I social media, utilizzati da un politico locale per attività ufficiali, costituiscono “public forum”, soggetto alla libertà di parola ex Primo Emendamento (ennesima conferma)

Il Tribunale NORTHERN DISTRICT OF ILLINOIS EASTERN DIVISION cofnerma che la pagina Facebook di un consigliere circoscrizionale (Alderman) del 45° Ward di Chcago (v. l’elenco qui)  è public forum. Quindi soggetta alla lbiertà di parola costituzionale sicchè la censura da aprte deel Consigliere dei post sgraditi non è ammessa, tranne i strettissimi limiti ricosciuti dalla giurisprudenza.

Si tratta della decisione 10.02.2022, PETE CZOSNYKA, et al. v. JAMES GARDINER, Alderman of the 45th Ward of the City of Chicago,Case: 1:21-cv-03240  .

<<In his motion, Alderman Gardiner argues that plaintiffs have insufficiently alleged that hisFacebook Page is a public forum, especially because Facebook is a private entity. The SeventhCircuit has held that public forums are “locations or channels of communication that thegovernment opens for use by the public for expressive activity.” Surita v. Hyde, 665 F.3d 860, 869(7th Cir. 2011).

Indeed, federal courts have “extended public speech protection to less traditional,designated public forums.” One Wisconsin Now v. Kremer, 354 F. Supp. 3d 940, 953 (W.D. Wis. 2019).The Supreme Court discussed similar conceptions of less traditional public forums in Packingham,which addressed the issue of a lack of access to public forums in our “cyber age,” specifically socialmedia. See Packingham v. North Carolina, — U.S. —, 137 S. Ct. 1730, 1736, 198 L. Ed. 2d 273 (2017).The Supreme Court provides guidance in determining whether a designated forum has beenintentionally created by the government, including (1) the “policy and practice of the government”and (2) “the nature of the property and its compatibility with expressive activity.” Cornelius v.NAACP Legal Defense & Educ. Fund. Inc., 473 U.S. 788, 802, 105 S.Ct. 3439, 87 L.Ed.2d 567 (1985).

Although the Seventh Circuit has yet to address this issue, other Circuit Courts have reliedon Cornelius’ expressive activity factor when examining whether social media platforms canconstitute a public forum. For example, the Fourth Circuit has held that expressive activity can bewhen one “intentionally open[s] the public comment section” and invites commentary, noticeablymarked by an interactive component of (say) a Facebook Page, “on [any] issue, request, criticism,complement or just …thoughts.” Davison v. Randall, 912 F.3d 666, 682 (4th Cir. 2019), asamended (Jan. 9, 2019).

Similarly, the Second Circuit has ruled in the context of Twitter (ananalogous social media platform), that blocking an account from certain users prevents expressiveCase: 1:21-cv-03240 Document #: 39 Filed: 02/10/22 Page 3 of 5 PageID #:1854conduct. See Knight First Amendment Inst. at Columbia Univ. v. Trump, 928 F.3d 226, 237 (2d Cir. 2019)(“The Account was intentionally opened for public discussion when the President, upon assumingoffice, repeatedly used the Account as an official vehicle for governance and made its interactivefeatures accessible to the public without limitation.”).

Thus, based on Packingham and the Cornelius factors, federal courts have concluded that whenthe government or a government official uses a social media account for official business, theinteractive portions of the social media platforms are public forums for First Amendment purposes.  See Davison, 912 F.3d at 682; Knight First Amendment Inst., 928 F.3d at 237; Felts v. Reed, 504 F.Supp.3d978, 985 (E.D. Mo. 2020); One Wisconsin, 354 F.Supp. 3d at 953. The Court agrees with thispersuasive authority.

Correspondingly, the fact that the government only has temporary control over theFacebook Page and that the government does not own the social media platform is not determinativeof whether the property is, in fact, sufficiently controlled by the government to make it a forum inrelation to the First Amendment. See Knight First Amendment Inst., 928 F.3d at 235. Specifically,control is not determined based on private or public ownership, but instead on the government’sexercise of control over the relevant aspects of the social media platformI>>.

Sentenza breve e dall’esito scontato.

Più interssante sarebbe chiedersi:

1) quando la pagina Fb del politico diventa solo privata e non più soggetta al 1° Emend.? Deve mancare di ogni e qualunque riferimento all’attività politico/amministrativa?

2) quale sarebbe da noi la valutazione giuridica di un caso analogo?

(notizia della sentenza e link alla stessa dal blog del prof. Eric Goldman)

Il diritto all’oblio comporta la deindicizzazione completa cioè anche della copia cache?

Cass. 3952 del 08.02.2022, rel. Falabella, decide il punto in oggetto (v. il testo, purtroppo in formato pdf che parrebbe fotografico e non copiabile ).

A parte ragionamenti sulla giurisdizione, importanti per l’operatore, il cuore della sentenza (emssa a seguito di ricorso ex 152 c. priv.) sta nella distinzione tra deindicizzazione dai motori di ricerca stricto sensu e cancellazione pure della copia cache della pagine web richieste/proposte.

Dice (spt. § 3.7) che si tratta di due aspetti diversi per i quali operano due bilanciamenti diversi tra il diritto di informare e quello all’oblio, p. 23: distinzione assente , si badi, nell’art. 17 GDPR. Non avendo il Trib. a quo dimenticato tale distinzione, rinvia al medesimo in altra sezione.

Affermazione che tiene in tanto in quanto sia vero la cache è richiamata/proposta a seguito di interrogazioni con modalità diverse da quelle che che ottengono/generano le pagine originali: cosa che allo stato non parrebbe e comunque che andrebbe approfondita.

Altro punto interessante è la (innegabile) distinzione tra deindicizzazione e cancellazione della notizia anche dalla pagina web originale: solo che la permanenza su questa ultima, senza la prima (deindicizzazione), di fatto è vanificata,  dato che sarà reperibile solo da quei pochissimi che sanno ivi trovarsi la notizia.

Le fideiussioni omnibus nulle perchè frutto di intesa anticoncorrenziale

Trib. Milano 6 sez. civ., RG 17737/2018, sent. 8610/2021 del 22.10.2021, rel. F. Ferrari, afferma quanto in oggetto, proseguendo in un orientamento ormai “nutrito”.

Precisamente:

<< Al di là, infatti, delle minime differenze puramente sintattiche, significativo è il fatto che la fideiussione in esame ricalchi con assoluta fedeltà l’ordine delle clausole dello schema di riferimento.

La sostanziale corrispondenza dell’intero testo contrattuale con il modulo A.B.I., giustifica una solida presunzione che la garanzia predisposta dall’istituto di credito e sottoposta alla sottoscrizione da parte dell’opponente fosse stata modellata recependo in chiave monolitica lo schema di categoria, in quanto concordato nell’interesse del sistema bancario, con esclusione di possibili differenti pattuizioni ad opera delle parti.

In sostanza, quindi, la piena coincidenza della garanzia con il modello proposto dalla associazione di categoria degli istituti di credito, senza che fosse dato spazio ad alcuna forma di personalizzazione, costituisce l’indizio più solido di una volontà del predisponente di uniformare la disciplina contrattuale delle fideiussioni omnibus nei termini più vantaggiosi per il sistema creditizio, escludendo qualsiasi differente disciplina sul mercato del credito, ossia proprio l’intento distorsivo della concorrenza che la Banca d’Italia ha riscontrato e sanzionato con riferimento alle tre clausole ritenute apportatrici di ingiustificati aprioristici vantaggi per le banche, a detrimento del regolare funzionamento del marcato.

Sotto il profilo propriamente temporale, inoltre, va osservato come le clausole incriminate fossero state già inserite nello schema contrattuale proposto dall’A.B.I. nel 1987 e che le stesse erano state riproposte immutate nel 2003, per poi essere vagliate e sanzionate dalla Banca d’Italia.Ed à proprio in ragione di tale “conferma” dello schema contrattuale che si comprende e si spiega quanto osservato nel 2005 dalla Banca d’Italia, là dove ha affermato che “secondo l’Autorità, l’istruttoria ha consentito di rilevare come il contenuto dello schema sia sostanzialmente riprodotto nei  contratti delle banche interpellate; l’ampia diffusione delle clausole oggetto di verifica non può essere ascritta a un fenomeno “spontaneo” del mercato, ma piuttosto agli effetti di un’intesa esistente tra le banche sul tema della contrattualistica”.    Avendo, infatti, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, investita dalla Banca d’Italia di un parere sullo schema contrattuale proposto e inviatole dall’A.B.I., riscontrato come le tre clausole ritenute illecite fossero sostanzialmente riprodotte nei contratti di garanzia predisposti dalle banche (parlando a tal fine di una ampia diffusione delle clausole non ascrivibile a un fenomeno “spontaneo”) e non potendo, ovviamente, effettuare tale verifica empirica in ragione della proposta sottoposta al vaglio della Banca d’Italia, non essendo ancora stata diffusa tra gli istituti di credito; ne consegue l’implicito riconoscimento della portata lesiva della concorrenza già dello schema contrattuale proposto dall’AB.I. nel 1987, limitatamente alle tre clausole poi reinserite in termini analoghi nello schema successivo poi sanzionato dalla Banca d’Italia.

Se così è, ne discende che tutte le considerazioni condotte e le presunzioni sopra richiamate non possono che essere estese alle fideiussioni antecedenti al 2005, nella parte in cui riproducevano le clausole contestate, così come vadano perpetrate per le fideiussioni rilasciate successivamente al 2005, là dove risultino adesive all’illecita intesa anticoncorrenziale, secondo quanto desumibile dalla sostanziale corrispondenza dell’intero testo contrattuale con lo schema a suo tempo esaminato dalla Banca d’Italia>>.

Circa l’estensione della nullità: <<Detto ciò, ritiene il Tribunale preferibile aderire all’orientamento che circoscrive la nullità alle sole clausole riconosciute come espressione dell’illecito accordo lesivo della concorrenza, senza che tale vizio si estenda all’intera garanzia, non rispondendo tale contagio al principio di conservazione degli atti, nei limiti in cui gli stessi siano rispondenti alla lecita volontà delle parti.>>

Il comando finale dunque è di solo accertamento di nullità delle clausole sub iudice, oltre che di condanna alle spese processuali

Post offensivi/osceni sui social e diritto di parola: protezione ridotta, se non assente

Il Tribunale del Colorado , 31.1.2022, Case 1:20-cv-01977-PAB-KMT, Sgaggio c. De Young e altri, decide sulla domanda presentata da un utente Facebook contro il Dipartimento di Polizia di Woodland Park , che lo aveva bannato dalla pagina Facebook del dipartimenot stesso per post ingiuriosi.

L’azione era basata sul Primo Emednamento (libertà di parola).

Si trattava dunque certo di State Actor.  Però i post erano offensivi o addirittura osceni: e per essi la tutela del Diritto di Parola è ridotta, se non assente.

I post erano: << a) He posted the link to the Woodland Park Video and stated, “You target sick kids to get your overtime pay.. [sic] That’s why you are a pig.”

b). He posted ,“Why did you punk ass pigs remove my post. This is a pubic [sic] forum. I’m going to sue the chief of police, the city of Woodland Park, and whatever punk ass bitch remove my post. Your actions are unconstitutional and violation of federal law 18 usc 241,242.. [sic] see you pigs in Federal court..”

c. He posted the link to the Woodland Park Video and stated, “You target sick children to Enrich [sic] officers [yellow police officer emoji] with overtime pay.. [sic] dirty ass cops.”


d. He stated, “Tyler Pope they violate the constitution daily. All too stupid to understand the oath they took. We the people will bring these terrorists into federal court.” (Ex. D, Pl. Dep. Ex. 12 at 1–2; Ex. E, Pl. Dep. at 106:3–6, 198:13–16.)>>

La corte rigetta appunto affermando la riduzione/assenza di protezione , quando ricorra obscenity, senza che ciò costituisca discriminazione: <<The restrictions on Plaintiff’s speech in this case do not run afoul of the First Amendment. He alleges that his freedom of speech was infringed because of the actions Defendant De Young and someone allegedly at the City took restricting his ability to post on certain Facebook pages after he used indecent and obscene language.

Plaintiff used the words “pig,” “terrorist,” “ass,” and “bitch” to refer to the police, and he baselessly and inaccurately accused the police of targeting sick children for personal profit.

The evidence indicates there were policies in place prohibiting the use of indecent and obscene language and that Plaintiff’s speech violated such policies. There is no genuine dispute of material fact that two other  individuals who also responded on the Police Department’s page with criticism of the warrant’s execution that were articulated with non-obscene language and, thus, not in violation of policy and did not have their posts removed.

Thus, the evidence clearly establishes that the restrictions  occurred solely because of Plaintiff’s indecent and obscenity language, not because Defendant De Young or the City were trying to censor Plaintiff’s posts about the warrant.>>

E poi: <<Plaintiff’s argument that these words are not obscene or indecent (Resp. at 6–7) goes against common sense. “Punk ass bitch” is not a literary turn of phrase. (Id. at 7.) Moreover, it is inaccurate to refer to the police as “terrorists” (id.), when there is no dispute that the execution of the search warrant was lawful. (Undisputed Facts, ¶ 1. ( ……)   Plaintiff’s argument that these words are not obscene or indecent (Resp. at 6–7) goes against common sense. “Punk ass bitch” is not a literary turn of phrase. (Id. at 7.)  Moreover, it is inaccurate to refer to the police as “terrorists” (id.), when there is no dispute that the execution of the search warrant was lawful. (Undisputed Facts, ¶ 1.>>

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Rinvio alla Corte di Giustizia sui poteri dispositivi di ciascun contitolare in caso di comunione di marchio (il caso Legea)

La Cassazione rinvia alla Corte di Giustizia UE  per la corretta soluzine dei seguenti quesiti:

1) “Se le succitate norme comunitarie, nel prevedere il diritto di esclusiva in capo al titolare di un marchio della UE e nel contempo anche la possibilità che la titolarità appartenga a più persone pro quota, implichino che la concessione in uso del marchio comune a terzi in via esclusiva, a titolo gratuito e a tempo indeterminato, possa essere decisa a maggioranza dei contitolari ovvero se necessiti invece dell’unanimità dei consensi”.

2) “Se, in questa seconda prospettiva, in caso di marchi nazionali e comunitari in comunione tra più soggetti, sia conforme ai principi di diritto comunitario un’interpretazione che sancisca l’impossibilità di uno dei contitolari del marchio dato in concessione a terzi con decisione unanime, a titolo gratuito e a tempo indeterminato, di esercitare unilateralmente il recesso dalla suddetta decisione; ovvero in alternativa se invece debba considerarsi conforme ai principi comunitari un’interpretazione opposta, che escluda cioè che il contitolare sia vincolato in perpetuo alla manifestazione originaria, per modo da potersi svincolare da essa con effetto sull’atto di concessione”.

Si tratta di Cass. n.30.749 del 29.10.2021, rel. Terrusi.

Domanda di danno non patrimoniale vs. Facebook per illegittima sospensione dell’account: parziale accoglimento dell’appello proposto dal gigante di Menlo Park

App. L’Aquila con sent. 1659/2021 del 09.11.2021, RG 295/2020, Facebook c. G.C., decide l’appello proposto da Facebook (F.) .

F. in primo grado era risultato soccombente in azione per danno non patrimoniale cusato da sospensione (4 mesi circa) dell’account per violazione dei community standards (post relativi al periodo monarchico o fascista).

L’appello è parzialmente accolto nel senso che alcune censure mosse da F. sono riconosciute legittime contrattualmente, altre no.

Punti principali nella sentenza:

-giurisdizione e legge italiana ex   reg. UE 593/2008 (e 1215/20123)

– si tratta di rapporto contrattuale e di contratto per adesione. Sulla contraattualità ormai non ci son più dubbi (nè mai avrebbero dovuto esserci, per vero). Il corrispettivo a carico del’lutente è la cessione del diritto di usare i suoi dati personali, § 8.3: <<In questo quadro, sviluppandosi i principi affermati dal Consiglio di Stato, questo collegio ritiene di condividere l’affermazione che il contenuto patrimoniale di una prestazione possa ritenersi sussistente anche in quei casi in cui vengano ceduti, a titolo di corrispettivo per un servizio, beni diversi dal denaro che, per la loro potenzialità di sfruttamento commerciale, divengano suscettibili  di una valutazione in chiave economico – patrimoniale. È, in sostanza, l’idoneità intrinseca del dato personale – legittimamente acquisito e trattato, s’intende, il che dovrà essere sempre attentamente valutato – a dover essere considerata, in quel determinato contesto, oggetto di proficuo sfruttamento commerciale, così consentendo di ritenere integrato il requisito della patrimonialità della controprestazione (volendo richiamare analogicamente un contratto tipico, questo schema richiama, a ben vedere, la permuta)>>.

– è valida la clausola sul potere di F. di rimuovere/sospendere , nè è vessatoria, §8.5.

– il servizio di F. “non è essenziale” : assai dubbio , se si intendse <essenziale> in senso ampio, cioè necesasrio per instaurare corrette relazioni sociali (però ora F. sta perdendo quote di mercato/diffusione , come si legge), ivi

– la violazione dei community standards è inadempimento contrattuale, § 9.1. Però F. deve fare attenzione: << d’altro canto, l’esercizio in concreto di tali poteri non deve sfociare in comportamenti apertamente violativi della sfera di libertà espressiva che, dietro concessione dell’autorizzazione all’uso di propri dati sensibili e non gratuitamente, costituisce il contenuto tipico e, per così dire, la ragion d’essere dell’adesione ad una piattaforma di questo tipo, la cui funzione è appunto quella di consentire agli utenti di esprimersi e condividere contenuti per loro importanti. Tanto più in un contesto nel quale non è neppure specificato con quali modalità si formuli il giudizio di congruità dell’espressione usata da parte di Facebook>>, ivi.

Quiesto è  il punto più interessante: perchè mai la piattaforma non potrebbe porre limiti assai stretti ai contenuti pubblicabili, visto che è ente privato e presta servizio non essenziale?

– l’autotutela da parte di F.  è da intendere in senso ampio: <<È corretto dunque sostenere che a legittimare l’esercizio di poteri di autotutela possa essere non solo il comportamento contrario alla legge (certamente rilevante, giusta l’espresso richiamo contrattuale) – e dunque ad esempio quel comportamento che integri, in ipotesi, il reato di apologia del fascismo – ma anche un comportamento diverso, non definibile come illecito>>

Il danno non patrimoniale è ridotto ad euro 3.000,00 e le spese di lite son interamente  compensate per entrambi i grdi di giudizio.

Sospensione cautelare di modifiche statutarie dell’associazione/partito politico

Le vicende interne al MOvimento 5 stelle si concretizzano in odierna ordinanza del Tribunale civile di Napoli, emessa su ricorso di tre associati , giudice M. Pugliese, leggibile pure qui  oppure, ancora, nel sito del Foglio).

Si tratta di Trib. Napoli, 7 sez. civ., 03.02.2022, giudice Pugliese Marco. Si tratta di reclamo cautelare che riforma l’ordinanza di primo grado cautelare, la quale aveva negato la sospensione della delibera impugnata.

La ragione della probabile annullabilità ex art. 23 c.c., e quindi della attuale sospensione cautelare dela delibera, sta nella violazione della regola statutaria procedurale secondo cui doveva presenziare la maggioranza degli iscritti . Nel caso specifico invece sono stati esclusi gli iscritti da meno di sei mesi: ipotesi sì prevista dallo statuto, ma solo dopo apposito regolamento, che però ancora non era stato emanato..

In particolare:  <<Ai sensi dell’art. 6 dello statuto allora vigente, in prima convocazione l’assemblea indetta per la modifica dello statuto dell’associazione poteva deliberare soltanto “qualora vi abbia partecipato almeno la maggioranza
assoluta degli iscritti”. Poteva essere introdotta una restrizione alla partecipazione alle assemblee rispetto agli iscritti da meno di 6 mesi, ma con regolamento adottato dal comitato di garanzia, su proposta del comitato direttivo. Agli atti invece risulta che l’assemblea del 3 agosto 2021 è stata indetta con l’esclusione degli iscritti da meno di 6 mesi sulla base dell’art. 4 dello statuto che disciplina le modalità con cui l’associazione effettua le consultazioni degli iscritti, che alla lett. c) prevede espressamente l’esclusione degli iscritti da meno di sei mesi. E ciò in assenza di un “regolamento adottato dal Comitato di Garanzia, su proposta del Comitato direttivo”, come risulta dall’istruttoria processuale.>>

E poi: <<3.1.2 L’illegittima esclusione dalla platea dei partecipanti all’assemblea del 3 agosto 2021 degli iscritti all’ASSOCIAZIONE MOVIMENTO 5 STELLE da meno di sei mesi ha determinato l’alterazione del quorum assembleare nella deliberazione di modifica del proprio statuto. Tale delibera infatti risulta adottata sulla base di un’assemblea formata da soli 113.894 iscritti (quelli da più di sei mesi) in luogo dei 195.387 associati iscritti a quella data; con l’illegittima esclusione di 81.839 iscritti all’ente dal quorum costitutivo e deliberativo, maggiore dei soli 60.940 associati che hanno partecipato all’assemblea, la cui delibera è stata poi approvata dall’87% di questi (v. pag. 3 della comparsa di costituzione e risposta). Appare chiaro, quindi, che l’assemblea dell’ASSOCIAZIONE MOVIMENTO 5 STELLE che ha deliberato il 3 agosto del 2021 non era  correttamente costituita perché risulta che vi hanno partecipato un numero di iscritti inferiore a quello richiesto in prima convocazione. I 60.940 iscritti che vi hanno partecipato erano di numero inferiore alla metà più uno del totale degli iscritti all’associazione (che come visto era 195.387).  Ai sensi dell’art. 23 c.c. la violazione delle disposizioni contenute nello statuto dell’associazione comporta, su domanda di qualunque associato, l’annullamento della relativa deliberazione che sia stata impugnata. E la delibera del 3 agosto 2021 dall’ASSOCIAZIONE MOVIMENTO 5 STELLE risulta allo stato adottata in violazione dello statuto dell’ente allora in vigore, con riferimento all’art. 6>>

Decisione ineccepibile.

Da notare che l’ordinanza si riferisce alla violazine della clausola sul quorum costitutitvo, non del dovere di avvisare gli aventi diritto: cioè la violazione pare attenere al numero dei presenti, non all’omesso invio a tutti dell’avviso di convocazione.      Resta dunque oscuro se ci sia stata pure una omessa convocazione, che costituirebbe una violazione distinta dal (e logicamente prioritaria al)  mancato raggiungimento del quorum: la quale ad es. nel diritto soceitario genera nullità della delibera, ma probabilmente non nel diritto delle associaizoni, il cui art. 23 cc cotempla solo l’annullabilità.

Il Trib. non si fa carico di estendere l’art. 23 cc , previsto per l’associazione riconosciuta, ad una associazione non riconosciuta, quale presumibilmente è l’associazine politica de qua: lo applica de plano, con estensione solo implicita. Estensione sì corretta, ma -invece- da esplicitare.

Operazioni baciate e induzione all’acquisto da parte della negligente revisione della banca: fattori causalmente incompatibili e quindi reciprocamente escludentisi

Trib. Milano 7706/2021 del 27.09.2021, RG 57282/2018, Bi.A s.a.s. di G. Bianchi & C. (già BIANCHI ANTONIO S.p.A., c. KPMG, esamina la domanda di un imprenditore contro il revisore della Popolare Vicenza, tristemente nota alle cronache, basata sulla negligente revisione , che non lo avrebbe disincentivato dall’acquisto di azioni Pop. Vi. (come sarebbe successo invece in caso di revisione diligente).

La difesa dell’attore però non si era avveduta di aver provato e forse pure allegato che le azioni erano state acquistate dietro specifico accordo con la banca stessa (al ppari di molti altri casi , riferiti sui media: c.d. operazioni baciate): ciò per mantenere o ottenere ulteriori finanziamnenti) , visto che -allo scopo- la banca “spingeva” le imprese ad acquistare proprie azioni e  pure finanziava gli acquisti stessi.

Questo fu dunque il motivo di acquisto delle azioni, non il silenzio del revisore.

Il giudice rigetta dunque la domanda per assenza del nesso di causa tra condotta di KPMG e danno. Non sono esaminati altri problemi (titolo contrattuale o aquiliano, esistenza o meno della allegata negligenza etc.).

Toccava al’attore provare che , nonostante questa apparenza prima facie, era stato  rilevante anche la macnata sollvevazione di censure da parte del reivisor: <<a fronte di ciò, incombeva sull’attrice un preciso e più stringente onere diallegare, e dimostrare, che nonostante tutto ciò essa avesse accettato di acquistare leazioni e le obbligazioni convertibili della propria banca finanziatrice, con la finanzamessale a disposizione dalla stessa, soltanto per aver contestualmente verificato,attraverso l’analisi dei bilanci approvati nell’aprile del 2013 (e poi del 2014), che sitrattava di titoli che avrebbe poi eventualmente potuto negoziare con facilità sul mercatofinanziario; e che a ciò l’avesse in concreto determinata (se non soltanto, anche)l’opinion senza rilievi di cui il revisore legale aveva sempre gratificato i bilanci di BPV.Ma di tale allegazione non v’è traccia nelle difese dell’attrice, trinceratesi nellanegazione dell’evidenza; e sarebbe del resto smentita dall’ulteriore evidenza che talititoli, come risulta -ove ve ne fosse il dubbio- dagli stessi estratti del dossier titolicitato, avevano un prezzo di carico “non liquido”  – né erano del resto quotati sumercati regolamentati.Quanto sopra, nel caso concreto e alla luce di tutti gli elementi di prova -confessoria,documentale e presuntiva- sopra esaminati, esclude che possa individuarsi nel negligenteassolvimento di KPMG ai propri obblighi di legge la causa determinante, o almeno unaconcausa eziologicamente rilevante, degli acquisti azionari e obbligazionari de quibus;effettuati da BiA con provvista messale a disposizione dalla stessa banca emittente alsolo, condiviso e accettato scopo godere, o continuare a godere, delle facilitazionicreditizie che le garantivano, sotto il profilo finanziario, di continuare ad operareimprenditorialmente.Il che, tradotto nel paradigma dell’azione risarcitoria richiamato nell’incipit delpresente paragrafo e con rilievo dirimente rispetto ad ogni altra questione dibattuta incausa, consente conclusivamente di ritenere che un fattore del tutto estraneo alla attivitàdel revisore si sia inserito, con efficacia eziologica esclusiva ed assorbente, nella seriecausale che ha condotto BiA ad effettuare gli acquisti azionari e obbligazionari inesame; sicché KPMG va assolta da ogni domanda qui rivoltale, senza necessità diulteriore istruttoria>>

Nemmeno è esaminato il punto se vi fosse stato o no in capo all’imprenditore un consenso realmente libero all’operazioni baciata proposta dalla banca: difficile però (ma non astrattamente impossibile) parlare di violenza, parrebbe.

Ancora (male) per la tesi delle piattaforme come State Actors: sul diritto di parola verso un ente privato

Dei soggetti/gruppi no-vax gestiscono account e canali su Facebook e su Youtube.

Secondo le rispettive policy , però, vengono chiusi, per i contenuti disinformativi in tema sanitario

Allora i titolari ricorrono azionando il dirito di parola che oin bnase al 1 emendamento della costituizione usa non è mai inibibile dallo Stato.

Le piattaforme però sono gestite da imprese private, non dallo Stato; e solo contro questo il primo emendamento è azionabile.

L’azione è per vero estesa anche verso soggetti diversi, quando però vi sia dietro sempre lo Stato. Ma non è il caso delle piattaforme.

Il distretto nord della california (31.01.2021, Case 4:20-cv-09456-JST,  Informed Consent Action Network and founder Del Bigtree (collectively “ICAN”) c. Youtue altri) conferma l’orietnamento di gran lunga prevalente secondo cui le piattaforme non costituiscono State Actors (anche se di dubbia esattezza rigettando una possibile interpretazione storco-teleologico-evolutiva della norma costituzionale).

Il concetto di state action è declinabile in quattro modi: <<The Ninth Circuit has “recognize[d] at least four different criteria, or tests, used to identify state action: (1) public function; (2) joint action; (3) government compulsion or coercion; and (4) governmental nexus.” Id. (internal quotation marks and citation omitted). The inquiry to determine whether a private entity is acting through the state is “necessarily factbound.”>>

Nessuno dei due azionati (sub 2 e sub 3) viene però ravvisato dal giudice.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

L’embedding di materiale protetto da copyright non costituisce riproduzione e quindi non c’è (co-)violazione da parte della piattaforma social

L’ embedding di materiale altrui nel proprio sito è il meccanismo <<trough which “ind paris can copy the HTML  (typertext Markup Language] code of an Instagram user’s post and paste into the third party’s webssite, causing the photo or video posted to that Instagrama account to be simulancousy displayed on that third party website.”>>.

Così la corte del nord california 1 febbraio 2022, Case 3:21-v-03778-CRB , Hunley c. Instgram.

Hunley agisce contro Instagram per secondary liability rispetto alla violazione primaria commessa dal suo utente tramite l’embedding.

La corte aveva già rigettato e ora, dopo l’amendement del complaint,  lo fa nuovamente: l’embedding non costiutisce riproduzione per il copyright. Mancando pertanto la violazione primaria, manca pure quella secondaria della piattaforma: infatti il terzo utente non ne carica copia sul proprio server (<<Hunley had acknowledged tha third parties using the embedding tool display the copyrighted photos and videos without storing them on their own servers or other storage devices>>. INOLTRE HUnley alleges that Instagran’s embedding technology “directs the browser to the Instagram server to retrieve the photo or video’s location on the Instagram server.”).

Si v. la definizione presente nella Conclusioni  dell’AG Szpunar 10.09.2020 nella lite europea, C‑392/19, VG Bild‑Kunst contro Stiftung Preußischer Kulturbesitz (poi decisa da CG 09.03.2021):

<< 9.  Una pagina Internet può contenere risorse diverse dal testo, come file grafici o audiovisivi. Tali file non sono parte integrante del documento HTML che costituisce la pagina, ma sono ad esso collegati. L’incorporazione (embedding) di tali risorse avviene mediante istruzioni specifiche esistenti, a tal fine, in linguaggio HTML. Ad esempio, per incorporare un’immagine, esiste il tag «image» («<img>») (6). Di norma, questo tag viene utilizzato per incorporare in una pagina Internet un file grafico memorizzato nello stesso server di tale pagina (file locale). Tuttavia, è sufficiente sostituire, nell’attributo «source» del tag «image», l’indirizzo di un file locale («URL relativo») con quello di un file contenuto in un altro sito Internet («URL assoluto») per incorporarlo, senza doverlo riprodurre, nella propria pagina Internet (7).

10. .      Questa tecnica utilizza la funzionalità di un collegamento ipertestuale, vale a dire che l’elemento, ad esempio un’immagine, viene visualizzato nel browser a partire dalla sua posizione originaria (il sito Internet di destinazione), e non viene quindi riprodotto sul server del sito sul quale appare. Tuttavia, l’elemento incorporato viene visualizzato automaticamente, senza necessità di cliccare su un qualche link. Dal punto di vista dell’utente, l’effetto è identico a quello di un file contenuto nella stessa pagina in cui appare. Tale pratica è nota con la denominazione di inline linking o di hotlinking.

11.  Il framing è una tecnica che consente di suddividere lo schermo in più parti, ognuna delle quali può visualizzare, in modo autonomo, una pagina o una risorsa Internet diversa. Così, in una parte dello schermo può essere visualizzata la pagina Internet originaria e, nell’altra parte, può essere visualizzata una pagina o un’altra risorsa proveniente da un altro sito. Quest’altra pagina non è riprodotta sul server del sito del framing, ma viene consultata direttamente tramite un deep link. L’indirizzo URL della pagina di destinazione di tale link è spesso nascosto, in modo che l’utente possa avere l’impressione di consultare una singola pagina Internet, quando in realtà ne sta consultando due (o più).

12.  Il framing è attualmente considerato obsoleto ed è stato abbandonato nell’ultima versione del linguaggio HTML (HTML5). Esso è stato sostituito dall’inline frame (8), che consente di inserire una risorsa esterna, come un sito Internet, una pagina, o addirittura un elemento di una pagina Internet proveniente da un altro sito, in un riquadro le cui dimensioni e posizione sono liberamente definite dall’autore della pagina Internet in questione. L’inline frame si comporta come un elemento integrante di tale pagina, poiché detta tecnica, a differenza del framing classico, non è una tecnica di suddivisione dello schermo, ma un mezzo per incorporare (embedding) risorse esterne in una pagina Internet.

13.      Per complicare maggiormente le cose, l’inline frame può essere definito come posizione di apertura di un collegamento ipertestuale (9). In questo modo, dopo che il link è stato attivato (con un click), la risorsa di destinazione si apre in un riquadro (i cui bordi possono essere o meno visibili sullo schermo), nella posizione definita dall’autore della pagina contenente il link>>.