In tema di individuazione del soggetto onerato di provare la qualità di erede del debitore, Cass. sez. 3 n. 13.851 del 6 luglio 2020, rel. Graziosi, offre interessanti spunti di riflessione.
Ne ho notizia da Sassani, L’onere della prova al tornante del mezzo secolo. Rapsodia su un tema di Giovanni Verde, Riv. dir. proc. 2022/2, p. 425.
La sentenza di appello aveva onerato i non accettanti l’eredità materna di dare prova della mancanta acccettazione.
La SC concorda e osserva così sul spunto rilevante (in generale):
<<3.7 Invero, il principio della prossimità o vicinanza della prova (principio ormai pienamente generale, che viene applicato nei più diversi settori: cfr., da ultimo, Cass. sez. 6-3, ord.9 gennaio 2020 n. 297, Cass. sez. 3, 11 novembre 2019 n. 28985, Cass. sez. 5, 17 luglio 2019 n. 19190 e Cass. sez. L, 29 marzo 2018 n. 7830) è il parametro della relatività, in riferimento ai principi costituzionali e sovranazionali, dell’automatismo insito nell’art. 2697 c.c.: non, quindi, un mezzo per eluderlo, bensì un presidio sistemico per impedirne l’abuso, id est la trasformazione del dispositivo processuale in un’inaccettabile ostacolo alla tutela dei diritti sostanziali. Il che, infatti, si correla all’intervenuto inserimento dell’art. 24 Cost., identificante gli strumenti processuali garantiti ai litigatores – nel paradigma del giusto processo riconducibile (soprattutto) al novellato art. 111 Cost. e all’art. 6 CEDU: non vale la forma dei suddetti strumenti se non è coerente e compatibile con lo scopo del processo, e ciò significa integrale orientamento teleologico delle strutture di rito per conseguire nella maggiore misura raggiungibile la decisione di merito (v. p. es., Cass. sez. 3, 11 febbraio 2009 n. 3362, per cui il principio del giusto processo impone “di discostarsi da interpretazioni suscettibili di ledere il diritto di difesa della parte ovvero ispirate ad un formalismo funzionale non già alla tutela dell’interesse della controparte ma piuttosto a frustrare lo scopo stesso del processo, che è quello di consentire che si pervenga ad una decisione di merito”; e cfr. Cass. sez. L, 1 agosto 2013 n. 3362). Allora la prossimità/vicinanza della prova trae le conseguenze dalla peculiare natura di fattispecie in cui di una ordinariamente agevole possibilità di fornire la prova fruisce una parte soltanto, svincolando dall’usuale canone di ripartizione degli oneri probatori delineato dall’art. 2697 c.c.. Ma il condizionante inserimento, appunto, dell’art. 2697 c.c., nel sistema rende insito nella norma il limite al suo dettato letterale, nel senso che la ripartizione come letteralmente prevista deve attuarsi soltanto laddove non generi una disparità tra i litigatores che conduca lo strumento processuale a fuoriuscire dalla necessaria parità funzionale, il rito dunque ostacolando il conseguimento del merito.
Il relativismo in tal senso delle singole norme non può, infatti, essere negato e respinto, pena la strumentalizzazione di queste a favore del fenomeno antigiuridico dell’abuso, la cui ipotizzabile configurabilità vale “a contrario” come parametro interpretativo nel settore del rito, in quanto costituisce l’inverso del “giusto processo”.>>.
Applicando ciò al caso sub iudice:
<< 3.8 Applicando allora l’art. 2697 c.c., nella sua pregnanza sistemica, non può negarsi che la parte, per così dire, vocata alla prova del passaggio o meno del chiamato alla qualità di erede è il chiamato stesso, l’esercizio della sua volontà opzionale generando la stretta prossimità alla prova nonchè semplificando e accelerando il fenomeno processuale in rapporto a quello che diverrebbe se non venisse adeguato e sintonizzato ad esso anche l’ulteriore fenomeno successorio (in termini di prescrizione e di procedimenti “esterni” specifici).
In conclusione, consono ai valori sistemici è l’orientamento più recente, fondato sulla prossimità della prova e al quale questo collegio ritiene di aderire così come ulteriormente chiarito, non apparendo neppure – si nota ad abundantiam – necessario investire il più elevato giudice nomofilattico in quanto proprio la sussistenza di tali valori inibisce con evidenza l’impostazione dell’ulteriore orientamento, insorto in epoca ben anteriore alla loro introduzione, costituzionale e sovranazionale, appunto nel sistema.
In considerazione, allora, del principio della prossimità della prova – presidio ontologicamente sistemico che apporta al canone dell’art. 2697 c.c., una specifica tutela dal suo abuso deve affermarsi che spetta ai chiamati all’eredità di un soggetto deceduto nelle more di un processo, e conseguentemente convenuti in riassunzione, in primis allegare e quindi dimostrare di non esserne divenuti eredi.>>
Però la vicinanza alla prova è un criterio per applicare l’art. 2697 e cioè per categorizzare i fatti in cost. imped. estint. , quando ciò non sia chiaro. Se invece la disposizione è chiara e si lede il diritto di difesa, la soluzione è la dichiarazione di incostituzionalità.