Collegamento negoziale tra contratto di vendita di pannelli solari e contratto di finanziamento bancario

Trib. Torino 25.03.2022 n. 1315, RG 31491/2019, g.u. Di Capua, affronta il tema in oggetto e accoglie la domanda di annullamento della fornitura per dolo e conseguemente anche del contratto di finanziamemnto (offerto da nota banca).

Decisione interessante per più profili.

Premessa generale:  << 3.5.3. Il collegamento negoziale può, peraltro, attuarsi in due differenti forme: si può avere
collegamento bilaterale (o plurilaterale), nel qual caso si avrà condizionamento reciproco delle vicende
che coinvolgono i contratti, o collegamento unilaterale, nel qual caso le vicende che coinvolgono uno
dei contratti saranno in grado di ripercuotersi sull’uno o più altri contratti, senza che, però, possa
accadere il contrario (cfr. Cass. civ., sez. I, 5 giugno 2007, n. 13164; Cass. civ., sez. I, 8 luglio 2004, n.
12567; Cass. civ., sez. II, 6 settembre 1991, n. 9388).
Si è detto che, nel caso concreto oggetto di causa, i contratti sono collegati, e che il collegamento
postula la volontà di realizzare un obiettivo economico unitario per il raggiungimento del quale le parti
stipulano più di un negozio. Il contratto di fornitura e il contratto di finanziamento posti in essere dalle
parti in causa hanno ad oggetto il compimento di un’operazione unitaria, ossia l’acquisto da parte della
sig.ra DONATINI – e quindi la vendita da parte di GREEN STYLE – di un impianto fotovoltaico.
Il contratto di finanziamento interviene per permettere al consumatore, parte attrice, di effettuare
l’acquisto in questione.
Il contratto di compravendita e il contratto di finanziamento non si pongono, perciò, sullo stesso piano:
il primo costituisce il contratto principale, mentre il secondo è contratto accessorio, dipendente dal
contratto di fornitura, in quanto non avrebbe ragion d’essere in mancanza di esso. Si aggiunga che la
stessa intestazione del contratto reca “Prestito Finalizzato Deutsche Bank Easy”, e che l’individuazione
del bene al cui acquisto è finalizzato il prestito, come detto, è indicato a pagina due del medesimo
contratto.
Ciò chiarito, la fattispecie si inserisce nella figura di collegamento negoziale unilaterale e,
conseguentemente, le vicende che coinvolgono il contratto di fornitura si ripercuotono sul contratto di
finanziamento, mentre non avviene il contrario
>>

Poi: <<3.6.1. La parte attrice chiede l’annullamento del contratto di fornitura per dolo ex articolo 1439
c.c.. Dato il collegamento tra i contratti, l’annullamento dev’essere eventualmente valutato con
riguardo alla condotta tenuta da parte convenuta GREEN STYLE, e non con riguardo al
comportamento di DEUTSCHE BANK – Easy (nel qual caso si dovrebbero riscontrare i presupposti di
cui all’articolo 1439, comma 2, c.c.), poiché rilevante è, come osservato, unicamente il contratto
principale.
Affinché possa essere chiesto e ottenuto l’annullamento del contratto occorre valutare se uno dei
contraenti è ricorso all’utilizzo di raggiri al fine di determinare nell’altra parte la volontà di contrattare,
e i raggiri devono essere tali che, senza di essi, il contraente che chiede l’annullamento non avrebbe
contrattato>>

Importante pure la precisazione sulla corretteza nelle trattative:  << GREEN STYLE, nella persona del suo agente, avrebbe dovuto assicurarsi che la sig.ra DONATINI
avesse realmente capito l’entità dell’intera operazione e il suo costo, nonché le implicazioni che la
stipula del contratto avrebbe comportato. Oltre a ciò si aggiunge che la pagina iniziale del contratto
reca “Proposta di adesione per casa efficiente”, denominazione che può trarre in inganno il
consumatore che, convinto di sottoscrivere un atto preliminare alla conclusione del contratto, effettua
in realtà una proposta contrattuale, restando quindi ad essa vincolato, mentre il professionista rimane
libero da ogni obbligazione non avendo ancora accettato la proposta; il termine per il recesso, inoltre, è
fatto decorrere dalla sottoscrizione del consumatore (cfr. doc. 1 e doc. 10, punto 32, pagine 8 e 9 e
pagine 27 ss., prodotti dalla parte attrice).
Il principio di buona fede e correttezza è principio generale che regola i rapporti contrattuali cui tutte le
parti devono ispirarsi e attenersi, ed è principio codificato all’articolo 2, comma 2, lett. c-
bis), e) ed
all’articolo 5, comma 3 del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, nonché, in ogni caso, all’articolo 1337
c.c..
L’agente sig. NICETTO Manuel e, quindi, la società GREEN STYLE avrebbe dovuto accertarsi che le
condizioni del contratto fossero state ben comprese dalla sig.ra DONATINI, anche avuto riguardo alla
condizione economica e all’esperienza di quest’ultima, ricordando, nuovamente, che si trattava di
contraente-consumatrice
>>

Inoltre, è pratica commerciale sleale, P. 22-23, anche se non ne son tratte conseguenze guridiche.

Sull’estensione dell’annullamento al rapporto di finanziameno (forse il punto più imporante): << 3.7. Dovendosi annullare il contratto di compravendita dell’impianto fotovoltaico stipulato da parte
attrice sig.ra DONATINI e parte convenuta GREEN STYLE, data la sussistenza del collegamento
negoziale, dev’essere altresì annullato il contratto di finanziamento stipulato dalla sig.ra DONATINI e
DEUTSCHE BANK – Easy.
L’interdipendenza dei contratti considerati certamente sussiste nel caso di specie, sebbene in modo
unilaterale, con la conseguenza che è il solo contratto di finanziamento ad essere dipendente dal
contratto principale di fornitura, e fa sì che vi debba essere regolamentazione unitaria delle vicende
relative alla permanenza del vincolo contrattuale, che si risolve nell’applicazione del principio per cui
simul stabunt, simul cadent (cfr. giurisprudenza di legittimità Cass. civ., sez. II, 9 settembre 2021, n.
24389; in senso conforme Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2019, n. 27406; Cass. civ., sez. III, 10 ottobre
2014, n. 21417; Cass. civ., sez. III, 22 marzo 2013, n. 7255; Cass civ., sez. III, 12 luglio 2005, n.
14611, ripresa dalla giurisprudenza di merito: Corte d’Appello di Napoli, sez. VII, 13 maggio 2020, n.
1706; Trib. Rimini, sez. I, 23 febbraio 2021, n. 192; Trib. Napoli, sez. II, 15 settembre 2017, n. 9262;
Trib. Milano, sez. I, 3 dicembre 2014, n. 14378).
>>

Nè ce’ stata volontaria esecuzione copnsapebole: << La parte convenuta GREEN STYLE ha eccepito che la parte attrice avrebbe dato volontaria
esecuzione al contratto di fornitura pur conoscendone il motivo di annullabilità, convalidando il
contratto stesso ai sensi dell’articolo 1444 c.c. e rinunciando, così, all’azione di annullamento.
La predetta parte convenuta menziona dapprima la lettera di risposta di GREEN STYLE indirizzata a
parte attrice DONATINI facente seguito alla richiesta alla convenuta di interfacciarsi con il GSE per il
caricamento della pratica al fine di conservare il diritto alla percezione degli incentivi legati al
fotovoltaico e, in secondo luogo, la lettera inviata dalla parte attrice per mezzo dell’Associazione
Consumatori Piemonte, in data 10 dicembre 2018, avente ad oggetto la manifestazione della volontà di
recedere dal contratto stipulato in data 9 novembre 2016 con GREEN STYLE (cfr. doc. 4 di parte
attrice DONATINI).

Peraltro, in nessuna delle due lettere sopra citate si può, invero, ravvisare una convalida tacita del
contratto di compravendita.

La richiesta della sig.ra DONATINI a GREEN STYLE di interfacciarsi con il GSE aveva il solo scopo
di non perdere il diritto agli incentivi in un’ottica di tutela delle proprie ragioni economiche, poiché
l’impianto era ormai stato installato e allacciato, mentre solo successivamente era pervenuto avveniva il
sollecito da parte di DEUTSCHE BANK – Easy al pagamento delle rate dovute in esecuzione del
contratto di finanziamento.
La seconda lettera (10 dicembre 2018) non può essere letta come tacita convalida del contratto, poiché
manifesta la volontà della sig.ra DONATINI di avvalersi del diritto di recesso dallo stesso.
Il sollecito da parte di DEUTSCHE BANK – Easy al pagamento delle rate avveniva nel 2017, e la
seconda lettera è datata 10 dicembre 2018. Contrariamente a quanto affermato da parte convenuta
GREEN STYLE, perciò, non sono trascorsi quasi quattro anni dalla stipula del contratto senza che
l’attrice abbia mai lamentato alcunché, non potendosi considerare la citazione in giudizio come prima
manifestazione della volontà di interrompere il rapporto con parte convenuta (cfr. pagine 6-7 comparsa
conclusionale GREEN STYLE).
>>

Processualmente poi la mancata parteciapzione alal mediazione (avvocati non muniti di idonea procura) è argomento di prova, come ex lege: << Nel caso di specie, dalla mancata partecipazione delle parti convenute all’incontro con il mediatore
senza giustificato motivo, devono dunque trarsi ulteriori argomenti di prova a sostegno della fondatezza
delle predette domande proposte dalla parte attrice e dell’infondatezza delle domande ed eccezioni
proposte dalle parti convenute.
>,p. 27

C’è condanna ad un facere e cioè alla rimozione dei pannelli a spese del venditore.

C’è pure condanna ad euro 2.000 per danno non patrimonuiale ex art. 2059 cc-185.2 cod. pen, con accertamento incidentale del reato di usura ex art. 644 cp [mi pare una svista, probabilmente intendeo il giudice il reato di truffa ex art. 640 c.p, vertendosi su un caso di dolo).

Processualmente, infine, rigetta la domanda di manleva della banca finanziatrice perchè non aveva chiesto lo spostamento della prima udienza ex art. 167.3 e 269.2 cpc, operante anche in caso di domanda c.d. trasvesale

L’obbligo di vaccinazione per i docentri non è contrario a Costituzione nè a normativa europea: così il Trivbunale di Venezia

Il Tribunale di Venezia, sez. lavoro, con sent. 443 del 05.07.2022, RG 1900/2021, C.M. c. Ministero Istruzione, Uff. Scolastico per il Veneto e Istituto comprensivo D.A. di Venezia, ha così deciso su un’ impugnazione della sospensione per omnessa vacciaznione.

La motivazione :

<< Sul punto va data continuità a consolidato univoco orientamento della
Sezione, di piena adesione alla condivisibile valutazione di conformità della
prescrizione vaccinale alla Costituzione e alla normativa comunitaria come
approfonditamente argomentata, con riguardo al personale sanitario, fin dalla
nota prima sentenza del Consiglio di Stato sentenza del 20.10.2021 n. 7045.
Vanno in particolare richiamate le seguenti considerazioni :
– che nella campagna vaccinale sono utilizzati prodotti non già
sperimentali e ad uso di emergenza, bensì regolarmente autorizzati dalla
Commissione, previa raccomandazione dell’EMA, attraverso la procedura di
autorizzazione condizionata, che costituisce strumento collaudato, non incide
sui profili di sicurezza del farmaco e nello specifico poggia su un quadro
solido e controllato tale da garantire un elevato livello di protezione dei
cittadini ( = a sei mesi efficacia preventiva del 96% quanto ai ricoveri e del
99% quanto ai decessi)
, tanto da costituire una misura essenziale della
strategia dell’Unione in materia di vaccini, e da realizzare, alla luce delle
risultanze statistiche, un bilanciamento rischi/benefici assolutamente
accettabile ( parr 25 – 30 sentenza);
– che la vaccinazione obbligatoria selettiva introdotta dall’art. 4 del d.l.
n. 44 del 2021 per il personale di interesse sanitario risponde a una chiara
finalità di tutela non solo, e anzitutto, di questo personale sui luoghi di lavoro
e, dunque, a beneficio della persona, ma a tutela degli stessi pazienti e degli
utenti della sanità, pubblica e privata, secondo il principio di solidarietà che
anima la Costituzione (par 31.1.)

– che nel bilanciamento tra il valore dell’ autodeterminazione
individuale e quello della tutela della salute pubblica, compiuto dal legislatore
con la previsione dell’obbligo vaccinale nei confronti del solo personale
sanitario, non vi è dunque legittimo spazio in questa fase per la c.d. esitazione
vaccinale (par 34);
– che le disposizioni della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione
europea (arrt 3, 52), quand’ anche applicabili, non sono violate;
– quanto infine alla natura discriminatoria della previsione, che il
carattere selettivo della vaccinazione obbligatoria è giustificato non solo dal
principio di solidarietà verso i soggetti più fragili, cardine del sistema
costituzionale (art. 2 Cost.), ma immanente e consustanziale alla stessa
relazione di cura e di fiducia che si instaura tra paziente e personale sanitario,
relazione che postula la
sicurezza delle cure, impedendo che chi deve curare e
assistere divenga egli stesso veicolo di contagio e fonte di malattia. La tesi
della prevalenza del diritto di autodeterminazione, pur fondamentale, non
può andare a scapito dell’interesse pubblico alla vaccinazione obbligatoria
degli operatori sanitari, poiché la stessa dignità della persona esige la
protezione della salute di tutti quale interesse collettivo .
Tali argomentazioni sulla natura non discriminatoria della previsione non
sono scalfite dal considerando 36 pagina 7 Regolamento Europeo 953/21
trattandosi di disposizione riguardante lo specifico, diverso, ambito della
libera circolazione delle persone durante la pandemia.
L’ utilità del vaccino nella lotta alla pandemia è stata ribadita dal Consiglio di
Stato anche di recente, evidenziando che gli “
effetti positivi delle vaccinazioni
sul contrasto alla pandemia e alle sue devastanti conseguenze umane, sociali e
di deprivazione della solidarietà quale principio cardine della nostra
Costituzione
” (Cons. St. decreto n. 6401 del 2.12.2021 sub doc. 24 resist.,
seguito da sentenza n. 8454 del 20.12.2021, ordinanza 583/2022 del
04.02.2022 ed infine, ancora, con il decreto reso avverso ricorso ad una
precedente ordinanza di TAR di Venezia nella quale ha potuto esaminare,

ritenendola immune da vizi, la procedura seguita dalle Aziende dalla Regione
Veneto (C.d.S. del 23.12.2021 Reg. Provv. Cau. 06796/21);
Negli stessi termini, ex plurimis, ordinanze del TAR Veneto n. 00551 e 00552
del 22.10.2021 + n. 629 del 2.12.2021, Tar Friuli Venezia Giulia, 10.09.2021,
n. 261; Tar Puglia, 5.08.2021, n. 480, Tribunale di Verona (ordinanza del
24.5.2021, RG 446/2021, ordinanza del 16.6.2021, RG 626/2021), Tribunale
di Vicenza nell’ordinanza del 26.1.2022 (RG 1204/21), Tribunale di Bari,
ordinanza del 15.3.2022, Tribunale di Bergamo ordinanza del 21.1.2022,
Tribunale di Mantova, sentenza del 17.2.2022, n. 30, Tribunale di Milano,
sentenza del 16.3.2022 n. 684, Tribunale di Taranto dell’11.2.2022 n. 355,
Così infine anche questa Sezione, con orientamento univoco: ordinanza
8.11.2021 e ordinanza del 23.5.2022 in RG 377/2022 di questo stesso
giudicante, ordinanza del 10.12.2021 est Menegazzo, ordinanza collegiale del
26.01.2022, ordinanze 7.3.2022 in RG 263/2022 e 17.3.2022 in RG 296/2022
est Bortot .
I noti precedenti di segno opposto esprimono un orientamento minoritario,
non solo sul piano nazionale, ma in molti casi addirittura in sen allo stesso
Tribunale di appartenenza (così in particolare Tribunale di Padova, ordinanze
del 7-17.12.2021 e 28.4.2022).
Questo Giudice, nonostante le difformi pronunce in questione, continua a non
ritenere le questioni sollevate “non manifestamente infondate”.
Come argomentato dai giudici amministrativi nelle pronunce sopra
richiamate, i vaccini in questione non siano farmaci sperimentali e la loro
autorizzazione risponde alla disciplina stabilita dai Regolamenti europei n.
726/2004 e n. 507/2006.
L’autorizzazione proviene dalle autorità regolatorie europea (EMA) e
nazionale (AIFA) e la valutazione di natura tecnica di queste due autorità non
è soggetta ad un sindacato giurisdizionale sostitutivo, quando, come nel caso
di specie, vi sia stato l’apporto di altre amministrazioni con competenze
tecniche esclusive.

E d’ altro canto l’orientamento più volte espresso dalla Corte Costituzionale si
impernia sulla ricostruzione della natura bidimensionale del diritto alla salute
tutelato dall’art. 32 della Costituzione, che riconosce il diritto del singolo e lo
pone in relazione al coesistente diritto degli altri e della collettività.
La Corte Costituzionale ha sempre affermato l’esigenza di ricercare un punto
di bilanciamento e di contemperamento tra il diritto individuale
all’autodeterminazione in materia di trattamenti sanitari e l’esigenza di
salvaguardia della salute della collettività.
In particolare nella sentenza n. 218/2014 ( = illegittimità costituzionale, per
contrasto con l’art. 32 della Costituzione, dell’ art. 5 comma 3 l. 135/1990,
nella parte in cui non prevede accertamenti sanitari dell’assenza di
sieropositività all’infezione da HIV come condizione per l’espletamento di
attività che comportino rischi per la salute dei terzi) la Corte afferma che la
tutela costituzionale della salute non si esaurisce in situazioni attive di
pretesa, ma implica e comprende il dovere dell’individuo di non ledere né
porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza
del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel
reciproco riconoscimento e nell’eguale protezione del coesistente diritto degli
altri, particolarmente in situazioni caratterizzate da malattie contagiose e
infettive.
Proprio la tutela della collettività legittima l’obbligatorietà di accertamenti
sanitari previsti dalla legge, specificamente diretti a chi svolga determinate
attività, come quella sanitaria, in cui sussista un serio rischio di contagio
>>.

Successive utili precisaizoni:

<< La sentenza n. 5/2018 ribadisce i confini che delimitano la costituzionalità
dell’obbligo vaccinale imposto dalla legge, affermandone la compatibilità con
l’art. 32 della Costituzione alle seguenti condizioni: a) se il trattamento è
diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è
assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; b) se si
prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è
obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e,
pertanto, tollerabili; c) se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista

comunque la corresponsione di un’equa indennità a favore del danneggiato, e
ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (principio questo espresso
anche dalle sentenze della Corte Costituzionale n. 258/1994 e 307/1990).
In questa sentenza la Corte ha anche sottolineato come la scelta discrezionale
del legislatore di adottare un sistema di raccomandazione o di obbligo del
vaccino debba fondarsi sulle condizioni sanitarie ed epidemiologiche
accertate dall’autorità preposta (cfr. sentenza n. 268/2017) e delle
acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica (cfr. sentenza n.
282/2002)” .
Riguardo alla scelta legislativa di adottare la misura dell’obbligo vaccinale, si
tratta di una valutazione discrezionale che non può essere censurata in
questa sede e che si fonda su valutazioni degli organi pubblici competenti alla
base della dichiarazione di emergenza sanitaria disposta ai sensi dell’art. 7
comma 1 lettera c) D. Lgs. 1/2008, prorogata con d.l. 105/2021 al 31.12.2021
mentre, con il d.l. 1/2022, è stata disposta l’estensione dell’obbligo vaccinale
fino al 15.6.2022, poi prorogata, per determinate categorie di lavoratori,
perdurando l’esigenza di tutela della salute della collettività, in via transitoria
oltre la formale cessazione dello stato di emergenza, in un complessivo
quadro di graduale superamento delle misure di prevenzione, fino al
31.12.2022.
Va inoltre considerato che la Commissione UE, che, con la direttiva n.
2020/739/UE del 3 giugno 2020, ha modificato l’allegato III della direttiva
2000/54/CE – già modificato dalla direttiva della Commissione
2019/1833/UE del 24 ottobre 2019 – con l’inserimento del virus SARS -CoV –
2 nel gruppo 3 dell’elenco degli agenti biologici, che possono causare malattie
infettive nell’uomo, fondando ulteriormente la scelta del legislatore nel senso
dell’obbligatorietà del vaccino come misura di prevenzione individuale e
collettiva.
D’altronde sotto questo profilo va sottolineato come la vaccinazione oggi a
disposizione non elimina la possibilità di contrarre il virus e di diffonderlo,
ma dalle evidenze scientifiche a disposizione è innegabile che la riduca: è

stato infatti riscontrato con la diffusione dei vaccini un calo sia nei contagi sia
nello sviluppo della malattia grave (ad attività riaperte) ed un’obbiettiva
maggiore necessità di cure in terapia intensiva nei soggetti contagiati non
vaccinati.
Ciò non esclude il carattere di misura di prevenzione del vaccino: del resto
nessun vaccino elimina mai al 100% né la possibilità di contrarre il virus, né
la possibilità di sviluppare la malattia e perciò tale condizione non può
ragionevolmente ergersi quale presupposto per la legittimità dell’obbligo
vaccinale.
Quanto all’incidenza della sospensione del rapporto di lavoro e della
retribuzione, si giustifica per il contemperamento nell’interesse della
collettività alla tutela della salute, nei termini che sono stati precedentemente
messi in evidenza, e nella temporaneità della sospensione .
Le considerazioni che precedono portano a ritenere manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale prospettata dalla
ricorrente così come la prospettata incompatibilità con le norme
dell’ordinamento sovranazionale e internazionale
>

Il caso della confondibilità del marchio CAVA per spumanti

La Commissione di ricorso dell’EUIPO con decisione 22.04.2022, proc. R 981/2021-1, Conmsejo regulador del Cava c. Covides, decide una lite su marchio contenente (anche) il termine CAVA.

Prodotti identici,  solo che l’anteriorità era stata riprodotta con visibilità minima all’interno di un marchio tridimensionale costiotuito da una bottiglia ed etichetta colorata (non è chairo se pure la stessa bottiholia, § 1)

Si vb. la riproduizone grafica dei marchi a paragone a p. 2 e spt. al § 18.

Laconclusione quasi scontata (un’impugnazione al Tribubale UE sarebbe assai azzardati) è che non c’è confondibilità: << Tenuto conto delle considerazioni che precedono e nonostante l’identità dei prodotti dei marchi in conflitto, la tenue somiglianza visiva e concettuale tra i segni e l’assenza di somiglianza fonetica permettono al pubblico di riferimento di
differenziarli senza creare un rischio di confusione. Come argomentato, i marchi
in conflitto coincidono solo nel termine “CAVA”, che è un elemento dotato di
limitata capacità distintiva e, inoltre, non è il termine dominante del marchio
richiesto, che è “CHENINE”. La Commissione reitera l’osservazione della
Divisione di Opposizione secondo la quale i consumatori sono a conoscenza del
fatto che il termine “CAVA” designa un tipo di vino spumante proveniente dalla
Spagna e sono abituati a vedere questo elemento in combinazione con altri
elementi denominativi e diverse caratteristiche grafiche. Per questa ragione, il
pubblico di riferimento si concentrerà sul termine dominante del marchio
contestato “CHENINE” come identificativo dell’origine imprenditoriale dei
prodotti in questione — nonostante la possibile associazione tra parte del
pubblico di riferimento e una tipologia di ualità — rispetto al termine dominante
del marchio anteriore “CAVA”, la cui capacità distintiva è limitata per gli stessi
prodotti
>>, § 33.

(trad. automatica nel database dell’ufficio dell’originale spagnolo).

Sulla distintività del termine CAVA v. il § 28.

D.O.P. e I.G.P. sono protette anche extra UE oppure solo nel mercato europeo? Sull’ambito territoriale della protezione concessa dagli artt. 12-13 reg. 1151/2012

E’ giusta la prima, secondo Corte di Giustizia 14.07.2022 , C-159/20, Commmissione c. REgno di Danimarca.

Le disposizioni rilevanti  sono l’art. 12 e spt. l’art. 13 del reg. UE 1151/2021.

<< 51   Le DOP e le IGP sono quindi protette dal regolamento n. 1151/2012, e in particolare dall’articolo 13 di quest’ultimo, in quanto diritto di proprietà intellettuale, come confermato dall’articolo 4, lettera b), di tale regolamento, secondo il quale è istituito un sistema di DOP e di IGP al fine di aiutare i produttori di prodotti legati a una zona geografica garantendo una protezione uniforme dei nomi in quanto diritto di proprietà intellettuale sul territorio dell’Unione. Le DOP e le IGP rientrano anch’esse del resto, come osserva la Repubblica di Cipro, nei diritti di proprietà intellettuale ai fini del regolamento n. 608/2013, come risulta dall’articolo 2, punto 1, lettera d), e punto 4, lettera a), dello stesso.

52      Orbene, l’uso di una DOP o di un’IGP per designare un prodotto fabbricato sul territorio dell’Unione che non è conforme al disciplinare applicabile viola nell’Unione il diritto di proprietà intellettuale costituito da tale DOP o da tale IGP, anche se tale prodotto è destinato a essere esportato verso paesi terzi>>.

E poi indettaglio :

<<57   Poiché il Regno di Danimarca sostiene che da tali obiettivi risulta che il regolamento n. 1151/2012 mira a istituire un regime di protezione delle DOP e delle IGP per prodotti immessi in circolazione nel mercato interno, essendo i consumatori interessati quelli dell’Unione, occorre rilevare che sono certamente tali consumatori e non quelli di paesi terzi a essere interessati da tale regolamento. Infatti, quest’ultimo, adottato sulla base dell’articolo 118 TFUE, riguarda il funzionamento del mercato interno e persegue, come osservato da tale Stato membro, l’integrità del mercato interno e l’informazione del consumatore dell’Unione.

58      Occorre altresì osservare che l’obiettivo consistente nell’informare i consumatori e quello consistente nel garantire ai produttori una giusta remunerazione per le qualità dei loro prodotti presentano un nesso, dato che l’informazione dei consumatori ha segnatamente lo scopo, come risulta dalla giurisprudenza richiamata al punto 56 della presente sentenza, di consentire agli operatori agricoli che abbiano compiuto effettivi sforzi qualitativi di ottenere in contropartita migliori redditi.

59      Tuttavia, resta il fatto che lo scopo di garantire ai produttori una giusta remunerazione per le qualità dei loro prodotti costituisce di per sé, come risulta dal considerando 18 e dall’articolo 4, lettera a), del regolamento n. 1151/2012, un obiettivo perseguito da tale regolamento. Lo stesso vale per l’obiettivo consistente nel garantire il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale enunciato all’articolo 1, lettera c), di tale regolamento.

60      Orbene, è evidente che l’impiego della DOP «Feta» per designare prodotti fabbricati sul territorio dell’Unione che non sono conformi al disciplinare di tale DOP pregiudica questi due obiettivi, anche qualora tali prodotti siano destinati a essere esportati verso paesi terzi.

61      Pertanto, tanto dal tenore letterale dell’articolo 13 del regolamento n. 1151/2012 quanto dal contesto di tale disposizione e dagli obiettivi perseguiti da detto regolamento risulta che, come sostiene la Commissione, un siffatto impiego rientra nelle azioni illecite vietate dall’articolo 13, paragrafo 1, lettera a), di tale regolamento>>.

Questione molto importante in pratica e complessa in teoria, che ricorda quella dell’esaurimento solo europeo ovvero anche internazionale del marchio (art. 5 cpi).

Cessione di crediti in blocco, cartolarizzazione e opponibilità di domande riconvenzionali verso il cessionario da parte del debitore

Nelle cessioni di crediti in base alla legge sulle cartolarizzazioni (L. 130 del 1999) e all’art. 58 c.1 e 4 del TUB, il debitore non può opporre controcrediti , domande riconvenzionali, e in generale azioni contrattuali, al cessionario.

Così Cass. 02 maggio 2022 n. 13.735 , rel. Ambrosi, sez. 3:

<<Ciò detto, in un simile quadro, consentire ai debitori ceduti di opporre in compensazione, al cessionario, controcrediti da essi vantati verso il cedente (nascenti da vicende relative al rapporto con esso intercorso ed il cui importo, pertanto, lungi dall’essere noto alla “società veicolo” al momento della cessione, deve essere accertato giudizialmente), e addirittura consentire, come nella specie, la proposizione di domande riconvenzionali, significherebbe andare ad incidere, in modo imprevedibile, su quel “patrimonio separato a destinazione vincolata” di cui si diceva, “scaricandone”, così, le conseguenze sul pubblico dei risparmiatori ai quali spetta, invece, ed in via esclusiva, il valore del medesimo. I possessori dei titoli emessi dallo “special pourpose vehicle” possono essere, infatti, esposti solo al rischio che deriva dal fatto che i crediti cartolarizzati non siano incassati – perché non soddisfatti dai debitori, ovvero perché inesistenti o, al limite, perché già estinti anche per compensazione – ma non anche a quello (pena, altrimenti, la negazione del meccanismo della separazione come tracciato dalla L. n. 130 del 1999, art. 1, comma 1, lett. b) che sul patrimonio alimentato dai flussi di cassa, generati dalla riscossione dei crediti cartolarizzati, possano soddisfarsi anche altri creditori.” (Cass. Sez. 3 n. 21843 del 2019, in particolare, punto 7.1.4. in motivazione).

Ciò accadrebbe, nella specie, se si ammettesse, come statuito dalla sentenza impugnata, B.A. e B.U., in proprio e quali ex soci di STN s.r.l., ad esigere il pagamento dell’importo oggetto della condanna in via riconvenzionale, anche alla Dulcinea Securitisation s.r.l. intervenuta in giudizio tramite il procuratore Italfondiario s.p.a..

Tale conclusione, del resto, come già affermato da Cass. Sez. 3 n. 21843 del 2019, “trova un indiretto conforto nel dettato normativo, ed esattamente nella L. n. 130 del 1999, art. 4, comma 2″.

Esso, infatti, per un verso, stabilisce che dalla “data della pubblicazione della notizia dell’avvenuta cessione nella Gazzetta Ufficiale o dalla data certa dell’avvenuto pagamento, anche in parte, del corrispettivo della cessione, sui crediti acquistati e sulle somme corrisposte dai debitori ceduti sono ammesse azioni soltanto a tutela dei diritti di cui all’art. 1, comma 1, lett. b)”, nonché, per altro verso, che “in deroga ad ogni altra disposizione, non è esercitabile dai relativi debitori ceduti la compensazione tra i crediti acquistati dalla società di cartolarizzazione e i crediti di tali debitori nei confronti del cedente sorti posteriormente a tale data”. Orbene, risulta evidente come il divieto, posto a carico del debitore ceduto, di compensazione dei crediti “sorti posteriormente” alla data della pubblicazione della notizia dell’avvenuta cessione nella Gazzetta Ufficiale (o alla data certa dell’avvenuto pagamento, anche in parte, del corrispettivo della cessione), risponde a quella stessa logica, di cui dianzi si diceva, di salvaguardia del “patrimonio separato a destinazione vincolata” cui dà vita l’operazione cartolarizzazione”>>.

La ricostrizione parrebbe corretta, svanendo altrimenti la distinzione tra cessione del contratto e cessine del credito.

L’obbligo informativo opera per l’intermediario anche quando non fa consulenza ma solo l’esecutore di ordini

Così  Cass. sez. 1 del 05.05.2022 n. 14.208, rel. Falabella.

<<2.2. (…) L’obbligo informativo sussiste, poi, anche se l’intermediario non sia tenuto per contratto a prestare, in favore del cliente, un servizio di consulenza: infatti, ove l’investitore affidi all’intermediario il solo incarico di eseguire degli ordini, ma non anche quello di consulenza in relazione alla scelta dei prodotti finanziari da acquistare” il detto intermediario è comunque tenuto a fornire al primo adeguate informazioni sulle operazioni in sé, oltre che in ordine alla loro adeguatezza rispetto al suo profilo di rischio (Cass. 23 settembre 2016, n. 18702, con riguardo al reg. Consob n. 11522/1998).>>

Poi: << Come è noto, il reg. Consob n. 11522/1998 prevedeva, per l’intermediario, un obbligo di acquisizione di informazioni che non era graduato in ragione dell’operazione posta in essere. Il regolamento n. 16190 del 2007 distingue, invece, l’obbligo informativo a seconda del servizio prestato: per la prestazione dei servizi di consulenza e di gestione individuale di portafogli si richiede che l’intermediario acquisisca precise indicazioni dal cliente quanto alla conoscenza ed esperienza nel settore di investimento rilevante per il tipo di strumento o di servizio, alla situazione finanziaria e agli obiettivi di investimento (art. 39) (…) . Nella prestazione degli altri servizi – salvi i servizi di esecuzione di ordini per conto dei clienti o di ricezione e trasmissione di ordini in ipotesi particolari (art. 43) – l’intermediario è tenuto invece a formulare un più sommario giudizio di appropriatezza, che è basato sul livello di esperienza e conoscenza necessario per comprendere i rischi che lo strumento o il servizio di investimento offerto o richiesto comporta (art. 42, comma 1).

La Corte di appello non si è occupata dell’appropriatezza dell’investimento consistente nell’acquisto delle obbligazioni (OMISSIS), ma ha formulato, piuttosto, un giudizio di adeguatezza: ha espresso quindi una valutazione che, per sua natura, non può che inerire al servizio di consulenza. Il punto, per la verità, non è del tutto chiaro: infatti, a norma dell’art. 1, comma 5 septies, t.u.f., la consulenza in materia di investimenti consiste in raccomandazioni personalizzate al cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa del prestatore del servizio, riguardo a una o più operazioni relative a strumenti finanziari; nella fattispecie, invece, la Corte di appello fa questione di una “operazione autonomamente richiesta dal cliente” (sentenza, pag. 13).

In ogni caso, la segnalazione di non adeguatezza, come quella di non appropriatezza, non è in sé idonea ad esonerare la banca dall’obbligo di sottoporre al cliente il corredo informativo che deve essere associato all’operazione o al servizio di investimento. In particolare, la somministrazione dei pertinenti elementi conoscitivi circa la natura e i rischi di una specifica operazione (nel caso in esame consistente nell’acquisto del titolo (OMISSIS)) assume un rilievo autonomo, in vista di razionali scelte di investimento o disinvestimento, e non è esclusa dalla rappresentazione della non adeguatezza o non appropriatezza di quell’operazione (nel quadro del giudizio che l’intermediario è tenuto a formulare a seconda che l’attività da compiersi consista, o meno, nel raccomandare i servizi di investimento e gli strumenti finanziari adatti al cliente o potenziale cliente, nella prestazione dei servizi di consulenza in materia di investimenti o di gestione di portafoglio).

Da tale autonomia discende il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui l’intermediario è tenuto a fornire al cliente una dettagliata informazione preventiva circa i titoli mobiliari e, segnatamente, circa la natura di essi e i caratteri propri dell’emittente, restando irrilevante, a tal fine, ogni valutazione di adeguatezza – o, può qui aggiungersi, di appropriatezza – dell’investimento (cfr. Cass. 18 giugno 2018, n. 15936, che infatti sottolinea come l’assenza di una tale attività esplicativa integri una specifica e distinta ragione di inadempimento dell’intermediario).>>

Il contratto stipulato a seguito di estorsione è nullo per contrarietà a norma imperativa e non solo annullabile per violenza

Così Cass. 31 maggio 2022 n. 17.568, sez. 2, rel. Varrone.

La disposizione di riferimento, allora, è l’art. 1418 c.1 c.c.

Passi salienti:

<<La sentenza della Corte d’Appello di Ancona ha seguito l’orientamento secondo il quale deve escludersi la nullità del contratto frutto di una condotta estorsiva perché il vizio della volontà è causa di annullabilità e non di nullità.

6.1 Il collegio ritiene erronea tale affermazione, in quanto non tiene conto dell’evoluzione giurisprudenziale sulla c.d. “nullità virtuale” per violazione di norme penali, ovvero sul tema tradizionale del regime di invalidità del contratto stipulato per effetto diretto della consumazione di un reato>>.

<<Ed invero si deve osservare che la nullità del negozio è lo strumento predisposto dal legislatore per realizzare o non frustrare, per il tramite di esso (e non soltanto della condotta dei contraenti, anche quando si tratti di violazione di divieti soggettivi di contrarre), interessi di carattere generale protetti dall’ordinamento. Pertanto, la violazione della norma penale dà luogo ad un negozio nullo ogni qual volta la disposizione violata si connoti come norma penale di ordine pubblico nel senso che l’interesse o il bene giuridico protetto dalla norma assume una connotazione pubblicistica (secondo una tesi dottrinale che restringe la nozione di norma inderogabile a quella, appunto, di interesse e di ordine pubblico; seguita, da ultimo, da Cass. n. 7785/16) ovvero solo quando la norma penale, tenuto conto della sua ratio, tutela interessi generali di rilevanza pubblica.>>

Domanda: ci sono norme penali che non sono di ordine pubblico? Se si, quali? Solo le contravvenzioni o anche quallcjhe delitto? Nel secondo caso, quali delitti?

<<6.5 Sulla base di tali considerazioni si è affermato che la fattispecie penale del delitto di estorsione è posta indiscutibilmente a tutela di interessi non soltanto di tipo patrimoniale, ma anche di diritti inviolabili della persona, quali appunto la libertà personale, e di interessi generali della collettività. Il contratto concluso per mezzo di una condotta estorsiva, pertanto, è stipulato in violazione di norme imperative e, pur in assenza di una sanzione esplicita, è nullo per lesione dell’interesse generale di ordine pubblico tutelato dalla norma violata.>>

Banana attaccata con scotch al muro: 1) è opera d’arte ? 2) in caso positivo , riprodurla con leggere differenze viola il copyright?

I distretto sud della Florida  risponde positivamente ad entrambe le domande (Southern District of Florida , 6 luglio 2022, Case 1:t21-cv-20039-RNS , Morford c. Cattelan).

Sentenza interssante per il ragionamento condotto sui sempre scivolosi due temi citati.

Si v. le opere a paragone, ben riprodotte in sentenza.

Sub 1: While using silver duct tape to affix a banana to a wall may not espouse
the highest degree of creativity, its absurd and farcical nature meets the
“minimal degree of creativity” needed to qualify as original.
See Feist, 499 U.S.
at 345;
see also Kevin Harrington Enters., Inc. v. Bear Wolf, Inc., No. 98-CV-
1039, 1998 WL 35154990, at *6 (S.D. Fla. Oct. 8, 1998) (Ungaro, J.) (noting
that originality involves “the author’s subjective judgment in giving visual form
to his own mental conception”) (citing
Burrow-Giles Lithographic Co. v. Sarony
,
111 U.S. 53, 60 (1884)). While the Court cannot—and need not—give meaning
to Banana & Orange, at this stage the Court holds that Morford’s choices in
giving form to Banana & Orange are sufficiently original (p. 8).

sub 2: stabilito che ci fu “access potenziale”, secondo il diritto usa, stante la pluriuma presenza in rete (P. 8/9), IL GIUDICE si volge al requisito della substanzial similarity,. che viene ravvisata. Qui occorre tornare alle riproduizioni dele due iopere.

INizia col ricordare la alternativa ideaespression (solo la seconda è tutelabile)., di difficile applicaizone al caso nostro.

e dice: << While Morford is afforded no protection for the idea of a duct-taped
banana or the individual components of his work, Morford may be able to claim
some degree of copyright protection in the “selection, coordination, [and]
arrangement” of these otherwise unprotectable elements.
See Off Lease, 825 F.
App’x at 726 (discussing copyrighted works “formed by the collection and
assembling of preexisting materials . . . that are selected, coordinated, or
arranged in such a way that the resulting work as a whole constitutes an
original work of authorship”) (quoting 17 U.S.C. § 101)).

In particular, Morford
can claim some copyright protection in the combination of his choices in color,
positioning, and angling.
See Off Lease, 825 F. App’x at 727 (holding that
copyright protection extended to “the outline, the [component’s] shape, and the
elaborate color scheme”);
see also Corwin v. Walt Disney Co., No. 6:02-cv-1377,
2004 WL 5486639, at *16 (M.D. Fla. Nov. 12, 2004) (holding that an “artist’s
selection as to how the [model pieces] were arranged in the painting, the colors
associated with the elements, and the overall structure and arrangement of the
underlying ideas” are protectable) (citing
Leigh, 212 F.3d at 1216).
Of course, there are only so many choices an artist can make in colors,
positioning, and angling when expressing the idea of a banana taped to a wall.
In general, this is called the merger doctrine—where the idea and the
expression of that idea merge.
See BUC Int’l, 489 F.3d at 1142 (holding that the
merger doctrine “provides that ‘expression is not protected . . . where there is
only one or so few ways of expressing an idea that protection of the expression
would effectively accord protection to the idea itself’”) (quoting
BellSouth, 999
F.2d at 1442)). However, Cattelan did not argue that the merger doctrine
applies (ECF No. 53 at 14 n.8), so the Court will not consider whether the
merger doctrine precludes any finding of infringement here.
Last, the comparison step. The Court finds, at the motion-to-dismiss
stage, that Morford sufficiently alleges that there is similarity in the (few)
protected elements of Banana & Orange. In both works, a single piece of silver
duct tape runs upward from left to right at an angle, affixing a centered yellow
banana, angled downward left to right, against a wall. In both works, the
banana and the duct tape intersect at roughly the midpoints of each, although
the duct tape is less centered on the banana in Morford’s work than in
Comedian.
Cattelan argues that the presence of additional elements in Banana &
Orange—namely, an orange, the green background, and the use of masking
tape borders—weigh against a finding of substantial similarity. (ECF No. 49
Case 1:21-cv-20039-RNS Document 56 Entered on FLSD Docket 07/06/2022 Page 10 of 11
at 13.) However, when determining copyright infringement, courts look to “the relative portion of the copyrighted work—not the relative portion of the
infringing work[.]”
See Peter Letterese and Assocs., Inc. v. World Inst. of
Scientology Enters.
, 533 F.3d 1287, 1307 (11th Cir. 2008) (noting that
otherwise defendants would be permitted to copy verbatim as long as they did
not copy an entire work).

In other words, “[t]he extent of copying must be
assessed with respect to both the quantitative and the qualitative significance
of the amount copied to the copyrighted work as a whole.
Id. (citing MiTek, 89
F.3d at 1560 & n.26);
see also Newman, 959 F.3d at 1302 (“Quantitatively
insubstantial copying may still be actionable if it is qualitatively substantial.”).
Here, while Banana & Orange contains additional elements that Morford does
not allege were copied, Morford’s duct-taped banana constitutes half of his
work, meaning that it is quantitatively significant to Banana & Orange.
Moreover, given its prominent positioning in Banana & Orange, Morford’s
banana is qualitatively significant as well.
See Newman, 959 F.3d at 1310
(holding that “[q]ualitative significance is often apparent on the face of the
copied portion of a copyrighted work”) (citing
Peter Letterese, 533 F.3d at 1315).
Therefore, the alleged infringement of Morford’s banana is sufficient,
quantitatively and qualitatively, to state a claim.
>>, p. 10-11.

Registrazione di marchio in malafede perchè sfruttante notorietà di precedente segno, però da tempo estinto? Un interessante caso (ceco)slovacco portato in UE

Trib. UE 06.07.2022, T.250/21, Zdut c. EUIPO, si esprime sul marchio denominativo NEHERA (per abbiglimento , tessuti etc.) registrato nonostante il nome fosse assai famoso nella ex Cecoslovacchia come marchio di impresa di inzio ‘900, poi estintosi.

Gli eredi dell’imprenditore omonimo non gradiscono e chiedono l’annullamento per deposito in malafede (art. 52.1.b reg. 207/2009)

A parte le considerazioni generali sull’istituto,. §§ 20-35, più interessante è -al solito- l’applicaizne al caso specifico, § 56 ss.

<< Orbene, un comportamento parassitario nei confronti della notorietà di un segno o di un nome, come quello menzionato dalla commissione di ricorso nella decisione impugnata al fine di fondare la constatazione della malafede del ricorrente, è possibile, in linea di principio, solo se tale segno o tale nome gode effettivamente e attualmente di una certa notorietà o di una certa celebrità (v., per analogia, sentenza del 3 settembre 2015, Iron & Smith, C‑125/14, EU:C:2015:539, punto 29).

58      In effetti, il giudice dell’Unione ha già constatato, nel caso di una persona che chiedeva la registrazione di un marchio dell’Unione europea, l’intenzione di trarre indebitamente vantaggio dalla notorietà residua di un marchio anteriore, anche quando quest’ultimo non era più utilizzato (sentenza dell’8 maggio 2014, Simca, T‑327/12, EU:T:2014:240), o dall’attuale celebrità del nome di una persona fisica (sentenza del 14 maggio 2019, NEYMAR, T‑795/17, non pubblicata, EU:T:2019:329), in ipotesi in cui tale notorietà residua o tale celebrità attuale era stata debitamente dimostrata. Per contro, esso ha constatato che non vi era usurpazione della notorietà di un termine rivendicato da un terzo e, quindi, non vi era malafede da parte del richiedente il marchio, quando tale termine non era né registrato, né utilizzato, né rinomato nell’Unione [v., in tal senso, sentenza del 29 novembre 2018, Khadi and Village Industries Commission/EUIPO – BNP Best Natural Products (Khadi Ayurveda), T‑683/17, non pubblicata, EU:T:2018:860, punti da 68 a 71].

59      In tali circostanze, in assenza di notorietà residua del vecchio marchio cecoslovacco e di celebrità attuale del nome Jan Nehera al momento del deposito della domanda di registrazione del marchio contestato, l’uso successivo da parte del ricorrente di quest’ultimo marchio non era, in linea di principio, idoneo a costituire un comportamento parassitario che rivelasse la malafede del ricorrente.

60      Tale conclusione non è rimessa in discussione dal fatto che il ricorrente fosse a conoscenza dell’esistenza e della notorietà passata del sig. Jan Nehera e del vecchio marchio cecoslovacco (v. precedenti punti 54 e 55). Infatti, la sola circostanza che il richiedente sappia o debba sapere che un terzo ha utilizzato, in passato, un marchio identico o simile al marchio richiesto non è sufficiente a provare l’esistenza della malafede del richiedente (v., in tal senso e per analogia, sentenze del 27 giugno 2013, Malaysia Dairy Industries, C‑320/12, EU:C:2013:435, punti 36 e 37 e giurisprudenza ivi citata, e del 29 novembre 2018, Khadi Ayurveda, T‑683/17, non pubblicata, EU:T:2018:860, punto 69)>>

Seguono poi altre cosnidrazioni sugli argiomenti <<diretti, in sostanza, a dimostrare l’intenzione di parassitismo e la malafede del ricorrente indipendentemente dall’esistenza di una notorietà residua del vecchio marchio cecoslovacco e del nome del sig. Jan Nehera.>>

Si bad che il pubblico aveva dimenticato il segno, § 66, e che è rimasto incerto processualmente se ci sia stato o no un tentativo di collegarsi indebitamente al vecchio marchio, § 68-69 (che però è dubbio assai inciderebbe sul marchio e non su concorenza sleale , pratiche scorrette , illecito aquiliano etc.);

Il giudizio rimane uguale: <<78    A tal riguardo è sufficiente constatare che, secondo la giurisprudenza citata al precedente punto 23, la nozione di malafede presuppone la presenza di una disposizione d’animo o di un’intenzione disonesta. Orbene, nel caso di specie, l’EUIPO e gli intervenienti non hanno dimostrato che il ricorrente fosse mosso da una disposizione d’animo o da un’intenzione disonesta al momento del deposito della domanda di registrazione del marchio contestato.

79      Da tutto quanto precede risulta che la commissione di ricorso ha ritenuto a torto che il ricorrente avesse intenzione di trarre indebitamente vantaggio dalla notorietà del sig. Jan Nehera e del vecchio marchio cecoslovacco concludendone che egli era in malafede al momento del deposito della domanda di registrazione del marchio contestato>>

La distinzione tra tributo ad un brand famoso e suo sfruttamento è sottile: anzi probabilmente non c’è e quindi sarà più o meno sempre sfruttamento.

Resta successivamente da vedere se questo costituisca  sempre e comunque <registrazione in malafede>. Tema complesso, dovendosi capire in relazione a quale scenario vada stimato l’intralcio ad inziative imprednitoriali, posto dalla mala fede. Ad es. nel caso de quo potevano gli eredi vantare una riserva di registrazione (come il nostro art. 8.3 cod. propr. ind., ad es.) solo per essere parenti/discendenti (di più di una generazione …) di un soggetto assai noto? Cioè potevano vantare un right of publicity ricevuto per via ereditaria (successione legittima o magari anche testamentaria, chissà), al pari di qualunque diritto su cose? Temi interessanti e difficili: potendosi ad es. dire che nel caso specifico la notorietà fosse stata acquisita primariamente come imprenditore e non potesse dunque essere invocato il cit. art. 8.3 cpi.

la sentenza più importante della Cassazione sul risarcimento del danno alla persona secondo il giudice dr. Travaglino

Il giudice Travaglino ha di recente segnalato che la più significativa sentenza di Cass. sull’oggetto , a suo parere, è Cass. 2.788 del 31.01.2019, rel. Porreca

In essa si pone in modo netto : i) la distinzione tra danno morale e danno biologico , alla luce dei nuovi art. 138 e 139 cod. ass.; ii) la non distinguibilità tra danno biologico e danno esistenziale

Circa i) : << 2.2. Sul piano del diritto positivo, l’ordinamento riconosce e disciplina (soltanto) le fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante: art. 1223 c.c.) e del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.; art. 185 c.p.).

La natura unitaria e onnicomprensiva del danno non patrimoniale, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite della Suprema Corte (Corte cost. n. 233 del 2003; Cass., Sez. U., 11/11/2008, n. 26972) dev’essere interpretata, parte qua, sul piano delle categorie giuridiche (anche se non sotto quello fenomenologico) rispettivamente nel senso:

a) di unitarietà rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica;

b) di onnicomprensività intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative “in peius” della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, procedendo, a seguito di compiuta istruttoria, a un accertamento concreto e non astratto del danno, a tal fine dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni.

Nel procedere all’accertamento e alla quantificazione del danno risarcibile, il giudice di merito deve dunque tenere conto, da una parte, dell’insegnamento della Corte costituzionale (Corte cost. n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss.) e, dall’altra, del recente intervento del legislatore sugli artt. 138 e 139 c.d.a. come modificati dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 17, la cui nuova rubrica (“danno non patrimoniale”, sostituiva della precedente, “danno biologico”), e il cui contenuto consentono di distinguere definitivamente il danno dinamico-relazionale da quello morale.

Ne deriva che il giudice deve congiuntamente, ma distintamente, valutare la compiuta fenomenologia della lesione non patrimoniale, e cioè tanto l’aspetto interiore del danno sofferto (cd. danno morale) quanto quello dinamico-relazione (destinato a incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).

2.3 … Va, in particolare, osservato, quanto all’interpretazione del dictum del giudice delle leggi di cui a Corte cost. n. 235 del 2014, che una piana lettura del punto 10.1. della sentenza non consente (diversamente da quanto sostenuto recentemente da autorevole dottrina, che discorre, in proposito, “di lettura antiletterale”) soluzione diversa da quella che predichi l’ontologica differenza tra danno morale e danno biologico (i.e., il danno dinamico-relazionale).

Una diversa lettura della decisione, che ne ipotizzi l’assorbimento del danno morale in quello biologico difatti, ometterebbe del tutto di considerare che la premessa secondo cui “la norma denunciata di incostituzionalità non è chiusa al risarcimento anche del danno morale” evidenzia con cristallina chiarezza la differenza tra qualificazione della fattispecie e liquidazione del danno.

Se, sul piano strutturale, la qualificazione della fattispecie “danno non patrimoniale”, in assoluta consonanza con i suoi stessi precedenti, viene espressamente ricondotta dal giudice delle leggi, giusta il consapevole uso dell’avverbio “anche”, alla duplice, diversa dimensione del danno morale e del danno alla salute, sul piano funzionale la liquidazione del danno conseguente alla lesione viene poi circoscritta (si badi, per il “solo, specifico e limitato caso delle micro permanenti conseguenti alla circolazione stradale”) entro i limiti di un generalizzato aumento del 20% rispetto ai valori tabellari.

Ogni incertezza sul tema del danno alla persona risulta, comunque, si ripete, definitivamente fugata ad opera dello stesso legislatore, con la riforma degli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni>>

Circa ii): <<In tale quadro ricostruttivo, costituisce quindi duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico – inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico relazionali – e del danno cd. esistenziale, appartenendo tali “categorie” o “voci” di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (art. 32 Cost.), mentre una differente ed autonoma valutazione andrà compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute (come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell’art. 138 del c.d.a., alla lettera e>>