Ritwittare aggiungendo commenti diffamatori non è protetto dal safe harbour ex 230 CDA

Byrne è citato per diffamazione da Us Dominion (azienda usa che fornisce software per la gestione dei processi elettorali) per dichiaraizoni e tweet offensivi.

Egli cerca l’esimente del safe harbour ex 230 CDA ma gli va male: è infatti content provider.

Il mero twittare un link (a materiale diffamatorio) pootrebbe esserne coperto: ma non i commenti accompagnatori.

Così il Trib. del District of Columbia 20.04.4022, Case 1:21-cv-02131-CJN, US Dominion v. Byrne: <<A so-called “information content provider” does not enjoy immunity under § 230.   Klayman v. Zuckerberg, 753 F.3d 1354, 1356 (D.C. Cir. 2014). Any “person or entity that is responsible, in whole or in part, for the creation or development of information provided through the Internet or any other interactive computer service” qualifies as an “information content provider.” 47 U.S.C. § 230(f)(3); Bennett, 882 F.3d at 1166 (noting a dividing line between service and content in that ‘interactive computer service’ providers—which are generally eligible for CDA section 230 immunity—and ‘information content provider[s],’ which are not entitled to immunity”).
While § 230 may provide immunity for someone who merely shares a link on Twitter,
Roca Labs, Inc. v. Consumer Opinion Corp., 140 F. Supp. 3d 1311, 1321 (M.D. Fla. 2015), it does not immunize someone for making additional remarks that are allegedly defamatory, see La Liberte v. Reid, 966 F.3d 79, 89 (2d Cir. 2020). Here, Byrne stated that he “vouch[ed] for” the evidence proving that Dominion had a connection to China. See
Compl. ¶ 153(m). Byrne’s alleged statements accompanying the retweet therefore fall outside the ambit of § 230 immunity>>.

Questione non difficile: che il mero caricamente di un link sia protetto, è questione interessante; che invece i commenti accompagnatori ingiuriosi rendano l’autore un content provider, è certo.

Non c’è diritto del cives ad avere leggi conformi a Costituzione: la non conformità non costituisce fatto illecito ex art. 2043 cc

Così Cass. 13.12.2021 n. 39.534, rel. Nazzicone che in particolare osserva:

<<  3.2.1. – In tal modo, la corte territoriale ha deciso in linea con il
condiviso principio, già affermato da questa Corte, secondo cui non
sussiste una responsabilità dell’organo legislativo per avere deliberato
una legge, contenente norme successivamente dichiarate
incostituzionali.
A fronte della libertà della funzione politica legislativa (artt. 68,
comma 1, 122, comma 4, Cost.), non è ravvisabile un’ingiustizia che
possa qualificare il danno allegato in termini di illecito, né si può
arrivare a fondare il diritto al risarcimento, quale esercitato nel
presente giudizio (Cass. 22 novembre 2016, n. 23730).
Va invero escluso, nell’ordinamento italiano, il diritto soggettivo
del singolo all’esercizio del potere legislativo, il quale è libero nei fini
e sottratto, perciò, a qualsiasi sindacato giurisdizionale, né può
qualificarsi in termini di illecito da imputare allo Stato-persona, ai
sensi dell’articolo 2043 cod. civ., una determinata conformazione
dello stato-ordinamento.
Nel caso di norma dichiarata incostituzionale, deve escludersi una
responsabilità per «illecito costituzionale», rilevante sul piano
risarcitorio, in ragione dell’emanazione della norma espunta
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
dall’ordinamento per contrasto con la Costituzione, in quanto,
essendo la funzione legislativa espressione di un potere politico,
incoercibile e sottratto al sindacato giurisdizionale, rispetto ad esso
non possono configurarsi situazioni giuridiche soggettive dei singoli
protette dall’ordinamento (Cass. 24 dicembre 2019, n. 34465).
Non è, dunque, ipotizzabile che dalla promulgazione della legge
possa derivare un danno risarcibile, perché l’eventuale pregiudizio
subito dal singolo non può essere ritenuto ingiusto, neppure nei casi
in cui la norma venga poi espunta dall’ordinamento perché in
contrasto con la Carta costituzionale.
Sebbene nel sistema delineato dalla Costituzione la discrezionalità
del legislatore non sia assoluta, bensì limitata dal controllo accentrato
di costituzionalità, tuttavia è proprio quel sistema che esclude che le
norme costituzionali sulle scelte del legislatore possano attribuire
direttamente al singolo diritti, la cui violazione sia fonte di
responsabilità da far valere dinanzi all’autorità giudiziaria.
Resta, dunque, insindacabile l’attività esplicativa di funzioni
legislative

Il danno non patrimoniale per il decesso del familiare (perdita del rapporto parentale) va determinato in base alle circostanze del caso

Così in sintesi Cass. 11.04.2022 n. 11.689 che riforma Appello Venezia per non aver tenuto conto della gravità delle circostanze in cuji maturò un danno non patrimoniale (iure proprio) per gli attori.

Si tratta della lite relativa segujita al disastro del 13.12.1995 presso l’aeroporti di Verona Villafranca riguardante l’aereo Antonov sulla rotta per Timisoara.

Così osservano i giudici:

<<5.1. Con riguardo alla famiglia A., la corte territoriale ha totalmente trascurato di apprezzare il significato del contemporaneo decesso di tre componenti (tra cui entrambi i genitori) del medesimo nucleo familiare come fatto destinato a incidere in modo significativo, irreparabile e determinante sul carattere della perdita dei singoli rapporti parentali astrattamente considerati, si dà pervenire a una liquidazione del corrispondente danno di ciascun ricorrente in modo apodittico, incompleto e parziale.

5.2. Quanto alla motivazione dettata dal giudice d’appello in relazione alla famiglia M., effettivamente la irrilevante laconicità della relatio cui la corte territoriale si è affidata per giustificare la congruità del danno liquidato dal primo giudice si è tradotta in una strategia argomentativi totalmente inidonea a dar conto, in modo completo ed esauriente (e quindi logicamente congruo), delle censure avanzate in ordine alla corretta considerazione del danno per la perdita del rapporto parentale; un danno che, per sua natura, richiede la specifica considerazione delle singole occorrenze dei rapporti parentali individualmente considerati, senza che possa soddisfare, a tal fine, il mero richiamo a considerazioni che attengono all’esame di altre realtà familiari, inevitabilmente caratterizzate da esperienze non altrove esportabili.

5.3. Varrà ribadire, in questa sede, la necessità che il giudice di merito che procede alla liquidazione del danno derivante dalla perdita di un rapporto parentale provveda a valutare analiticamente – senza ricorrere ad apodittiche affermazioni che riducono la motivazione ad una sostanziale dimensione di apparenza – tutte le singole circostanze di fatto che risultino effettivamente specifiche e individualizzanti, allo scopo di non ricadere nel vizio consistente in quella surrettizia liquidazione del danno non patrimoniale in un danno forfettario o (peggio) in re ipsa che caratterizza tanta parte dello stile c.d. “gabellare” in tema di perdita del rapporto parentale.

5.4. In sede di rinvio, il giudice lagunare, all’esito della contestazione formulata dai ricorrenti in ordine alla immotivata applicazione delle tabelle locali, provvederà all’applicazione delle tabelle elaborate presso la Corte di appello di Roma (e non di quelle milanesi, pur invocate in ricorso), alla luce dei principi affermati dalla più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. 10579, 26300 e 26301 del 2021), a mente dei quali, al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre l’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti e la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonchè l’indicazione dei relativi punteggi, da valutarsi, comunque, in ragione della particolarità e della eventuale eccezionalità del caso di specie.>>

Continua a destare perplessità che il potere nomofilattico della SC possa consistere anche nel dettare in anticipo al giudice del rinvio la tabella risarcitoria cui dovrà attenersi.

Sull’analiticità della messa in mora nelle azioni di responsabilità contro gli amministratori

In Appello Milano 2.458/2021 del 28.07.2021, RG 3736/2019, si legge questo circa l’oggetto, al fine di interrompere la prescrizione:

< Non risulta, invece, condivisibile la censura dell’appellante che considera tale comunicazione inidonea perché non indicherebbe i singoli episodi e non distinguerebbe le posizioni dei diversi amministratori e sindaci, posto che la costituzione in mora idonea ad interrompere la prescrizione non richiede tale specificità, essendo sufficiente “oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di fare valere il proprio diritto…” (Cass. 15140/21 >>

Le messe in mora del legale della procedura vengono descritte così dal giudice di appello:

<< La lettura di tale documento, che contiene una chiara diffida a corrispondere alla Procedura un importo pari al deficit fallimentare, consente, quindi, di verificare la motivazione contenuta sul punto nella sentenza appellata, che si reputa del tutto condivisibile. 

Il primo giudice ha infatti rilevato che nelle missive inviate dalla Procedura “si contestano l’uso contra legem della intera struttura societaria Mythos Arché al fine di ottenere illegittimi risparmi di imposta, la sistematica violazione della normativa fiscale, la gran parte delle operazioni che costituiscono la struttura dei fatti posti a fondamento della domanda giudiziale, si individuano i danni nei crediti erariali insinuati derivanti dall’illegittimità dell’azione gestoria degli amministratori e dalle carenze nell’azione di controllo e si chiede di voler versare alla procedura importi pari al deficit concorsuale, si preannuncia l’esercizio di azioni di responsabilità”. 

Tali rilievi rendono corretta la seguente conclusione cui perviene il primo giudice, secondo cui “Il contenuto completo e articolato di entrambe le raccomandate consente si ritenerle idonee ad interrompere il termine di prescrizione ex art 2943 co 4 c.c. perché con esse la proceduta di lca ha manifestato alle controparti qui convenute la sua volontà, non equivoca, intesa alla realizzazione del diritto risarcitorio in relazione ai fatti illeciti fiscali”>>

Alla luce di tale descrizione, probabilmente è esatto che le messe in mora erano valide per la produzione dei loro effetti di legge.

E’ invece assai dubbia l’esattezza del principio declamato dalla cit. Cass.

La messa in mora infatti, nonostante il silenzio in proposito dell’art. 1219 cc,  deve indicare con esattezza il diritto a cui si riferisce: il quale -se risarcitorio-  è individuato dall’inadempimento , dal danno e dal nesso causale tra i due.    Non si può dunque evitare di precisare l’inadempimento stesso.

Sul concetto di “ritrasmissione via cavo” nel copyright europeo

L’avvocato generale nella causa C-716/20, RTL c. Pestana, ha presentato il 10.03.2022 le proprie conclusioni sul se costituisca ritramissione via cavo ex art. 1.3 dir. 93/83 la diffusione del segnale televisivo (libero, cioè  non a pagamento) nelle camere di un albergo .

La disposizione cit. recita: < Ai fini della presente direttiva, «ritrasmissione via cavo» è la ritrasmissione simultanea, invariata ed integrale, tramite un sistema di ridistribuzione via cavo o a frequenze molto elevate, destinata al pubblico, di un’emissione primaria senza filo o su filo proveniente da un altro Stato membro, su onde hertziane o via satellite, di programmi radiofonici o televisivi destinati ad essere captati dal pubblico, indipendentemente dal modo in cui l’operatore di un servizio di ritrasmissione via cavo ottiene dall’organismo di diffusione radiotelevisiva i segnali portatori di programmi a fini di ritrasmissione.>

La sua risposta è negativa: il concetto de quo richiede infatti la professionalità nell’uso dei cavi (come impresa di radiotrasmissioni o anche solo di distribuzione del segnale) , il che non avviene per un albergo , il cui business è la fornitura del servizio di alloggio:

<<58.      Non si tratta, pertanto, alla luce del contesto tecnologico e storico e delle finalità delle direttive, di fissare il significato di una nozione del diritto dell’Unione rendendola insensibile ai cambiamenti tecnologici ma soltanto di interpretare il sistema in cui nelle diverse direttive pertinenti le nozioni di «cavo» e di «ritrasmissione via cavo» sono utilizzate, al solo fine di concludere che il «distributore via cavo» non può che essere un soggetto che utilizza per scopi professionali la rete tradizionale via cavo, alternativa a quella satellitare nella summa divisio della direttiva 93/83.

59.      Dunque, da un lato, con riferimento alla prima questione pregiudiziale, ritengo che essa potrebbe essere il frutto di una confusione terminologica della nozione di «ritrasmissione» tra i contenuti delle diverse fonti citate dal giudice del rinvio.

60.      Non mi sembra, infatti, dubitabile che la «ritrasmissione via cavo» possa essere effettuata anche da soggetti che non sono organismi di radiodiffusione: è sufficiente che si tratti di «distributori (professionali) via cavo».

61.      Ciò non sposta però i termini della questione per la soluzione del caso che ci occupa, e mette inevitabilmente il focus sulla seconda questione pregiudiziale: come sopra argomentato, il termine «distributore via cavo» deve avere il suo significato tradizionale, tenendo conto della tecnologia prevalente al momento dell’adozione della direttiva 93/83 e, in particolare, delle reti via cavo tradizionali e dei loro distributori professionali.>>

Soluzione corretta e con pochi argomenti contrari, per cui è probabile verrà seguita dalla Corte.

Non chiarissima l’incidenza del diritto di comunicazione al pubblico nel caso sub iudice (art. 8.3 dir. 2006/115), che ad ogni modo viene affermata nel caso di diffusione nelle stanze dialbego  (§ 66: vecchia questione …).  Era stato inizialmente azionata assieme all’esclusiva sulla ritrasmissione via cavo.

La disdetta locatizia , pattuita per raccomandata A/R, può essere inviata anche via PEC

Così insegna Cass.  11.808 del 12.04.2022, rel.  Fidanzia, circa un contratto in cui il recesso era stata pattuito nella forma della raccomandata A.R.

Alla luce dell’art. 48.2 d. lkgs. 82/2005 (codice dell’amministrazine digitale

1. La trasmissione telematica di comunicazioni che  necessitano  di
una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna avviene  mediante
la posta elettronica certificata ai sensi del decreto del  Presidente
della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, o mediante altre  soluzioni
tecnologiche individuate con le Linee guida. 
  2. La trasmissione del documento informatico  per  via  telematica,
effettuata ai sensi  del  comma  1,  equivale,  salvo  che  la  legge
disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta.>>,

la soluzione è esatta.

Stante la chiarezza del dettato normativo, è strano che il Tribunale a quo (Bologna) avesse negato l’efficacia della disdetta via pec

Contraffazione di opera del disegno

Trib. Bologna n. 310/2021 del 11.01.2021, Rg 10415/2016, Benatti c. Tecnotelai srl+1, decide un caso relativo all’oggetto.

Caso frequente: l’estinzione di un iniziale rapporto con l’artista non trattiene l’impresa dal continuare ad usare le sue opere.

I  passaggi su creatività e  contraffazione:

1) Sulla creatività: <<Le ampie produzioni documentali, e la relazione del Ctu arch.Castagnetti confermano quanto è già stato
apprezzato in sede cautelare, ovvero in primo luogo le qualità artistiche della attrice, che, seppure
sensibile ai movimenti artistici ed in particolare influenzata dalle correnti dell’arte astratta
contemporanea, utilizza un linguaggio espressivo ben delineato, frutto dell’opera svolta e affinata nel
corso degli anni.
Il carattere originale, e personale si esprime tra l’altro con l’utilizzo di tecniche miste ereditate da varie
discipline, e la scelta preferenziale del vetro, come supporto; si manifesta nella complessità
compositiva e nella estemporaneità gestuale, caratteristiche riscontrabili nell’opera della artista e quindi
stilemi propri di Vanda Benatti.
Di queste qualità artistiche vi sono riconoscimenti esterni, come risulta dai doc.ti da 1 a 6 di parte
attrice, atteso che Vanda Benatti oltre ad avere venduto le proprie opere a clienti privati ed istituzioni,
ha esposto in diverse mostre, a Bologna, in altri luoghi di Italia e all’estero: documentazione
fotografica delle sue vetrate si trova, in particolare, presso il Centre International du Vitrail a Romont
(Svizzera); è anche documentato l’evento denominato “Oro”, tenutosi a Bologna nell’ottobre 2000
presso la Galleria “Ennevu”, mostra personale ed esclusiva dell’artista, pubblicizzata all’epoca sul
quotidiano La Repubblica (cfr. la locandina “Oro” Anno 2000 – doc. 5, e l’estratto archivio on line del
quotidiano “La Repubblica” – doc. 6); nel sito della attrice si rinvengono poi recensioni e segni di
apprezzamento provenienti da plurime personalità del mondo artistico e culturale, e il riconoscimento
delle sue qualità espressive, e della sua unicità sta alla base del rapporto di collaborazione (termine che
si usa qui in senso lato, e senza dedurne dirette conseguenze, quanto alla controversa cessione dei diritti
d’autore) protrattosi tra Silvia Mazzolini, e la Tecnotelai srl, (che alla famiglia Mazzolini fa capo), da
una parte, e l’artista dall’altra.
Dunque sussistono nelle opera in tesi contraffatte e plagiate i caratteri della originalità creativa
riconoscibile, cui fa riferimento l’art. 1 L. 633 del 1941, creatività intesa come personale e individuale
espressione di un’oggettività appartenente alle categorie elencate, in via esemplificativa, nell’art. 1
legge citata, secondo i canoni interpretativi giurisprudenziali (vedi Cass, n.25173 del 2011; n. 5089 del
2004>>.

2) Sulla mancanza di scarto semantico tra le riproduzioni censburate e le opere azionate:

<<Per indagare con maggiori strumenti il delicato tema della contraffazione o plagio, è stata svolta una
Ctu, e il consulente dell’uffico ha in primo luogo – sotto il profilo operativo- ottenuto dalla attrice, nel
costante confronto diretto con le parti, un riepilogo delle potenziali violazioni, da utilizzare come
traccia univoca e base di lavoro, accettata da tutti, per eseguire i vari raffronti tra le opere di parte
attrice ed i prodotti di parte convenuta, giungendo così all’apprezzabile risultato di limitare,
concordemente, le operazioni di analisi a circa 50 casi in contestazione (pag.3 della relazione). Così opportunamente chiarito l’ampiezza del campo di indagine, il Ctu svolge alcune considerazioni di
carattere generale, e metodologico, rilevando che il confronto richiesto corre tra opere d’arte (di Vanda
Benatti) e prodotti di design, (di Tecnotelai) e sostenendo che tale diversa natura non comporta
concrete conseguenze, in ordine al criterio di accertamento della contraffazione. Aggiunge che pure il
fatto che la comparazione spesso corra tra elementi di natura diversa, realizzati con tecniche e materiali
diversi, talora bidimensionali, talora tridimensionali, e talora mere elaborazioni digitali, non esclude la
possibilità di confronto, posto che in ogni caso lo sforzo di comprensione passa dalla individuazione
della creatività ed originalità dell’opera.
Si tratta di affermazioni non oggetto di contestazione in causa, cosicchè possono ritenersi un dato
pacifico; si tratta inoltre di giudizi pienamente condivisibili, anche per quanto dianzi detto, circa il
valore essenziale della forma espressiva, come oggetto di indagine: il punto di contatto tra tutti i mezzi
semantici utilizzati è infatti indubbiamente, (come afferma anche l’artista, nelle sue osservazioni alla
Ctu), il disegno esecutivo, che costituisce il primo passaggio creativo che traduce l’idea in espressione
esterna, per poi giungere, con la scelta dei diversi supporti, tecniche ed i materiali, alla forma finale
impressa dall’artista.
Quindi il Ctu, nella relazione depositata, rende possibile in concreto il raffronto tra le opere della
artista, di cui è dedotta la contraffazione, (realizzate o in forma progettuale) con i correlati elementi di
arredo di Tecnotelai, formando delle schede di comparazione, che il Collegio può esaminare, per
compiere direttamente, quale peritus peritorum l’analisi delle opere, ricercando l’idea alla base
dell’opera e valutando la sua originalità, poi individuando la forma, analizzando la struttura della
composizione, i dettagli caratterizzanti delle opere, e le eventuali operazioni di manipolazione delle
immagini digitali svolte, per esprimere infine il giudizio conclusivo, che pur in presenza di una ripresa
di elementi secondo i passaggi esposti, può escludere la contraffazione, laddove verifichi l’esistenza di
un apporto creativo capace di trasformare gli elementi in una opera originale.
Ciò premesso, e in esito alla analisi così descritta, condotta su un numero di opere individuate
concordemente, che ricomprendono quelle oggetto del provvedimento cautelare, pare molto evidente
che oltre ad avere tratto complessivamente una larga ispirazione dall’opera artistica di Vanda Benatti,
la Tecnotelai ne ha contraffatto in più occasioni le forme>>

Tornata al primo giudice la questione californiana sulla pericolosità di Speedfilter di Snapchat, la risposta è positiva

Continuano le decisioni sulla pericolosità dell’applicazione  <Speedfilter> di Snapchat: v. ad es. mio post sulla decisione di appello californiana 04.05. 2021. che aveva negato il safe harbour trattandosi di causa di negligennce.

Tornata la causa al primo giudice, viene decisa con sentenza 31.03.2022,  n° CV 19-4504-MWF (KSx) , Carly Lemon c. Snap inc.

Per la corte c’è negligenza nel design dell’applicaizione perchè induce a correre troppo in auto:  soprattutto solleticando la psiche degli utenti laddove propone trofei/premi non meglio identificati che vengono manifestati solo dopo l’evemtuale vincita:

<<The FAC alleges that the design of the Snapchat app rewards users by awarding  trophies for using the Snapchat app in particular ways that are unknown to the users until they actually obtain such trophies. (FAC ¶ 27). The FAC also alleges that the Speed Filter allows users to record the speed at which they are traveling and display  that speed over a photo or video of themselves that they can share on social media. (Id. ¶ 25). Finally, the FAC alleges that Plaintiffs used the Speed Filter within minutes of  the accident. (Id. ¶ 70).
The Court is satisfied that these three allegations, accepted as true, are sufficient
to allege causation premised on the theory that the Speed Filter’s design encouraged . Plaintiffs to drive at dangerous speeds.

If Snapchat users are seeking to obtain an unknown trophy associated with using the Speed Filter, it is plausible that they would seek this trophy by increasing their speed — the only metric recorded by the Speed Filter.
Even if there were no reward system whatsoever, the basic design of the Speed
Filter itself appears to encourage reckless driving. There is realistically no purpose for the Speed Filter other than to encourage users to travel at high speeds and record themselves doing so. Defendant’s argument that users will use the Speed Filter “safely while walking, jogging, or riding a train, boat, or Ferris wheel” (Motion at 3) is highly  implausible – let’s say it’s the arguments not the allegations that run afoul of the  Twombly and Iqbal argument. It is common sense that adding a speed-sharing feature to a social media application used predominantly by minors and young adults would  encourage such users to record themselves while driving at high speed>>

Inoltre, <<with respect to the second point, the Court disagrees with the superior court’s
approach because it focused on whether the Speed Filter contained an express
incentive to speed and ignored the incentives inherent in the Speed Filter’s design.
The superior court apparently was persuaded that, without an express incentive to drive
recklessly, individuals would use the Speed Filter safely as a passenger on a ferry,
train, or airplane. In doing so, the Maynard court essentially treated Snap as a
publisher or speaker, rather than a product manufacturer — the exact approach that the
Ninth Circuit has warned against here. (Ninth Circuit Opinion at 10–12 (“the Parents’
amended complaint does not seek to hold Snap liable for its conduct as a publisher or
speaker”). Indeed, the Maynard court treated the plaintiffs’ claim as a negligent
advertising claim rather than a negligent design claim, relying explicitly on Ely v.
General Motors Corp., which held that an auto manufacturer was not liable for
encouraging reckless driving by advertising that a car could go up to 150 miles per
hour. 927 S.W. 2d 774, 782 (Tx.Ct.App. 1996).>>

Nè la pericolosità viene meno per la possibilità di molteplici diversi usi.

Inoltre è ravvisata la causalità tra il difetto progettuale e il fatto dannoso verificatosi: <<The causal connection between the Speed Filter and the speeding accident is strong given that the accident occurred while the Plaintiffs were using the Speed Filter for the exact purpose for which it appears to have been designed: to record the user traveling at excessive speeds>>

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)