La CEDU conferma che il diritto di autore è un diritto proprietario ai sensi della Convenzione

La CEDU 01.09.2022, applic. n. 885/12, Safarov c. Azerbaijan, conferma che il diritto di autore rientra nella preevisione che tutela il diritto di proprietà , collocata nell’art. 1 del (primo)  protocollo, rubricato <protezione della proprietà>.

Il cui testo (v.lo nel sito della Corte) è: << Every natural or legal person is entitled to the peaceful enjoyment of his possessions. No one shall be deprived of his possessions except in the public interest and subject to the conditions provided for by law and by the general principles of international law.
The preceding provisions shall not, however, in any way impair the right of a State to enforce such laws as it deems necessary to control the use of property in accordance with the general interest or to secure the payment of taxes or other contributions or penalties
>>.

Questo il passaggio: <<30.  The Court reiterates that protection of intellectual property rights, including the protection of copyright, falls within the scope of Article 1 of Protocol No. 1 (see Anheuser-Busch Inc. v. Portugal [GC], no. 73049/01, § 72, ECHR 2007I, and SIA AKKA/LAA v. Latvia, no. 562/05, § 41, 12 July 2016). In the present case, the applicant was the author of the book in question and benefitted from protection of copyright under domestic law. This fact was never contested by the domestic courts (compare Balan v. Moldova, no. 19247/03, § 34, 29 January 2008, and Kamoy Radyo Televizyon Yayıncılık ve Organizasyon A.Ş. v. Turkey, no. 19965/06, § 37, 16 April 2019). Therefore, the applicant had a “possession” within the meaning of Article 1 of Protocol No. 1 to the Convention.>>

Inoltre per la Corte l’esaurimento di applica solo agli oggetti corproali <<35.  As to Article 15.3 of the Law on Copyright, referred to by the Supreme Court, the Court observes that that provision concerned the rule of exhaustion of right to distribution. As the wording of that provision and Agreed statement concerning Article 6 of the WIPO Copyright Convention suggest (see paragraphs 15 and 23 above), that rule referred to lawfully published and fixed copies of works which were put into circulation by sale as tangible objects>>. Affermazione frettolosa, dimentica dell’opposta posizione, sostenuta con diversi argomenti.

(segnalazione di Eleonora Rosati, in IPKaT  del 04.09.2022)

Sospensione/rimozione da parte di Facebook e diritto di critica ex art. 21 Cost. dell’utente

Stimolante sentenza (ex art. 702 ter cpc) da parte di Tib. Varese 02 agosto 2022 n° 1181/2022, RG 2572/2021 , rel. M.M. Recalcati, circa la lite promossa dall’utente censurato da Facebook (suo account nonchè gruppo) sostanzialmente per attività disinformativa.

Il Tribunale dà torto alla ricorrente e ragione a Fb.

Bene su giurisdizione , legge applicabile e contrattualità sinallagmatica del rapporto Fb / utente (cosa ormai scontata):

Meno bene laddove ritiene non vessatoria ex art. 34 cod. cons. il diritto unilaterale di “sospendere a suo insindacabile giudizio la propria prestazione conservando il diritto di fruire della controprestazione”: ci pare evidente uno significativo squilibrio di diritti e obbligjhi.

Punto assai interssate è la precisazione sulla distinzione giudizio in astratto e in concreto: << Il Tribunale non può però limitarsi a tale astratta valutazione, essendo chiamato a
verificare se, tenuto conto della natura del servizio oggetto del contratto, come indicato
dall’art. 34 cod. consumo, la tipizzazione delle condotte dell’utente giustificanti la
limitazione/sospensione del servizio non comporti uno squilibrio tra i diritti e gli
obblighi delle parti.
In particolare, poiché Facebook propone il proprio servizio a tutti gli utenti, senza
alcuna distinzione o limitazione all’ingresso), e poiché il servizio offerto consiste nel
consentire all’utente di incontrare altri soggetti, di esprimere la propria personalità e,
quindi, anche e soprattutto, di manifestare il proprio pensiero, la previsione di
limitazioni a questa libertà di espressione non comporta uno squilibrio contrattuale, in
danno dell’utente, nella misura in cui tali limitazioni non si risolvono in una lesione
dell’art. 21 Cost
>>

Il giudizio va dato in astratto o solo al singolo tema volta per volta sub iudice? opta per la seconda , ma non pare corretto: la clausola va giudicata in astratto.

Il Trib. invece la ritiene vessatoria quando inibisca l’esewrcizio di diritto fondamentali come il diritto di espressione del lensiero ex 21 Cost.

IMportante l’affermazione di applicaizone di tale diritto -in sostanza.- verso qualunque privato che possa -per la sua posizione.- inibirlo in modo significativo.

Ritiene però che un’eccessiva compressione  da parte delle clausole di Fb (applicate al tema specifico) non ci sia, dato che è a fronte di altri dirtti di pari valore (sicurezza e tranquillità degli altri utenti).

Esclusa la vessatorietà , nel caso concreto (era un post riportante intervento in aula della parlametnare Cunial contrario fortemente ai vaccini anticovid) la rimozione è stata valutata “giustificata” sotto il profilo della disinformazione. IL punto è importante, stante il ruolo pubblico della persona il cui video è censurato: << 5.3 Ciò posto, non si ritiene che il carattere composito del discorso pubblicato dalla ricorrente valga a rendere illegittima la rimozione del post e il blocco del profilo della stessa per 30 giorni, attesa l’impossibilità di scindere il contenuto del discorso, nonché in ragione del fatto che la critica espressa dalla parlamentare alla politica del c.d. green pass si fonda sostanzialmente sui dati relativi ai vaccini dalla stessa riportati e contrari agli Standard >>

Il punto è: anche si concordasse che il discorso della parlamentare contrastava ideologicamente con le regole di Fb, conta qualcosa il fatto che sia espresso in sede parlametnare? Oppure è soggetto allo stesso trattamento contrattuale cui sarebbe soggetto il medesimo discorso fatto però dal quisque de populo?

La tolleranza di infedeltà pregressa è di ostacolo all’addebito della separazione? La Cassazione sulla separazione Ferragamo

E’ stato diffuso il testo di   Cass. 25.966 del 02.09.2022 sez. 1, rel. Mercolino dal collega Alessandro Casartelli.

La SC accoglie la critica al rigetto della domanda di addebito avanzata dal marito.

Premette che <<Grava dunque sulla parte che richieda l’addebito della separazione all’altro coniuge, per l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà, l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre spetta a chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi l’inidoneità dell’infedeltà a determinare l’intollerabilità della convivenza, fornire la prova delle circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire dell’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà (cfr. Cass., Sez. VI, 19/02/2018, n. 3923; Cass., Sez. I, 14/02/2012, n. 2059). Ai fini di tale accertamento, è stata ritenuta peraltro irrilevante la prova della tolleranza eventualmente manifestata da un coniuge nei confronti della condotta infedele tenuta dall’altro, essendosi esclusa la configurabilità della stessa come “esimente oggettiva”, idonea a far venire meno l’illiceità del comportamento, o l’ammissibilità di una rinuncia tacita allo adempimento dei doveri coniugali, in quanto aventi carattere indisponibile, ed essendosi ritenuto che la sopportazione dell’infedeltà del coniuge possa essere piuttosto presa in considerazione, unitamente ad altri elementi, quale indice rivelatore di una crisi in atto da tempo, nell’ambito di una più ampia valutazione volta a stabilire se tra le parti fosse già venuta meno raffectio coniugalis (cfr. Cass., Sez. I, 20/09/2007, n. 19450; 27/06/1997, n. 5762; 2/03/1987, n. 2173)>>.

Va poi al caso sub iudice, con l’interessante precisaizone:

<< deve riternersi che la tolleranza manifestata dal ricorrente nei confronti della relazione extraconiugale intrapresa dalla moglie alcuni anni prima della proposizione della domanda in tanto potesse impedirgli di far valere la violazione del dovere di fedeltà, in quanto fosse stato dedotto e dimostrato che la predetta relazione non aveva costituito causa della crisi coniugale, all’epoca già in atto e mai più sanata, ovvero che la stessa era rimasta un episodio isolato, eventualmente dovuto ad un temporaneo appannamento del vincolo affettivo tra i coniugi, e superato da una piena e completa ripresa dei rapporti tra gli stessi, nuovamente deterioratisi in epoca successiva per altre ragioni.

A sostegno della domanda di addebito, il ricorrente aveva invece allegato e chiesto di essere ammesso a provare che la predetta relazione era stata seguita da altre, intraprese successivamente alla cessazione della prima e fino all’instaurazione del giudizio di separazione, in tal modo lasciando chiaramente intendere che la tolleranza da lui inizialmente manifestata nei confronti della condotta del coniuge era venuta meno, a causa della reiterata violazione del dovere di fedeltà da parte dello stesso, che aveva determinato il fallimento dell’unione. A fronte di tale allegazione, l’atteggiamento tenuto dal ricorrente nei confronti della prima relazione non poteva essere considerato sufficiente a giustificare il rigetto della domanda di addebito della separazione, a tal fine occorrendo prendere in esame la successiva evoluzione del rapporto coniugale, ed in particolare accertare se si fossero verificate nuove violazioni del dovere di fedeltà da parte della G., e quale fosse stata la reazione del F.: soltanto ove fosse risultato che a seguito delle cessazione della predetta relazione la vita coniugale era ripresa regolarmente senza ulteriori violazioni del dovere di fedeltà, oppure che la donna aveva intrapreso altre relazioni extraconiugali senza che l’uomo vi desse importanza, si sarebbe potuto concludere che non erano state le predette infedeltà ad impedire la prosecuzione della convivenza, divenuta intollerabile per altre ragioni, che avevano fatto venir meno l’affectio coniugalis.>>

Quindi cassa con rinvio.

Però non ritiene assorbito il motivo impugnatorio relativo alla determinazione dell’assegno: <<se è vero, infatti, che, ai sensi dell’art. 156 c.c., comma 1, l’esclusione dell’addebito costituisce presupposto indispensabile per il riconoscimento dell’assegno, è anche vero, però, che nel caso in cui la predetta statuizione dovesse trovare conferma a conclusione del giudizio di rinvio, la questione posta con il secondo motivo diverrebbe nuovamente rilevante, sicché non può escludersi l’interesse delle parti all’esame della stessa, il cui esito resta tuttavia condizionato a quello del riesame della domanda di addebito (cfr. Cass., Sez. I, 27/09/2017, n. 22602; Cass., Sez. III, 29/02/2008, n. 5513; 6/06/ 2006, n. 13259).>>. Motivo però che viene respinto perchè non in diritto ma sostanzialmente volto a rivalutare il giudizio fattuale, senza rispettare l’art. 360 n. 5 cpc

Coreografia v. “emotes” nel diritto di autore

Il balletto di Hanagami è stato illecitamente copiato dai c.d. emotes del gioco Fortnite di Epic Games? Dice di no il Central District della California 24 agosto 2022, caso 2: 22-cv-02063-SVW-MRW.

Tutelabili non sono i passi di danza ma solo il prodotto coreografico complessivo (vedilo in youtbue al link indicato dalla corte )

Ed allora gli emotes, strumenti  per personalizzare (a pagamento) i personaggi del gioco Fortnite (sono movimenti animati o danze, spiega la corte) , non costituiscono contraffazione, date le notevoli differenze che la corte va a dettagliare.

Sentenza interessante per novità della materia e approfondimenti sulla protezione di fotografia e coreografia, alla luce dei precedenti richiamati

(notizia e link dal blog del prof Eric Goldman; testo pdf solo grafico, purtroppo)

Il Tribunale UE su una lite tra marhci denomainativo-figurativ (Tigercat v. Cat)

Trib. UE 13.07.2022, T-251/21, Tigercat International Inc., e c. EUIPO + Caterpillar interv.,  decide la lite sulla registrabilità del marchio denominativo TIGERCAT ala luce dell’anterità costituita da

marchio anteriore

I prodotti erano  uguali (‘Specialised power-operated forestry equipment, namely, purpose built four wheel drive-to-tree and track type log bunchers, log loading machines, skidders and other forestry industry equipment, namely, bunching saws, bunching shears and components parts thereof’).

Il pubblico è molto attento, essendo professionale, § 23 ss

Predominanti nel secondo son entrambi gli elementi, alla pari. Nel primo, poi,  la figura non oscura la parola, § 59.

Conferma che ricorre la visual similarity, § 64.

Ricorre anche quella fonetica, §§ 69-74. Qui l’interesse sta nel fatto che quello posteriore è composto e comprende quello anteriore.

Esatta è anche la stima di confondibilità concettuale (richiamo CAT), § 84.

In breve c’è rischio di confusione, § 94 e 97

Il Tribunale dunque conferma le decisioni amministrative

Tutela dell’onore v. diritto di cronaca: sul concetto di verità nell’intervista giornalistica

Cass. n. 23.166 del 25.07.22, rell Pazzi, sez. 1, interviene nella lite tra Il Fatto Quotidiano  e Finivest circa gli allegati danni dal primo cagionati alla seconda in occasione di articoli sul presunto ricorso a finamziamenti illeciti per sopperire alla gravissima crisi finanziaria (circostanze emergenti dal merito ma poco chiaramente dalla SC).

<< 8.3 Il secondo profilo di censura sollevato dalla società ricorrente contesta la tesi della Corte palermitana secondo cui la critica, mirando a valutare soggettivamente una data informazione, non comporta l’obbligo di esporre anche argomenti di segno contrario e sostiene che un simile assunto ha finito per legittimare l’esercizio di un diritto di critica fondato su dati incompleti e superati.

Sotto questo profilo il mezzo in esame merita di essere condiviso.

Se è pur vero che il diritto di critica non si concreta, come quello di cronaca, nella narrazione veritiera di fatti, ma si esprime in un giudizio che, come tale, non può che essere soggettivo e separato rispetto ai fatti stessi, resta comunque fermo che il fatto presupposto ed oggetto della critica deve corrispondere a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze oggettive, così come accade per il diritto di cronaca (Cass. 7847/2011).

In altri termini, il diritto di critica non si concreta nella mera narrazione di fatti, ma si esprime in un giudizio avente carattere necessariamente soggettivo rispetto ai fatti stessi; tuttavia, per riconoscere efficacia esimente all’esercizio di tale diritto, occorre che il fatto presupposto ed oggetto della critica corrisponda a verità, sia pure non assoluta, ma – come già si è detto – ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze soggettive (Cass. 25420/2017).>>

Bisogna poi che i fatti siano non solo veri ma anche non ridotti alla bisogna del giornalista  e cioè che siuano esposti per intero:

<< 8.4 E’ evidente, poi, che togliendo porzioni della complessiva realtà fattuale che si intende criticare si può alterare la veridicità della descrizione fattane, nel caso in cui le parti tralasciate abbiano caratteristiche tali da compromettere il significato di quanto espressamente riferito.

La ricostruzione parziale dei fatti, ove sia avvenuta omettendo di riferire circostanze capaci di attribuire a quanto narrato un senso del tutto diverso, influisce quindi sul carattere di veridicità del fatto presupposto ed oggetto della critica.

Il che significa che la narrazione del fatto presupposto dalla critica, per corrispondere a verità, deve avvenire non solo riferendo circostanze in sé veridiche, ma anche avendo cura di non tralasciare ogni rilevante circostanza di contorno che sia, per sua natura, capace di alterare in maniera rilevante il significato della narrazione compiuta.

Non è perciò corretto il procedere a una ricostruzione volontariamente distorta della realtà fattuale, omettendo ad arte porzioni di significativo rilievo con lo scopo di attirare l’attenzione negativa dei lettori sulla persona criticata (v. Cass. 6902/2012).

8.5 La giurisprudenza penale di questa Corte in materia di diffamazione a mezzo stampa ha ritenuto che il diritto di cronaca non ricorra quando si offre il resoconto di fatti distanti nel tempo, in relazione ai quali è legittimo pretendere un’attenta verifica di tutte le fonti disponibili, con la conseguenza che, laddove si dia conto di vicende giudiziarie, incombe l’obbligo di accertare e rappresentare compiutamente lo sviluppo degli esiti processuali delle stesse (Cass. 13941/2015).

Il principio può essere mutuato rispetto alla narrazione del fatto presupposto ed oggetto del diritto di critica – che, come detto, si ispira ai medesimi principi regolatori del diritto di cronaca – con riguardo alla necessaria corrispondenza a verità della notizia di natura giudiziaria su cui l’opinione si fonda e all’obbligo di non tralasciare circostanze che possano influire in maniera rilevante sul significato di quanto narrato.

La necessaria corrispondenza a verità della notizia su cui l’opinione si fonda, laddove si dia conto di vicende giudiziarie risalenti nel tempo, comporta quindi l’obbligo di accertare e rappresentare compiutamente lo sviluppo degli esiti processuali delle stesse, ove tale sviluppo abbia un significativo rilievo nella rappresentazione della realtà fattuale, cosicché un riferimento selettivo ed incompleto delle sorti del procedimento giudiziario costituente il fatto presupposto della critica mina il fondamento del diritto esercitato e con esso la sua portata esimente.>>

Lesione del rapporto parentale da errore medico

Cass. 30 agosto 2022 n. 25.541, sez. 3, rel. Pellecchia così ragiona.

Censura in ricorso: <Sostiene che la Corte d’Appello avrebbe errato nel riconoscere agli attori il diritto al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale per la sola esistenza del legame di parentela con il G.. Osserva in particolare che, per consolidata giurisprudenza, detto danno, lungi dal poter essere considerato in re ipsa, richiede una puntuale allegazione>.

Risposta dells SC , § 4.3:  <Come noto, a fronte della morte o di una gravissima menomazione dell’integrità psicofisica di un soggetto causata da un fatto illecito di un terzo, il nostro ordinamento riconosce ai parenti del danneggiato un danno iure proprio, di carattere patrimoniale e non patrimoniale, per la sofferenza patita in conseguenza all’irreversibile venir meno del godimento del rapporto parentale con il congiunto.

Tale voce risarcitoria intende ristorare il familiare dal pregiudizio subito sotto il duplice profilo morale, consistente nella sofferenza psichica che questi è costretto a sopportare a causa dell’impossibilità di proseguire il proprio rapporto di comunanza familiare, e dinamico-relazionale, quale sconvolgimento di vita destinato ad accompagnare l’intera esistenza del soggetto che l’ha subita (Cass. civ. sez. III n. 28989 dell’11 novembre 2019).

Quanto alla prova del danno, non v’e’ dubbio che, in linea generale, spetti alla vittima dell’illecito altrui dimostrare i fatti costitutivi della propria pretesa e, dunque, l’esistenza del pregiudizio subito: onere di allegazione che in alcuni casi potrà essere soddisfatto anche ricorrendo a presunzioni semplici e massime di comune esperienza.>>.

Ebbene, nel caso di morte di un prossimo congiunto (coniuge, genitore, figlio, fratello), è orientamento unanime di questa Corte che <<l’esistenza stessa del rapporto di parentela faccia presumere, secondo l’id quod plerumque accidit, la sofferenza del familiare superstite, giacché tale conseguenza è per comune esperienza e, di norma, connaturale all’essere umano (Cass. civ. sez. III n. 11212 del 24 aprile 2019; Cass. civ. sez. III n. 31950 dell’11 dicembre 2018; Cass. civ. sez. III n. 12146 del 14 giugno 2016).

Naturalmente, trattandosi di una praesumptio hominis sarà sempre possibile per il convenuto dedurre e provare l’esistenza di circostanze concrete dimostrative dell’assenza di un legame affettivo tra vittima e superstite (Cass. civ. sez. VI – 3 n. 3767 del 15 febbraio 2.018).

La Corte d’appello, dunque, ha correttamente richiamato ed applicato l’insegnamento di questa Corte ritenendo che il fatto illecito costituito dalla uccisione del congiunto abbia dato luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nella perdita del rapporto parentale, allorché ha colpito soggetti (i figli del G.), legati da uno stretto vincolo di parentela, la cui estinzione lede il diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che caratterizza la vita familiare nucleare.

Giova a tal proposito osservare che il c.d. danno presuntivo è concetto autonomo e distinto rispetto al c.d. danno in re ipsa: se, infatti, per quest’ultimo non è richiesta alcuna allegazione da parte del danneggiato, sorgendo il diritto al risarcimento del danno per il sol fatto del ricorrere di una determinata condizione, il primo richiede un’allegazione, seppur presuntiva, che è sempre suscettibile di essere superata da una eventuale prova contraria allegata da controparte. [NOTA: sostituirei allegazione con prova]

In altri termini, affermare, come ha fatto la Corte d’Appello, che la presenza di un legame di parentela qualificato sia elemento idoneo a fondare la presunzione, secondo l’id quod plerumque accidit, dell’esistenza del danno in capo ai familiari del defunto, è cosa distinta dal riconoscere a quest’ultimi la risarcibilità del danno in re ipsa, per il sol fatto della sussistenza di un legame familiare.>

Sulla determinazione del danno :

<diversa è la questione allorquando si passi alla determinazione equitativa del danno, in quanto, al fine di consentire una personalizzazione dello stesso, è necessario che il danneggiato fornisca la prova di circostanze concrete che consentano di aumentare il valore tabellare rilevante ai fini della quantificazione del danno.

Sebbene, infatti, sia stato affermato che “ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale mediante il criterio tabellare il danneggiato ha esclusivamente l’onere di fare istanza di applicazione del detto criterio, spettando poi al giudice di merito di liquidare il danno non patrimoniale mediante la tabella conforme a diritto” è altrettanto vero che eventuali correttivi saranno ammissibili solo in ragione della particolarità della situazione di cui sia stata fornita adeguata motivazione (Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 05-05-2021) 10-11-2021, n. 33005).

Nel caso di specie, non avendo i familiari allegato alcuna circostanza ulteriore, il giudice ha correttamente liquidato il danno, alla luce di una valutazione equitativa che ha tenuto adeguatamente in considerazione la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti (tra le quali, l’età della vittima, l’età dei superstiti, il grado di parentela>

Sui rapporti tra fondi vicini (distanza verticale tra costruzioni e sopraelevazione ex art. 1127 c.c.)

Cass. 12.202 del 14.04.2022, sez. 2, rel. Carrato, in un caso di caso di costruzione sul lastrico solare da parte del proprietario di questo  ma avversata dal proprietario dell’appartamento sottostante, ricorda che:

– <<la giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 4797/1988 e Cass. n. 5618/1995) ha più volte precisato – e al relativo principio di diritto dovrà uniformarsi il giudice di rinvio – che la disposizione dell’art. 907 c.c., comma 3, secondo cui le nuove costruzioni in appoggio al muro devono rispettare la distanza di tre metri dalla soglia delle vedute preesistenti, deve essere intesa nel senso che tale distanza opera, anche in senso verticale, nei riguardi delle costruzioni sottostanti non solo le finestre ma anche i balconi con riguardo al loro piano di calpestio. Ed infatti, ai fini della disposizione anzidetta, il termine “costruzione” non va inteso in senso restrittivo di manufatto in calce o in mattoni o in conglomerato cementizio, ma in quello di qualsiasi opera che, qualunque ne sia la forma e destinazione, ostacoli l’esercizio di una veduta. Ed è altrettanto pacifico che la distanza di tre metri dalle vedute prescritta dall’art. 907 c.c., per le nuove costruzioni, al pari di ogni altra distanza prescritta dalla legge per disciplinare i rapporti di vicinato, ha carattere assoluto, essendo stata predeterminata dal legislatore in via generale ed astratta, senza che al giudice sia consentito alcun margine di discrezionalità sia nella valutazione della esistenza della violazione della distanza, sia nella valutazione relativa alla dannosità e pericolosità della posizione della nuova costruzione rispetto alla veduta del vicino (cfr., ex plurimis, Cass. n. 15376/2001, Cass. n. 213/2006 e Cass. n. 8691/2017).>>

– << costituisce sopraelevazione, disciplinata dall’art. 1127 c.c., non solo la realizzazione di nuove opere, consistenti in nuovi piani o nuove fabbriche, bensì anche la trasformazione di locali preesistenti mediante l’incremento di volumi e superfici nell’area sovrastante il fabbricato da parte del proprietario dell’ultimo piano.>>. Per cui <<(e a questo ulteriore principio di diritto dovrà uniformarsi il giudice di rinvio), l’indennità di sopraelevazione è dovuta dal proprietario dell’ultimo piano di un edificio condominiale ai sensi dell’art. 1127 c.c., non solo in caso di realizzazione di nuovi piani o nuove fabbriche, ma anche per la trasformazione dei locali preesistenti mediante l’incremento delle superfici e delle volumetrie indipendentemente dall’aumento dell’altezza del fabbricato, traendo tale indennità fondamento dall’aumento proporzionale del diritto di comproprietà sulle parti comuni conseguente all’incremento della porzione di proprietà esclusiva e, in applicazione del principio di proporzionalità, si determina sulla base del maggior valore dell’area occupata ai sensi del citato art. 1127 c.c., comma 4.>>