La posizione dominante è abusiva quando incide sulla struttura concorrenziale del mercato, a prescindere da un effettivo danno ai consumatori

Importante sentenza della Corte di Giustizia sul tema in data 12.05.2022, C-377/20, proveniente dalla lite italiana tra AGCM e gruppo Enel.

L’AGCM aveva <<accertato che il SEN e la EE, con il coordinamento della loro società madre ENEL, avevano posto in essere, dal gennaio 2012 e fino al maggio 2017, un abuso di posizione dominante, in violazione dell’articolo 102 TFUE, sui mercati della vendita di energia elettrica ai clienti domestici e non domestici connessi alla rete a bassa tensione, nelle aree in cui il gruppo ENEL gestiva l’attività di distribuzione. Di conseguenza, l’AGCM ha inflitto alle società summenzionate, in solido tra loro, una sanzione pecuniaria per un importo pari a EUR 93 084 790,50>>, § 9.

La sentenza della CG andrà studiata con attenzione da chi dovrà occuparsi di abuso di dominanza.

Qui ricordo solo alcuni passaggi sulla 2° questione pregiuduiziale (probabilmente la più importante a livello teorico).

Tale questione, sollevata dal Consuiglio diSTato, era così formulata: <<Se la funzione dell’abuso [rectius: del divieto di abuso] sia di massimizzare il benessere dei consumatori, di cui il giudice debba misurare l’avvenuta (o il pericolo di) diminuzione; oppure se l’illecito concorrenziale abbia il compito di preservare di per sé la struttura concorrenziale del mercato, al fine di scongiurare la creazione di aggregazioni di potere economico ritenute comunque dannose per la collettività>>.

La CG scioglie il dubbio nel secondo senso:

<<44   Tra tali regole, lo scopo più specificamente assegnato all’articolo 102 TFUE è, secondo una costante giurisprudenza, quello di evitare che i comportamenti di un’impresa che detiene una posizione dominante abbiano l’effetto, a danno dei consumatori, di ostacolare, ricorrendo a mezzi o a risorse diversi da quelli su cui si impernia una concorrenza normale, la conservazione del grado di concorrenza esistente sul mercato o lo sviluppo di tale concorrenza [v., in tal senso, sentenze del 13 febbraio 1979, Hoffmann‑La Roche/Commissione, 85/76, EU:C:1979:36, punto 91; del 27 marzo 2012, Post Danmark, C‑209/10, EU:C:2012:172, punto 24, e del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a., C‑307/18, EU:C:2020:52, punto 148 e giurisprudenza ivi citata]. In tal senso, come constatato dalla Corte, tale disposizione mira a sanzionare non soltanto le pratiche che possono provocare un danno diretto ai consumatori, ma anche quelle che li danneggiano indirettamente pregiudicando la struttura di effettiva concorrenza (v., in tal senso, in particolare, sentenze del 15 marzo 2007, British Airways/Commissione, C‑95/04 P, EU:C:2007:166, punti 106 e 107, e del 17 febbraio 2011, TeliaSonera Sverige, C‑52/09, EU:C:2011:83, punto 24). (…)

46      Ne consegue, come rilevato in sostanza dall’avvocato generale al paragrafo 100 delle conclusioni, che il benessere dei consumatori, sia intermedi sia finali, deve essere considerato l’obiettivo ultimo che giustifica l’intervento del diritto della concorrenza per reprimere lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale del medesimo. Per tale ragione, come già dichiarato dalla Corte, un’impresa che detiene una simile posizione può provare che una pratica escludente non incorre nel divieto di cui all’articolo 102 TFUE, segnatamente dimostrando che gli effetti che tale pratica può produrre sono controbilanciati, se non superati, da vantaggi in termini di efficienza che vanno a beneficio anche dei consumatori, in particolare in termini di prezzi, di scelta, di qualità o di innovazione [v., in tal senso, sentenze del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punti 134 e 140, e del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a., C‑307/18, EU:C:2020:52, punto 165 e giurisprudenza ivi citata].

47      Pertanto, un’autorità garante della concorrenza assolve l’onere della prova a suo carico se dimostra che una pratica di un’impresa in posizione dominante è idonea a pregiudicare, ricorrendo a risorse o a mezzi diversi da quelli su cui si impernia una concorrenza normale, una struttura di effettiva concorrenza, senza che sia necessario che la medesima dimostri che detta pratica ha, in aggiunta, la capacità di arrecare un danno diretto ai consumatori. L’impresa dominante in questione può nondimeno sottrarsi al divieto di cui all’articolo 102 TFUE dimostrando che l’effetto escludente che può derivare dalla pratica di cui trattasi è controbilanciato, se non superato, da effetti positivi per i consumatori>>

Ne segue che << l’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che, al fine di accertare se una pratica costituisca uno sfruttamento abusivo di posizione dominante, è sufficiente che un’autorità garante della concorrenza dimostri che tale pratica è idonea a pregiudicare la struttura di effettiva concorrenza sul mercato rilevante, a meno che l’impresa dominante in questione non dimostri che gli effetti anticoncorrenziali che possono derivare da detta pratica sono controbilanciati, se non superati, da effetti positivi per i consumatori, in particolare in termini di prezzi, di scelta, di qualità e di innovazione.>>

Ne segue che <<deve essere considerata non sufficiente, di per sé, la prova, addotta dall’impresa in questione, che tale condotta non ha prodotto effetti restrittivi concreti. Tale elemento può costituire un indizio dell’incapacità della condotta in questione di produrre effetti anticoncorrenziali, il quale, tuttavia, dovrà essere integrato da altri elementi di prova volti a dimostrare tale incapacità. cuio la condotta non jha porodotto effetti restrittivi concreti>>, § 58, 3° questione.

Chi ritweetta un post lesivo è coperto dal safe harbour ex § 230 CDA? Pare di si

La Corte Suprema del New Hampshire, opinion 11.05.2022, Hillsborough-northern judicial district No. 2020-0496 , Banaian c. Bascom et aa., affronta il tema e risponde positivamente.

In una scuola situata a nord di Boston, uno studente aveva hackerato il sito della scuola e aveva inserito post offensivi, suggerenti che una docente fosse  “sexually pe[r]verted and desirous of seeking sexual liaisons with Merrimack Valley students and their parents.”

Altro studente tweetta il post e altri poi ritweettano (“ritwittano”, secondo Treccani) il primo tweet.

La docente agisce verso i retweeters , i quali però eccepiscono il safe harbour ex § 230.c)  CDA.  Disposizione che così recita:

<<c) Protection for “Good Samaritan” blocking and screening of offensive material.

(1) Treatment of publisher or speaker

No provider or user of an interactive computer service shall be treated as the publisher or speaker of any information provided by another information content provider.>>.

La questione giuridica è se nel concetto di user rientrino gli alunni del caso  sub iudice.

La SC conferma che è così. Del resto sarebbe assai difficile ragionare diversamente.

Precisamente: << We are persuaded by the reasoning set forth in these cases. The plaintiff identifies no case law that supports a contrary result. Rather, the plaintiff argues that because the text of the statute is ambiguous, the title of section 230(c) — “Protection for ‘Good Samaritan’ blocking and screening of offensive material” — should be used to resolve the ambiguity. We disagree, however, that the term “user” in the text of section 230 is ambiguous. See Webster’s Third New International Dictionary 2524 (unabridged ed. 2002) (defining “user” to mean “one that uses”); American Heritage Dictionary of the English Language 1908 (5th ed. 2011) (defining “user” to mean “[o]ne who uses a computer, computer program, or online service”). “[H]eadings and titles are not meant to take the place of the detailed provisions of the text”; hence, “the wise rule that the title of a statute and the heading of a section cannot limit the plain meaning of the text.” Brotherhood of R.R. Trainmen v. Baltimore & O.R. Co., 331 U.S. 519, 528-29 (1947). Likewise, to the extent the plaintiff asserts that the legislative history of section 230 compels the conclusion that Congress did not intend “users” to refer to individual users, we do not consider legislative history to construe a statute which is clear on its face. See Adkins v. Silverman, 899 F.3d 395, 403 (5th Cir. 2018) (explaining that “where a statute’s text is clear, courts should not resort to legislative history”).

Despite the plaintiff’s assertion to the contrary, we conclude that it is evident that section 230 of the CDA abrogates the common law of defamation as applied to individual users. The CDA provides that “[n]o cause of action may be brought and no liability may be imposed under any State or local law that is inconsistent with this section.” 47 U.S.C. § 230(e)(3). We agree with the trial court that the statute’s plain language confers immunity from suit upon users and that “Congress chose to immunize all users who repost[] the content of others.” That individual users are immunized from claims of defamation for retweeting content that they did not create is evident from the statutory language. See Zeran v. America Online, Inc., 129 F.3d 327, 334 (4th Cir. 1997) (explaining that the language of section 230 makes “plain that Congress’ desire to promote unfettered speech on the Internet must supersede conflicting common law causes of action”).
We hold that the retweeter defendants are “user[s] of an interactive computer service” under section 230(c)(1) of the CDA, and thus the plaintiff’s claims against them are barred. See 47 U.S.C. § 230(e)(3). Accordingly, we  uphold the trial court’s granting of the motions to dismiss because the factspled in the plaintiff’s complaint do not constitute a basis for legal relief.
>>

(notizia della e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Disciplina speciale UE in arrivo per i provider “to prevent and combat child sexual abuse”

La Commissione UE l’11 maggio 2022 ha proposto un regolamento contenente  <<rules to prevent and combat child sexual abuse>> COM(2022) 209 final – 2022/0155 (COD): qui la pagina e qui il link diretto al testo .

Segnalo solo la parte relativa agli obblighi per i provider (capitolo II “OBLIGATIONS OF PROVIDERS OF RELEVANT INFORMATION SOCIETY SERVICES TO PREVENT AND COMBAT ONLINE CHILD SEXUAL ABUSE”); la loro individuazione (campo soggettivo di applicazione) rinvia largamente al digital services act (v. la  bozza)

  • dovranno i) fornire un risk assessment e ii) adottare misure di loro contenimento. Le seconde dovranno rispondere ai requisiti (fumosi) dell’art. 4.2
  • obblighi di indagine/ispezione, art. 10: <<Providers of hosting services and providers of interpersonal communication services that have received a detection order shall execute it by installing and operating technologies to detect the dissemination of known or new child sexual abuse material or the solicitation of children, as applicable, using the corresponding indicators provided by the EU Centre in accordance with Article 46. 2. The provider shall be entitled to acquire, install and operate, free of charge, technologies made available by the EU Centre in accordance with Article 50(1), for the sole purpose of executing the detection order. The provider shall not be required to use any specific technology, including those made available by the EU Centre, as long as the requirements set out in this Article are met. The use of the technologies made available by the EU Centre shall not affect the responsibility of the provider to comply with those requirements and for any decisions it may take in connection to or as a result of the use of the technologies.>>
  • gravosi i conseguenti doveri precisati al § 4 , art. 10:<<The provider shall:(a) take all the necessary measures to ensure that the technologies and indicators,as well as the processing of personal data and other data in connection thereto,are used for the sole purpose of detecting the dissemination of known or newchild sexual abuse material or the solicitation of children, as applicable, insofaras strictly necessary to execute the detection orders addressed to them;(b) establish effective internal procedures to prevent and, where necessary, detectand remedy any misuse of the technologies, indicators and personal data andother data referred to in point (a), including unauthorized access to, andunauthorised transfers of, such personal data and other data;(c) ensure regular human oversight as necessary to ensure that the technologiesoperate in a sufficiently reliable manner and, where necessary, in particularwhen potential errors and potential solicitation of children are detected, humanintervention;  d) establish and operate an accessible, age-appropriate and user-friendlymechanism that allows users to submit to it, within a reasonable timeframe,complaints about alleged infringements of its obligations under this Section, aswell as any decisions that the provider may have taken in relation to the use ofthe technologies, including the removal or disabling of access to materialprovided by users, blocking the users’ accounts or suspending or terminatingthe provision of the service to the users, and process such complaints in anobjective, effective and timely manner;(e) inform the Coordinating Authority, at the latest one month before the start datespecified in the detection order, on the implementation of the envisagedmeasures set out in the implementation plan referred to in Article 7(3);(f) regularly review the functioning of the measures referred to in points (a), (b),(c) and (d) of this paragraph and adjust them where necessary to ensure that the requirements set out therein are met, as well as document the review processand the outcomes thereof and include that information in the report referred to in Article 9(3)>>
  • reporting: sono indicati i dettagli del relativo dovere all’art. 13
  • doveri di rimozione entro 24 ore, art. 14: <<remove or disable access in all Member States of one or more specific items of material >> (notare l’oggteto: specific items)
  • doveri di bloccaggio, art. 16 (articolo importante, come comprensibile, prob. il più imporante assieme a quelli di indagine e di rimozione): << take reasonable measures to prevent users from accessing known child sexual abuse material indicated by all uniform resource locators on the list of uniform resource locators included in the database of indicators [ex art. 44]>>, c.1 (annosa questione del grado di precisione nell’indicazione dei siti).
  • responsabilità, art. 19: Providers of relevant information society services shall not be liable for child sexual abuse offences solely because they carry out, in good faith, the necessary activities to comply with the requirements of this Regulation, in particular activities aimed at detecting, identifying, removing, disabling of access to, blocking or reporting online child sexual abuse in accordance with those requirements.

Precisaizone praticamente utile , avendo alcuni ipotizzato che il cercare di prevenire eliminerebbe la possibilità di dire <non sapevo>. Teoricamente però inutile sia perchè si tratta di adempimento di dovere giudirico , sia perchè non c’è alcun concorso colposo nell’illecito (hosting di materiale vietato) se si adottano strategie informatiche di contrasto che richiedono magari un certo tempo per la implementazione e l’affinamento.

  • grosso problema sarà quello dei costi attuativi per i provider di minori dimensioni. 

La senatrice Warren chiede ad Amazon di modificare il suo algoritmo per combattere la misinformation: è inibizione del diritto di parola a carico delle pubblicazioni contrarie al mainstream e da ciò penalizzate?

Affronta in via sommaria il tema il Western District of Washington at Seattle, 9 maggio 2022, Case No. 2:21-cv-01508-BJR, giudice Barbara Rothstein, Kennedy e altri c. Elizabeth Warren (in proprio e nella funzione) (v. qui la pagina sul caso in CourtListener)

Il libro inibito era <<The Truth About COVID-19>>.

EW scrisse ad Amazon lamentando che favoriva la misinformation in tema di covid.-19 .

Concludeva la lettera byask[ing] [Amazon to] perform an immediate review of [its] algorithms and, within 14 days, provide both a public report . . . and a plan to modify these algorithms.” Id. at 5. The letter also asked Amazon to respond to four questions about its search algorithms and “Best Seller” labels, so that Sen. Warren could “fully understand Amazon’s role in facilitating misinformation about COVID-19 and its actions to address the issue.” Id. at 5-6.

Il libro era stato messo in vendita su Amazon e Barnes§Noble , che -dopo la pubblicità data alla lettera- lo esclusero dalle vendite oppure in modo opaco ne diminuirono la visibilità (overtly demoting, downgrading, or otherwise suppressing The Truth About COVID-19” without informing Plaintiffs. )

Essi citano allora EW per farle ritirare la lettera e inibirle simili condotte in futuro.

La Corte -prevedibilmente- rigetta. A nulla serve il precedente Bantham Books del 1963 invocato dagli attori, ove la censura era stata assai chiara, e analizzato dalla Corte. p. 7-8

First, the “thinly veiled threats” in Bantam Books were very thinly veiled. The commission’s notices were “phrased virtually as orders” and made explicit reference to the attorney general, the police, and the possibility of criminal prosecution. Id. at 67-68. Here, Defendant Warren’s alleged threat is derived primarily from her statements that the circulation of The Truth About COVID-19 was “potentially unlawful” and that COVID-19 misinformation has “led to untold illnesses and death.” Dkt. 8, Exh. A, at 1- 2; see Dkt. 7 at 10-17. Plaintiffs argue that booksellers could interpret these statements as threatening them with “legal liability for wrongful death or homicide.” Plaintiffs will have difficulty establishing that this is a reasonable or likely interpretation of Defendant Warren’s letter. The two noted phrases are not in the same paragraph and, even if they were, equating them to an accusation of homicide requires a vivid imagination. Furthermore, the vast majority of Defendant Warren’s letter is dedicated to persuasion—by arguing, for example, that “[o]ther major technology companies have recognized their role in propagating misinformation” and, unlike Amazon, taken steps to address it. Dk.8, Exh. A, at 5.

Next, Defendant Warren is far removed from the power to legally punish booksellers for continuing to sell The Truth About COVID-19. Although Plaintiffs are correct that “the fact that a public-official defendant lacks direct regulatory or decisionmaking authority over a plaintiff [or third-party publisher] . . . is not necessarily dispositive,” that does not mean it will not be dispositive in most cases. Dkt. 7 at 11 (citing Backpage.com, 807 F.3d at 230).

(…) Put another way, the threat of legal sanctions can act as an unlawful restriction on speech, but a threat will only be perceived as such if there is a realistic chance the threatened action can be carried out. Plaintiffs are unlikely to successfully demonstrate that the booksellers reasonably perceived Defendant Warren’s letter as a threat. Cf. id. at 68 (“The Commission’s notices [were]
phrased virtually as orders [and] reasonably understood to be such by the distributor . . . .”).

In summary, the Court finds that Plaintiffs are unlikely to succeed on the merits of their claim that Defendant Warren’s letter constitutes a prior restraint on speech.

Il fumus boni iuris dunque non viene ravvisato: condivisibilmente , direi.

Altra negata violazione del Primo Emendamento a seguito di blocco di account Twitter per Covid-19 misinformation

Non passa nemmeno qui la domanda di violazione del Primo Emendamento per blocco dell’account Twitter, basata su State action costituita da ingerenze/coercizioni del governo  verso la piattaforma.

Si tratta del Distretto sud dell’Ohio – Eastern division,  Case No. 2:22-cv-1776, 05.05.2022, MARK CHANGIZI c. DEPARTMENT OF HEALTH AND HUMAN SERVICES, et al.

In questo caso però  la domanda era stata avanzata solo verso il servizio sanitario nazionale HHS, non verso Twitter : <<Plaintiffs thus accuse HHS of “instrumentalizing” or “commandeering” Twitter to both censor and “chill” online criticism of the government’s pandemic response—activity which they assert infringed (and, in some respect, continues to infringe) (1) their rights under the First and Fourth Amendments of the United States Constitution, (2) the Administrative Procedure Act (the “APA”), and (3) 42 U.S.C. § 264(a). They now seek a range of declaratory and injunctive relief, including a preliminary injunction which requires HHS to both retract the RFI and abstain “from enforcing coercive policies or conditions that exert pressure upon Twitter and other technology companies to censor users.”>>

Qui interessa solo quella basata sul Primo Emendamento .  Il giudice non ne accerta alcuna vioalzione , alla luce della carenza di prova di coerzcizione di HHS verso Twitter e , sicchè non viene ravvisata State action : << To that end, the Court agrees with HHS that its efforts to confront COVID-19 misinformation, as alleged, do not “reasonably” constitute an exercise of “coercive power” over Twitter. Blum, 457 U.S. at 1004. Thus, because Plaintiffs’ allegations do not pass muster under the “state compulsion” framework, and because they do not make any colorable argument that any other exception to the state-action doctrine applies, Plaintiffs’ First Amendment claim fails>>, p 28

C’è da chiedersi se non ci sia responsabilità professionale per il legale che consigli simili azioni , dato il fermo e contrario orientamento giurisprudenziale (erano state però avanzate anche altre domande giudiziali, oltre a quella basata sul 1° Emend.)

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Responsabilità notarile verso il venditore per aver rogitato inserendo clausola di rinuncia all’ipoteca

Cass. 04.03.2022 n. 7.185, rel. Fiecconi, decide una domanda di danno verso il notario che ha fattio rinunciare il venditore all’ipoteca ex lege, pur sapendo l’acquirente li avrebbe immediatamente rivenduti (come in effetti fece tramite il medesimo notaio).

La SC conferma la decisione di appello che aveva condannato il notaio ai danni.

Alcuni passaggi interssanti:

<<6.2.2.  … Sotto questo profilo, dunque, deve premettersi che – sebbene il notaio non sia, come si legge in ricorso, “un agente immobiliare”, né “un tecnico del catasto o della Agenzia delle Entrate”, risultando pertanto privo di “alcuna competenza” in ordine “al valore che le parti di un contratto assegnano ai diritti che ne sono oggetto” e non rientrando tra i suoi compiti “quello di assistere e garantire le parti in ordine alla economicità delle loro transazioni” – e’, comunque, da tempo “pacifico”, nella giurisprudenza di questa Corte, che “il notaio non è un passivo registratore delle dichiarazioni delle parti, essendo contenuto essenziale della sua prestazione professionale anche il c.d. dovere di consiglio”, il quale “ha per oggetto questioni tecniche, cioè problematiche che una persona non dotata di competenza specifica non sarebbe in grado di percepire, collegate al possibile rischio che una vendita formalmente perfetta possa poi risultare inefficace” (così, in motivazione, Cass. Sez. 2, sent. 29 marzo 2007, n. 7707, Rv. 596051-01). Ancora di recente, peraltro, sulla portata di tale dovere – non a caso recepito, dopo il teste’ menzionato arresto di questa Corte, dall’art. 42 del “codice deontologico” degli esercenti la professione notarile, approvato con Delib. Consiglio Nazionale del Notariato 5 aprile 2008, n. 2/56 – è stato ribadito che “il notaio incaricato dalla redazione e autenticazione di un contratto per la compravendita di un immobile non può limitarsi a procedere al mero accertamento della volontà delle parti e a sovraintendere alla compilazione dell’atto, occorrendo che egli si interessi dell’attività, preparatoria e successiva, necessaria ad assicurare la serietà e la certezza degli effetti tipici dell’atto medesimo e del risultato pratico perseguito ed esplicitato dalle parti stesse, rientrando tra i suoi doveri anche quello di consiglio ovvero di dissuasione” (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 16 marzo 2021, n. 7283, Rv. 660913-01).

Anche la “dissuasione” di una parte contrattuale, al fine di “assicurare la serietà e la certezza degli effetti tipici dell’atto”, e ciò persino quando la sua necessità derivi da attività “successiva” alla predisposizione dell’atto, non e’, dunque, affatto estranea ai doveri del notaio (sul punto si veda, oltre all’arresto da ultimo citato, già Cass. Sez. 3, sent. 15 giugno 1999, n. 5946, Rv. 527535-01), senza che ciò possa ritenersi in contrasto – come assume, viceversa, l’odierno ricorrente – coi doveri di imparzialità ed equidistanza rispetto ai diversi interessi delle parti, sancito dall’art. 41 del già citato codice deontologico.>>

e poi : <<6.2.6   Invero, si è già detto come il notaio, richiesto di una prestazione professionale, “assuma gli obblighi derivanti dall’incarico conferitogli dal cliente”, sicché “fanno parte dell’oggetto della prestazione d’opera professionale, anche quelle attività preparatorie e successive, necessarie perché sia assicurata la serietà e certezza dell’atto giuridico da rogarsi ed in particolare la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti dell’atto”, con la conseguenza ulteriore che “l’inosservanza di detti obblighi dà luogo a responsabilità contrattuale per inadempimento del contratto di prestazione d’opera professionale, a nulla rilevando che la legge professionale non faccia riferimento a tale responsabilità, posto che essa si fonda sul contratto di prestazione d’opera professionale e sulle norme che disciplinano tale rapporto privatistico” (Cass. Sez. 3, sent. n. 149:34 del 2002, cit.).

Da quanto precede deriva, dunque, che – anche a prescindere dalla possibilità di invocare il disposto dell’art. 28 della Legge Professionale, che dà rilievo, in termini di illecito deontologico, alla fattispecie ivi contemplata, e che non tollererebbe, merce’ il collegamento con l’art. 147 della stessa Legge, “la creazione di un nuovo illecito, caratterizzato dall’essere gli atti, indipendentemente dalla loro nullità, coordinati e finalizzati a scopi illeciti” (Cass. Sez. 3, sent. 12 novembre 2013, n. 25408, Rv. 629531-01) – il dovere, o meglio l’obbligo, di astensione del notaio V. trovava, nella specie, titolo nel “ruolo di protezione e garanzia assunto in conseguenza del conferimento del mandato professionale”, secondo quanto, del resto, testualmente riconosciuto (pag. 7, in part. p. 7.2.4) dalla sentenza impugnata. Espungendo, dunque, dalla stessa il richiamo – come detto, errato – all’art. 28 della L. n. 89 del 1913, il solo riferimento all’art. 1375 c.c., anche in relazione, come si dirà, ma in modo del tutto aggiuntivo ai fini della sussistenza della responsabilità, all’art. 2043 c.c. (quest’ultimo, peraltro, invocato specificamente nell’atto di appello della A.; cfr. pag. 4 della sentenza impugnata) era sufficiente a fondare la responsabilità del notaio V..

Il medesimo, infatti, non poteva ignorare, nel momento in cui svolgeva la sua prestazione d’opera professionale, che le modalità della programmata rivendita (giacché il M., dopo aver acquistato gli immobili dalla A. con pagamento rateale, aveva rivenduto gli stessi per importi di gran lunga inferiori – in due casi, addirittura, del 50%, negli altri due in misura pari o poco sopra tale soglia – rispetto a quelli costituenti oggetto della sua obbligazione ex art. 1498 c.c., comma 1; e, peraltro, in un caso a distanza di tre minuti lo stesso giorno, in un altro lo stesso giorno e negli altri due a breve distanza di tempo, come indicato sopra alle pagg. 5-6), in uno con la rinuncia alla garanzia reale ex art. 2817 c.c., da parte della venditrice, mettevano in serio pericolo, quanto al contratto intervenuto tra i predetti M. e A., la “attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti dell’atto”, precostituendo una situazione di potenziale inadempimento.

In questa prospettiva, dunque, deve apprezzarsi – ovvero, in relazione alla violazione dell’obbligo “ex fide bona”, di cui all’art. 1375 c.c., e alle sue ripercussioni sulla libertà negoziale della A. – la responsabilità del Notaio V., “per avere stipulato gli atti oggetto di causa con inserimento della clausola di rinuncia all’ipoteca legale da parte della venditrice, pur essendo egli a conoscenza della svendita degli immobili da parte dell’acquirente M.”. Di tali operazioni di rivendita il professionista era, infatti, perfettamente a conoscenza, dato che i relativi rogiti vennero, come s’e’ detto, dallo stesso predisposti, in due casi, lo stesso giorno della stipulazione dei contratti di compravendita intervenuti tra la A. e il M. (nella prima occasione, vale a dire quella del 15 ottobre 2012, addirittura a soli tre minuti di distanza l’uno dall’altro), nonché negli altri due casi – il giorno successivo o, comunque, a breve distanza di tempo.

Del resto, proprio con riferimento al contratto d’opera intellettuale concluso da un notaio, questa Corte ha già riconosciuto il rilievo “della clausola generale della buona fede oggettiva o correttezza, ex art. 1175 c.c., quale criterio determinativo ed integrativo della prestazione contrattuale, che impone il compimento di quanto utile e necessario alla salvaguardia degli interessi della controparte” (Cass. Sez. 3, sent. 20 agosto 2015, n. 16990, Rv. 636622-01).

Va sottolineato che le modalità temporali degli atti di rivendita, una volta considerato che nella prassi operativa del notaio la stipula di un atto è necessariamente preceduta dalle consuete e necessarie attività preparatorie, risultano tali da render indiscutibile e percepibile in questa sede come un dato oggettivo che esclude qualsiasi necessità di accertamenti di fatto ulteriori, che il notaio dovesse ex necesse essere consapevole della oggettiva lesività della dichiarazione di rinuncia fatta dalla qui resistente.

Invero, si è già detto come il notaio, richiesto di una prestazione professionale, “assuma gli obblighi derivanti dall’incarico conferitogli dal cliente”, sicché “fanno parte dell’oggetto della prestazione d’opera professionale, anche quelle attività preparatorie e successive, necessarie perché sia assicurata la serietà e certezza dell’atto giuridico da rogarsi ed in particolare la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti dell’atto”, con la conseguenza ulteriore che “l’inosservanza di detti obblighi dà luogo a responsabilità contrattuale per inadempimento del contratto di prestazione d’opera professionale, a nulla rilevando che la legge professionale non faccia riferimento a tale responsabilità, posto che essa si fonda sul contratto di prestazione d’opera professionale e sulle norme che disciplinano tale rapporto privatistico” (Cass. Sez. 3, sent. n. 149:34 del 2002, cit.).

Da quanto precede deriva, dunque, che – anche a prescindere dalla possibilità di invocare il disposto dell’art. 28 della Legge Professionale, che dà rilievo, in termini di illecito deontologico, alla fattispecie ivi contemplata, e che non tollererebbe, merce’ il collegamento con l’art. 147 della stessa Legge, “la creazione di un nuovo illecito, caratterizzato dall’essere gli atti, indipendentemente dalla loro nullità, coordinati e finalizzati a scopi illeciti” (Cass. Sez. 3, sent. 12 novembre 2013, n. 25408, Rv. 629531-01) – il dovere, o meglio l’obbligo, di astensione del notaio V. trovava, nella specie, titolo nel “ruolo di protezione e garanzia assunto in conseguenza del conferimento del mandato professionale”, secondo quanto, del resto, testualmente riconosciuto (pag. 7, in part. p. 7.2.4) dalla sentenza impugnata. Espungendo, dunque, dalla stessa il richiamo – come detto, errato – all’art. 28 della L. n. 89 del 1913, il solo riferimento all’art. 1375 c.c., anche in relazione, come si dirà, ma in modo del tutto aggiuntivo ai fini della sussistenza della responsabilità, all’art. 2043 c.c. (quest’ultimo, peraltro, invocato specificamente nell’atto di appello della A.; cfr. pag. 4 della sentenza impugnata) era sufficiente a fondare la responsabilità del notaio V..

Il medesimo, infatti, non poteva ignorare, nel momento in cui svolgeva la sua prestazione d’opera professionale, che le modalità della programmata rivendita (giacché il M., dopo aver acquistato gli immobili dalla A. con pagamento rateale, aveva rivenduto gli stessi per importi di gran lunga inferiori – in due casi, addirittura, del 50%, negli altri due in misura pari o poco sopra tale soglia – rispetto a quelli costituenti oggetto della sua obbligazione ex art. 1498 c.c., comma 1; e, peraltro, in un caso a distanza di tre minuti lo stesso giorno, in un altro lo stesso giorno e negli altri due a breve distanza di tempo, come indicato sopra alle pagg. 5-6), in uno con la rinuncia alla garanzia reale ex art. 2817 c.c., da parte della venditrice, mettevano in serio pericolo, quanto al contratto intervenuto tra i predetti M. e A., la “attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti dell’atto”, precostituendo una situazione di potenziale inadempimento.

In questa prospettiva, dunque, deve apprezzarsi – ovvero, in relazione alla violazione dell’obbligo “ex fide bona”, di cui all’art. 1375 c.c., e alle sue ripercussioni sulla libertà negoziale della A. – la responsabilità del Notaio V., “per avere stipulato gli atti oggetto di causa con inserimento della clausola di rinuncia all’ipoteca legale da parte della venditrice, pur essendo egli a conoscenza della svendita degli immobili da parte dell’acquirente M.”. Di tali operazioni di rivendita il professionista era, infatti, perfettamente a conoscenza, dato che i relativi rogiti vennero, come s’e’ detto, dallo stesso predisposti, in due casi, lo stesso giorno della stipulazione dei contratti di compravendita intervenuti tra la A. e il M. (nella prima occasione, vale a dire quella del 15 ottobre 2012, addirittura a soli tre minuti di distanza l’uno dall’altro), nonché negli altri due casi – il giorno successivo o, comunque, a breve distanza di tempo.

Del resto, proprio con riferimento al contratto d’opera intellettuale concluso da un notaio, questa Corte ha già riconosciuto il rilievo “della clausola generale della buona fede oggettiva o correttezza, ex art. 1175 c.c., quale criterio determinativo ed integrativo della prestazione contrattuale, che impone il compimento di quanto utile e necessario alla salvaguardia degli interessi della controparte” (Cass. Sez. 3, sent. 20 agosto 2015, n. 16990, Rv. 636622-01).

Va sottolineato che le modalità temporali degli atti di rivendita, una volta considerato che nella prassi operativa del notaio la stipula di un atto è necessariamente preceduta dalle consuete e necessarie attività preparatorie, risultano tali da render indiscutibile e percepibile in questa sede come un dato oggettivo che esclude qualsiasi necessità di accertamenti di fatto ulteriori, che il notaio dovesse ex necesse essere consapevole della oggettiva lesività della dichiarazione di rinuncia fatta dalla qui resistente..

Orbene, questa Corte ha pure ritenuto che “identica necessità di garantire la più ampia tutela possibile alla libertà negoziale si pone non solo rispetto al comportamento di ciascuno dei paciscenti, ma anche di terzi, ivi compreso il notaio incaricato della redazione dell’atto” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 30 gennaio 2019, n. 2525, Rv. 652482-01). Sicché non possono esservi dubbi sul fatto che incomba anche su tale professionista il dovere – la cui violazione è da apprezzare, come visto, a norma degli artt. 1375 e 2043 c.c. – di conformare la propria condotta al canone della correttezza, “astenendosi da comportamenti maliziosi o anche solo reticenti” suscettibili di influire sulla libertà negoziale di una delle parti, nel senso appena chiarito, ovvero, di determinare la conclusione di un contratto che, sebbene valido, risulti non pienamente conforme alla sua volontà (che, peraltro, il predetto professionista, ai sensi della L. n. 89 del 1913, art. 42, è tenuto ad “indagare”). Ricorrendo tale ipotesi, dunque, sarà configurabile una pretesa risarcitoria da ragguagliare al “minor vantaggio o al maggiore aggravio economico” che risulti “determinato dal contegno sleale” (cfr., con riferimento al comportamento di uno dei paciscenti, poi divenuto parte del contratto, Cass. Sez. 1, sent. n. 19024 del 2005, cit.)..>>

La decisione va condivisa,

Principio di diritto: “incorre in responsabilità per inadempimento del contratto d’opera professionale, quanto ai doveri comportamentali riconducibili a quello di adempiere il rapporto di prestazione d’opera secondo buona fede ai sensi dell’art. 1375 c.c., il notaio che roghi quattro atti di compravendita, con previsione di pagamento rateale e con dichiarazione di rinuncia della venditrice all’iscrizione di ipoteca legale, allorquando risulti che egli abbia rogato altri quattro atti di rivendita a terzi da parte dello stesso acquirente, di cui due lo stesso giorno ed altri due pochi giorni dopo”.

Altro rigetto di domanda per presunta violazione del Primo Emendamento a seguito di blocco di account Facebook e Twitter

Implacabile la giurisprudenza USA nel continuare ad affermare che la protezione costituzionale del diritto di parola è concessa solo verso lo Stato o organi pubblici,  non verso privati (quali sono i pur giganteschi social media).

Ora è la volta del Distretto Nord della California a firma del giudice Breyer con provv. 5 maggio 2022, Case 3:22-cv-00737-CRB , Hart. c. Facebook e altri , a seguito di blocco dell’account per ripetuta disinformazione soprattutto in tema di covid-19.

Misinformazione che violava i terms of service (Facebook:  forbade users from sharing “anything . . . [t]hat is unlawful, misleading, discriminatory, or fraudulent.”; Twitter: prohibits using “Twitter’s services to share false or misleading information about COVID-19 which may lead to harm.”).

In particolare sono rigettate le due modalità prospettate dall’attore, evidentemente per superare il dettato costituzionale e la sua interpretazione corrente. Infatti non ricorre nè la cd joint action (tra privato e potere pubblico; v. nota 4 << It is still more difficult to understand how general legislative debates, such as those surrounding Section 230, could provide a President with coercive power over a private company sufficient to confer state action>>) nè la government coercicion, pp. 9-15.

Allo scopo, l’attore aveva citato pure il presidente Biden e il responsabile sanitario Murphy in proprio.  In particolare aveva allegato che <<Biden and Murthy “directed” social media platforms to make four changes: (1) to “measure and publicly share the impact of misinformation on their platform”; (2) to “create a robust enforcement strategy that bridges their properties and provides transparency about the rules”; (3) to “take faster action against harmful posts” because “information travels quite quickly on social media platforms”; and (4) to “promote quality information in their feed algorithm.” Id. ¶¶ 14-17. Hart also alleges that Biden directed Murthy to create a 22-page advisory with “instructions on how social media companies should remove posts with which Murthy and Biden disagree.” Id. ¶ 18.  Finally, Hart alleges that Biden “threatened” social media companies who do not comply by “publicly shaming and humiliating them, stating, ‘They’re killing people”)>>.

Da noi per fortuna l’art. 2 Cost. si applica pacificamente pure verso i soggetti privati.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Ancora sul diritto di parola vs. Twitter : non c’è violazione del Primo emendamento poichè non è State Actor (sul caso Trump c. Twitter)

Altra decisione nella lite Trump e altri c. Twitter (Distr. Nord della California , 6 maggio 2022, case 3:21-cv-08378-JD ) prodotta dalla nota censura  operata da Tw. contro il primo.

Anche qui va male all’ex presidente: Tw. no è State ACtor in alcun modo e dunque egli non può appellarsi al diritto di parola del Primo Emendamento.

Notare l’inziale understatement del collegio: <<Plaintiffs are not starting from a position of strength. Twitter is a private company, and “the First Amendment applies only to governmental abridgements of speech, and not to alleged abridgements by private companies>>.

<<Plaintiffs’ only hope of stating a First Amendment claim is to plausibly allege that Twitter was in effect operating as the government under the “state-action doctrine.” This doctrine provides that, in some situations, “governmental authority may dominate an activity to such an extent that its participants must be deemed to act with the authority of the government and, as a result, be subject to constitutional constraints>>.

<< The salient question under the state action doctrine is whether “the conduct allegedly causing the deprivation of a federal right” is “fairly attributable to the State.” >>

Si pensi che, circa la prova della state action nel caso specifico ,  <<in plaintiffs’ view, these account actions were the result of coercion by members of Congress affiliated with the Democratic Party>>!!

E’ pure rigettata la domadna di esame della costituzionalità del § 230 CDA perchè manca la injury richiesta allo scopo

Asserita violazione di copyright da parte di Pinterest rigettata per l’operatività del safe harbour ex 512.c DMCA

Un fotografo lamenta la riproduzione illecita di sue fotografie in Pinterest (P.).

Precisamente  lamenta non il fatto che altri utenti le carichino o le appuntino o lo faccia P. (verosimilmente ci sarà licenza concordata con/imposta da P. a proprio favore); bensì il fatto che P. le proponga nei feed altrui in abbinamento ad inserzioni pubblicitarie.

P. eccepisce il safe harbour ex § 512.c DMCA.

Il distretto nord della California decide la lite con provvedimento 3 maggio 2022, Davis c. PinterestCase 4:19-cv-07650-HSG , rigettando la domanda per l’esimente predetta.

la sentenza pare corretta, alla luce del tenore delle disposizoni di legge. L’attore aveva invece eccepito la mancanza tra gli altri del requisito dello storage dei materiali altrui .

La sentenza è ineressante perchè esamina il funzionamento di P.

Dice, poi,  che manca la prova per cui P. modifichierebbe il lavoro artistico inserendovi pubblicità: infatti i due newsfeed (pins degli utenti e inserzioni pubblicitarie) sono prodotti da due distinti algoritmi, pp.19-20 e 23/4.

Non c’è violazione di copyright: To the extent that Plaintiff suggests tracking user activity through algorithms or displaying  advertising on the platform is somehow copyright infringement, he offers no support for this novel theory.5 See, e.g., Dkt. No. 176 at 7 (“The undisputed evidence is that the users never asked to be  tracked using the Variants that Pinterest created from Plaintiff’s Works . . . .”). Copyright infringement requires Plaintiff to establish that Pinterest “violate[d] at least one exclusive right granted to copyright holders under 17 U.S.C. § 106.” Perfect 10, Inc. v. Amazon.com, Inc., 508 F.3d 1146, 1159 (9th Cir. 2007). Neither tracking users’ activity nor displaying advertising near  Plaintiff’s works violates Plaintiff’s exclusive rights. But even if this did constitute infringing  activity, such conduct would still fall within § 512(c)’s protection., p. 23.

Esamina anhe il grado di dettaglio cui è tenuto l’attore nell’individuare le vioalzioni: tutte le 51 foto azionate o alcune solo, a titolo di esempio (III.A.i, p. 9)? Vecchia questione anche da noi in tema di responsabilità degli internet provider …

Infine manca pure il financial benefit, che deve essere provato relativamene alle vioalzioni specificamente azionate e non -in generale – relativametne al modello di business del convenuto  (altra vecchia questione nazionale  …). Si badi però che nel diritto usa il requisito è espressamente preevisto.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Obbligo informativo del venditore sulla garanzia prestata al consumatore acquirente: precisazioni dalla Corte di Giustizia

Corte di Giustizia 05.05.2022, C-179/22, absoluts c. the-trading-company, dà indicazioni sull’informazione dovuta al consumatore intorno alla garanzia ex art. 6 1.m) della Dir. 2011/83 (da noi art. 41.1.o),  cod. cons. , d. lgs. 206/2005).

Sull’AN : l’informazione della esistenza della garanzia prestata va data (manco a dirlo) se … è centrale o determinante per l’acquirente:  <<l’obbligo di informazione posto a carico del professionista da tale disposizione sorge non già per il semplice fatto dell’esistenza di tale garanzia, ma soltanto qualora il consumatore abbia un interesse legittimo ad ottenere informazioni in merito a detta garanzia per poter prendere la sua decisione di vincolarsi contrattualmente al professionista. Un tale interesse legittimo è dimostrato, in particolare, quando il professionista fa della garanzia commerciale del produttore un elemento centrale o determinante della sua offerta.

Al fine di determinare se la garanzia commerciale del produttore costituisca un tale elemento centrale o determinante, occorre tener conto del contenuto e della configurazione generale dell’offerta rispetto al bene in questione, dell’importanza, in termini di argomento di vendita o di messaggio pubblicitario, della menzione della garanzia commerciale del produttore, della posizione occupata da tale menzione nell’offerta, del rischio di errore o di confusione che tale indicazione potrebbe indurre nella mente del consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e sensibile ai diversi tipi di garanzie che egli può esercitare o all’effettiva identità del garante, della presenza o meno, nell’offerta, di spiegazioni relative alle altre garanzie collegate al bene nonché di qualsiasi altro elemento idoneo a dimostrare un’esigenza oggettiva di tutela del consumatore.>>, § 53.

Sul contenuto informativo (e cioè -nella domanda del giudice tedesco a quo- circa il rapporto col più dettagliato disposto di cui alla dir. 1999/44, art. 6.2, secondo trattino):   <<l’articolo 6, paragrafo 1, lettera m), della direttiva 2011/83, in combinato disposto con l’articolo 6, paragrafo 2, secondo trattino, della direttiva 1999/44, deve essere interpretato nel senso che le informazioni che devono essere fornite al consumatore in merito alle condizioni relative alla garanzia commerciale del produttore comprendono qualsiasi elemento informativo che riguardi le condizioni di applicazione e attuazione di una tale garanzia, che consenta al consumatore di prendere la propria decisione di vincolarsi contrattualmente o meno al professionista.>>.        Ovvio,  tutto sommato: senza dati di dettaglio, che infomazione sarebbe?