  di marchio è  speciale rispetto a quella di diritto civile comune e quindi difficilmente integrabile analogicamene con quest’ultima.

Per non dire che il furto e l’appropriazione indebita (art. 624 e 646 c.pen.) e le azioni a difesa della proprietà (nel c.c. ) paiono applicarsi solo alle res/cose  intese nel senso di entità fisiche.

(notizia elink alla setenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Un caso di annullamento di delibera assembleare per abuso di maggioranza

Gli annullamenti di delibere societarie per abuso di potere da parte della maggioranza sono rari, avendo gli impugnanti un onere provatorio arduo.

Però Trib. Milano 24.3.2021 n. 2488/2021, RG 3794318, riesce in tale senso: il riporto a nuovo degli utili per il quinto ano consecutoivo e quindi l’omesa distribuzione, in assenza di motivo palusibile, è abusivo e la delbiera è anullata.

L’abuso sussiste <<se la decisione a) non trova alcuna giustificazione nell’interesse della società; b) è il risultato di una intenzionale attività dei soci di maggioranza diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli ( Cass 27387/2005 e in questo senso anche Tribunale Torino sentenza n. 2100/2017). Ritiene il Tribunale che la delibera 24 aprile 2018 di Ser-Fid impugnata, autonoma anche se dipendente da quella di approvazione del bilancio di esercizio da cui emergono gli utili conseguiti, sia effettivamente viziata da abuso del diritto da parte della maggioranza non trovando proprio alla luce delle spiegazioni offerte in comparsa di costituzione dalla società, non contestate nei suoi presupposti di fatto dalla difesa dell’attore , giustificazione se non nel contrasto tra il gruppo dei soci che costituiscono la maggioranza e De Lillo socio di minoranza al 9,5%.    Infatti, la società ha allegato che la decisione di non distribuire gli utili si fonda sulla scelta di prudente politica societaria volta a garantirle la disponibilità liquida per far fronte alla sua ordinaria attività sociale di finanziaria esercente attività fiduciaria iscritta all’albo ex art 106 Tub e per poter anticipare ogni anno gli acconti fiscali dovuti dai clienti in relazione ai redditi di natura finanziaria provenienti dal risparmio amministrato.

Ebbene, va osservato, pur senza sindacare la descritta politica societaria, che l’esigenza di garantire alla società liquidità necessaria per far fronte ai suoi impegni quanto all’esercizio 2017, non necessitava la decisione di portare a nuovo i contenuti utili di € 81.232,00 considerando che, come segnalato dalla difesa dell’attore, la società aveva una disponibilità liquidità di € 5.123.038 a fine esercizio 2017 (doc.2 convenuta) con un incremento di circa un milione dall’esercizio precedente; si tratta di componente del patrimonio di immediata disponibilità ed utilizzabilità che garantiva il bisogno di risorse per far fronte all’anticipo fiscale per i clienti, considerando che la società ha evidenziato i valori di questi anticipi in un  importo di 4 milioni di euro nel 2015. La società era, inoltre, ben patrimonializzata (patrimonio netto ammontante a € 4.188.007, come emerge dal bilancio 2017 (doc.12 fasc.att)).

La rilevante disponibilità di liquidità è certamente anche il risultato delle pregresse e indiscutibili decisioni di non distribuire gli utili, ma la sistematica negazione della distribuzione dei dividendo diviene illegittima nel 2018 in quanto in sé non si giustifica più avendo la società raggiunto l’obiettivo che si era posta di avere adeguate risorse disponibili in via immediata che il modesto incremento di 81.000,00 non modifica nella sostanza, tanto più che la delibera è assunta in una situazione di forte conflitto tra i soci della famiglia Paganini/Pizzoccaro componenti la maggioranza da un lato e De Lillo, socio di minoranza
dall’altro.

La delibera valutata in questo contesto e dati gli elementi di fatto descritti (forte
patrimonializzazione della società, ingente somma liquida a disposizione, importo residuo degli utili portati a nuovo) risulta priva di una giustificazione causale nell’ottica del perseguimento degli interessi sociali, risulta assunta non nell’interesse dichiarato in atti della società, già conseguito alla data della delibera, ma per fini extrasociali e vessatori verso De Lillo nei cui confronti pendevano richieste volte a fargli retrocedere le azioni alla donante Pizzoccaro, essendo venuto meno il legame con Laura Paganini (figlia della Pizzoccaro) dalla quale si stava separando (doc. 13 attore).

Il vizio di abuso di potere che inficia la delibera 24 aprile 2018 dell’assemblea di Sr-Fid nella parte in cui stabilisce “di riportare a nuovo tutto l’utile netto di esercizio di euro 81.232,00” è causa di annullamento della stessa>>.

Sul doppiaggio illecito dei dialoghi di un film (con negazione dell’usucapibilità del diritto nel copyright)

La lite decisa da Trib. Milano 30.04.2020, rel. Marangoni, sent. 2658/2020, RG 70751/2015, Dynit srl c. Yamato srl – Koch Media srl, concerne l’illecito doppiaggio in italiano di dieci film giapponesi per bambini.

Punti salienti del decisum:

. distinzione tra il diritto di proiettare il film e quello sui relativi dialoghi tradotti (e sul  doppiaggio in genere);

– applicazione dell’rt. 1398 cc (falsus procurator) all’atto dispositivo compiuto da soggetto privo dei poteri di impegnare la società titolare di diritto;

  • impssibilità di acquisto per usucapione: <<Del resto, Yamato, terza acquirente dall’originario contraente del negozio inefficace, non potrebbe neppure eccepire l’acquisto a titolo originario in virtu del possesso, essendo inapplciabile ai diritti di autore  la regola del possesso vale titolo.    Tale interpretazione di segno negativo, già ribadita da questo e da altri Uffici di merito (cfr. Corte d’Appello di Torino, sentenza n. 1386 del 14 luglio 2015) nonché dalla Corte di legittimità (cfr. Cass. n. 5359 del 5.3.2010), trova supporto nella considerazione che manca qui “ogni potere sulla cosa, la quale s’identifica nello stesso contesto normativo in una parte, semplice o composta, ma comunque separata e individuale, della realtà materiale, deve negarsi il rilievo del possesso di cui all’art.1140, con esclusione dell’applicabilità dell’usucapione” (cfr. Cass. cit.).

La parte che pretende di vantare diritti autorali non originali per effetto dell’autonoma creazione deve dunque provare lo specifico fatto traslativo. Invero, anche il possesso del “corpus mechanicum” non può legittimare l’acquisto della proprietà autorale -in questo caso delle tracce del doppiaggio- a titolo originario, trattandosi di una mera disponibilità del bene, non accompagnata dall’unicità del godimento medesimo. Il possesso del corpus mechanicum non consente, infatti, a differenza dei beni materiali, di assicurare l’unicità del godimento del bene e la possibilità di possesso esclusivo del bene stesso, presupposto essenziale per poter ragionare di un acquisto a titolo originario della proprietà di un bene>>

  • – elemento soggettivo per il risarcimento del danno: il collegio scrive di <presunzione di colpa> che però è assente dal dettato della legge di autore: <<Quanto al profilo soggettivo della condotta, la presunzione di colpa che assiste l’illecito qui indagato non è stata qui superata, tenuto conto, in generale, della peculiare diligenza richiesta all’operatore di mercato nella collocazione di beni o servizi sul mercato alla salvaguardia di prerogative privatistiche di altri concorrenti.>>.          Probabilmente intendeva <presunzione di negligenza> per la professionalità del convenuto: ma l’affermazione sarebbe di dubbia esattezza, in mancanza di fondamento legislativo. Più semplicemente ricorreva negligenza, senza necessità di ravvisare presunzioni.
  • quantificazione del danno: <<Occorre tenere in conto che si tratta di nove riproduzioni cinematografiche rispetto alle quali il doppiaggio costituisce una sola frazione dei diritti autorali cumulati nel singolo film e che le opere litigiose erano già state riproposte sul mercato nazionale dalla stessa attrice.
    Il Collegio ritiene dunque congruo -pur tenendo conto del criterio  correttivo al rialzo della somma che sarebbe stata pattuita in sede di libera contrattazione anche al fine disincentivante della violazione- riconoscere a titolo risarcitorio complessivo l’importo complessivo di 40.000,00 quale somma complessiva già liquidata in moneta attuale, sulla quale decorrono gli interessi legali dalla pronuncia al saldo
    >.    Errato è invocare il <fine disincentivante>, essendo il risarcimemnto (compansazione) altro dalla sanzione (misura ultracompensativa).