Sempre nelle diatribe diffamatorie tra Il Fatto Quotidiano e il gruppo di Matteo Renzi, interviene Appello Firenze n° 2815/2022, RG 1620/2019, del 16.-12.2022, rel. Giulia Conte.
La corte fiorentina conferma l’accoglimento da parte del primo grado della domanda risarcitoria avanzata da Marco Lotti.
Qui segnalo solo il passaggio che ritiene sufficiente l’allusione , cioè l’evocazione indiretta, del fatto diffamante:
<<Peraltro, come già affermato dal primo giudice, e come più volte ribadito dalla Suprema Corte (v. da ultimo Cass. Civ. sez. III 29.10.2019 n. 27592), il giudizio sulla continenza verbale riguarda non solo il linguaggio utilizzato, ma anche il significato sottinteso alle parole dette (o non dette), suggerito attraverso espedienti stilistici e/o accostamenti suggestionanti di fatti, e l’applicabilità della scriminante rappresentata dalla continenza verbale dello scritto che si assume offensivo va esclusa allorquando vengono usati toni allusivi, insinuanti, decettivi, ricorrendo al sottinteso sapiente, agli accostamenti suggestionanti, al tono sproporzionalmente scandalizzato e sdegnato, all’artificiosa drammatizzazione con cui si riferiscono notizie neutre e alle vere e proprie insinuazioni; d’altro canto, uno scritto allusivo o insinuante, anche quando fondato su fatti veri, può riuscire in concreto molto più pernicioso per l’onore altrui rispetto ad uno scritto vituperoso, giacché mentre questo sollecita il riso, quello suscita il dubbio, che molto più del primo corrode la reputazione di chi ne sia investito.
Soprattutto, però, è con il terzo articolo, quello del 26.09.2015 (v. doc. 6), a firma di Ferruccio Sansa e Davide Vecchi, che la scelta di adottare un titolo scandalistico prende il sopravvento sulla anche più minima prudenza, e induce i giornalisti a coinvolgere senza se e senza ma il Lotti nella bufera che sta travolgendo Tiziano Renzi, facendolo assurgere ad uno dei protagonisti della stessa.>>
<<Ma soprattutto tale articolo si appalesa suggestivo ed insinuante nel titolo: “Hanno mollato l’azienda per non inguaiare Matteo” con occhiello “Fallimenti, debiti e prestiti. Da papà Tiziano a papà Lotti, così nacque il Giglio Magico.”
L’occhiello evoca infatti, senza mezzi termini, un legame d’affari ed un sodalizio disastroso, che accomuna il prestito e l’esito fallimentare dell’impresa, e che riconduce le ragioni del prestito alla volontà di sostenere Matteo Renzi e la sua famiglia, per interessi personali connessi alla sua ascesa (con il chiaro riferimento al cd. Giglio Magico, espressione che allude ai sostenitori di Renzi di area toscana).
Tale occhiello appare particolarmente rilevante, ai fini della natura diffamatoria dell’articolo, sotto due profili.
In primo luogo, esso fornisce la chiave di lettura di tutto ciò che si va poi ad esporre nell’articolo, per quei lettori che abbiano la voglia di procedere oltre nella lettura, confermando che l’accostamento che si va ad operare del prestito a Tiziano Renzi e dell’ascesa politica di Luca Lotti non è affatto neutro.
In secondo luogo, il complessivo titolo assume una valenza diffamatoria ex se, ancora più dirompente rispetto a quei lettori, affatto rari, che si limitano ad una lettura sommaria del quotidiano e si fermano alla sua intitolazione, dalla quale non possono che trarre la conclusione che Marco Lotti abbia agito all’interno della banca illecitamente, per interessi politici e personali e mosso da legami nefasti (tanto che la società che ha beneficiato del prestito da lui istruito con parere favorevole dev’essere allontanata da Matteo Renzi per non inguaiarlo).>>
<<Dunque, come già ritenuto dal primo giudice, gli articoli censurati dall’attore e pubblicati su Il Fatto Quotidiano in data 18-24-26 settembre 2015, anche in base a una lettura sistematica e d’insieme, che consenta di considerare l’effetto amplificato derivante dalla loro contiguità temporale, sono da considerarsi lesivi della reputazione del Lotti, e non possono ritenersi giustificati dal legittimo esercizio del diritto di cronaca e/o di critica.
Invero, manca in essi il rispetto tanto del principio di continenza – leso non solo da un linguaggio scurrile ma, più subdolamente, anche da un linguaggio allusivo e scandalistico – quanto di quello di verità, essendo tratti da fatti noti, veri, in modo ardito e privo di riscontri fatti ignoti, non dimostrati.
Se poi è vero che il diritto di critica presuppone indefettibilmente un taglio soggettivo della vicenda narrata, è vero anche che esso deve avere ad oggetto fatti tutti veri, ai quali il dichiarante solo aggiunge il proprio giudizio; nel caso in esame, invece, si tratta di una mistificazione della realtà, ottenuta accostando in modo malizioso fatti veri, per alludere a fatti indimostrati.>>
<<D’altro canto, è orientamento consolidato in giurisprudenza che in tema di risarcimento del danno causato da diffamazione a mezzo stampa la prova del danno non patrimoniale può essere fornita con ricorso al notorio e tramite presunzioni, assumendo come idonei parametri di riferimento la diffusione dello scritto, la rilevanza dell’offesa e la posizione sociale della vittima, tenuto conto del suo inserimento in un determinato contesto sociale e professionale (cfr. per tutte Cass. 9799/19). A fronte di tale quadro, dunque, avrebbero semmai dovuto essere gli appellanti a spiegare perché nonostante la portata della diffamazione il Lotti non avrebbe subito alcun patema d’animo conseguente>>
Conferma la condanna a tale titolo ad euro 8.000,00.