Ancora sull’assegno divorzile

Si legge in Cass. 28 luglio 2022 n. 23.583, sez. 1, rel. Fidanzia:

<< L’assegno di divorzio deve essere riconosciuto, non in rapporto al pregresso tenore di vita familiare, ma in misura adeguata anzitutto a garantire, in funzione assistenziale, l’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge, secondo un criterio di normalità, avuto riguardo alla concreta situazione del coniuge richiedente nel contesto in cui egli vive, e inoltre, ove ne ricorrano i presupposti e vi sia una specifica prospettazione in tal senso, deve essere adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole, in funzione perequativo-compensativa, del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali (che il coniuge richiedente ha l’onere di dimostrare nel giudizio), al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale (Cass. 24250/2021).

La giurisprudenza di legittimità ha poi costantemente ritenuto inidonea ad escludere l’obbligo di corrispondere un contributo di natura assistenziale la sola generica (e nella specie non professionale) capacità lavorativa. In particolare, ha stabilito che, con riguardo alla capacità lavorativa del coniuge beneficiario dell’assegno, l’indagine del giudice di merito, onde verificare se risulti integrato o escluso il presupposto dell’attribuzione dell’assegno, va condotta “secondo criteri di particolare rigore e pregnanza, non potendo una attività concretamente espletata soltanto saltuariamente (nella specie, di estetista) giustificare l’affermazione della “esistenza di una fonte adeguata di reddito” – onde negare il diritto all’assegno divorzile in capo all’istante -, specie a fronte della rilevazione, da parte dello stesso giudice di merito, del carattere meramente episodico e occasionale di tale attività, e non potendosi, in tal caso, legittimamente inferire, “sic et simpliciter”, la presunzione della effettiva capacità del coniuge a procurarsi un reddito adeguato” (Cass. 6468/1998; conf. Cass. 4584/2000). E l’irrilevanza, al riguardo, della generica ed astratta possibilità del coniuge di procurarsi lavori saltuari è stata più volte ribadita da questo giudice di legittimità (Cass. 10260/1999), essendosi chiarito che tale indagine, condotta in sede di merito, deve esprimersi sul piano della concretezza e dell’effettività, tenendo conto di tutti gli elementi e fattori (individuali, ambientali, territoriali, economico sociale) della specifica fattispecie (Cass. 432/2002; Cass. 13169/2004).

Ora, nella specie, è mancata un’effettiva valutazione dei presupposti dell’assegno divorzile in quanto si doveva accertare [1] l’effettiva mancanza della “indipendenza o autosufficienza economica” di uno dei coniugi, intesa come impossibilità di condurre con i propri mezzi un’esistenza economicamente autonoma e dignitosa, e [2] , nel caso di accertamento dell’autosufficienza ma di riscontro di uno squilibrio reddituale-patrimoniale, verificare se vi fosse la necessità di compensare uno dei coniugi per il particolare contributo che egli dimostri di avere dato alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, avendo sacrificato le proprie concrete (e non aleatorie) aspettative professionali (cfr. Cass. civ. 21234/2019, 5603/2020, 22499/2021).>> (numeri in rosso aggiunti)

Nessuna particolare novità.

Diffamazione e concorrenza sleale da parte dell’ex dipendente

Un ex dipendente pubblica commenti offensivi sull’ex datore di lavoro (anzi, in parte anche quando ancora era al suo servizio)  su piattaforme come ad es. Glassdoor.com, Reddit.com, and Teamblind.com. 

Le sue lamentele era centered on the accusation that LoanStreet and/or Lampl cheated Troia out of $ 100,000 in stock options.

Fece di tutto poi per amplificare la diffusione dei post.

v. qui quelli presenti in sentenza

Il datore lo  cita per diffamazione e concorrenza sleale.

Il caso è deciso dal Distretto sud di New York 17 agosto 2022, Case 1:21-cv-06166-NRB , Loanstrett c. Qyatt Troja.

Qui segnalo l’incomprensibile affermazione del giudice per cui ricorre lo use in commerce del nome commerciale del datore, pur  considerato che l’aveva inserito nel keyword advertising (v. sub C, p. 26 ss).

L’ex dipendente infatti non aveva iniziato alcuna attività commerciale, tanto meno concorrenziale.

(segnalazione e link dal blog del prof. Eric Goldman)

Appello delll’EUIPO su marchio di forma/di posizione

Il 5 board of appeal del l’EUIPO del 29.08.2022, R 197/2021-5 , Blake Holdings appl./appellant, decide un interessante fattispecie di marchio di posizione e/o di forma, consistente in colore grigio applicato a battistrada e porzione laterale esterna di copertoni da camion (“The trade mark comprises the tread and outer portion of a tyre in colour light grey (“Pantone 7527 C”) depicted in the area outside the outer broken line, as shown in the attached representation.”>>).

Ravvisa che manchi di distintività, perchè non si distanzia a sufficienza dalle caratteristiche dei copertoni normalmente reperlbili sul mercato

Premesse:

<< 48   Therefore, contrary to the applicant’s statements, both the claimed light grey
colour and its particular position on the tread and outer portion of the off road tyre
are far for being ‘distinct’ or unique. Thus, taken as a whole, the trade mark
applied for will be perceived only as one of the variants of similar part of off road
tyres existing on the market.

29/08/2022, R 197/2021-5, Outer portion of a tyre in colour light grey (position)
49    In this regard, the Board further recalls that a mere departure from the norm or
customs of the sector is not sufficient to overcome the ground for refusal set out
in Article 7(1)(b) EUTMR. For the mark to fulfil its essential function, namely, to
indicate commercial origin, the difference between the sign applied for and the
norms or customs of the sector must be significant (12/02/2004, C-218/01,
Perwoll, EU:C:2004:88, § 49). In other words, any divergence from the way in
which the competing goods are presented is not sufficient in itself to guarantee
the existence of distinctive character. This difference must also be ‘significant’
and therefore immediately apparent to consumers.
50    What is more, a feature displayed in a sign which is functional in nature and
purpose will generally not be able to confer distinctiveness on the mark, as it will
be associated by the target consumer merely with that specific function, and not as
an indicator of commercial origin, and this, independently of whether the (much
stricter) conditions of Article 7(1)(e) EUTMR are also fulfilled (12/09/2013, T-
492/11, Tampon, EU:T:2013:421, § 23; 18/01/2013, T-137/12, Vibrator,
EU:T:2013:26, § 27; 14/11/2016, R 1067/2016-4, Schlüsselprofil, § 21). In the
present case, as indicated in the communication of Rapporteur of 5 May 2022, the
position mark at stake, consisting of the tread and outer portion of a tyre in light
grey, could also be seen as having a certain functionality, i.e. leaving no black
marks on floors during operations. Contrary to the applicant’s submissions, the
Board observes that that the use of tyres with non-marking properties is
potentially of interest also in relation to the claimed goods, i.e., ‘Off road tires
used with construction, industrial and agricultural equipment; none of the
aforesaid being off road tires for forklift trucks’, including the specific goods for
which the applicant claims that the position mark in question will be used, namely
tyres for Aerial Work Platforms (AWPs), as the examples provided by the
rapporteur show>>.

Pertanto :

<< 51  Taking into account all the above, the Board considers that the sign applied for
cannot be considered to depart significantly from the appearance of (part of) tyres
already found on the market. The relevant public, who is confronted with
numerous more or less similar tyres, will neither carry out a detailed analysis nor
a side by side comparison between the trade mark applied for and the other tyres
on the market, and will therefore perceive the mark applied for solely as being a
mere variety of the tread and outer portion of such tyres. There is no evidence that
the public at large or even the professionals would perceive the sign at hand as a
badge of origin.
52 Therefore, contrary to the applicant’s arguments, none of the features invoked or
their combination support the conclusion that the sign applied for departs
significantly from the norms and customs of the sector. It will therefore not be
perceived as a trade mark without having acquired distinctive character through
use.
>>

(decisione segnalata da Nedim Malovic in IPKat)

Il marchio TAKE FIVE per bevande analcoliche è nullo per carenza di distintività

Questa è la conclusione del Board di appello dell’EUIPO 01.09.2022, Case R 664/2022-1 , Studio Beverage Groupo c. EUIPO (segnalata da in IPKat), confermante il primo grdo amministrativo.

Le disposizioni  di riferimento sono gli artt. 7.1.b – 7.2 reg. UE 2017/1001.

IL pubblico di riferimento è quello english speaking e cioè <<In addition to Ireland and Malta, it consists of those countries in which, at the very least, English is widely understood, in particular, Denmark, Cyprus, the Netherlands, Finland and Sweden>> , § 15.

Motivo: << 20   The assertion of the applicant that the sign is distinctive as it does not describe the
goods claimed is entirely unfounded. In the context of the goods applied for in
Class 32 (essentially non-alcoholic drinks, mineral waters), the public will understand the imperative form of the expression ‘take five’ as an invitation to potential customers not to pass by the goods advertised in this way carelessly, but to
take/buy them in a quantity of five. The invitation to buy conveyed by the sign
could also refer to a variety of five different types of drinks or flavours sold in one
pack, since it is common that those products are offered also in packs. Such
invitations to take or buy are not unusual, and there might be even a
compensation for buying several products, in the form of a (quantity) discount.

01/09/2022, R 664/2022-1, TAKE FIVE
21 Moreover, in advertising language, the public is accustomed to being confronted
with English terms that are intended to convey factual information in a memorable form, without recognising in them any indication of origin. In particular, the
use of the imperative form is a common stylistic device in advertising language to
address potential customers directly and to convey an advertising message to
them. With regard to the relevant goods (i.e., non-alcoholic drinks, mineral waters), it is common business practice to offer and sell daily consumption goods
which are often similar in appearance by addressing consumers directly in a verbal or visually striking manner. The present sign is a direct, obvious and also
widely used advertising statement with ‘five’ being used in the sense of a quantity
specification. Therefore, the public is familiar with receiving such advertising
messages in this form.
22 In the light of the foregoing, the word combination ‘TAKE FIVE’ cannot be
regarded as capable of serving as an indication of the commercial origin of the
goods claimed in this case. On the contrary, the relevant public, which is made up
of end consumers, will see in the word sequence ‘TAKE FIVE’, in connection
with the goods in Class 32, exclusively a general laudatory advertising statement
and an appeal to potential customers to buy. There is no evidence whatsoever that
the relevant public perceives the sign applied for, beyond its obvious advertising
and laudatory content.
>>

L’interesse, oltre che nel giudizio in sè, sta anche nel fatto che la mancanza di distintività, qui  affermata secondo la regola generale (art. 7.1.b), non avrebbe invece potuto esserlo secondo le regole particolari (artt. 7.1.c-d-e) (v. da noi l’art. 7.1.a  – 13.1 cpi): dando quindi un senso alla distinzione tra la prima e le seconde, da taluni criticata.

La frode informatica tramite app scaricata da Apple Store non preclude ad Apple di fruire del safe harbour ex 230 CDA

Il Trib. del North Dist. dell aCalifornia, 2 settembre 2022, HADONA DIEP, et al., Plaintiffs, v. APPLE, INC., Defendant. , Case No. 21-cv-10063-PJH , decide su una domanda contro Apple per aver favorito/omesso controlli su una app (Toast Plus) del suo store , che le aveva frodato diversa criptocurrency

L’immancabile eccezione di porto sicuro ex § 230 CDA viene accolta.

Ed invero difficile sarebbe stato  un esito diverso, trttandosi di caso da manuale.

Naturalmenten gli attori tentano di dire i) che avevano azionato anche domande  eccedenti il suo ruolo di publisher e ii) che Apple è content provider (<<The act for which plaintiffs seek to hold Apple liable is “allowing the Toast Plus application to be distributed on the App Store,” not the development of the app>>) : ma questo palesement non eccede il ruolo di mero hosting.

Conclusion: Plaintiffs’ allegations all seek to impose liability based on Apple’s role in vetting the app and making it available to consumers through the App Store. Apple qualifies as an interactive computer service provider within the meaning of the first prong of the Barnes test. Plaintiffs seek to hold Apple liable for its role in reviewing and making the Toast Plus app available, activity that satisfies the second prong of the Barnes test as publishing activity. And plaintiffs’ allegations do not establish that Apple created the Toast Plus app; rather, it was created by another information content provider and thus meets the third prong of the Barnes test. For each of these reasons, as well as the inapplicability of an exemption, Apple is immune under § 230 for claims based on the conduct of the Toast Plus developers.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Approfondimenti sul safe harbour ex § 230 CDA (casinò virtuali , responsabilità editoriale e compartecipazione all’illecito)

Il distretto nord della California, S. Josè division,  2 settembre 2022, Case No. 5:21-md-02985-EJD , Case No. 5:21-md-03001-EJD e Case No. 5:21-cv-02777-EJD, decide una lite promossa per putative class action verso le major tecnologiche Apple, Google e Facebook per violazione di diverse norme di consumer protection.

In particolare le accusa -in concorso con i gestori di cyber casinò- di aver fatto perdere soldi agli utenti promuovendo attivamente applicazioni di giochi a denaro (casino), meglio detti <social casinos applications>

Le major ovviamente eccepiscono il safe harbour in oggetto.

La corte entra nel dettaglio sia del business dei casinò virtuali sia della storia del § 230 CDA.

Quello che qui però interessa è la qualificazione della domanda proposta.

Infatti solo se l’attore tratta le convenute come speaker/publisher, queste fruire del safe harbour. E delle tre possibili teorie di responsabilità propettate dall’attore, una (la seconda) viene ritenuta di responsabilità per fatto proprio anzichè editoriale: per questa dunque il safe harbour non opera.

In particolare: << Unlike Plaintiffs’ first theory of liability, which attempts to hold the Platforms liable in
their “editorial” function, Plaintiffs’ second theory of liability seeks to hold the Platforms liable
for their own conduct. Importantly, the conduct identified by Plaintiffs in their complaints is
alleged to be unlawful. As alleged, players must buy virtual chips from the Platforms app stores
and may only use these chips in the casino apps. It is this sale of virtual chips that is alleged to be
illegal. Plaintiffs neither take issue with the Platforms’ universal 30% cut, nor the Platforms’
virtual currency sale. Plaintiffs only assert that the Platforms role as a “bookie” is illegal.
Plaintiffs therefore do not attempt to treat the Platforms as “the publisher or speaker” of thirdparty content, but rather seek to hold the Platforms responsible for their own illegal conduct—the
sale of gambling chips.
Compare Taylor v. Apple, Inc., No. 46 Civ. Case 3:20-cv-03906-RS (N.D.
Cal. Mar. 19, 2021) (“Plaintiffs’ theory is that Apple is distributing games that are effectively slot
machines—illegal under the California Penal Code. . . . Plaintiffs are seeking to hold Apple liable
for selling allegedly illegal gaming devices, not for publishing or speaking information.”),
with
Coffee v. Google, LLC
, 2022 WL 94986, at *6 (N.D. Cal. Jan. 10, 2022) (“In the present case,
Google’s conduct in processing sales of virtual currency is not alleged to be illegal. To the
contrary, the [Complaint] states that ‘[v]irtual currency is a type of
unregulated digital currency
that is only available in electronic form.’ If indeed the sale of Loot Boxes is illegal, the facts
alleged in the FAC indicate that such illegality
is committed by the developer who sells the Loot
Box for virtual currency, not by Google
.” (second alteration in original) (emphasis added)) ….

The Court holds that Plaintiffs’ first and third theories of liability must be dismissed under
section 230. However, Plaintiffs’ second theory of liability is not barred by section 230. The
Court thus GRANTS in part and DENIES in part Defendants’ respective motions to dismiss. 
>>

E’ una questione assai interssante di teoria civilistica quella di capire quando ricorra responsabilità vicaria o per concorso paritario nel fatto altrui o responsabilità solo editoriale.    Interessante anche perchè è alla base della discplin armonizzata UE della  responsabilità del provider.

(notizia e link alla sentenza da blog del prof Eric Goldman)

L’appalto non è contratto ad esecuzione periodica e quindi può essere risolto retroattivamente anche dopo l’ultimazione e la consegna delle opere

Cass. sez. I 12 Luglio 2022 n. 22.065,  rel. Caiazzo:

<<Al riguardo, la Corte territoriale ha ritenuto che l’esecuzione integrale del contratto si ponga in rapporto di incompatibilità con l’effetto derivante dalla pronuncia di risoluzione ex art. 1458 c.c., ossia il ripristino dello status quo ante. In altri termini, è stato affermato che il soggetto che invoca la risoluzione del contratto non otterrebbe alcuna utilità dall’accoglimento della domanda in esame.

Tale rilievo non è condivisibile nel caso concreto in quanto la ricorrente ha rilevato che l’interesse alla richiesta pronuncia di risoluzione è correlato alla ritenuta intempestività di alcune riserve che la stessa ricorrente lamenta essere stata pronunciata erroneamente dalla Corte territoriale poiché fondata sulle condizioni generali di contratto il cui testo essa assume essere stato prodotto tardivamente attraverso la ctu (come si dirà appresso).

In particolare, in punto di principio, secondo l’orientamento di questa Corte, l’appalto, anche nei casi in cui la sua esecuzione si protragga nel tempo, e fatte salve le ipotesi in cui le prestazioni in esso dedotte attengano a servizi o manutenzioni periodiche, non può considerarsi un contratto ad esecuzione continuata o periodica e, pertanto, non si sottrae alla regola generale, dettata dall’art. 1458 c.c., della piena retroattività di tutti gli effetti della risoluzione, anche in ordine alle prestazioni già eseguite; ne consegue che il prezzo delle opere già eseguite può essere liquidato, a seguito della risoluzione del contratto, a titolo di equivalente pecuniario della dovuta restitutio in integrum (Cass., n. 15705/13 e n. 3455/15).

In realtà, l’affermazione secondo cui la risoluzione per inadempimento non sarebbe possibile a causa dell’ultimazione dei lavori non trova alcun riscontro positivo: al contrario, va considerato che nell’appalto pubblico un momento che assume rilievo è il collaudo fino al quale la domanda è proponibile (v. Cass., 27 novembre 1964, n. 2813).>>

Sull’interpretazione del regolamento condominiale

Cass.  sez. 6 8 aprile 2022, n. 11.502, rel. Scarpa:

<<Un regolamento condominiale può porre limitazioni ai poteri ed alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti comuni, purché tali limitazioni siano enunciate in modo chiaro ed esplicito. E l’interpretazione delle clausole di un regolamento contrattuale contenenti limiti nel godimento delle cose comuni è sindacabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale ovvero per l’omesso esame di un fatto storico, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.>>

E quindi (punto importante assai nelle realtà condominiali) <<La Corte d’appello di Torino ha spiegato che il divieto di “ingombrare il cortile comune” contenuto nel regolamento condominiale, art. 15, lett. c), non implica altresì un impedimento al diritto di parcheggio, tenuto altresì conto del comportamento complessivo dei condomini successivo alla redazione del medesimo regolamento, come risultante dalle dichiarazioni rese dai testimoni T. e N..

In tal modo, i giudici del merito, sulla base di apprezzamento di fatto della volontà contrattuale non sindacabile in questa sede, hanno fatto corretto uso dell’art. 1362 c.c., che nel comma 1, pur prescrivendo all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l’elemento letterale del contratto ma, al contrario, intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile (Cass. Sez. 2, 22/08/2019, 21576).>>

Infatti <le prescrizioni del regolamento aventi natura solo organizzativa, come quelle che disciplinano le modalità d’uso delle parti comuni, possono essere interpretate, giusta l’art. 1362 c.c., comma 2, altresì alla luce della condotta tenuta dai comproprietari posteriormente alla relativa approvazione ed anche “per facta concludentia”, in virtù di comportamento univoco (arg. da Cass. Sez. 6 – 2, 18/05/2017, n. 12579). Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile, senza doversi provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, perché gli intimati non hanno svolto attività difensive.>

La Cassazione sulla revisione dell’assegno divorzile di mantenimento dei figli

Precisazioni da  Cass. 12 luglio 2022 n. 22.075, sez. 1, rel. Reggiani.

1) <Come più volte affermato da questa Corte, il principio sancito dall’art. 337 quinquies c.c., secondo cui i genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni relative ai figli (affidamento e contributo al mantenimento) va, infatti, coniugato con i principi che regolano il relativo procedimento. Il che comporta che il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti di siffatte statuizioni sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in seno al precedente titolo e, dunque, non può dare ingresso a fatti anteriori alla definitività del titolo stesso, o a quelli che comunque avrebbero potuto essere fatti valere con gli strumenti concessi per impedirne la definitività, dovendo quel giudice limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l’assetto tenuto in considerazione in sede di formazione del titolo (v. da ultimo, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 283 del 09/01/2020; con riferimento alle statuizioni relative ai figli nati fuori del matrimonio, assimilate a quelle adottate in sede di separazione e divorzio che riguardano i figli di coppie coniugate, v. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 18608 del 30/06/2021, ove a fondamento della richiesta di revisione del contributo al mantenimento sono state poste solo modifiche delle condizioni economiche; v. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6132 del 26/03/2015, Rv. 634872-01 e Cass., Sez. 1, Sentenza n. 3192 del 07/02/2017, Rv. 643720-01)>.

Punto importante, da certa dottrina avversato.

2) <<5.5. In tale ottica, perché possa essere operata la revisione del contributo al mantenimento del figlio, non basta che si determini un mutamento di alcuni dei parametri di riferimento previsti dall’art. 337 ter c.c., comma 4, essendo necessario che tale mutamento comporti un’alterazione del principio della proporzionalità che aveva determinato la misura dell’assegno in questione.

In particolare, se sono ritenute esistenti maggiori spese per il mantenimento del figlio (art. 337 ter c.c., comma 4, n. 1), ciò non comporta un automatico aumento del contributo al mantenimento a carico del genitore obbligato, perché deve sempre essere garantito il rispetto del sopra menzionato principio della proporzionalità, da verificarsi in base ai parametri sopra indicati ai nn. 3, 4, e 5 dell’art. 337 ter c.c.

Ciò significa che, se risultano immutati tutti gli altri elementi di valutazione, che attengono al riparto interno dell’obbligo di mantenimento, l’aumento delle spese di mantenimento legate alla crescita del figlio, in relazione alle specifiche esigenze di quest’ultimo, deve comportare un aumento del contributo al mantenimento gravante sul genitore obbligato, perché altrimenti le maggiori spese graverebbero ingiustamente solo sull’altro.>>

In sintesi, <a fronte della richiesta di revisione dell’assegno di mantenimento dei figli minorenni o maggiorenni e non autosufficienti economicamente giustificata dall’insorgenza di maggiori oneri legati alla crescita di questi ultimi, il giudice di merito, che ritenga esistenti tali maggiori spese, non è chiamato ad accertare l’esistenza di sopravvenienze nel reddito del genitore obbligato in grado di giustificare l’aumento del contributo, ma deve limitarsi a verificare se tali maggiori spese comportino la necessità di rivedere l’assegno per assicurare la proporzionalità del suo contributo alla luce dei parametri fissati dall’art. 337 ter c.c., comma 4, ben potendo l’incremento di spesa determinare un maggiore contributo con redditi (dei genitori) immutati (o mutati senza modificare la rispettiva debenza), ovvero non incidere sulla misura del contributo, ove le attuali consistenze economiche dei genitori non rilevino per la misura del contributo, come già determinato.>

Rifoprmulato nel principio di diritto <<“Nel giudizi separativi, a fronte della richiesta di revisione dell’assegno di mantenimento dei figli (minorenni o maggiorenni e non autosufficienti economicamente), giustificata dall’insorgenza di maggiori oneri legati alla crescita di questi ultimi, il giudice di merito, che ritenga necessarie tali maggiori spese, non è tenuto, i via preliminare, ad accertare l’esistenza di sopravvenienze nel reddito del genitore obbligato, ma a verificare se tali maggiori spese comportino la necessita di rivedere l’assegno, ben potendo l’incremento di spesa determinare un maggiore contributo anche a condizioni economiche dei genitori immutate (o mutate senza alterare le proporzioni delle misure di ciascuno dei due), ovvero non incidere sulla misura del contributo di uno o di entrambi gli onerati, ove titolari di risorse non comprimibili ulteriormente.”>>

3)  <E’ stato già evidenziato come l’art. 337 ter c.c. preveda che il riparto tra i genitori degli oneri legati al mantenimento dei figli sia regolato dal principio della proporzionalità al reddito di ciascuno. Ciò comporta che il genitore che gode di redditi maggiori sostiene maggiori spese anche se la proporzione tra spese e reddito è la stessa. E’ dunque evidente che la misura del contributo di ciascuno di essi dipende dalla misura del contributo dell’altro, sempre regolato dal principio della proporzionalità. E’ per questo che, in modo inequivoco, l’art. 337 ter c.c., comma 4, n. 4), espressamente indica, tra i parametri per la determinazione del contributo al mantenimento del figlio, le risorse economiche di entrambi i genitori.

Tale considerazione non cambia, ove la valutazione debba essere fatta in sede di revisione del contributo in questione, poiché, come sopra evidenziato, le sopravvenienze poste a fondamento della richiesta di modifica di tale contributo devono essere tali da incidere sulla proporzione che regola il riparto delle spese tra genitori.

In particolare, anche quando sia posta a fondamento della richiesta di modifica del contributo l’insorgenza di maggiori spese legate alla crescita dei figli, ove – come nella specie – sia controversa la permanenza della stessa situazione economica dei coniugi rispetto al tempo della determinazione originaria dell’assegno, il giudice è chiamato ad effettuare la valutazione delle risorse economiche di entrambi i genitori, proprio per valutare se la sopravvenienza dedotta incide o meno sull’ammontare del contributo gravante sul genitore obbligato in applicazione del principio della proporzionalità.

L’accertamento non deve essere limitato alle consistenze dell’obbligato, ma al reddito e al patrimonio di entrambi i genitori, per verificare se la sopravvenienza dedotta ha alterato la proporzione che regola, tra loro, il riparto dell’obbligo di contribuzione al mantenimento dei figli, giustificando un aumento del contributo al mantenimento da parte del genitore a ciò obbligato.

Nel caso di specie, la Corte di appello, ha effettuato tale valutazione e ha escluso che la sopravvenienza dedotta abbia inciso sul menzionato rapporto di proporzionalità, affermando che, se vi era stato un miglioramento delle condizioni economiche, quello era in favore della madre con cui i figli vivevano.>

La cessazione dalla carica per messa in liquidazione non equivale alla revoca, al fine del risarcimento dei danni ex art. 2383 c. 3 cc

Cass. 15.07.2022 n. 22.351, sez. 2, rel. Fortunato, interviene sull’oggetto e osserva: <<sebbene la delibera di liquidazione e la revoca degli amministratori abbiano in comune il fatto di essere entrambe adottate con un atto deliberativo della società, tuttavia solo nel primo caso viene meno l’organo gestorio e non vi è continuità dell’amministrazione: i liquidatori possono, difatti, svolgere solo gli atti utili per la liquidazione (art. 2489 c.c.).

La revoca in senso tecnico dell’amministratore (art. 2383 c.c.) – non la liquidazione – postula la mera sostituzione dei titolari delle cariche, con successivo subentro dei nuovi amministratori.

Per tale essenziale diversità delle due fattispecie, la liquidazione non dà luogo ad una revoca (tacita o implicita) dell’amministratore riconducibile al disposto dell’art. 2383 c.c., comma 3, né appaiono ammissibili pretese risarcitorie neppure se il mandato gestorio venga meno prima della sua naturale scadenza (ad eccezione delle ipotesi in cui la liquidazione appaia finalizzata esclusivamente a rimuovere gli amministratori, come nel caso in essa venga successivamente revocata e si proceda alla ricostituzione degli organi sociali senza riconfermare i precedenti amministratori: cfr., in tal senso, Cass. 2068/1960).

Stante il contenuto della scrittura di nomina del marzo 2010 e la non esclusa operatività delle cause legali di cessazione dell’amministratore, non era doveroso assicurare in ogni caso la permanenza in carica del ricorrente per un triennio a prescindere di quali fossero le esigenze di risanamento della società e gli strumenti per attuarle.

Come ha evidenziato la Corte di merito, la messa in liquidazione volontaria non integrava, quindi, un inadempimento colpevole della scrittura di incarico del marzo 2010, né un’ipotesi di revoca senza giusta causa, fattispecie cui le parti avevano inteso ricollegare le conseguenze risarcitorie oggetto delle penali contrattuali>>.

Il dictum è esatto.