Diritto alla reputazione vs. diritto di critica giornalistica: ecco la decisione fiorentina nel caso Renzi v. Travaglio

Sentenza interessante da Trib. Firenze 18.08.2022 n. 2348/2022, RG 9217/2020, G.U. Donnarumma Massimo, nella causa civile per illecito aquiliano diffamatorio di Marco Travaglio ai danni di Matteo Renzi.

Viene riportato l’intero passo censurato:

<<GRUBER: “Tu, oggi, definisci Renzi un mitomane?”»
T
RAVAGLIO: “Si, è una forma di mitomania molesta che, probabilmente, risale a fattori prepolitici che
andrebbero studiati da specialisti clinici. Probabilmente vuole farci pagare colpe ataviche, non so se
lo prendevano in giro da bambino, non so se vuole farci pagare il fatto che gli italiani non lo hanno
capito e lo hanno bocciato più volte, che il mondo non comprende il suo genio. Sta di fatto che lo
spettacolo penoso di ieri sera denota, secondo me, una svolta che non può essere nemmeno definita più
uno show, è una cosa penosa. Secondo me per l’igiene della politica bisognerebbe cominciare a fare
una specie di silenzio stampa, cioè una moratoria nel continuare a mettere il microfono davanti a una
persona che chiaramente non è compos sui, non è in sé. Ha appiccato il fuoco al governo Letta lo ha
fatto cadere, poi ha silurato se stesso. Sta cercando di silurare Conte e ieri ha proposto una soluzione
per rafforzare il premier, eleggendolo direttamente. Cosa che non accade in nessun paese del mondo
tranne che in Israele, credo. Voleva abolire la prescrizione e adesso vuole sfiduciare il ministro
Buonafede che l’ha, in parte, abolita. Diffida l’attuale maggioranza dal cercare altre maggioranze e
poi lui, ieri, ha proposto un’altra maggioranza con il centrodestra, che non se lo è filato di pezza, per
fare il sindaco di Italia. Non si capisce neanche di che stia parlando, dovrebbe cambiare venti o trenta
articoli della Costituzione per farlo, in una situazione in cui già non si riescono a far passare le leggi
ordinarie, figurarsi se passerebbero leggi costituzionali. Bisognerebbe cominciare a trattarlo come un
caso umano e dirgli, va bene, quando fai cadere il governo avvertici, per il momento ci siamo stufati.
Perché, poi queste cose, come diceva il professor Monti, si pagano. Nel senso che lo spread si era
abbassato quando c’era una parvenza di stabilità. C’è un governo che sta cercando di fare delle cose
importanti e che tutti i giorni si ritrova di fronte ai ricatti di uno che dice sempre il contrario degli altri
a prescindere, contraddicendo tutta la sua storia quotidianamente, quindi un minimo di moratoria,
secondo me, sarebbe igienica
>>

Il punto critico , naturalmente, è laddove T. dà a R. del <mitomane> , <caso umano> e <fattori prepolitici che andrebbero studiati da specialisti clinici>. Qui infatti per il Tribunale si eccede la critica politica.   Resta però da accertare la idoneità lesiva; la quale viene negata, così motivando:

< E2) Andando, ora, al cuore del problema poc’anzi prospettato, fa d’uopo rilevare che le espressioni in esame, pur connotandosi a tratti per un sarcasmo pungente, teso a dileggiare la figura del senatore Renzi, non risultano concretamente idonee a ledere la reputazione e l’onore di quest’ultimo.
Trattasi di affermazioni e locuzioni che, a ben vedere:
– non hanno alcuna pretesa di veridicità;
– pur investendo (come si è visto) la dimensione personale del Renzi, sono disancorate da riferimenti specifici a fatti od episodi afferenti.
Di conseguenza, nessun telespettatore può, ragionevolmente, prendere sul serio le espressioni che rimandano genericamente alla “mitomania” o la proposizione dubitativa per cui “
lo prendevano in giro da bambino”.
Ed è chiaro che lo stesso convenuto non ha detto ciò con l’intento di convincere qualcuno circa il fondamento delle espressioni pronunciate, ma al solo fine di ironizzare sulle condotte e sulla figura di Renzi. Ciò si evince, non solo dal tenore complessivo del discorso, ma anche dalla circostanza che le espressioni in oggetto sono spesso formulate in forma ipotetica (“
andrebbero studiati da specialisti clinici”; “non so se lo prendevano in giro da bambino”).
Come si è già detto, peraltro, le affermazioni in esame sono decontestualizzate, scevre da qualsivoglia riferimento a vicende od esperienze concrete del vissuto personale dell’attore, per cui risulta evidente che trattasi di una sorta di invenzione scenica ovvero di un espediente comunicativo che il giornalista
ha utilizzato per attirare l’attenzione degli ascoltatori, colorendo il proprio discorso ed introducendo i predetti al nucleo del proprio intervento, che afferisce per l’appunto alla critica politica.
Detto in altri termini, il registro linguistico sin qui esaminato, pur essendo a tratti graffiante e pur colorandosi di sarcasmo, è di fatto innocuo, non avendo – come si è detto – concreta idoneità lesiva rispetto all’onore ed alla reputazione dell’attore, proprio perché trattasi di espressioni, per un verso, prive di disvalore intrinseco, quali, ad esempio, le ingiurie, le contumelie, gli epiteti scurrili o le affermazioni che aggrediscono in termini universalmente oltraggiosi il patrimonio morale del destinatario; per altro verso, anche quando investono la dimensione personale, sono affermazioni, locuzioni e proposizioni scevre da riferimenti specifici e contestualizzanti
>

Il passaggio è importante. In breve , mancando di specificità, le offese non possono cagionare danno. Il giudizio però è di assai dubbia esattezza: non sono offensive solo le espressioni riferite a fatti specifici, ma anche anche quelle generali sulla persona.

Ancora,  viene rigettata l’eccezione di satira dato che T. è giornalista e non un comico (sub E1): non è però chiaro il nesso logico sottostante, potendo la satira essere usata da chiunque e non solo da comici di professione.

Altrettanto perplessa è la compensazione integrale delle spese di lite, a fronte di un rigetto integrale delle domanda di Matteo Renzi.

Il caso Gianni Rivera c. RCS: tra right of publicity , libertà di informazione e data protection

Cass. sez. 1  n. 19.515 del 16 giugno 2022 decide il ricordo nella lite RCS c. Gianni Rivera.

Il noto calciatore e poi parlamentare aveva lamentato la diffusione abusiva della sua immagine inserita in un DVD e poi in medagliette.

La SC regola solo la prima fattispecie (l’altra era stata processualmente abbandonata).

Le foto inserite nel DVD rigurardavano : << 7. … Una, menzionata in ricorso e materialmente incorporata nella memoria illustrativa, raffigura R.G. che scende dall’aereo brandendo la Coppa intercontinentale appena vinta (cfr ricorso, pag.14, penultimo capoverso).

Un’altra, menzionata in ricorso, raffigura R.G., insieme ad altri noti calciatori della (OMISSIS) dell’epoca, M.S., D.S.G. e I.A., in un ritiro della Nazionale (cfr ricorso, pag.13, primo paragrafo); un’altra ancora (sempre in ricorso, pag.13, primo paragrafo) lo ritrarrebbe presumibilmente nel corso di un’intervista; nulla si sa di più preciso, salvo la connotazione descrittiva in negativo operata dalla sentenza impugnata (esclusione della raffigurazione di R. in azione di gioco o in divisa da calciatore).>>

Per la SC , che riforma la decisione di appello, il contesto era legato al settore di provenienza della notorietà e dunque la pubblicazione rispettata gli art. 10 cc – 97 l. aut.       A nulla c’entra che Rivera fosse in abito civile anzichè in tenuta sportiva, come vorrebbe la corte di appello.

L’affermazione è esatta, anche se quasi scontata: è ovvio che i due contesti sopra indicato rientrino nell’ambito di lecita riproduzione ex art. 97 l. aut.

In particolare: <<Il punto è quindi se la notorietà di un personaggio possa essere rigorosamente delimitata allo stretto ambito delle attività in cui si è inizialmente delineata e da cui è emersa. ,…

18. Il Collegio conviene con il Procuratore generale che non si tratta di addivenire a una lettura estensiva dell’art. 97 L.d.a., ma più semplicemente di diagnosticare e riconoscere l’ambito della notorietà effettivamente raggiunta da un personaggio pubblico e il correlativo spazio di operatività della deroga prevista dalla legge alla necessità del consenso del personaggio ritratto.

19. Pare tuttavia eccessivo spingersi sino a sostenere che i ritratti fotografici dei personaggi dello sport, come pure quelli dei protagonisti della musica di consumo o del cinema, per limitarsi ai casi esemplificati nella requisitoria del Procuratore generale, possano essere divulgati, senza il loro consenso, anche in contesti del tutto avulsi da quelli che hanno reso noti tali personaggi.

Occorre pur sempre verificare non solo il rispetto del decoro, della convenienza e della reputazione, ma anche quello della sfera di riservatezza che la persona ritratta ha inteso legittimamente proteggere dalle ingerenze altrui.

20. Il Collegio ritiene dunque che la corretta applicazione dell’esimente dell’art. 97 L.d.a. renda lecita la divulgazione di ritratti fotografici di personaggi famosi non solo allorché essi siano raffigurati nell’espletamento dell’attività specifica che li ha consegnati alla pubblica notorietà (vale a dire: per lo sportivo l’attività agonistica, per il cantante l’esibizione sul palco, per l’attore la recitazione in scena), come troppo restrittivamente perimetrato dalla Corte milanese, ma anche quando la fotografia li ritrae nello svolgimento di attività accessorie e connesse, che rientrano nel cono di proiezione della loro immagine pubblica e quindi nella sfera di interesse pubblico dedicato dalla collettività alla loro attività.

Vi rientrano pertanto certamente le fotografie che ritraggono un noto calciatore in partenza o al rientro per una competizione sportiva, o mentre esibisce un trofeo vinto, o nell’atto di rilasciare a un giornalista una intervista legata alla sua attività, o ancora insieme ad altri calciatori, per di più se in un ritiro organizzato dalla sua squadra o dalla (OMISSIS).

Ipotesi tutte in cui l’atleta, pur non indossando la divisa e non praticando attualmente il proprio sport, viene raffigurato in stretta connessione con l’ambito di attività per cui ha conseguito la notorietà, e in cui è oggetto di interesse da parte del pubblico proprio in quanto sportivo noto.

E’ evidente che nei casi esemplificati l’interesse del pubblico è rivolto proprio al personaggio sportivo, per vedere come gioisca dei propri trionfi, come si relazioni con la stampa specializzata, come si prepari alle partite e come si rilassi dopo di esse, come interagisca con altri atleti famosi: per personaggi di quel calibro non si può circoscrivere la notorietà all’ambito originario da cui è germinata (nel caso il calcio) per escludere situazioni in cui l’atleta viaggia, parla con altri calciatori, o appare in pubblico in abiti borghesi ma in connessione con la propria attività.

Per giunta, la diversa interpretazione, troppo restrittiva dell’art. 97 L.d.a., accolta dalla Corte milanese, dovrebbe valere anche per la stampa ordinaria, come osserva persuasivamente la ricorrente.>>

Resta invece fuori dall’ambito dell’esimente la fotografia del personaggio <<ritratto in occasioni private, prive di alcun collegamento, anche indiretto, con l’attività che ha determinato la celebrità e per le quali, del tutto lecitamente, il personaggio noto ha esercitato il diritto di ammantare di riservatezza, attraverso uno jus excludendi alios, la propria sfera privata>>.

Interessante è il punto sul se vi sia stato uso commerciale dell’immagine, annosa questione: <<22. Nella fattispecie, inoltre, l’immagine di R.G. non è stata utilizzata a fini pubblicitari e promozionali, che non possono essere desunti meccanicamente dalla natura imprenditoriale dell’attività di RCS.

Non bisogna infatti confondere la natura professionale dell’attività di cronaca informativa e documentazione didattico-culturale, che comporta la pubblicazione di informazioni e di immagini, con le finalità di utilizzo dell’immagine in senso stretto.

Altrimenti – come osserva efficacemente la ricorrente – si finirebbe per interdire l’esercizio stesso della cronaca giornalistica: suona assai convincente l’argomentazione della difesa di RCS che obietta che, così ragionando, le sarebbe stato interdetto pubblicare le foto anche sui quotidiani o settimanali del gruppo editoriale.

E difatti l’attività informativa, didattica e culturale, ben può essere rivolta anche con lo sguardo al passato, per raccontare e illustrare in modo organico vicende pregresse, e non solo con l’attenzione al presente per aggiornare sugli eventi in corso>>

Qui sarei meno sicuro, dipendendo dal contenuto del DVD: un record di immagini giustapposte senza approfondimento storico/sportivo, ad es., sarebbe lecito?

Dichiarazioni personali dei dirigenti pubblici e tutela della privacy ex art. 6.1.e ed ex art. 9.1 GDPR

Se ne occupa Corte di Giustizia 01.08.2022, C-184/20.

In Lituania i dirigenti di enti pubblici, o  pubblicamente finanziati, devono presentare all’assunzione una dichiarazione di interessi privati, con questo contenuto:

  L’articolo 6 della legge succitata, intitolato «Contenuto della dichiarazione», così recita:

«1.      Il dichiarante indica nella sua dichiarazione le seguenti informazioni relative a sé stesso, al proprio coniuge, convivente o partner:

1)      nome, cognome, numero identificativo personale, numero di previdenza sociale, datore/i di lavoro e mansioni;

2)      persona giuridica di cui il dichiarante o il coniuge, convivente o partner riveste la qualità di associato o di socio;

3)      attività indipendente, come definita nella legge della Repubblica di Lituania sull’imposta sui redditi;

4)      appartenenza a imprese, enti, associazioni o fondi e funzioni ivi esercitate, fatta eccezione per l’appartenenza a partiti politici e a sindacati;

5)      doni (diversi da quelli di parenti) ricevuti nel corso degli ultimi dodici mesi civili, se il loro valore supera EUR 150;

6)      informazioni sulle operazioni concluse nel corso degli ultimi dodici mesi civili e sulle altre operazioni in corso, se il valore dell’operazione è superiore a EUR 3 000;

7)      parenti o altre persone o dati noti al dichiarante idonei a far insorgere un conflitto d’interessi.

2.      Il dichiarante può omettere i dati relativi al coniuge, convivente o partner se vivono separati, non formano un nucleo familiare comune ed egli non dispone pertanto di tali dati» (§ 29)-

Dichiarazione che viene resa poi pubblica in rete (§ 30).

Il giudice a quo chiede se ciò contrasti con le disposizioni in oggetto.

Riposta della CG:

<< 1) L’articolo 7, lettera c), della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, e l’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettera c), e paragrafo 3, del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati), letti alla luce degli articoli 7, 8 e 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che prevede la pubblicazione in rete della dichiarazione di interessi privati che qualsiasi direttore di un ente percettore di fondi pubblici è tenuto a presentare, in quanto, in particolare, tale pubblicazione riguardi dati nominativi, relativi al coniuge, convivente o partner nonché ai parenti o conoscenti del dichiarante che possono dar luogo a un conflitto di interessi, nonché qualsiasi operazione conclusa nel corso degli ultimi dodici mesi il cui valore ecceda EUR 3 000.

2)      L’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 95/46 e l’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento 2016/679 devono essere interpretati nel senso che la pubblicazione, sul sito Internet dell’autorità pubblica incaricata di raccogliere le dichiarazioni di interessi privati e di controllarne il contenuto, di dati personali idonei a divulgare indirettamente l’orientamento sessuale di una persona fisica costituisce un trattamento di categorie particolari di dati personali, ai sensi di tali disposizioni>>.

Cooperative e obbligo di devoluzione ai fondi mutualistici: la cancellazione di clausole antilucrative va equiparata alla trasformazione in società lucrativa?

Cass. n. 23.602 del 28.07.2022, sez. 1, rel. Marulli, affronta il tema, interessante perchè nuovo.

La questione è quella del  <<se a seguito della soppressione delle clausole mutualistiche figuranti nello statuto di una società cooperativa a mutualità prevalente insorga o meno l’obbligo di devolvere il patrimonio sociale in favore dei fondi mutualistici – >>.

La risposta della SC è negativa.

Alla luce degli artt. 2545 undecies cc e 2545 octies cc, la risposta è esatta ma semplice.  La complicazione piuttosto deriva dal combinato disposto dell’art. 111 decies disp. attuaz. cc e dell’rt. 17 legge 23.12.2000 n. 388: la Corte, tuttavia, la supera  .

Principi di diritto enunciati :

in tema di società cooperativa, la perdita dei requisiti di mutualità prevalente, conseguente alla modificazione ovvero alla soppressione delle clausole antilucrative, non comporta l’obbligo della società di devolvere il valore effettivo del patrimonio, dedotti il capitale versato e rivalutato e i dividendi non ancora distribuiti in favore del fondo mutualistico di appartenenza, giacché detto effetto a seguito della riforma del diritto societario del 2003 si produce ai sensi dell’art. 2545 undecies c.c., se la società deliberi la propria trasformazione, mentre nel diverso caso della perdita dei requisiti di mutualità prevalente l’art. 2545 octies c.c., prevede che gli amministratori, sentito il parere del revisore esterno, debbano redigere apposito bilancio al fine di determinare il valore effettivo dell’attivo patrimoniale da imputare alle riserve indivisibili“.

In tema di società cooperativa, la L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 17, ai sensi del quale la soppressione da parte della società delle clausole di cui al D.Lgs.C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, art. 26, comporta l’obbligo per la stesse di devolvere il patrimonio effettivo in essere alla data della soppressione, dedotti il capitale versato e rivalutato ed i dividendi eventualmente maturati, in favore del fondo mutualistico di appartenenza deve reputarsi, a seguito della riforma societaria del 2003, implicitamente abrogato, giacché detto effetto si produce nel regime normativo attuato dalla riforma ai sensi dell’art. 2545 undecies c.c., se la società deliberi la propria trasformazione, mentre nel diverso caso della perdita dei requisiti di mutualità prevalente l’art. 2545 octies c.c., prevede solo che gli amministratori, sentito il pararere del revisore esterno, debbano redigere apposito bilancio al fine di determinare il valore effettivo dell’attivo patrimoniale da imputare alle riserve indivisibili. Ne’ vale ad assicurare l’ultrattività di detta norma l’art. 111 decies disp. att. c.c., giacché esso, coerentemente con la propria natura di norma transitoria, è diretto unicamente ad agevolare l’adeguamento delle clausole antilucrative già presenti nello statuto delle società cooperative e mutualità prevalente al regime normativo attuato dalla riforma“.

Tutela del made in italy e uso di segno di distintivo composto da nome italiano, pur se realizzato in Cina

Cass. 20.226 del 23.06.2022 , rel. Iofrida, giudica il se un cognome italiano su scarpe (o sul loro packaging?), ma realizzate in Cina (come attestato in piccolo all’interno), violi la disciplina del made inItaly posta dal c. 49 e 49 bis dell’art. 4, legge 350 / 2003.

C. 49: “costituisce fallace indicazione l’uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa Europea sull’origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto. Per i prodotti alimentari,…. Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 10.000 ad Euro 250.000“.

C. 49 : è reato <<l’importazione e l’esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine, costituisce reato ed è punita ai sensi dell’art. 517 c.p.“. Si individua, in particolare, come falsa indicazione la stampigliatura “made in Italy” “su prodotti e merci non originari dell’Italia ai sensi della normativa Europea sull’origine” e come “fallace indicazione” quella in cui, “anche qualora sia indicata l’origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci”, vi sia l’uso di segni, figure, o quant’altro che “possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso l’uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli, fatto salvo quanto previsto dal comma 49 bis>>

Ebbene per la SC nel caso speifico ricorre la violazione del c. 49 bis:

<<Ora, nella specie, l’etichetta apposta sui prodotti oggetto di contestazione raffigurava il marchio italiano, un segno patronimico evocante la realizzazione ad opera di persona determinata che si sia avvalsa del know-how italiano in un settore di tradizionale e di rinomata produzione, “(OMISSIS)” (registrato nel Regno Unito), e non recava alcuna ulteriore indicazione idonea – in modo univoco – ad esteriorizzare che le calzature erano state importate dalla Cina.

E l’indicazione “made in China” stampigliata all’interno della tomaia, con minore visibilità del solito, non poteva certamente qualificarsi come un riferimento evidente e visibile immediatamente e quindi chiaro ed esplicito dal quale desumere, senza equivoci, la provenienza estera della merce controllata.

Ne deriva che l’opposizione del marchio aziendale con nome e cognome italiani, registrato, sulle confezioni, in assenza di diversa indicazione di origine e provenienza estera (precisamente cinese), integrava la fattispecie contestata trattandosi di condotta idonea a trarre in inganno il consumatore circa l’esatta origine geografica del prodotto.

La condotta ascritta alla Domolux avrebbe dovuto essere legittimamente sussunta in quella descritta nelle disposizioni richiamate come “fallace indicazione di origine e provenienza” dei prodotti in discorso, dal momento che la riportata indicazione non consentiva – indiscutibilmente -di comprendere che i prodotti industriali erano stati importati dalla Cina, così essendo – senza alcun dubbio – in grado di indurre in errore la platea dei consumatori sulla effettiva origine dei prodotti (cfr. Cass. 20982/2019, in fattispecie di analoga opposizione a sanzione amministrativa).>>

Nulla da eccepire.

Esecuzione secondo buona fede del contratto sociale e obbligo di motivazione nel digniego di rimborso da recesso

Trib. Milano n. 4253/2022 del 17.05.2022, RG 1033/2017, G.I. Alima Zana, affronta un azione invalidatoria e/o di responsabilità per diniego illegittimo di rimborso a seguito di istanza di recesso avanzata da socio di banca popolare.

Si tratta di disposizione inserita nella riforma delle banche popolari del 2015.

Il c. 2 ter dell’art. 28 TUB e la disposizione attuativa Banca di Italia permette di limitare o rinviare il rimborso del recedente.

Il recedente agiva quindi poer diniego illegittimo.

Qui interessa solo:  1) l’affermzione per cui la buona fede che regola l’esecuzione anche del contratto sociale impone la motivazione delle delibere del CdA; 2) il tipo di controllo gidiziale; 3) l’iter argometnativo del collegio per concludere che UBI aveva esaurientemente motivato il diniego

Sub 1: << La scelta di adottare un tale più ampio margine prudenziale, anche in ossequio al principio
di buona fede nello svolgimento del rapporto sociale, va ad ogni modo congruamente
motivata esplicitando le ragioni, nonché gli indici patrimoniali e di bilancio che hanno
portato ad una tale determinazione>>

Sub 2: <<Il sindacato dell’autorità giudiziaria ha -dunque- natura estrinseca in quanto non può spingersi a
valutare, nel merito, le singole scelte discrezionali che hanno portato la banca a limitare il diritto di
rimborso, dovendosi -invece- limitare a vagliare se tali scelte siano:
motivate,
rispondenti ai criteri di legge;
e non irragionevoli.
Secondo la regola di giudizio espressa sul punto dalla Corte Costituzionale il vaglio rimesso al giudice
ordinario deve consentire quindi di verificare che
i “limiti di rimborso decisi nell’esercizio di tale
facoltà non eccedano quanto necessario, tenuto conto della situazione prudenziale di dette banche, al
fine di garantire che gli strumenti di capitale da essi emessi siano considerati strumenti del capitale
primario di classe 1, alla luce, in particolare, degli elementi di cui all’art’articolo 10, paragrafo 3,
delregolamento delegato n. 241/2014, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare” … All’esito dell’indagine, il Collegio ritiene che -essendo le scelte sindacate da parte attrice conformi alle
disposizioni legali, motivate e ragionevoli- l’autorità giudiziaria non possa entrare nel perimetro della
discrezionalità tecnica- esercitata in modo non abusivo- nella determinazione delle componenti per
determinare la soglia floor, conseguendo gli obiettivi prundenzali previsti dal legislatore.
E, così, il Tribunale non può addentrarsi nella valutazione dell’opportunità e della convenienza degli
alternativi criteri (i.e. il RAF e il livello di patrimonializzazione media delle Banche italiane) che, a
parere dell’attrice, UBI avrebbe dovuto considerare in via sostitutiva di quelli concretamente
selezionati. Una tale ingerenza dell’autorità giudiziaria comporterebbe, infatti, un’illegittima
sostituzione nell’esercizio di un potere discrezionale prerogativa dell’organo amministrativo della
Banca.
La tesi attorea secondo cui la scelta gestoria di UBI è stata dettata da un atteggiamento eccessivamente
prudenziale e, dunque, in ultima analisi orientata a fini ultronei alla salvaguardia del patrimonio di
vigilanza non ha trovato riscontro
>>.

Sub 3 (circa una delle contestazioni):

<< Ritiene il Collegio tale scelta:
legitttima
Sul punto, va sottolineato che l’impianto normativo non impone di rispettare- solo-i
requisiti minimi di capitalizzazione, consentendo soglie di capitalizzazione più elevate
di quelle imposte dalla normativa di vigilanza, attraverso una valutazione
“prudenziale” per così dire supplementare.
Va in proposito richiamata la Circolare n. 285/2013 della Banca D’Italia che, nell’alveo
delle disposizioni europee di cui all’art. 10 Reg. 241/2014, indica che le determinazioni
sul rimborso debbano tenere conto, in un’ottica prudenziale, in particolare:
a. dell’importo del capitale primario di classe 1, del capitale di classe 1 e del capitale
totale in rapporto ai requisiti previsti dall’art. 92 del CRR (..)
b. della complessiva situazione finanziaria, di liquidità e di solvibilità della banca o
del gruppo bancario”;
motivata
Nell’ottica di una sana e prudente gestione, la decisione di conservare un livello di
capitalizzazione maggiore di quella minima è esplicitata nelle dichiarazioni rese da
Andrea Montrasio nell’assemblea del 10.10.2015, ove nel dare conto del criterio di
liquidazione del rimborso del recesso precisa
“trovare un giusto equilibrio tra
l’esercizio di un diritto, che è il diritto di recesso (..) ed un dovere che,t ra l’altro, (..)è
quello di mantenere un patrimonio della banca sufficiente per reggere eventuali
intemperie del mercato”
40
ragionevole
Tale giudizio è rafforzato da un significativo evento verificatosi ex post.
In particolare, poco dopo che il Consiglio di Sorveglianza aveva fatto in concreto
applicazione della formula litigiosa, l’agenzia di
rating Fitch con il comunicato stampa
del 24 marzo 2016
41 ha:
-riqualificato l’
outlook di UBI da stabile a negativo -anche- sulla base del crescente
rischio gravante sul capitale determinato da alcuni crediti problematici

– definito solo “accettabile” il CET1 Ratio registrato da UBI in data 31 dicembre 2015
pari all’11,64%43.
Ciò indica, rispetto ad un operatore di mercato, come il Cet1 ratio di UBI sopra la
frazione del 11,5% fosse appena accettabile data la qualità dell’attivo.
Tale giudizio da parte di un soggetto terzo qualificato rafforza la valutazione di non
arbitrarietà della scelta dell’organo amministrativo di UBI che -ai fini del calcolo
dell’ammontare di risorse proprie destinabili al rimborso delle azioni recedute- ha
applicato un supplementare margine prudenziale rispetto ai requisiti minimi di
patrimonializzazione.
>>

Il risarcimento del danno da violazione di disegno comunitario e non registrato (ovvero: sull’art. 125 cod. propr. ind.)

Nella lite Diesel v. Zara, si pronuncia con sentenza 5877/2022 del 5 luglio 2022, Rg 22303/2022 il Trib. Milano, rel. Marangoni, con interessanti considerazioni .

Si tratta di sentenza determinativa del danno, dopo la precedente condanna generica .

1) la rinuncia alla iniziale di domanda di risarcimento del  danno, a favore di quella di retroversione degli utili ex 125 c.3 cpi, deve essere espressa. E tale non è l’espressione << “La quantificazione di tale danno dovrà avvenire ex art. 125 CPI, ovvero in funzione: 1) degli utili indebitamente realizzati dal violatore del diritto (retroversione degli utili);…” (pag. 24 atto di citazione) >>  usata in citazione (segue distinguo tra il risarcimento del danno e il trasferimento degli utili).

2) il mancato calo di fatturato dell’aggredito non esclude il danno: esso infatti può consistere nel suo mancato incremento: <<Nel caso di specie la commercializzazione dei prodotti ritenuti in contraffazione dei titoli di privativa
di pertinenza delle società attrici risulta essere stata eseguita dalle convenute su larghissima scala
internazionale, come dimostrano i dati innanzi riportati con particolare riguardo per il modello di
jeans
ritenuto in contraffazione.
Tali dati pongono dunque in diretta evidenza la sussistenza di un danno a carico delle parti attrici, che
hanno quantomeno sofferto una effettiva diminuzione del potenziale delle loro vendite dei prodotti
originali per effetto della larga diffusività dell’attività delle società convenute oltre che un effetto di
diluizione delle caratteristiche peculiari dei modelli (registrati e non) ritenuti contraffatti.
Seppure sia evidente che non si possa presumere che ogni vendita realizzata dal contraffattore sia una
vendita non realizzata dal titolare del diritto, in ogni caso la valutazione dei dati di vendita conseguiti
dalle convenute appare elemento importante ai fini di valutare l’entità del danno risarcibile
>>.

Non è però chiaro dove stia la <diretta evidenza>

3) Non è pertinente estendere la ctu al bilancio consolidato, perchè qui ci son dati troppo generici in quanto non riferiti ai prodotti contraffatti e inoltre largamente riferiti a vendite extra UE : <<Invero l’utilizzazione a tali fini del bilancio consolidato di gruppo – secondo il CTU – non sarebbe
possibile in quanto il livello di approssimazione cui la sua analisi condurrebbe risulterebbe troppo
elevato, posto che nel bilancio consolidato non sono riportate informazioni atte a determinare la
marginalità di ciascuna linea di prodotto o addirittura – come per il caso di specie – relative ad un
singolo prodotto. Il bilancio consolidato mostra infatti la migliore rappresentazione economicopatrimoniale e finanziaria dell’andamento di un gruppo ma sono solo i bilanci separati di ciascun
soggetto ad esso appartenente – che mantiene comunque la sua autonomia giuridica e contabile –
rappresentano l’attività della società stessa.
Inoltre, senza disporre delle informazioni di dettaglio utilizzate per la formazione del bilancio
consolidato non sarebbe possibile identificare e quindi isolare anche significativi effetti dovuti alle
interessenze di terze economie, oltre ai rapporti infragruppo, con il rischio dunque di utilizzare elementi
informativi non congruenti con lo scopo dell’analisi proposta dalle parti attrici, posto che tale
strumento appare predisposto e finalizzato ad altri fini informativi e rappresentativi del gruppo stesso.
A tali considerazioni possono aggiungersi ulteriori elementi critici rispetto alla possibilità di
determinare un MOL consolidato riferibile ai soli due prodotti in contestazione (di cui il sandalo appare
peraltro avere avuto una diffusione del tutto minima).
Va infatti rilevato che il gruppo Zara ha una vastissima diffusione mondiale attraverso le sue numerose
società controllate, dislocate nei vari Paesi europei ed extraeuropei. Esso opera in decine e decine di
mercati diversi ed anche
online.
Ciò comporta logicamente che per una grandissima parte dei mercati ove essa opera tramite le sue
controllate – e cioè per i Paesi extraeuropei – la vendita dei prodotti contestati si sarebbe svolta in
assenza di diritti delle società attrici validamente opponibili, tenuto conto del perimetro di territorialità
proprio dei titoli europei ritenuti violati che è necessariamente limitato agli Stati membri dell’Unione
Europea. Di conseguenza gli utili conseguiti dalle società controllate aventi sede ed operatività al di
fuori dell’Unione Europea non potrebbero essere inclusi nei benefici (illeciti) conseguenti all’attività di
contraffazione
>>.

4) vanno addebitate alla capogruppo (operava come centrale di acquisto)  non solo le sue vendite alle comntrollate, ma anche quelle operate dalle controllate nelle successive fasi di commercializzazione. Va infatti ravvisata una compartecipazine agli illeciti commessi dalle controllate (ex art. 2055 cc, direi: ma il Trib. non lo menziona): << Tale orientamento appare nel caso di specie fondato sulla considerazione che la società capogruppo
INDUSTRIA DE DISENO TEXIL SA ha materialmente posto in essere la fase iniziale dell’illecito –
acquisendo in maniera centralizzata i prodotti contraffatti e provvedendo alla loro distribuzione in sede
locale tramite le società controllate – e che pertanto il suo contributo ha posto in essere una causa
immediata e diretta anche degli ulteriori danni derivanti dalla distribuzione dei prodotti al consumatore.
Pare particolarmente evidente nel caso di specie l’esistenza di un’unità di comportamento sul mercato
tra società madre e società controllate, posto che – oltre al rapporto di controllo azionario – sussiste un
centro unitario decisionale (la centrale d’acquisto costituita da INDUSTRIA DE DISENO TEXIL SA)
cui corrisponde una correlativa unità di imputazione delle scelte strategiche e dei comportamenti attuati
dai vari appartenenti al gruppo al di là della forma giuridica autonoma che comunque la giurisprudenza
comunitaria non ritiene ostativa all’applicazione delle norme sulla concorrenza (si veda in particolare
Corte di Giustizia CE, causa C-724/17, sentenza 14 marzo 2019, Skanska Industrial Solutions, che
seppure emessa in un contesto relativo a pratica anticoncorrenziale ha affermato che la responsabilità
civile conseguente appare comunque riconducibile a tutte le società che costituiscono una “
unità
economica”
, secondo una teoria dell’unità economica che risulta ormai consolidata in ambito europeo).
La parzialità dei dati a disposizione del Tribunale – che non possono obbiettivamente essere oggetto di
ulteriori integrazioni ed approfondimenti che risulterebbero per il numero delle società coinvolte di
estrema complessità e di esito sostanzialmente incerto – consente tuttavia di provvedere alla
liquidazione del danno “…
in una somma globale stabilita in base agli atti della causa e alle
presunzioni che ne derivano”
(art. 125, comma 2 c.p.i.
>>

L’avatar può essere riprodotto in giocattoli fisici, senza consenso del suo creatore?

La piattaforma Roblox (v. sito web), creatrice di mondi virtuali e avatar, cita in giudizio l’impresa di HonkKong WowWee per aver messo in vendita giocattoli riproducenti (quasi in toto) gli avatar della propria piattaforma.

Aziona copyright, marchio, concorrenza sleale (anche il c.d. trade dress) e  violazioni contrattuali.

E’ disponibile in rete (post di NeerMcd su Twitter) l’atto introduttivo in cui la domanda giudiziale è spiegata in dettaglio e quindi pure il funzionamento della piattaforma Roblox : si presenta dunque di un certo interesse.

Il punto allora è non tanto  se il personaggio solo digitale sia tutelabile con marchio e/o diritto di autore (certamente si), quanto se lo sia solo contro riproduzioni nel medesimo contesto digitale oppure anche nel mondo fisico.

La risposta dovrebbe essere anche qui positiva: il mondo digitale è solo un mercato dal punto di vista ordinamentale, in nulla diverso da quello fisico, per cui l’esclusiva anche in esso opera. Con poche differenze, a ben vedere, da ogni creazione letteraria che -magari in modalità seriale- può riuscire e creare un proprio “mondo”, che però non sfugge alle regole giuridiche generali. Semplicemente oggi questo mondo ideal-fantastico può essere più variegato , anche grazie all’interazione con i clienti/utenti resa possibile da digitalizzazione e internet.

Il mancato guadagno nel caso di recesso con preavviso insufficiente: precisazione bolognese

In una complessa lite tra una società della grande distribuzione organizzata e un suo fornitore di frutta, Trib. Bologna sent. n,. 1532/2022 del 10.06.2022, , RG 645/2017, offre un interessante passaggio sull’oggetto

<< 1. Il danno conseguente all’illecito azzeramento degli ordini di pere estere nell’inverno del 2014 può
essere commisurato all’utile netto, che Celox avrebbe ricavato dalla ricezione di un quantitativo di
ordini prossimo a quello degli ordini ricevuti in passato.
A tale fine deve considerarsi che, nel 2013, il fatturato relativo alle pere estere era stato di €
943.046,00.
Assumendo, secondo nozioni di comune esperienza, che l’utile netto possa determinarsi in misura
prossima al 10% del fatturato, il danno può essere calcolato in € 90.000,00 considerato che non vi
erano obblighi minimi di acquisto e che non ogni riduzione degli ordini è da considerarsi illecita, ma
solo il loro azzeramento.
2. Il danno conseguente all’inadeguatezza del preavviso può essere commisurato all’utile netto, che
C. avrebbe ricavato dalla regolare esecuzione del rapporto per il periodo di un anno (termine di
recesso adeguato).
La regolare esecuzione del rapporto avrebbe comportato la ricezione, appunto per un anno, di ordini di
pere, estere e italiane, in linea con quelli dell’anno precedente.
La prestazione offerta dalle convenute consisteva nella prosecuzione dell’attività di acquisto per le sole
pere nazionali e per soli mesi nove.
Il danno imputabile alle convenute può quindi essere determinato nell’utile netto ricavabile dalle pere
estere nel corso di un anno (ancora € 90.000,00) e in un quarto dell’utile annuale ricavabile dalle pere
nazionali.
Per le pere nazionali la mancata percezione dell’utile corrispondente all’intero periodo è infatti dipesa
dalla decisione di Celox di recedere con effetto immediato dal contratto e non da un rifiuto della
prestazione da parte di … [la GDO]
Il fatturato relativo alle pere nazionali è stato, nel 2013, pari a € 1.914.673; un quarto del fatturato è
pari a € 478.668.25; il 10% di un quarto è pari a € 47.866 circa, arrotondabili per difetto a € 40.000,00
in mancanza, come si è detto, dell’obbligo di un minimo di acquisto
>>

Soprende la stima nel 10 per cento dell’utile , qualificata come <nozione di comune esperienza> (fatto notorio, art. 115/2 cpc).

Ci pare errata perchè priva di fondamento. Serviva quindi istruttoria sul punto e, se l’attore non l’avesse dedotta, il giudice avrebbe dovuto rigettare o al massimo condannare solo nell’AN (condanna genrica art. 282 cpc).

Non si pone poi il problema della tassazione di tale credito da sentenza per utili non percepiti e quindi del se e del come il comando giudiziale debba tenerne  conto

Prova del danno morale anche con presunzioni

Per Cass. n. 23.586 del 28 luglio 2022, sez. 3, rel. Guizzi, il danno morale è provabile anche con presunzioni.

Si tratava di danno da reato (lesioni e minaccia).

Al § 5.2.1 la premessa sulla ricostruzione dei gernali rapporti tra danno morale e danno bioologicom al’iterno del danno non opatrimniaie.

Poi la parte di interesse:

<< proprio “il ricorso alla prova
presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo” nella sua
individuazione e quantificazione, potendo “costituire anche
l’unica fonte di convincimento del giudice, pur essendo onere
del danneggiato l’allegazione di tutti gli elementi che, nella
concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata
dei fatti noti onde consentire di risalire al fatto ignoto” (così
Cass. Sez. 3, sent. 25164 del 2020,
cit.).

E ciò in quanto esiste,
“nel territorio della prova dei fatti allegati, un ragionamento
probatorio di tipo presuntivo, in forza del quale al giudice è
consentito di riconoscere come esistente un certo pregiudizio in
tutti i casi in cui si verifichi una determinata lesione”, sovente
“ricorrendosi, a tal fine, alla categoria del fatto notorio per
Corte di Cassazione – copia non ufficiale

indicare il presupposto di tale ragionamento inferenziale”,
mentre “il riferimento più corretto” deve avere riguardo “alle
massime di esperienza (i fatti notori essendo circostanze
storiche concrete ed inoppugnabili, non soggette a prova e
pertanto sottratte all’onere di allegazione)” (così, nuovamente,
Cass. Sez. 3, sent. 25164 del 2020,
cit.).
In questa prospettiva, pertanto, “non solo non si ravvisano
ostacoli sistematici al ricorso al ragionamento probatorio
fondato sulla massima di esperienza”, ma “tale strumento di
giudizio consente di evitare che la parte si veda costretta,
nell’impossibilità di provare il pregiudizio dell’essere, ovvero
della condizione di afflizione fisica e psicologica in cui si è venuta
a trovare in seguito alla lesione subita, ad articolare estenuanti
capitoli di prova relativi al significativo mutamento di stati
d’animo interiori da cui possa inferirsi a dimostrazione del
pregiudizio patito” (così, ancora una voltai, Cass. Sez. 3, sent.
25164 del 2020,
cit.).
5.2.3. Orbene, la sentenza impugnata, nell’affermare che il
danno morale subito dagli odierni ricorrenti non potesse essere
provato per presunzioni ha, all’evidenza, disatteso i principi
sopra illustrati.
La pronuncia va, dunque, cassata in relazione, con rinvio al
medesimo Tribunale di Vibo Valentia, in persona di diverso
giudice, affinché decida nel merito alla luce di detti principi, oltre
che per la liquidazione delle spese di giudizio, ivi comprese
quelle della presente fase di legittimità
>>

Giudizio da condividere , soprattutto in relazione all’odioso illecito di minaccia.