Il compenso dell’amministratore di s.p.a. (tra delibera assembleare e delibera del CdA per “particolari cariche”)

Trib. Venezia 15.07.2021, n. 1449/2021, RG 8208/2018, rel. Torresan, precisa il rapporto tra il c. 1 e il c. 3 dell’art. 2389 cc:

<<La ratio della disposizione [cioè dell’2389 comma 3]  è quella di conferire ai componenti dell’organo amministrativo la facoltà di deliberare in ordine al compenso di coloro che, al suo interno, rivestono cariche connotate da un particolare ed elevato grado di impegno e di responsabilità : e ciò in ragione del fatto che la quantificazione di tale compenso sottende una valutazione tecnica che si ritiene possa essere formulata nel modo migliore proprio da parte del consiglio stesso.
L’organo amministrativo deve tuttavia rispettare i limiti, inderogabili, dettati dalla legge e dallo statuto, non potendo, l’art. 2389 cod civ. consentire al CdA di eludere la disciplina dell’art. 2389 cod. civ. che attribuisce all’assemblea o allo statuto il potere determinare il compenso degli amministratori, anche al fine di evitare che gli stessi possano autoattribuirsi ed arbitrariamente determinare i propri compensi .
In particolare, qualora lo statuto preveda che l’assemblea determini un ammontare complessivo per la remunerazione dei compensi degli amministratori, compresi quelli che esercitano particolari cariche, il CdA non potrà deliberare compensi ulteriori.
Nel caso in esame, lo statuto di Sitland ( doc. n. 20 di parte attrice) spa espressamente prevede, all’art. 33, che il consiglio di amministrazione possa delegare, nei limiti di cui all’art. 2381 cod. civ., parte delle proprie attribuzioni a uno o più dei suoi componenti, determinandone i poteri e la relativa remunerazione.
In tema di remunerazione degli amministratori, l’art. 36 stabilisce, invece, che il compenso degli amministratori sia determinato dell’assemblea all’atto della nomina.
L’art. 36.2 , in conformità a quanto prescritto dall’art. 2389, comma 3, cod. civ., prevede inoltre che la remunerazione degli amministratori investiti della carica di Presidente, Amministratore o consigliere delegato sia stabilita dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del parere del consiglio sindacale, nel rispetto dei limiti massimi determinati dall’assemblea.
È quindi chiaro che il compenso attribuito agli amministratori anche se dotati di particolari cariche non può eccedere l’ammontare massimo del compenso determinato dall’assemblea>>.

Preliminare ed errore sulle qualità edificatorie del terreno

Cass. 12.01.2023 n. 639, sez. II, rel. Falaschi:

<<Va pertanto applicato il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui l’errore sulla valutazione economica della cosa oggetto del contratto non rientra nella nozione di errore di fatto idoneo a giustificare una pronuncia di annullamento del contratto, in quanto non incide sull’identità o qualità della cosa, ma attiene alla sfera dei motivi in base ai quali la parte si è determinata a concludere un certo accordo ed al rischio che il contraente si assume, nell’ambito dell’autonomia contrattuale, per effetto delle proprie personali valutazioni sull’utilità economica dell’affare” (Cass. n. 20148 del 2013).
Tale complessiva valutazione delle risultanze processuali, nel caso di specie, non risulta essere stata effettuata dalla Corte territoriale, la quale ha fondato la esistenza dell’errore su un unico elemento che da solo appare risulta privo di decisività.
In assenza di specifiche indicazioni sulla riconoscibilità in concreto delle ragioni abitative manifestate dalla promissaria acquirente – e conosciute dai prominenti venditori – la sola circostanza che il terreno pacificamente non è edificabile non costituisce elemento univoco, né decisivo da cui desumere che l’effettivo interesse perseguito dalla stessa riguardava il terreno per la sua capacità edificatoria.
A parte, inoltre, la formulazione letterale dell’oggetto del contratto, in cui parrebbe non risultare alcuna clausola o pattuizione accessoria, né alcun elemento estrinseco, quale la particolare destinazione urbanistica della zona in cui si trovava il terreno de quo, o una valutazione comparativa del corrispettivo pattuito rispetto all’effettivo valore del suolo, anche in relazione al minor valore rispetto alle aree edificabili circostanti, sintomatici della riconoscibilità dell’errore e della rilevanza essenziale attribuita dalla promissaria acquirente alla capacità edificatoria dell’area.>>

Attenzione dunque quando si negozia un bene con certe caratteristiche desiderate: vanno specificate ed anche nel preliminare!

Perdita della non commercialità dell’ente e automatica qualifica come società di fatto

Cass.  sez. 5, n° 546 del 11.10.2023, rel. D’Aquino:

<< Nel momento in cui l’associazione non riconosciuta, quale ente non commerciale, perde la natura di ente non commerciale, essa viene assoggettata, nel caso in cui si accerti che l’attività già associativa fosse svolta da più associati tra di loro, alla  disciplina degli enti collettivi commerciali (Cass., n. 39789/2021, cit.).

Di conseguenza, stante l’assenza di un formale contratto scritto di società tra i soci, l’attività commerciale svolta tra gli stessi deve ritenersi equiparabile a quella delle società in nome collettivo irregolari (Cass., Sez. Lav., 11 giugno 2010, n. 14084). Nel qual caso, l’intenzionale esercizio in comune tra i soci di un’attività commerciale a scopo di lucro con il conferimento, a tal fine, dei necessari beni o
servizi comporta l’applicazione del regime di trasparenza, «atteso che la disciplina tributaria (artt. 5, terzo comma, lett. b, e 6, terzo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) non richiede, per la tassazione del reddito di una società di fatto, altro requisito se non la ravvisabilità nel suo oggetto dell’esercizio di un’attività commerciale, e che la costituzione di una società è ammessa anche per l’esercizio occasionale di attività economiche» (Cass., Sez. V, 11 marzo 2021, n. 6835; conf. Cass., Sez. V, 24 dicembre 2021, n. 41510).
11. Deve, pertanto, enunciarsi il seguente principio di diritto: «La perdita della natura decommercializzata dell’attività svolta dagli enti collettivi non societari costituiti nelle forme dell’associazione non riconosciuta e la conseguente qualificazione dell’attività dall’associazione svolta quale attività commerciale comporta, ove la stessa attività venga svolta da più associati in comune tra loro, la qualificazione dell’ente collettivo quale società di fatto e la conseguente applicazione del regime di trasparenza agli associati che siano qualificabili quali soci della medesima società di fatto».   La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del suddetto principio>>.

Onere della prova nella lite sulla responsabilità medica

Cass. sez. III, 29/03/2022 dep. 29/03/2022, n.10.050, rel. Spaziani, sull’oggetto.

Permesso che la nuova disciplina ex legge 24/2017 si applica solo ai fatti ad essa successivi, la Sc così opina.

<<In particolare, con precipuo riferimento alle fattispecie di inadempimento delle obbligazioni professionali – tra le quali si collocano quelle di responsabilità medica – questa Corte ha da tempo chiarito che è onere del creditore-attore dimostrare, oltre alla fonte del suo credito (contratto o contatto sociale), l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del professionista è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, la causa del danno lamentato (Cass. 7 dicembre 2017, 29315; Cass. 15 febbraio 2018, n. 3704; Cass. 20 agosto 2018, n. 20812), mentre è onere del debitore dimostrare, in alternativa all’esatto adempimento, l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inadempimento (o l’inesatto adempimento) è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza (Cass. 26 luglio 2017, n. 18392; Cass. 23 ottobre 2018, n. 26700; Cass. 24 maggio 2019, n. 14335; Cass. 29 ottobre 2019, n. 27606).

Il concetto di “imprevedibilità”, pur lessicalmente esplicativo di una soggettività comportamentale che rientra nell’area della colpa, riferito alla causa impeditiva dell’esatto adempimento, va inteso, precisamente, nel senso oggettivo della “non imputabilità” (art. 1218 c.c.), atteso che la non prevedibilità dell’evento (che si traduce nell’assenza di negligenza, imprudenza e imperizia nella condotta dell’agente) è giudizio che attiene alla sfera dell’elemento soggettivo dell’illecito, in funzione della sua esclusione, e che prescinde dalla configurabilità, sul piano oggettivo, di una relazione causale tra condotta ed evento dannoso. [giusto: la causalità attiene alal condotta, commissiva o omissiva, non a detto evento imprevedibile]

Nelle fattispecie di responsabilità per inadempimento delle obbligazioni professionali – si è ulteriormente precisato – è configurabile un evento di danno, consistente nella lesione dell’interesse finale perseguito dal creditore (la vittoria della causa nel contratto concluso con l’avvocato; la guarigione dalla malattia nel contratto concluso con il medico), distinto dalla lesione dell’interesse strumentale di cui all’art. 1174 c.c. (interesse all’esecuzione della prestazione professionale secondo le leges artis) e viene dunque in chiara evidenza il nesso di causalità materiale che rientra nel tema di prova di spettanza del creditore, mentre il debitore, ove il primo abbia assolto il proprio onere, resta gravato da quello “di dimostrare la causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione” (Cass. 11 novembre 2019, n. 28991; Cass. 31 agosto 2020, n. 18102).

Il nesso di causalità materiale si atteggia invece diversamente nelle altre obbligazioni contrattuali, ove l’evento lesivo coincide astrattamente con la lesione dell’interesse creditorio. Questa coincidenza non ne esclude, tuttavia, la rilevanza quale elemento costitutivo proprio di tutte le fattispecie di responsabilità contrattuale, la quale, al contrario, trova una esplicita conferma positiva nella portata generale della disposizione (art. 1227 c.c., comma 1) che stabilisce una riduzione del risarcimento nell’ipotesi in cui il fatto colposo del creditore abbia concorso a “cagionare” il danno, ritenendosi tradizionalmente (v. già Cass. 9 gennaio 2001, n. 240) che tale disposizione, a differenza di quella contenuta nel comma 2 del medesimo articolo, si riferisca al “danno-evento” e non al “danno-conseguenza”. [si noti il noto tema del se ricorra l’elemento della causalità materiale nella fattispecie di responsabilità contrattuale e la duplicemente articolata risposta della 3° sezione SC, distinguente tra facere professionale e non]

Non sembra esatto, pertanto, al di fuori delle obbligazioni professionali, parlare di “assorbimento” del danno-evento nella lesione dell’interesse creditorio, secondo un lessico sovente adottato in dottrina, mentre concettualmente più corretta appare la diversa ricostruzione, pur suggerita in dottrina, in termini di prova prima facie.

Avuto riguardo agli illustrati principi, nell’ipotesi – come quella in esame – in cui il paziente faccia valere la responsabilità del medico e della struttura sanitaria per i danni derivatigli da un intervento che si assume svolto in spregio alle leges artis, l’attore è tenuto a provare, anche attraverso presunzioni, il nesso di causalità materiale intercorrente tra la condotta del medico e l’evento dannoso, consistente nella lesione della salute e nelle altre lesioni ad essa connesse (nella specie, la perdita del concepito); e’, invece, onere dei convenuti, ove il predetto nesso di causalità materiale sia stato dimostrato, provare o di avere eseguito la prestazione con la diligenza, la prudenza e la perizia richieste nel caso concreto, o che l’inadempimento (ovvero l’adempimento inesatto) è dipeso dall’impossibilità di eseguirla esattamente per causa ad essi non imputabile (Cass. 26 novembre 2020, n. 26907)>>.

Assegno vitalizio ex art. 580 cc al figlio non riconoscibile per sua scelte di non far rimuovere giudizialmente lo status incompatibile attuale

Interessante precisazione sull’assegno vitalizio ex artt. 580-279 cc da Cass. sez. 1 del 26.10.2022 n° 31.672, rel. Parise:

Premessa generale:

<<Occorre premettere, ricostruendo in estrema sintesi il sistema specialmente come delineato con l’ultima riforma (I. n. 219/2012 e d. legisl. n. 154/2013), che, pur essendo il fatto procreativo e la successiva nascita del figlio i presupposti per il sorgere della responsabilità del genitore ex art. 316 e ss. c.c., questa viene in essere e produce effetti giuridici, compresi quelli di carattere patrimoniale, soltanto a seguito di accertamento dello status, che è requisito essenziale per la piena titolarità e l’esercizio di situazioni giuridiche soggettive derivanti dal rapporto filiale.    In altri termini, il fatto procreativo non determina automaticamente la costituzione del rapporto giuridico di filiazione e la relativa attribuzione con efficacia erga omnes dello status, occorrendo a tal fine, come ben evidenziato dalla dottrina richiamata anche dal controricorrente, o un atto di autoresponsabilità del genitore, o un provvedimento del giudice, o comunque – con riferimento alla filiazione matrimoniale – l’operare del sistema di presunzioni di cui agli artt. 231 ss. c.c..

In quest’ottica di sistema si innesta l’ulteriore rilievo che, in talune fattispecie legali, il fatto procreativo in sé può assumere una ben minore valenza, diversa sia per natura sia per conseguenze giuridiche, poiché può determinare solo il sorgere di una responsabilità patrimoniale limitata del genitore, senza che avvenga la costituzione dello status, come per l’appunto si verifica nelle ipotesi previste dalla legge, derogatorie ed eccezionali, di accertamento cd. indiretto della paternità, nel cui alveo si inquadra la fattispecie disciplinata dall’art. 580 c.c..

Ritiene, infatti, il Collegio di dover dare continuità a quanto affermato da questa Corte con le pronunce sopra citate, secondo cui la ratio della disposizione di cui trattasi è quella di assicurare, in via eccezionale e derogatoria, una tutela patrimoniale successoria sui generis, ossia un diritto di credito nei confronti dell’eredità del genitore biologico, senza attribuzione né della qualità di erede dello status di figlio, ai soggetti sprovvisti di un titolo di stato di filiazione nei confronti del de cuius.

Pertanto il fatto procreativo, come puro fatto materiale, nei casi di accertamento cd. indiretto di paternità connotati dalla “non riconoscibilità” del figlio, determina solo il sorgere di un rapporto obbligatorio ex lege a limitati fini patrimoniali.

Le ipotesi a cui la tutela è certamente riferibile sono quelle in cui il figlio si trova dinanzi ad un ostacolo alla rimozione dello stato di “figlio altrui” non dipendente dalla propria volontà (figli non riconoscibili perché nati da genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età, salva l’autorizzazione del giudice – art. 250, comma 5, c.c.; figlio infraquattrodicenne non riconoscibile per mancanza di consenso del genitore che abbia già effettuato il riconoscimento, salva l’autorizzazione del Tribunale – art. 250, commi 3 e 4, come modificato dall’arti, comma 2, lett. d) I.n. 219/2012; figlio privo di assistenza morale e materiale, per il quale siano intervenuti la dichiarazione di adottabilità e l’affidamento preadottivo – art. 11, ultimo comma, I.n. 184/1983- per essere in tale ipotesi il riconoscimento divenuto inefficace).>> [si noti l’elenco di casi di non riconoscibilità].

Ritiene il Collegio che <<nel novero della categoria dei figli “non riconoscibili” propria della fattispecie disciplinata dall’art. 580 c.c., il cui testo è rimasto sostanzialmente immutato dopo l’ultima riforma, che, dunque, né lo ha abrogato, né ne ha specificato l’ambito soggettivo di applicazione, debbano comprendersi anche coloro che, avendo un diverso stato di filiazione, per scelta consapevole non hanno impugnato il precedente riconoscimento o non hanno proposto azione di disconoscimento di paternità, e ciò in linea di continuità evolutiva rispetto a quanto statuito dalla citata Cass. 6365/2004, che ha attribuito rilevanza anche all’impossibilità sopravvenuta, ossia derivante dall’omessa proposizione dell’azione di disconoscimento di paternità entro il termine di decadenza in allora vigente per il figlio, ai fini del riconoscimento ex art. 279 c.c.>>.

<<Nel caso in esame ritiene il Collegio che possano mutuarsi gli stessi principi, con gli opportuni adattamenti. Nello specifico, una volta affermato che il favor veritatis non ha valenza costituzionale., nonché ribadito che è salvaguardato il principio dell’unicità dello stato di filiazione poiché uno solo resta il titolo di stato, subordinare il riconoscimento dei diritti patrimoniali successori del figlio biologico alla rimozione dello status preesistente significherebbe violare il suo diritto all’identità familiare, declinato ex art. 30 Cost. e anche ex art. 8 Cedu, che tutela il diritto alla stabilità dell’identità familiare del figlio in tutti casi in cui, sul piano fattuale e sostanziale, si sia instaurato, per un periodo apprezzabile, un rapporto corrispondente alla genitorialità (cfr. parere consultivo del 10 aprile 2019 Grande Chambre della Corte Europea dei diritti dell’uomo).>>

<<. Da quest’impostazione evolutiva, in linea anche con l’art. 2 Cost. oltre che con l’ordinamento sovranazionale, discende che non può negarsi al figlio, pena la violazione delle citate norme, la possibilità di scegliere tra la minore tutela successoria di cui all’art. 580 c.c., non subordinata alla previa rimozione dello status di figlio altrui, e quella “piena” che gli competerebbe ove facesse giuridicamente accertare la filiazione biologica. Come rimarcato dalla dottrina richiamata anche dal controricorrente, solo attribuendo la suddetta scelta al figlio gli si consente di operare un bilanciamento dipendente da sue valutazioni soggettive e personali correlate a più diritti meritevoli di tutela, ossia solo in tal modo gli si può consentire di decidere di preservare lo status e l’identità familiare con il genitore sociale, in forza di un legame affettivo verosimilmente consolidatosi in maniera continuativa per anni, senza dovere, al contempo, rinunciare ad ottenere quanto dovuto dal genitore biologico per i limitati diritti patrimoniali successori previsti dalla legge.>>

Principio di diritto ex art. 384 c.p.c.: “Il diritto all’assegno vitalizio di cui all’art. 580 c.c., che sorge “ex lege” per responsabilità patrimoniale del genitore biologico avente fonte nel fatto procreativo, spetta anche al figlio che abbia già il diverso “status” di figlio altrui e nel novero dei figli “non riconoscibili” devono comprendersi anche coloro che, avendo un diverso stato di filiazione, per scelta consapevole non hanno impugnato il precedente riconoscimento o non hanno proposto azione di disconoscimento di paternità, non potendo negarsi al figlio, pena la violazione degli artt. 2 e 30 Cost. e 8CEDU, la possibilità di scegliere tra la minore tutela successoria di cui all’art. 580 c.c., conservando la stabilità della sua identità familiare precedente, e quella “piena” che gli competerebbe ove facesse giuridicamente accertare la filiazione biologica”.

Studio dell’EUIPO sull’utilizzo di intelligenza artificiale nell’enforcement di diritto diautore e design

Nel marzo 2022 stato pubblicato per conto dell’EUIPO lo <<Study on The Impact of Artificial Intelligence on the Infringement and Enforcement of Copyright and Designs>> (qui la pagina web che ne dà notizia e il link).

sia l’executive summary che le cobncluysionbs iundicatno i) opportunities, ii) drivers, iii) limitations and iv) concerns (es: Retroactive deconstruction of an algorithm may be required to assess the factors that influence a model’s predictions)

Opportunities: “Currently, the main areas of AI development are machine learning, natural language processing,
computer vision, expert systems, and explainable AI. Explainable AI is currently receiving increased
attention by experts and policy makers. Other technologies enhanced by AI, such as quantum
computing, blockchain, 3D printing, generative design, cloud services, and robotics also have great
potential. AI can identify and prioritise risks, instantly spot malware on a network, guide incident response, and detect intrusions before they occur. For example, machine learning stands out as a key
AI subfield that can be used to develop law enforcement tools such as the analysis of large amounts
of information to detect threats and identify social engineering bots, scanning of images to detect false
pages or illicit content, improving automatic content recognition (ACR) tools, and providing insights to
find infringement patterns”

Distintività del marchio e ruolo della commissione dei ricorsi

Il segno distintivo sub iudice era ” LA TUA PELLE MERITA DI ESSERE TRATTATA BENE”  per cosmetici e simili.

Il segno era stato rigettato in entrambi i gradi della sede amministrativa (UIBM e Commisisone dei ricorsi, art. 135 cpi).

Nè sortisce miglior esito in sede di legittimiutà  con Cass. sez. 1 n° 37.697 del 23.12.2022, rel. Reggiani.

Tre sono i punti di interesse: il ruolo della Commissione dei ricorsi, la registrabilità di uno slogan come mnarchio e il rapprto tra l’art. 7 e l’art. 13 cpi.

1°  PUNTO  :   “In materia di proprietà industriale, la Commissione dei ricorsi contro i provvedimenti dell’Ufficio Italiano Marchi e Brevetti (UIBM), prevista dal D.Lgs. n. 30 del 2005 art. 135, è un organo di giurisdizione speciale esclusiva di merito, che estende la sua cognizione a tutti i rapporti tra i richiedenti e l’UIBM che siano originati dall’attività amministrativa di tale Ufficio, e il suo operato non si risolve in un sindacato sulla legittimità degli atti contro cui è proposto ricorso, ma si sostanzia in una verifica della fondatezza delle richieste, afferenti a diritti soggettivi, che non sono state accolte dall’UIBM”, § 4.4.

Poco sopra a, § 4.3 aveva detto: <<in conclusione, la menzionata Commissione è un organo di giurisdizione speciale di merito, che estende la sua cognizione a tutti i rapporti tra richiedenti ed UIBM che abbiano origine dall’attività amministrativa dell’Ufficio. La Commissione, più che giudice dell’atto è giudice del rapporto, per cui la sua competenza resta modulata su tutto l’ambito in cui esercita funzione di controllo, essendo chiamata a verificare la pretesa del privato che è stata disconosciuta dall’UIBM>>.

2°  PUNTO  :  << 10.4. La giurisprudenza dell’Unione ha, peraltro, maturato un consolidato orientamento in ordine alla possibilità di registrare, come marchio, slogan pubblicitari, il quale si colloca in perfetta sintonia con gli argomenti appena evidenziati.

Con riferimento a marchi composti da segni o indicazioni che sono utilizzati quali slogan commerciali, indicazioni di qualità o espressioni incitanti ad acquistare i prodotti o i servizi cui detto marchio si riferisce, la registrazione non è esclusa in ragione di una siffatta utilizzazione (Corte di giustizia, 4 ottobre 2001, C-517/99, punto 40; Corte di giustizia UE, 21 ottobre 2004, C-64/02, punto 41; Corte di giustizia UE, 6 luglio 2017, C-139/16, punto 28), ma, si precisa, devono essere utilizzati gli stessi criteri selettivi utilizzati per altri tipi di segni (Corte di giustizia UE, 6 luglio 2017, C-139/16, punto 28).

La registrazione di un marchio non può, dunque, essere esclusa a causa del suo uso elogiativo o pubblicitario, ma il segno deve, comunque, essere percepito dal pubblico di riferimento come un’indicazione dell’origine commerciale dei prodotti e dei servizi da esso designati.

La connotazione elogiativa di un marchio denominativo non esclude che quest’ultimo sia comunque adatto a garantire ai consumatori la provenienza dei prodotti o dei servizi da esso designati. Un siffatto marchio può contemporaneamente essere percepito dal pubblico di riferimento come una formula promozionale e come un’indicazione dell’origine commerciale dei prodotti o dei servizi (Corte di giustizia UE, 6 luglio 2017, C139/16, punto 29).

Ciò comporta che la sola qualificazione di un messaggio come slogan pubblicitario non comporta automaticamente che abbia anche quel carattere distintivo, proprio del marchio, che deve essere accertato perché si compia una valida registrazione.

10.5. Nel caso di specie, come già evidenziato, la Commissione ha ritenuto sussistente il carattere promozionale del marchio e, facendo corretta applicazione delle norme sopra menzionate, ha accertato se avesse anche carattere distintivo, e cioè se fosse in grado di ricondurre il prodotto e i servizi prestati proprio all’impresa che ne ha chiesto la registrazione, escludendo che tale carattere fosse esistente, ritenendo che le espressioni usate non fossero in grado di ricondurre proprio alla impresa che ne ha chiesto la registrazione.

10.6. Il secondo motivo di ricorso, con riferimento alle censure appena esaminate, deve pertanto essere respinto in applicazione del seguente principio di diritto: “In tema di marchio d’impresa, l’imprenditore ha diritto alla registrazione anche di uno slogan pubblicitario, ma l’espressione contenente il messaggio promozionale deve adempiere alla finalità distintiva ossia essere idoneo a distinguere i prodotti o i servizi offerti da quell’impresa” >>.

3° PUNTO   : <<Dalla lettura combinata delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 30 del 2005, emerge con chiarezza che l’art. 7 D.Lgs. cit. individua un requisito la cui assenza impedisce già in astratto di considerare un segno come marchio, perché non è idoneo atti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese.

Il successivo art. 13 D.Lgs. cit. individua ipotesi in cui i segni in concreto perdono o acquistano capacità distintiva (rispettivamente, i segni divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi costanti del commercio e i segni che, a seguito dell’uso che ne sia stato fatto, abbiano acquistato carattere distintivo) e contiene la specificazione di alcuni segni che sono senza dubbio privi del carattere distintivo (in quanto costituite esclusivamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi

o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono), riportando anche riferimenti esemplificativi.

Ovviamente la disposizione da ultimo menzionata non si sostituisce a quella precedente, contenuta nell’art. 7 D.Lgs. cit., più generale, che individua i requisiti per ottenere la registrazione di un marchio, né esaurisce tutte le ipotesi in cui si deve escludere il carattere distintivo del segno, ma contiene solo una elencazione non esaustiva delle ipotesi in cui tale carattere non può ritenersi esistente>>, § 10.1.

Sulla distintività del marchio LA BIANCA per birra chiara

Trib. Milano n° 10253/2022 del 28.12.2022 , RG 17325/2020, Heineken c. MATTHIAS MÜLLER, rel. Fazzini Elisa, decidendo una lite sull’oggetto, ritiene che il marchio denominativo LA BIANCA per birre sia nullo perchè descreittivo di un tipo di birra di colorazione assai chiara

Due passaggi riporto:

1) <<Pertanto, la valutazione del carattere descrittivo di un marchio, dev’essere effettuata, da un lato, in relazione ai prodotti e ai servizi per il quali la registrazione del segno è stata richiesta e, dall’altro, in relazione alla percezione dello stesso da parte del pubblico di riferimento, costituito dal consumatore di tali prodotti o servizi (Ellos/UAMI (ELLOS), T 219/00, EU:T: 2002: 44, punto 29).  

La evidente ratio di tale disposizione consiste nell’assicurare che i segni descrittivi di una o più caratteristiche dei prodotti o dei servizi, per i quali è richiesta una registrazione come marchio, possano essere liberamente utilizzati da tutti gli operatori economici che offrono prodotti o sevizi. Tale disposizione, pertanto, impedisce che tali segni o indicazioni siano riservati a una sola impresa in forza della loro registrazione come marchi e che un’impresa monopolizzi l’uso di un termine descrittivo, a discapito delle altre imprese, comprese le concorrenti, che vedrebbero così ristretta la portata del vocabolario disponibile per descrivere i propri prodotti>>.

2) << Il Collegio ritiene che, a prescindere dalla presenza dell’articolo determinativo, il termine la “bianca” è, comunque, riconoscibile dal consumatore italiano nel senso dell’aggettivo, in quanto la mera assenza di un sostantivo, individuabile evidentemente con “birra”, accanto a tale termine non può impedire un simile riconoscimento da parte del consumatore medio, destinatario del prodotto, trattandosi di un aggettivo di uso corrente, in relazione alla commercializzazione della birra, come si può evincere anche dalle plurime etichette allegate da parte attrice. Si osserva, inoltre, tenuto conto dell’art. 13 sopra richiamato, laddove il legislatore ha previsto che è privo di carattere distintivo il marchio costituito “da indicazioni descrittive” che a esso si riferisce, come nel caso di segno che in commercio possa servire a “designare la specie, la qualità, […] altre caratteristiche del prodotto o servizio”, che sussista, nel caso di specie, dal punto di vista del pubblico di riferimento, un nesso tra il significato “la bianca” e il prodotto interessato, rappresentato dalla “birra”, poiché è evidente che il segno oggetto del contendere sia idoneo a disegnare una caratteristica che può riguardare in astratto la bevanda in oggetto, facilmente riconoscibile negli ambienti interessati. Si ritiene che sia irrilevante al riguardo che la birra prodotta in concreto appartenga alla diversa tipologia delle birre “Wizen” o “Weissen”, di tradizione bavarese, atteso che la valutazione sulla descrittività di un marchio deve essere effettuata in astratto. L’aggettivo qualificativo sostantivato “bianca”, preceduto dall’articolo determinativo “la”, infatti, attribuisce al prodotto specifiche intrinseche caratteristiche a esso inerenti, anche di reputazione presso il pubblico, essendo anche indice di un colore chiaro del prodotto, che, come tali debbono restare patrimonio comune di tutti i produttori della birra che possono o meno fabbricare e commercializzare la tipologia di birra bianca o di colore chiaro>>.

Il punto più interessante è quello in rosso sub 2, tenuto conto che il convenuto soccombente produceva birra non del tipo “Bianco” ma del tipo “Weizen” (che parrebbe merceologicamente diverso e magari anche -ma non è detto- di colorazione diversa e cioè forse meno chiara)

L’accesso alle informazioni sul trattamento dei propri dati implica anche sapere esattamente a chi sono stati comunicati

<<l’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), del RGPD deve essere interpretato nel senso che il diritto di accesso dell’interessato ai dati personali che lo riguardano, previsto da tale disposizione, implica, qualora tali dati siano stati o saranno comunicati a destinatari, l’obbligo per il titolare del trattamento di fornire a detto interessato l’identità stessa di tali destinatari, a meno che non sia impossibile identificare detti destinatari o che il suddetto titolare del trattamento non dimostri che le richieste di accesso dell’interessato sono manifestamente infondate o eccessive, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 5, del RGPD, nel qual caso il titolare del trattamento può indicare a detto interessato unicamente le categorie di destinatari di cui trattasi>>.

Così Gocrte di giustizia 12.01.2023, C-154/21, RW c. Österreichische Post AG.

In presenza di un dettato normativo di questa fatta (<<articolo 15 Diritto di accesso dell’interessato – 1.   L’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la conferma che sia o meno in corso un trattamento di dati personali che lo riguardano e in tal caso, di ottenere l’accesso ai dati personali e alle seguenti informazioni: (…) c)  i destinatari o le categorie di destinatari a cui i dati personali sono stati o saranno comunicati, in particolare se destinatari di paesi terzi o organizzazioni internazionali;>>), ci pare un esito assai difficilmente contestabile.

Assegno di mantenimento del figlio una volta divenuto (abbondantemente) maggiorenne

Cass. sez. 1 n° 358 del 10.02.2023, rel. Casadonte, sulloggetto (figlia quarantenne: § 9).

Domanda basata sull’art. 337 quinquies cc (dopo la statuzione iniziale contenuta nellla sentenza che -a conclusione di precedente giudizio- riconosceva lo status di figlio naturale e dava i comandi conseguenti).

Circostanze addotte dal padre ricorrente:

<<A sostegno della domanda, il sig. Martella ha esposto di aver
corrisposto ingenti quantità di denaro a favore della figlia, la quale
era tuttavia rimasta inerte nel reperire un’attività lavorativa,
avendo impiegato le risorse ricevute dal padre per acquistare un
immobile in una località balneare. Il medesimo ha inoltre lamentato
una drastica contrazione delle proprie consistenze conseguente alla
sua attuale condizione di pensionato, alla dismissione delle attività
imprenditoriali in precedenza intraprese, all’utilizzazione del
ricavato derivante dalla vendita di immobili di sua proprietà per
affrontare le spese del proprio sostentamento. Inoltre, ha allegato
il sopravvenuto obbligo di versare una tantum la somma di euro
100.000,00 in favore della moglie, in ragione dell’intervenuta
separazione consensuale tra i due avvenuta nel 2017>>.

Per il Tribunale adito si trattava di circostanze già vagliate.

Ma il ricorrente replica che, se viste in luce (cronologicamente) dinamica (cioè nella loro proieizonie temporale), erano sopravvenute.

La SC gli dà ragione:

<<Le doglianze del ricorrente, segnatamente quelle contenute
nel primo motivo di ricorso, colgono nel segno, giacché in base al
consolidato insegnamento giurisprudenziale, puntualmente
richiamato nel ricorso, ai fini del riconoscimento dell’obbligo di
mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti
economicamente, ovvero del diritto all’assegnazione della casa
coniugale, il giudice di merito è tenuto a valutare, con prudente
apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore
proporzionalmente crescenti in rapporto all’età dei beneficiari, le
circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo o
l’assegnazione dell’immobile, fermo restando che tale obbligo non
può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura,
poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di
un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto
delle sue capacità, inclinazioni e (purché compatibili con le
condizioni economiche dei genitori) aspirazioni” (cfr. Cass., n.
17183/2020)>>