Domanda di marchio in mala fede perchè mirante a sottrarre il segno alla massa attiva, gestita dalla Procedura di Insolvenza

interessante caso deciso da Trib. UE 10.01.2023, T-528/21, Neratax ltd v. EUIPO + altri .

In pratica il successivo retgistrante era d’accordo col primo registrante , il quale era caduto in insolvenza e aveva permesso la registrazione e poi lasciando decadere il proprio diritto.

Agiscono in gudizio, per fare valere la malafede del deposito, alcuni creditori della società insolvente (tipo la ns. surrogatoria ex 2900 cc ?’).

Il Trib. conferma le decisioni amminsitrative e ravvisa mala fede nel deposito.

Ratione temporis applica il reg. 207/2009, art. 51.1.b.

<< 49   In that regard, the Board of Appeal, after setting out the chronology of events, found that it had been shown that the filings of the contested marks were a key part of a coordinated strategy, between the applicant and Krentin, to remove earlier national marks of some value from the assets of Krentin while ensuring that they were registered by means of equivalent EU trade marks covering the same goods. The Board of Appeal took the view that, consequently, the contested marks had been filed with the aim of undermining the interests of third parties and not with the aim of supplying the goods concerned to the European market in a climate of fair competition, as the applicant submits.

50      As has been pointed out in paragraph 42 above, it is apparent from the case-law that bad faith can be characterised by, inter alia, the intention of obtaining an exclusive right for purposes other than those falling within the functions of a trade mark, in particular the essential function of indicating origin. In the present case, it is apparent from the chronology set out in paragraphs 2 to 18 above that the applicant, first of all, filed the contested marks, which were registered without opposition on the part of Krentin, which was the proprietor of the earlier national marks, and then granted licences in respect of them to Krentin or companies which had close links with Krentin. Thereafter, around two months before it applied to be declared insolvent, Krentin surrendered its rights in the earlier national marks which were equivalent to the contested marks. That had the result of preventing the intellectual property rights conferred by the earlier national marks from forming part of Krentin’s assets although control over them was retained after they had been turned into equivalent EU trade marks.

51      In that regard, the applicant does not provide any plausible explanation regarding the commercial logic underlying the applications for registration of the contested marks. Moreover, it has not adduced any evidence to prove that it actually supplied the goods covered by the contested marks to the European market or even carried out an actual commercial activity other than owning the contested marks and granting them by means of licences to the company which was the proprietor of the earlier national marks or to companies which had close links with that company. It must be stated that the applicant has confined itself to repeating the arguments which it had already submitted before the Board of Appeal, by claiming that it was founded for the purpose of supplying those goods to the European market beginning with Germany and Cyprus. Consequently, and as the Board of Appeal correctly pointed out in the contested decisions, there is no conceivable reason other than that set out in paragraph 50 above for a company like Krentin to agree to having licences granted to itself, over EU trademarks which are equivalent to national marks of which it is the proprietor, and to surrendering its marks afterwards.   The applicant’s intention was not therefore that of supplying the goods concerned to the European market as it claims, but that of removing intellectual property rights from Krentin’s assets, as was correctly explained in the contested decision.

52      Furthermore, the contradictions in the applicant’s arguments, which were pointed out by the Board of Appeal, only bear out the existence of a dishonest intention. In that regard, the Board of Appeal pointed out that the applicant had explained, during the proceedings before the Cancellation Division, that there was contact between itself and Krentin only after the applications for registration of the contested marks had been filed. However, as is apparent from paragraph 28 of the application, and as EUIPO has correctly pointed out, the applicant nevertheless claims that it reached an agreement with all the parties involved (Krentin, CREDIN Denmark, Bertzeletos SA and Mr Théodore Bertzeletos) in 2014, before it filed the applications for registration of the contested marks. It must be stated that the applicant has in no way provided any explanations regarding that contradiction.

53      Consequently, the Board of Appeal was right in finding that the applicant had filed the contested marks with the aim of undermining the interests of third parties and not with the aim of supplying the goods concerned to the European market in a climate of fair competition>>.

Lecita riprodizione dell’immagine altruji su qutodiano in occasione di pubblico evento

Cass. sez. III del 25/01/2023 n. 2.304, rel. Dell’Utri, sul tema.

Non ci sono elaborazioni particolari.

Mi pare dubbio assai un paio di passaggi.

1°  <<vale peraltro rilevare come la questione di fatto posta ad oggetto dell’odierno censura attenga ad un aspetto del tutto marginale della vicenda in esame, apparendo del tutto evidente che il profilo di consenso rilevante, ai fini della legittimazione alla diffusione dell’immagine, non deve tanto riguardare lo scatto della fotografia in sé, bensì la diffusione della stessa su un organo di stampa, apparendo, conseguentemente, del tutto irrilevante la circostanza che le persone ritratte abbiano manifestato la propria disponibilità ‘ad essere fotografate’, ben potendo conservare la propria volontà contraria alla diffusione di tale fotografie su un organo ad ampia diffusione come un giornale quotidiano: questione, quest’ultima, rimasta del tutto estranea ai termini dell’odierna censura;>>.

Non si chiede la SC se il consenso alla foto comprendesse (tacitamente magari, cioè alla luce delle circostanze) anche quello alla successiva diffusione via stampa (perchè mai, potrebbe taluno pensare,  una persona si fa fotografare magari da un fotografo professionsta del quotidiano? Andava approfondito il fatto).

2°  <<peraltro, in tema di autorizzazione dell’interessato alla pubblicazione della propria immagine, le ipotesi previste dalla L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 97, comma 2, ricorrendo le quali l’immagine può essere riprodotta senza il consenso della persona ritratta, sono giustificate dall’interesse pubblico all’informazione, determinando una pretesa risarcitoria solo se da tale evento derivi pregiudizio all’onore o al decoro della medesima.>.

L’art. 97.2 cit. dice “non può essere esposto o messo in commercio>>: per cui non c’è solo il diritto al risarcimento, ma anche quello di vietare l’esposizione (tutela reale, non solo obbligatoria).

Sulla rivedibilità del giudicato portato dal decreto ingiuntivo, se non ha esaminato l’abusività di clausola a danno del consumatore

Il noto intervento della Corte di giustiza sul tema (che sconvolge l’ordinamento processuale per il quale il giudicato non è più rivedibile) viene applicato (per la prima volta, a quanto mi consta) dall’ interessante ragionamento condotto da a Trib. Milano 17.01.2023 n° 298/2023, RG 12984/2020, g.u. Ilaria Gentile.

<<Orbene, alla luce dei principi posti dalla CGUE nelle citate quattro sentenze gemelle, il Giudice qui adito è tuttavia chiamato a verificare, emergendo ex actis l’esistenza di una clausola che appare abusiva in contratto concluso con consumatore, anche a fronte della sollecitazione pervenuta dal consumatore, se il provvedimento giurisdizionale in tesi passato in giudicato contenga una motivazione -anche sommaria- da cui si ricavi che il Giudice del monitorio abbia considerato: se GIANNI era un consumatore, se nel contratto (lettera di impegno del 1.12.2016) posto a fondamento dell’ingiunzione contro GIANNI erano presenti clausole potenzialmente vessatorie ai sensi degli artt. 33 e ss d. lgs 6.09.2005 n. 206, Codice del consumo e, in caso positivo, se ne abbia escluso la vessatorietà con motivazione, anche sommaria, avvisando il consumatore ingiunto che tali clausole erano state valutate come non abusive e che il consumatore sarebbe decaduto definitivamente dal poterne far valere l’abusività se non si fosse opposto nel termine di 40 giorni.
Tanto si ricava in particolare dalla sentenza CGUE del 17.05.2022 C-600/19, Ibercaja Banco.
In altre parole, secondo l’insegnamento delle citate sentenze gemelle della CGUE, immediatamente applicabile al diritto nazionale ai rapporti non esauriti, le norme nazionali che prevedono l’intangibilità del giudicato di cui a decreto ingiuntivo non rempestivamente opposto (art. 2909 cc e 647 cpc), in relazione a decreto ingiuntivo privo di espressa motivazione sulla non abusività delle clausole contenute nei contratti posti a fondamento della decisione, contrastano con gli artt. 6 e 7 dir. 93/12/CEE e art. 47 Carta, atteso che a mente dell’art. 6 della direttiva le clausole abusive non sono opponibili al consumatore e a mente dell’art. 7 l’ordinamento nazionale deve fornire mezzi adeguati e efficaci per farne cessare l’inserzione nei contratti e le norme processuali nazionali per l’esame del carattere abusivo delle clausole non devono essere tali da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto europeo (pricipio di effettività).
Sembra insomma al Giudice che i principi posti dalla CGUE nelle citate sentenze gemelle impongano a ben vedere una revisione della consolidata giurisrudenza nazionale, sopra citata, in materia di giudicato implicito, atteso che il giudicato implicito concernente la validità di clausole abusive in contratti con consumatori -alla luce delle sentenze CGUE del 17.05.2022- non può più considerarsi realmente stabile, essendo soggetto, a condizione che il consumatore non sia completamente inerte, a possibile revisione da parte di altro giudice.
Difatti, in applicazione dei principi posti dalla CGUE nelel citate quattro sentenze gemelle, a condizione che il consumatore non sia rimasto completamente inerte, il Giudice che sia investito dell’esecuzione del provvedimento giurisdizionale o dell’impugnazione, deve poter essere in grado di rilevare d’ufficio l’abusività di quelle clausole non espressamente esaminate dal precedente giudice, anche se ciò comporti la disapplicazione delle nrme processuali interne che ostano a tale controllo, perché si tratta di norme processuali che rendono impossibile la tutela giurisdizionale dei diritti conferiti dal diritto europeo al consumatore.
A ben vedere, secondo l’insegnamento della Corte di Lussemburgo, non è affatto sufficiente a ritenere riconosciuta una tutela effettiva al consumatore, che la verifica della validità delle clausole abusive sia presumibile nel decreto ingiuntivo passato in giudicato, ancorchè non esplicitata in sommaria motivazione, in quanto passaggio logico necessario per la decisione del giudice, ma occorre che sia una verifica effettiva, cioè realmente avvenuta, e quindi esternata in una motivazione del provvedimento, ancorchè sommaria.
Orbene, nel caso qui in esame, si deve accertare che il decreto ingiuntivo n. 25123/2019 non contiene alcuna motivazione sulla validità o meno della clausola di deroga della competenza contenuta nella scrittura cd “lettera di impegno” del 1^.12.2016, posta a fondamento della pretesa ingiuntiva, nonostante tale clausola sia in plateale violazione dell’art. 33 co. 2 lett. u) Codice del consumo, men che meno il decreto contiene una motivazione in ordine alla natura di consumatore di GIANNI e in ordine alla sussistenza della competenza per territorio del Tribunale di Milano con riferimento al consumatore ingiunto.
Di conseguenza, alla luce dei principi posti dalla CGUE nelle citate sentenze del 17.05.2022, discende che questo Giudice, innanzi al quale il consumatore ha evidenziato per la prima volta l’abusività della clausola di deroga della competenza e l’incompetenza per territorio del Tribunale di Milano in relazione al foro del consumatore deve esaminare nel merito tale difesa, in quanto mai prima d’ora espressamente esaminata e decisa in un provvedimento giurisdizionale.>>

E poi:

<<Si aggiunge, per chiarezza, che da un lato si reputa che non compete certamente a questo Giudice -a fronte dello jus superveniens costituito dalle sentenze del 17.05.2022- stabilire dal punto di vista sistematico quale possa essere il rimedio giurisdizionale più adeguato (tra quelli esistenti e semmai adattabili con interpretazione adeguatrice, ad es. actio nullitatis, opposizione tardiva, revocazione, ecc) ad attuare i principi posti dalle citate sentenze, atteso che tanto spetta semmai alla Corte di legittimità in sede nomofilattica, ovvero alla Dottrina o anche al Legislatore, che potrebbe addirittura normare un rimedio ad hoc. Dall’altro lato, però, si reputa che non è certamente possibile per questo Giudice dismettere la disamina del rilievo di ufficio e della sollecitazione della consumatrice in questa causa, assumendo che tanto spetterebbe ad altro Giudice (ad es. al Giudice dell’esecuzione) in forza di altro specifico rimedio: infatti si osserva che il diniego della disamina, qui e ora, della possibile abusività della clausola per ragioni di rito, si tradurrebbe nell’imporre al consumatore di dare corso ad altro rimedio e promuovere altro giudizio e, a ben vedere, tradirebbe integralmente l’insegnamento principale della Corte di Lussemburgo, la quale ha ripetuto in tante sentenze, che “non appena” (ex multis: sentenza CGUE del 4.06.2020 C-495/19, Kancelaria Medius, punto 37) emerge ex actis la presenza di una clausola possibilmente abusiva in contratto con i consumatori, il giudice euro-unitario, se non vi è stata una statuizione espressa sul punto di altro giudice e se il consumatore non è stato totalmente inerte, deve immediatamente esaminare nel merito tale questione.>>

Sicchè:

<<Da tanto discende, a mente dell’art. 33 co. 2 lett. u) Codice del consumo, che la clausola derogativa della competenza, contenuta nella lettera di impegno assuntivo della garanzia, datata 1^.12.2016, del seguente tenore: “In caso di controversia è competente unicamente il Foro di Milano” (doc. 9 fasc. monitorio), è nulla ed inopponibile alla consumatrice GIANNI.>>

Conclusioni:

<<In conclusione, l’opposizione svolta da GIANNI è tardiva e improcedibile.
Il decreto ingiuntivo opposto, tuttavia, non contiene motivazione espressa sulla validità della clausola abusiva di deroga di competenza presente nella “lettera di impegno” del 1^.12.2016 dedotta in giudizio, né contiene l’avviso al consumatore sulla decadenza in cui incorre, in caso di mancata opposizione, nel far valere tale abusività: di conseguenza, considerati i principi posti dalla CGUE nelle sentenze gemelle del 17.05.2022 (la sentenza resa nelle cause C-693/19 e C-831/19 concerne proprio l’incompatibilità con il diritto europeo degli artt. 647 cpc e 2909 cc nell’ipotesi di giudicato implicito su clausole abusive) spetta a questo Giudice, investito dal consumatore dell’eccezione di incompetenza per territorio e abusività della clausola derogativa di competenza, questioni anche rilevate di ufficio, esaminare nel merito tali questioni.
Nel merito, la clausola di deroga di competenza è effettivamente abusiva e, quindi, nulla, con conseguente incompetenza del Tribunale di Milano a conoscere della pretesa ingiuntiva contro GIANNI, per essere competente in via esclusiva il Tribunale di Trapani.
Il decreto ingiuntivo opposto, di conseguenza, è nullo limitatamente all’ingiunzione pronunciata contro GIANNI, per essere stato emesso da Giudice incompetente per territorio, con conseguente declaratoria come da dispositivo e assegnazione del termine per la riassunzione>>.

La disposizioni azionate dal giudice sono l’art. 6.1  e l’art. 7.1 della dir. 93/13.

La clausola dichiarata nulla afferiva alla competenza territoriale.

Risarcimento del danno, trasferimento dei profitti e restituzione dell’indebito: brevissime sui rimedi contro la contraffazione brevettuale (art.. 125 cod. propr. ind.)

Mero accenno a temi complessi in Cass. sez. 1 n_ 1692 del 19.01.2023, rel. Valentino D., in tema di risarcimento del danno da violazione brevettuale (a seguito di un lunghissimo processo: fatti del 1992/3 !!)

Premessa generale: <<In generale, è pur vero che questa Corte ha costantemente ribadito che la liquidazione in via equitativa è legittima solo a condizione che l’esistenza del danno sia comunque dimostrata, sulla scorta di elementi idonei a fornire parametri plausibili di quantificazione e che la liquidazione equitativa del danno presuppone l’esistenza di un danno risarcibile certo (e non meramente eventuale o ipotetico), nonché vi sia l’impossibilità, l’estrema o la particolare difficoltà di provarlo nel suo preciso ammontare in relazione al caso concreto (ex multis Cass., n. 5956 del 2022). Invero, il giudice che opta per tale valutazione deve adeguatamente dar conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito, restando, poi, inteso che al fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo, occorre che il giudice indichi, anche solo sommariamente e nell’ambito dell’ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti, per determinare l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al quantum (Cass., n. 12009/2022).

In particolare, però, in tema di lesione del diritto dell’inventore del brevetto questa Corte ha più ribadito che il danno va liquidato sempre tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto, vale a dire considerando il margine di profitto conseguito, deducendo i costi sostenuti dal ricavo totale. In particolare, in tale ambito, il criterio della “giusta royalty” o “royalty virtuale” segna solo il limite inferiore del risarcimento del danno liquidato in via equitativa che però non può essere utilizzato a fronte dell’indicazione, da parte del danneggiato, di ulteriori e diversi ragionevoli criteri equitativi, il tutto nell’obiettivo di una piena riparazione del pregiudizio risentito dal titolare del diritto di proprietà intellettuale (Cass., n. 5666/2021; Cass., n. 20236/2022).>>

Ricorda poi che <<Questa Corte (Cass., n. 4048 del 2016) aveva, già, affermato la regola iuris secondo cui, “in tema di valutazione equitativa del danno subito dal titolare del diritto di utilizzazione economica di un’opera dell’ingegno, non è precluso al giudice il potere dovere di commisurarlo, nell’apprezzamento delle circostanze del caso concreto, al beneficio tratto dall’attività vietata, assumendolo come utile criterio di riferimento del lucro cessante, segnatamente quando esso sia correlato al profitto del danneggiante, nel senso che questi abbia sfruttato a proprio favore occasioni di guadagno di pertinenza del danneggiato, sottraendole al medesimo”.>>

Principio di diritto per il giudice di rinvio:

“In tema di proprietà industriale, in caso di lesione del diritto dell’inventore al proprio brevetto, il danno accertato va liquidato tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto, vale a dire considerando il margine di profitto conseguito dal contraffattore, deducendo i costi sostenuti dal ricavo totale. In particolare, in tale ambito, il criterio della “giusta royalty” o “royalty virtuale” segna solo il limite inferiore del risarcimento del danno liquidato in via equitativa, che però non è sufficiente a dar conto del suo ammontare a fronte dell’indicazione, da parte del danneggiato, di ulteriori e diversi e ragionevoli criteri, per la sua liquidazione, allo scopo di giungere a una piena riparazione del pregiudizio risentito dal titolare del diritto di proprietà intellettuale”.

Sentenza non positiva, buttando qua e là senza spiegazione concetti complessi come risarcimento del danno, profitti del violatore e royalty ragionevole.

 Motivazione esiguissima se non inesistente , anche perchè quasi mero collage di propri precedenti senza speigazione del relatore.

L’eccezione ex art. 65 l. aut. comprende non solo la riproduzione in giornali o riviste ma anche in rassegne-stampa

Precisazioni utili sull’eccezione ex art. 65 l. aut. dalla sempre ottima penna del rel. Scotti della sez. 1 in Cass. 1.651 del 19.01.2023 (azione di accertamento negativo).

Ai fatti non si applica la dir. 790/2019 o meglio il d. lgs di attuazione (177/2021, art. 43 bis l. aut.), precisa la SC.

Al § 5 e § 11 p. 8 e p. 12/3  la ratio della’rt. 65 l. aut.

Al § 7 la SC conferma la natura eccezionale della facoltà ex art. 65. Però, nonostante l’art. 14 oprel.  vieti l’analogia legis,  è ammessa l’interpretazione estensiva (p.12).

eD ALLORA: <<La ratio dell’art.65, comma 1, l.d.a. va chiaramente colta nella
ritenuta meritevolezza di tutela, anche in base ai valori
costituzionali, della finalità informativa delle pubblicazioni (riviste e
giornali, anche radiotelevisivi) che godono dell’eccezione in una
prospettiva di amplificazione della risonanza dell’articolo di attualità
nell’interesse pubblico alla massima circolazione delle informazioni.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale13 di 19
Ed allora, non si scorge alcuna differenza apprezzabile, come
correttamente osservato dalla Corte romana, tra i giornali e le
riviste, da un lato, e le rassegne stampa, dall’altro, che sono
destinate a soddisfare una innegabile finalità informativa, pur
indubbiamente selettivamente appuntata su di uno specifico
interesse nutrito dal pubblico di riferimento.
Non si comprenderebbe quindi per quale ragione l’eccezione
avrebbe dovuto valere solo per una pubblicazione come un giornale
o una rivista, magari super-specialistica, e non già per una
rassegna compilativa, altrettanto specialistica o di nicchia.
La distinzione, posta in risalto dai ricorrenti, fra interesse pubblico
alla lettura di giornali e riviste e interesse privato alla lettura di
rassegne stampa, si rivela, ad attenta analisi, fuorviante: in
entrambi i casi vi è un interesse generale, collettivo e più ampio,
alla circolazione e alla diffusione delle informazioni, e un interesse
privato e particolare, che al primo si sovrappone, a soddisfare il
bisogno informativo di una collettività, un gruppo o un soggetto.
Il tutto, sullo sfondo e nell’inquadramento generale dell’espresso
riconoscimento della liceità dell’attività di redazione di rassegne
stampa mediante citazione di articoli di giornale, beninteso nel
rispetto delle regole di correttezza professionale, impresso dal
ricordato art.10 della Convenzione di Berna.
La finalità di lucro è ininfluente, in quanto non considerata nella
disposizione dell’art.65 l.d.a., ma solo nel secondo comma
dell’art.101 l.d.a. (su cui infra) e comune anche alla diffusione di
giornali e riviste>>.

Fotografia scattata dall’amico del proprietario della macchina fotografica a richeista e su istruzioni di quest’ultimo: chi ne è l’autore?

Interessante questione affrontata dal US District Court for the Northern District of Illinois qualche giorno fa .

La corte l’ha risolta riconoscendo l’autoralità in capo a chi scattò, non al proprietario della macchina fotografica: e ciò sebbene fosse stato quest’ultimo  a a preimpostare i comandi e i settaggi per poi cedere l’apparecchio all’amico perchè scattasse.

Ci pare invece che – da noi- potrebbe benissismo trattarsi di opera in comunione ex art. 10 l. aut.

(Notizia da post 25.01.2023 del prof. Eric Goldman).

Legittimazione del curatore fallimentarre circa l’azione di danno contro le banche per abusiva concessione di credito

Cass. sez. III n° 1387 del 18.01.2023, rel. Condello:

<<Affrontando la questione relativa alla legittimazione attiva del curatore, la sentenza n. 18610/21 – ricollegandosi ai precedenti (Cass., sez. 1, 10/06/2010, n. 13413; Cass., sez. 1, 20/04/2017, n. 9983) che hanno operato opportuni distinguo quanto alle domande proposte nel processo ed alle vicende esaminate, rispetto alle pronunce delle Sezioni unite del 2006 (Cass., sez. U, 28/03/2006, nn. 7029, 7030 e 7031), reputando proponibile l’azione risarcitoria del curatore nei confronti delle banche per l’imprudente concessione del finanziamento, quando la posizione a questa ascritta sia di terzo responsabile solidale del danno cagionato alla società fallita per effetto dell’abusivo ricorso al credito da parte dell’amministratore della società, che abbia perduto interamente il capitale, dinanzi all’avventata richiesta di credito e ad una parimenti avventata concessione di credito da parte della banca – ha precisato che la curatela, in caso di fallimento, è legittimata ad agire nei confronti delle banche per i danni cagionati alla società fallita allorquando venga dedotta la responsabilità del finanziatore verso il soggetto finanziato per il pregiudizio diretto causato al patrimonio di quest’ultimo dall’attività di finanziamento, dovendosi, invece, escludere la legittimazione del curatore all’azione di risarcimento del danno diretto patito dal singolo creditore per l’abusiva concessione del credito quale strumento di reintegrazione del patrimonio di quest’ultimo.

Nel primo caso l’azione spetta senz’altro al curatore, come successore nei rapporti del fallito, ai sensi dell’art. 43 L. Fall., che sancisce, per i rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, la legittimazione esclusiva del predetto, trattandosi di lesione del patrimonio dell’impresa fallita e di un diritto rinvenuto dal curatore nel patrimonio di questa. Al curatore spetta, infatti, la legittimazione per le c.d. azioni di massa, volte alla ricostituzione della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c., di cui tutti creditori beneficeranno (principio questo chiaramente espresso da Cass., sez. U, 23/01/2017, n. 1641).

La legittimazione del Curatore opera ove si prospetti un’azione a vantaggio di tutti i creditori indistintamente, perché recuperatoria in favore dell’intero ceto creditorio di quanto sia andato perduto, a causa dell’indebito finanziamento, del patrimonio sociale, atteso che il fallimento persegue, appunto, l’obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori nel rispetto della par condicio. Si tratta, infatti, in tal caso di un danno al patrimonio dell’impresa, con la conseguente diminuita garanzia patrimoniale della stessa, ai sensi dell’art. 2740 c.c., scaturita dalla concessione abusiva del credito, che abbia permesso alla stessa di rimanere immeritatamente sul mercato, continuando la propria attività ed aumentando il dissesto, donde il danno riflesso a tutti i creditori. Un simile danno, come si legge nella sentenza n. 18610/21, “riguarda tutti i creditori: quelli che avevano già contrattato con la società prima della concessione abusiva del credito de qua, perché essi vedono, a cagione di questa, aggravarsi le perdite e ridursi la garanzia ex art. 2740 c.c.; quelli che abbiano contrattato con la società dopo la concessione di credito medesima, perché (se è vero che a ciò possa aggiungersi pure la causa petendi di essere stati indotti in errore, ed allora individualmente, dall’apparente stato non critico della società, è pur vero che) del pari avranno visto progressivamente aggravarsi l’insufficienza patrimoniale della società, con pregiudizio alla soddisfazione dei loro crediti”.

Da tanto discende che le azioni promosse dal curatore, vale a dire quella contro gli amministratori prevista dall’art. 146 L. Fall. e quella contro il finanziatore c.d. abusivo ex art. 1218 c.c. ed art. 2043 c.c., hanno entrambe come presupposto la diminuzione del patrimonio sociale derivante dalla prosecuzione dell’attività d’impresa con aggravamento dello stato di dissesto.

Alla stregua dei superiori principi, poiché nel caso di specie il danno fatto valere è quello cagionato alla massa dei creditori, quale posizione indistinta e riflessa del pregiudizio al patrimonio sociale, essendo indubbio che il peggioramento delle condizioni patrimoniali societarie arreca un danno a tutti i creditori, che vedono pregiudicata la garanzia patrimoniale generica e ridotta matematicamente la chance di soddisfare il loro credito, risulta evidente che alla Curatela del fallimento debba essere riconosciuta la legittimazione ad agire. Si discute, infatti, di una fattispecie di danno differente rispetto a quella per le quali le Sezioni Unite della Cassazione, con le sentenze n. 7029, n. 7030 e n. 7031 del 2006, hanno escluso la legittimazione attiva del curatore fallimentare, posto che queste ultime sentenze hanno decretato il difetto di legittimazione attiva del curatore fallimentare a proporre, nei confronti della banca finanziatrice, l’azione da illecito aquiliano per il risarcimento dei danni causati ai singoli creditori dall’abusiva concessione di credito diretta a mantenere artificiosamente in vita una impresa decotta>>.

Parrebbe che il dovere di <sana e prudente gestione> ex art. 5 tub generasse diritti soggettivi in capo alle imprese illecitamente finanziate (diritto assoluto o relativo? il secondo , direi, anche se comunemente si afferma il primo, per cui la sua violazione produce danno aquilinano)

La violazione di norma imperativa non genera neecssariamente nullità del contratto

Cass. sez. I n° 2176 del 24.01.2023 , rel. Mercolino:

<<In tema di nullità del contratto, questa Corte ha infatti affermato ripetutamente che, in assenza di una norma che vieti in via generale di porre in essere attività negoziali pregiudizievoli per i terzi, il negozio lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori non può considerarsi di per sé illecito, sicché la sua conclusione non comporta una nullità per illiceità della causa, per frode alla legge o per motivo illecito determinante comune alle parti, dal momento che, a tutela di chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, l’ordinamento appresta rimedi speciali, i quali comportano, in presenza di particolari condizioni, l’applicazione della sola sanzione dell’inefficacia (cfr. Cass., Sez. III, 31/10/2014, n. 23158; Cass., Sez. II, 11/10/2013, n. 23158; Cass., Sez. I, 4/10/2010, n. 20576).         Tale principio, correttamente richiamato dal decreto impugnato, è stato ribadito anche in riferimento all’ipotesi di stipulazione di un mutuo ipotecario in violazione della L. Fall., art. 216, comma 3, , che punisce il reato di bancarotta preferenziale: in linea generale, si è infatti osservato che la violazione di una norma imperativa non dà luogo necessariamente alla nullità del contratto, dal momento che l’art. 1418 c.c., comma 1, facendo salva l’ipotesi in cui la legge disponga diversamente, impone all’interprete di accertare se il legislatore, anche nel caso d’inosservanza del precetto, abbia voluto salvaguardare la validità del negozio, mediante la predisposizione di un meccanismo alternativo idoneo a realizzare gli effetti della norma; nel caso in cui il debitore abbia effettuato pagamenti o simulato titoli di prelazione con l’intento di favorire uno o più creditori a danno di altri, il predetto meccanismo è stato poi individuato nell’esercizio dell’azione revocatoria, la quale, comportando la dichiarazione d’inefficacia dell’atto, in quanto lesivo della par condicio creditorum, consente di escludere l’applicabilità della sanzione di nullità per illiceità della causa, ai sensi dell’art. 1344 c.c. (cfr. Cass., Sez. I, 22/02/2021, n. 4694 e 4695; 28/09/2016, n. 19196).>>, § 11.

Il contratto era un mutuo fondiario concesso alla soc. fallita da un pool di banche

La locazione agraria stipulata da uno solo dei comprorietari è efficace verso il conduttore

Cass. 21.11.2022 sez. III n° 34.131 , rel. Condello:

<<La sentenza impugnata si pone in linea con il principio pacifico della giurisprudenza di legittimità secondo cui il comproprietario può agire in giudizio per ottenere il rilascio dell’immobile per finita locazione o la risoluzione del contratto per inadempimento, trattandosi di un atto di ordinaria amministrazione della cosa comune per il quale si deve presumere che sussista il consenso degli altri comproprietari o quanto meno della maggioranza dei partecipanti alla comunione (tanto che si esclude la necessità della integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri partecipanti) (Cass., sez. 3, 13/07/1999, n. 7416; Cass., sez. 3, 04/06/2008, n. 14759).

Pertanto, qualora il contratto di locazione abbia ad oggetto un immobile in comproprietà indivisa, ciascuno dei comunisti ha, in difetto di prova contraria, pari poteri gestori, rispondendo a regole di comune esperienza che uno o alcuni di essi gestiscano, con il consenso degli altri, gli interessi di tutti, sicché l’eventuale mancanza di poteri o di autorizzazione rileva nei soli rapporti interni fra i comproprietari e non può essere eccepita alla parte conduttrice (Cass., sez. 2, 02/02/2016, n. 1986).

Ciò impone di ritenere che il contratto di locazione, seppure concluso dal V. solo con C.M., come ritenuto dalla Corte d’appello, era valido ed opponibile anche agli altri comproprietari del fondo, anche se rimasti estranei alla stipula del contratto di affitto, e che l’ordine di rilascio del fondo, derivante dall’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto di affitto, sebbene proposta dal solo C.M., si estende anche agli altri comproprietari del bene>>.