Not every network is a monopoly: sulla concorrenza nei mercati online

dal saggio di uno dei maestri dell’antitrust (che si sta occupando molto dei mercati online)  Hovenkamp Herbert, Gatekeeper Competition Policy (February 4, 2023), intorno alla proposta di legge USA c.d. the American Innovation and Choice Online Act (AICOA)

<<While more studies need to be done, there is little reason today
for thinking that the exercise of market power is more common or
more harmful on online markets than on traditional markets.34 Internet
and traditional markets exhibit differing degrees of competition
depending on the product, including some monopoly. 35 Online firms
are more likely to be networked, and networking can be a source of
market power,36 but it can also result in better products, reduced costs,
or broader access.
Clearly networking can be a source of power because
networked markets appeal to a wider group of customers and can also
have lower costs. In addition to that are direct and indirect network
effects that can make networks appealing.
Not every network is a monopoly, however. Another
phenomenon that the internet facilitates is product differentiation, or
the assembly of different packages of products and other offerings.
For example, Facebook, Instagram, Twitter, LinkedIn, TikTok,
Reddit, and others are all social networking sites that are subject to
both direct and indirect network effects. Within a site, they become
more valuable as the number of users increases. They are not natural
monopolies or winner-take-all platforms, however, because of product
differentiation. The same thing can be said of countless newspapers
and other periodicals and dating sites, virtually all of which operate
mainly or exclusively online. (….)

With these realities, the best approach for antitrust policy is
some expansion of duties to deal that take network operational
obligations more seriously. But these rules should apply to every firm
that has substantial market power in a particular networked product or
service, not to a subset that is identified by absolute firm size, and then
without regard to power in a particular product. That approach is both
underinclusive as to firms and overinclusive as to products>>, pp. 10-12.

Ancora sulla diffamazioen: basta l’allusione, non è necessaria l’affermazione esplcita

Sempre nelle diatribe diffamatorie tra Il Fatto Quotidiano e il gruppo di Matteo Renzi, interviene Appello Firenze n° 2815/2022, RG 1620/2019, del 16.-12.2022, rel. Giulia Conte.

La corte fiorentina conferma l’accoglimento da parte del primo grado della domanda risarcitoria avanzata da Marco Lotti.

Qui segnalo solo il passaggio che ritiene sufficiente l’allusione , cioè l’evocazione indiretta, del fatto diffamante:
<<Peraltro, come già affermato dal primo giudice, e come più volte ribadito dalla Suprema Corte (v. da ultimo Cass. Civ. sez. III 29.10.2019 n. 27592), il giudizio sulla continenza verbale riguarda non solo il linguaggio utilizzato, ma anche il significato sottinteso alle parole dette (o non dette), suggerito attraverso espedienti stilistici e/o accostamenti suggestionanti di fatti, e l’applicabilità della scriminante rappresentata dalla continenza verbale dello scritto che si assume offensivo va esclusa allorquando vengono usati toni allusivi, insinuanti, decettivi, ricorrendo al sottinteso sapiente, agli accostamenti suggestionanti, al tono sproporzionalmente scandalizzato e sdegnato, all’artificiosa drammatizzazione con cui si riferiscono notizie neutre e alle vere e proprie insinuazioni; d’altro canto, uno scritto allusivo o insinuante, anche quando fondato su fatti veri, può riuscire in concreto molto più pernicioso per l’onore altrui rispetto ad uno scritto vituperoso, giacché mentre questo sollecita il riso, quello suscita il dubbio, che molto più del primo corrode la reputazione di chi ne sia investito.
Soprattutto, però, è con il terzo articolo, quello del 26.09.2015 (v. doc. 6), a firma di Ferruccio Sansa e Davide Vecchi, che la scelta di adottare un titolo scandalistico prende il sopravvento sulla anche più minima prudenza, e induce i giornalisti a coinvolgere senza se e senza ma il Lotti nella bufera che sta travolgendo Tiziano Renzi, facendolo assurgere ad uno dei protagonisti della stessa.>>

<<Ma soprattutto tale articolo si appalesa suggestivo ed insinuante nel titolo: “Hanno mollato l’azienda per non inguaiare Matteo” con occhiello “Fallimenti, debiti e prestiti. Da papà Tiziano a papà Lotti, così nacque il Giglio Magico.”
L’occhiello evoca infatti, senza mezzi termini, un legame d’affari ed un sodalizio disastroso, che accomuna il prestito e l’esito fallimentare dell’impresa, e che riconduce le ragioni del prestito alla volontà di sostenere Matteo Renzi e la sua famiglia, per interessi personali connessi alla sua ascesa (con il chiaro riferimento al cd. Giglio Magico, espressione che allude ai sostenitori di Renzi di area toscana).
Tale occhiello appare particolarmente rilevante, ai fini della natura diffamatoria dell’articolo, sotto due profili.
In primo luogo, esso fornisce la chiave di lettura di tutto ciò che si va poi ad esporre nell’articolo, per quei lettori che abbiano la voglia di procedere oltre nella lettura, confermando che l’accostamento che si va ad operare del prestito a Tiziano Renzi e dell’ascesa politica di Luca Lotti non è affatto neutro.
In secondo luogo, il complessivo titolo assume una valenza diffamatoria ex se, ancora più dirompente rispetto a quei lettori, affatto rari, che si limitano ad una lettura sommaria del quotidiano e si fermano alla sua intitolazione, dalla quale non possono che trarre la conclusione che Marco Lotti abbia agito all’interno della banca illecitamente, per interessi politici e personali e mosso da legami nefasti (tanto che la società che ha beneficiato del prestito da lui istruito con parere favorevole dev’essere allontanata da Matteo Renzi per non inguaiarlo).>>

<<Dunque, come già ritenuto dal primo giudice, gli articoli censurati dall’attore e pubblicati su Il Fatto Quotidiano in data 18-24-26 settembre 2015, anche in base a una lettura sistematica e d’insieme, che consenta di considerare l’effetto amplificato derivante dalla loro contiguità temporale, sono da considerarsi lesivi della reputazione del Lotti, e non possono ritenersi giustificati dal legittimo esercizio del diritto di cronaca e/o di critica.
Invero, manca in essi il rispetto tanto del principio di continenza – leso non solo da un linguaggio scurrile ma, più subdolamente, anche da un linguaggio allusivo e scandalistico – quanto di quello di verità, essendo tratti da fatti noti, veri, in modo ardito e privo di riscontri fatti ignoti, non dimostrati.
Se poi è vero che il diritto di critica presuppone indefettibilmente un taglio soggettivo della vicenda narrata, è vero anche che esso deve avere ad oggetto fatti tutti veri, ai quali il dichiarante solo aggiunge il proprio giudizio; nel caso in esame, invece, si tratta di una mistificazione della realtà, ottenuta accostando in modo malizioso fatti veri, per alludere a fatti indimostrati.>>

<<D’altro canto, è orientamento consolidato in giurisprudenza che in tema di risarcimento del danno causato da diffamazione a mezzo stampa la prova del danno non patrimoniale può essere fornita con ricorso al notorio e tramite presunzioni, assumendo come idonei parametri di riferimento la diffusione dello scritto, la rilevanza dell’offesa e la posizione sociale della vittima, tenuto conto del suo inserimento in un determinato contesto sociale e professionale (cfr. per tutte Cass. 9799/19). A fronte di tale quadro, dunque, avrebbero semmai dovuto essere gli appellanti a spiegare perché nonostante la portata della diffamazione il Lotti non avrebbe subito alcun patema d’animo conseguente>>

Conferma la condanna a tale titolo ad euro 8.000,00.

L’account Twitter di un dipartimnto universitario è limited public forum e non può bloccare post non gradevoli

Un docente universitario mnoto per posizin pro colonialismo posta un tweet equivoco su una pagina web interattiva creata dal by the University of Oregon’s Division of Equity and Inclusion.

Il manager lo blocca,.

M;a per il tribuinale dell’oregon Case 3:22-cv-01181-HZ   del 26.01.2023, Gilley v. Stabin , l’accont unviersitario è limited public forum e deve garantire il free speech. Il blocco eventuale deve essere “reasonable and viewpoint-neutral.”

<<Reviewing the three factors, the Court concludes that @UOEquity is a limited public
forum. First, the University did adopt guidelines governing posting on social media. The
pertinent part of the guidelines was posted online for anyone to view, and was also part of a
larger internal document. Larson Decl. I ¶¶ 3-5, Ex. 1 at 2; Larson Decl. II ¶¶ 5-7, Ex. 1 at 8-9.
The guidelines provide that comments within certain categories, including off-topic posts, can be
deleted, and that users who violate the guidelines can be blocked. Id. Plaintiff points out that
these guidelines appear more easily changed than a formal policy and that they have in fact been
changed since he filed suit. Pl. Supp. Br. 3, ECF 43. Plaintiff is correct that the guidelines have
been regularly altered; Defendants have acknowledged as much. Larson Decl. III ¶¶ 8-9, Exs. 2-
Case 3:22-cv-01181-HZ Document 57 Filed 01/26/23 Page 22 of 3623 – OPINION & ORDER
3 (versions of internal guidelines from 2019 and February 2021); Larson Decl. II ¶¶ 8-12, Exs. 1-
2 (versions of internal guidelines from October 2021 and October 2022). However, all of these
versions of the guidelines use almost identical wording in listing the categories of posts that can
be blocked or deleted. Larson Decl. II Ex. 1 at 8-9, Ex. 2 at 9-10; Larson Decl. III Ex. 2 at 8-9,
Ex. 3 at 3-4.
Plaintiff points to Kimsey v. City of Sammamish, 574 F. Supp. 3d 911, 919-920 (W.D.
Wash. 2021). Pl. Post-Hearing Mem. 5. In Kimsey, the district court held that a city’s Facebook
page was a designated public forum, in part because the city did not require prior approval before
allowing comments on the page. 574 F. Supp. 3d at 918, 920. The Court respectfully disagrees
with this analysis. In Garnier, the Ninth Circuit focused on whether the government defendants
had “established any rules of etiquette or decorum regulating how the public was to interact with
their social media account.” 41 F.4th at 1165. Garnier did not suggest that requiring prior
approval for comments was necessary to create a limited public forum. It also recognized that
“analogies between physical public fora and the virtual public fora of the present are sometimes
imperfect, and courts applying First Amendment protections to virtual spaces must be mindful of
the nuances of how those online fora function in practice.” Id. at 1185. This is one such nuance.
The Court doubts that requiring prior approval for every post on @UOEquity is a feasible
method of content restriction, and Plaintiff points to no evidence suggesting that it is.
Second, the Court has limited information on the extent to which the guidelines are
generally enforced. At the hearing, Plaintiff argued that @UOEquity is a designated public
forum because the University has failed to consistently enforce the social media guidelines.
There is some evidence to support this contention. For instance, while Plaintiff was blocked for
posting “all men are created equal” in response to the Racism Interruptor prompt, another Twitter user was not blocked for posting “all men are created equal” in response to the same
prompt several days later. Larson Decl. III ¶¶ 6-7, Ex. 1 at 4. Only three users have been blocked
since 2017. Id. ¶ 5. This could point to limited enforcement or to a paucity of posts that violate
the guidelines. Defendant stabin testified at the hearing that @UOEquity was a relatively lowtraffic account. This is supported by the data: since 2017, there have been a combined 2,558
replies and retweets on the account by other users. Larson Decl. III ¶ 4. In an email, Defendant
stated that she rarely blocked people and barely knew how. Kolde Second Supp. Decl. Ex. 4.
However, Plaintiff has not provided enough evidence of users who arguably should have been
blocked under the guidelines. The Court does not know why the other two blocked users were
blocked. The Court does not have enough evidence to conclude that the University is not
consistently following the guidelines in managing the @UOEquity account. Mindful that the
Supreme Court has required an affirmative act to create a designated public forum, the Court
declines to conclude on the evidence before it that the University has failed in enforcing the
social media guidelines to a degree that justifies finding such an affirmative act.
Third, a Twitter page is a forum designed for expressive activities. Garnier, 41 F.4th
1178 (“Social media websites—Facebook and Twitter in particular—are fora inherently
compatible with expressive activity.”). Defendant stabin testified at the hearing that the Racism
Interruptor prompts she posted were intended to serve as tools for individuals to use when they
encountered discrimination in their daily lives, rather than to promote discussion on the Twitter
page as such. Ultimately, however, the expressive activity on the Twitter page is not “incidental”
to its operations, unlike ads on metro buses whose primary function from the government’s
perspective is to generate revenue. Seattle Mideast Awareness, 781 F.3d at 497.
This case falls between Garnier and Seattle Mideast Awareness, and the Court concludes
that @UOEquity is a limited public forum. The University adopted and published guidelines
restricting the content that can be posted on the page and permitting administrators to block users
who violate them. Those guidelines have been reinforced to faculty and staff who manage the accounts.

The degree of enforcement appears less rigorous than in Seattle Mideast Awareness, but the nature of the forum is different, and the Court declines to find on the record before it that the University has abdicated responsibility for enforcement.

The Court concludes that the University did not affirmatively open @UOEquity as a designated public forum.

Therefore, any restrictions on speech in @UOEquity must be reasonable and viewpoint-neutral. Hopper, 241 F.3d at 1075. 

The Court proceeds to evaluate the likelihood of success on Plaintiff’s claims for
relief against this standard>>

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof Eric Goldman)

Recensione diffamante, a carico di avvocato, postata su Google Maps e responsabilità di quest’ultimo: opera il safe harbor ex § 230 CDA?

La risposta è positiva, naturalmente.

Si tratta di avvocato operante nelle vicinenza di Portland e diffamato da pesante recensione postata su Google maps.

Caso facile, allora,  per il Tribunale dell’Oregon Daniloff c. Google+1, 30 gennaio 2023, Case No. 3:22-cv-01271-IM .

Il prof. Eric Goldman dà pure il link alla recensione diffamante .

L’0aavvopcato attopre aveva CHJIESTO danni per 300.000 dollari a google e al recensore.

<<In evaluating Defendant Google’s immunity under the CDA, this Court applies the threefactor Ninth Circuit test. See Kimzey, 836 F.3d at 1268. First, to determine whether Defendant Google qualifies as an interactive computer service provider, this Court notes that Google is an
operator who passively provides website access to multiple users. Fair Hous. Council of San
Fernando Valley v. Roommates.com, LLC, 521 F.3d 1157, 1162 (9th Cir. 2008) (en banc) (“A
website operator . . . [who] passively displays content that is created entirely by third parties . . .
is only a service provider with respect to that content.”). Accordingly, as Defendant Google
argues and Plaintiff concedes, Google qualifies as an interactive computer service provider. ECF
8 at 5; ECF 9 at 3; see also 47 U.S.C. § 230(f)(3); Lewis v. Google LLC, 461 F. Supp. 3d 938,
954 (N.D. Cal. 2020) (collecting cases), aff’d, 851 F. App’x 723 (9th Cir. 2021); Gaston v.
Facebook, Inc., No. 3:12-CV-0063-ST, 2012 WL 629868, at *7 (D. Or. Feb. 2, 2012), report and
recommendation adopted, No. 3:12-CV-00063-ST, 2012 WL 610005 (D. Or. Feb. 24, 2012).
Second, because Plaintiff premises his defamation claim on Defendant Google’s
publication of Defendant Keown’s review, ECF 1-1, Ex. A, at ¶ 22, this Court finds that Plaintiff
seeks to treat Google as a publisher or speaker. See Kimzey, 836 F.3d at 1268 (holding that
defamation claim based on Yelp review was “directed against Yelp in its capacity as a publisher
or speaker” (citing Barnes, 570 F.3d at 1102)).
Third, as the allegedly defamatory review was posted by Defendant Keown, ECF 1-1, Ex.
A, at ¶ 5–7, this Court finds the relevant information was provided by another information
content provider. Rather than allege that Defendant Google created the review, Plaintiff alleges
that Defendant Google “hosted” it via Plaintiff’s Google Business profile, id. at ¶ 30, thereby
“material[ly] contribut[ing]” to the defamatory review. ECF 9 at 3. An entity who “contributes
materially to the alleged illegality of the conduct” at issue is not entitled to protection under
Section 230. Roommates.com, 521 F.3d at 1168.
The Ninth Circuit addressed a similar argument in Kimzey, a case arising out of a
negative review on Yelp’s website. Kimzey, 836 F.3d at 1265. While the plaintiff in that case
claimed that Yelp had “authored” the review at issue through its star-rating system, id. at 1268,
the Ninth Circuit found that “Yelp’s rating system . . . is based on rating inputs from third parties
and . . . [is] user-generated data,” id. at 1270. As such, the Ninth Circuit held that Yelp’s actions
did not qualify as “creation” or “development” of information and that “the rating system [did]
‘absolutely nothing to enhance the defamatory sting of the message’ beyond the words offered
by the user.” Id. at 1270–71 (quoting Roommates.com, 521 F.3d at 1172).
Defendant Keown’s review similarly qualifies as user-generated data and Defendant
Google’s hosting of that review through its Google Business profile system does not qualify as a
material contribution. This Court finds that Plaintiff bases his defamation claim on a review
provided by an information content provider other than Defendant Google—thus fulfilling the
third factor required under Kimzey. See also id. at 1265 (observing that a claim “asserting that
[an interactive computer service provider is] liable in its well-known capacity as the passive host
of a forum for user reviews [is] a claim without any hope under [Ninth Circuit] precedent[]”).
Accordingly, Plaintiff’s defamation claim against Defendant Google satisfies the Ninth Circuit’s
three-factor test and Defendant Google is immune under Section 230 of the CDA.
To the extent that Plaintiff relies on Defendant Google’s refusal to remove Defendant Keown’s review in pursuing his defamation claim, ECF 1-1 at ¶ 11–17; ECF 9 at 4, this Court also holds that Defendant Google is immunized under the CDA for this decision. Roommates.com, 521 F.3d at 1170–71 (“[A]ny activity that can be boiled down to deciding whether to exclude material that third parties seek to post online is perforce immune under Case 3:22-cv-01271-IM Document 11 Filed 01/30/23 Page 6 of 7PAGE 7 – OPINION AND ORDER section 230.”); see also Barnes, 570 F.3d at 1105. Accordingly, Defendant Google’s Motion to Dismiss, ECF 8, is GRANTED.>>

Renzi v. Travaglio: altra decisione civile fiorentina in tema di diffamazione

Dopo quella di agosto u.s. (v. mio post 24 agosto 2022),  Trib. Firenze interviene ancora sul tema con sentenza n° 316/2023, RG 7918/2020, rel. Zanda.

Il fatto storico:

<<Dalla stessa narrativa del fatto, emerge che la presunta diffamazione deriva non già dall’intervista, ovvero dalle parole proferite da Marco travaglio a Tagadà ma indirettamente dal fatto che dietro la sua persona si trovasse una libreria con libri e oggetti vari tra cui degli oggetti assuntivamente tali da incidere negativamente sulla reputazione dl politico Matteo Renzi.
La diffamazione dunque si sarebbe attuata in forma mediata non attraverso le parole dell’intervistato, in primo piano, ma attraverso la valenza comunicativa degli oggetti posti in secondo piano e che stavano alle sue spalle, e in particolare un rotolo di carta igienica con il volto dell’attore sul lembo mobile e due disegni ritraenti un segnale di pericolo e un escremento e separata un’immagine dell’attore>>

La domanda risarcitoria di Renzi è rigettata, trattandosi di critica politica lecita, anche come satira.

Poi:

<<Guardando il video dell’intervista, non emerge invero il detto carattere diffamatorio in quanto in primo piano si trova il giornalista Travaglio che parla e quindi lo spettatore è portato a concentrarsi sulle sue parole e poco sugli oggetti della libreria; quindi non si può affermare che sia più probabile che non, il fatto che i telespettatori avessero notato quei piccoli dettagli alle spalle dell’intervistato; non si vede nemmeno bene che si tratti di un rotolo di carta igienica, e comunque l’immagine dell’attore non è percepibile perché troppo piccola o coperta dal capo dell’intervistato o sgranata dal fatto di essere in secondo piano, spesso ripreso da lontano; l’accostamento al rotolo della carta igienica di un personaggio politico è poi effettivamente diffusa sui rotoli che vengono venduti su Ebay e Amazon che ritraggono scherzosamente anche altri personaggi della politica nazionale e internazional>>

Sul tema centrale (satira):

<<Come ribadisce la Corte di Giustizia a commento dell’art. 11 della CEDU la satira (in questo caso riferibile anche a un terzo estraneo al giudizio) è espressione di libertà democratica e un uomo politico deve sempre tollerarla indipendentemente dal contesto di critica politica, mettendo in conto di essere sottoposto a caricature, accostamenti ridicolizzanti anche privi di significati politici ben precisi.
La satira ai politici è l’anima della democrazia perché solo nei regimi totalitari la satira è vietata e gli uomini politici non possono essere rappresentati in forma satirica caricaturale e ridicolizzante.
Si veda l’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dei cittadini dell’unione europea e il controllo della Corte di Giustizia sul rispetto da parte degli stati aderenti, sul tema della libertà di espressione, affinchè non si vadano a creare ostacoli alle libertà fondamentali previste dal Trattato dell’Unione, tra cui la libertà di espressione e il pluralismo di media.
Come afferma la sentenza corte di giustizia nella nota sentenza 7.12.76 Handyside la corte di Strasburgo ha qualificato la libertà di espressione come la “precondizione” per l’esercizio e il godimento di tutti gli altri diritti, fondamentali, ed è sia un diritto fondamentale, sia lo strumento di tenuta delle libertà fondamentali degli stati democratici sicchè si può affermare che il livello di democrazia effettiva di uno stato si può valutare dalla maggiore o minore estensione della libertà di espressione e massimamente dalla satira politica.
Dunque seppure si volesse intendere che in un’intervista televisiva si possa prescindere dalle parole dell’intervistato per dare valore, invece, agli oggetti posti in secondo piano e alla loro valenza comunicativa e seppure si volesse vietare la possibilità di farsi riprendere con vignette o immagini caricaturali di personaggi politici anche accostati alla carta igienica o ritratti sulla carta igienica, resta comunque il fatto che un personaggio politico in uno stato democratico deve tollerare immagini satiriche della sua persona e del suo volto, anche impresse su gadget come quello di causa, perché solamente in un regime totalitario è vietato criticare o ridicolizzare un personaggio politico. Si noti, infatti, che la corte di cassazione italiana nega che alla satira possa applicarsi il limite della continenza per sua natura esclusa dalla satira che è eccessiva graffiante e smodata.
Quanto alle sentenze che se da un lato negano la necessità della continenza per il messaggio satirico dall’altro, tuttavia, richiedono la funzionalizzazione della satira ad un messaggio politico si rileva che in realtà la satira potrebbe tradursi esclusivamente nella messa alla berlina dl personaggio pubblico, anche senza un sottostante messaggio politico, ovvero il vignettista o il satirico potrebbe anche non avere alcun messaggio politico da proporre, potrebbe anche essere un soggetto “a-politico” ed essere comunque libero di ridicolizzare e mettere alla berlina un personaggio pubblico, anche al di fuori di un ben preciso accadimento storico e di un fatto politico, perché non risulta alcun elemento normativo che suggerisca che la libertà di satira e di espressione debbano necessariamente veicolare un messaggio politico o una critica politica per essere “giustificabili”; anzi la mera rappresentazione del volto dei politici deformati, con caricature somatiche è sempre stata ritenuta legittima proprio come espressione di satira, avulsa da messaggi o contenuti politici tecnicamente intesi, detta proprio satira politica solo per l’oggetto, ossia per i personaggi politici che ne formavano l’oggetto.
Altrimenti si dovrebbe dire che la satira si possa ammettere solo se il personaggio politico viene rappresentato nell’atto di compiere un’azione politica, o in collegamento con un episodio politico di attualità ben preciso, il che non è.>>

Subito dopo:

<<In ogni caso, nel caso in oggetto non ci sono né parole, né immagini riferibili direttamente a Marco Travaglio, come accadrebbe se si trattasse di una sua vignetta, soggetto al quale possa ricondursi il carattere presuntivamente diffamatorio dell’immagine dell’attore impressa, ed è emersa la prova che la presenza di piccoli oggetti nemmeno evidenti alle sue spalle, non solo non era mediamente percepibile da uno spettatore medio, ma non è risultata nemmeno voluta dal convenuto, che si trovava lì per l’eccezionalità dell’intervista nella fascia oraria pomeridiana invece che tardo pomeridiana allorquando la sala a ciò dedicata risultava occupata..
In ogni caso lo spettatore attento che avesse avuto modo di accorgersi di quelle piccole immagini alle spalle del convenuto, e dunque in secondo piano, in mezzo per giunta a tanti altri oggetti, avrebbe avuto casomai, secondo l’id quod plerumque accidit, una semplice reazione di mera ilarità, ma non si sarebbe certamente fatto alcuna idea peggiorativa o anche solo diversa della reputazione dell’attore, rispetto a quella che aveva prima dell’intervista di Travaglio su Tagadà, perché si sarebbe reso contestualmente conto del carattere satirico delle immagini, tale da non incidere negativamente sulla reputazione dell’attore; si ritiene quindi difetti anche la prova dell’an di danno, che difatti non è stato nemmeno allegato. A questi argomenti si aggiunge che la valutazione dell’equilibrio tra libertà di espressione e reputazione dell’uomo pubblico al potere, spetta in ultima analisi alla suprema corte di giustizia che applica l’art. 10 della convenzione, per cui diviene rilevante la disamina delle pronunce della Corte sull’art. 10 Convenzione; ebbene in un caso esaminato dalla Corte di Giustizia, sentenza del 10.10.2022, i politici furono messi alla berlina in modo molto più eclatante e per giunta utilizzando internet con portata diffusiva maggiore; in particolare i politici al potere erano raffigurati come l’asino dai capelli bianchi che indossava un abito e la scrofa con i capelli biondi che indossava calze di pizzo, reggicalze e tacchi alti, circondati da maiali; tutti brandivano spade e bandiere.>>

Parametri:

<<In questo contesto, i criteri pertinenti da prendere in considerazione sono il contributo a un dibattito di interesse generale, la notorietà della persona interessata, l’oggetto del servizio giornalistico, il comportamento precedente della persona interessata, il contenuto, la forma e le ripercussioni della pubblicazione, nonché, se del caso, le circostanze in cui sono state scattate le fotografie.>>

Condanna per abuso del processo ex art. 96.3 cpc pari al doppio delle spese di lite liquidate (nonostante i precedenti siano per il triplo, ivi citt.) così motivato:

<<Alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia i cui principi il giudice interno deve applicare in rapporto ai diritti fondamentali dei cittadini dell’Unione, compatibili con la parte rigida e i diritti fondamentali riconosciuti dalle Costituzioni interne europee, e considerata l’inoffensività del fatto come emerge oggettivamente proprio dal video e persino la incolpevolezza del fatto, come emerge dalle dichiarazioni della teste escussa, considerato infine che il danno da diffamazione è tabellato nelle tabelle di Milano e giunge al massimo ad euro 50.000,00 che può essere incrementato con ragionevolezza in rapporto a specifiche circostanze, senza comunque mai poter giungere ad un importo siffatto; considerato che stando alle decisione dell’unione europea l’essere un personaggio pubblico lungi dal poter determinare 500 mila euro di danno, è, caso mai, criterio di valutazione della insussistenza del fatto, e ciò per la maggiore tolleranza che si richiede al personaggio al potere; ebbene tutto ciò considerato si ritiene sussistano le condizioni dell’abuso del processo, con conseguente applicazione dell’art. 96 comma 3 c.p.c., liquidando al giornalista Marco Travaglio e a carico di Renzi Matteo, il triplo delle spese legali liquidate, giusta cass. sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8943 del 18/03/2022 conforme a cass. sez. 6 – 2, Ordinanza n. 21570 del 30/11/2012 (….).

Cionondimeno poiché qui le spese ammontano ad euro 21 mila calcolate sulla base dell’importo del tutto eccessivo della domanda rigettata, si liquida l’indennizzo al doppio delle spese legali liquidate.>>

La parte in rosso è la più interessante e non è scontata. La satira non deve affatto ripercorrere tutto il o parte del messaggio politico del soggetto satireggiato: la critica del potere, alla base della democraticità, può essere libera.

Da approfondire pure quella in verde , inerente al vincolo europeo sulla disciplina dei diritti fondamentali

Sulla satura v. ora Jacopo Menghini,  Libertà di satira, una sfida per i social media, in  forumcostituzionale.it, 2022-4.

Responsabilità del Registrar di domain names per l’uso illecito del dominio da parte del nuovo assegnatario? Si applica il safe harbour ex § 230 CDA?

L’appello del 9° circuito 3 febbrio 2023, No. 21-16182, Scotts Rigby v. Godaddy, sull’uso indebito del nome di dominio “scottrigsbyfoundation.org;” dato a un terzo e divenuto sito di giochi d’azzardo.

dal Summary iniziale:

<<When Rigsby and the Foundation failed to pay
GoDaddy, a domain name registrar, the renewal fee for
scottrigsbyfoundation.org, a third party registered the thenavailable domain name and used it for a gambling
information site. (…)
The panel held that Rigsby could not satisfy the “use in
commerce” requirement of the Lanham Act vis-à-vis
GoDaddy because the “use” in question was being carried
out by a third-party gambling site, not GoDaddy, and Rigsby
therefore did not state a claim under 15 U.S.C. § 1125(a). As
to the Lanham Act claim, the panel further held that Rigsby
could not overcome GoDaddy’s immunity under the
Anticybersquatting Consumer Protection Act, which limits
the secondary liability of domain name registrars and
registries for the act of registering a domain name. The
panel concluded that Rigsby did not plausibly allege that
GoDaddy registered, used, or trafficked in his domain name
with a bad faith intent to profit, nor did he plausibly allege
that GoDaddy’s alleged wrongful conduct surpassed mere
registration activity>>

E sorpttutto sul § 230 CDA , che protegge da molte domande:

<<The panel held that § 230 of the Communications
Decency Act, which immunizes providers of interactive
computer services against liability arising from content
created by third parties, shielded GoDaddy from liability for
Rigsby’s state-law claims for invasion of privacy, publicity,
trade libel, libel, and violations of Arizona’s Consumer
Fraud Act.

The panel held that immunity under § 230
applies when the provider is an interactive computer
services, the plaintiff is treating the entity as the publisher or
speaker, and the information is provided by another
information content provider.

Agreeing with other circuits,
the panel held that domain name registrars and website
hosting companies like GoDaddy fall under the definition of
an interactive computer service.

In addition, GoDaddy was
not a publisher of scottrigsbyfoundation.org, and it was not
acting as an information content provider.>>

La registrazione abusiva di telefonata può provare l’infedeltà matrimoniale: intorno al concetto di “prova illecita”

Di un certo itneresse Appello Reggio Calabria 11.05.2022, RG 760/2019, sent. n° 345/2022.

Il figlio aveva lasciato il suo cell. acceso nell’auto della madre, presumendo che avrebbe incontrato un amante e di poterla quindi registrare. Così fu.

Il padre utilizzo tale registrzione producendola come CD nel processo di dovorzio e trascrivendone il contenuto nell’atto introduttivo.

Particolarità processuale: aveva ritirato il fascicolo diparte (col  CD) in udienza di precisazione  delle concluisioni, per restituirlo solo dopo il termine per le conclusionali.

I problemi son due:

i) se tale registrazione è lecita o illecita;

ii) nel secondo caso, se sia producibile/utilizzabile nel giudizio divile.

Vecchi temi quello delle prove illecite e delle prove atipiche nel processo civile (scritti importanti di Ricci ed oggi di Passanante). Un tempo illecite  erano spt. i documenti rubati, oggi i documenti informatici violanti la privacy.

La Corte ritiene utilizzabile tale prova come prova atipica, mancando una norma che ne sancisca l’inutilizzabilità come nel c.p.p.

<<Intanto, può escludersi che la condotta in questione abbia determinato la commissione di un reato, non ricorrendo, in particolare, tutti gli elementi costitutivi delle fattispecie di cui agli artt. 615 bis e 617 c.p..
In ogni caso, è opinione della Corte che anche la ravvisabile violazione della sfera di riservatezza altrui non impedisca l’acquisizione e la valutazione della prova nel presente procedimento.
L’ordinamento processuale civile, infatti, non prevede alcuna norma che, come l’art. 191 c.p.p. nell’ordinamento penale, sanzioni l’inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge.
Esso è, invece, governato dai principi della atipicità della prova e del libero convincimento del giudice, in virtù dei quali, in assenza di divieti di legge, quest’ultimo può formare il proprio convincimento anche, per esempio, in base a prove atipiche, come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento,
relative all’ammissione e all’assunzione della prova (ex plurimis, cfr. Cass. Civ., sez. I, n. 25067/2018; sez. III, n. 13229/2015).
L’applicazione di eventuali sanzioni – anche di carattere procedurale – conseguenti a condotte poste in essere in violazione delle norme contenute negli altri ambiti ordinamentali è a tali sede riservata e non incide sulla libera apprezzabilità della prova in ambito civile.
Ciò premesso, nel caso in esame si è comunque in presenza di una registrazione fonografica, riconducibile al disposto dell’art. 2712 c.c..
La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che la registrazione su nastro magnetico di una conversazione può costituire fonte di prova, ex articolo 2712 del c.c., se colui contro il quale la registrazione è prodotta non contesti che la conversazione sia realmente avvenuta, né che abbia avuto il tenore risultante dal nastro; il “disconoscimento” che fa perdere alle riproduzioni la loro qualità di prova deve essere però chiaro, circostanziato ed esplicito, nel senso che deve concretizzarsi nell’allegazione di elementi che attestino la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta (ex plurimis: Cass. Civ., sez. II, n. 1220/2019; sez. II, n. 313/2019; sez. III, n. 1250/2018).
Nel caso in esame, nella memoria integrativa depositata dopo la costituzione in giudizio del marito, con la produzione della registrazione e della relativa trascrizione, la difesa della B. si è limitata ad affermare che le frasi riportate erano state pronunciate in un contesto burlesco tra amici, con espressioni forzate frutto di ironia, ed ha, solo in termini del tutto generici ed ipotetici, dedotto la necessità di opportuni riscontri e verifiche.
Solo, tardivamente, nella comparsa ex art. 183, comma VI, n. 3, c.p.c. la stessa difesa ha, in termini peraltro altrettanto generici, evidenziato la necessità della “esibizione” in giudizio dello smartphone utilizzato per la registrazione, al fine di “correlare” il compact disk con questo.
Va detto, ancora, che, rendendo l’interrogatorio formale deferitole, la stessa B____ ha espressamente riconosciuto la propria voce ed ammesso di aver parlato con un uomo di nome Angelo (“Ho ascoltato la registrazione prodotta in atti su c.d., riconosco la mia voce e riconosco di aver fatto più telefonate in quella circostanza…Riconosco che ho anche parlato con un uomo di nome Angelo”).
Infine, occorre evidenziare che il supporto contenente la registrazione, ritirato insieme al fascicolo di parte all’atto della assegnazione della causa a sentenza, è stato prodotto nuovamente in sede di giudizio di impugnazione, come pacificamente consentito (ex plurimis: Cass. Civ., sez. VI, n. 29309/2017; sez. III, n. 28462/2013; sez. II, n. 3466/1982).
Peraltro, e per inciso, correttamente il primo Giudice aveva utilizzato la trascrizione della conversazione riportata nella comparsa di risposta del resistente e, come visto, di fatto non contestata.
Ciò posto, le valutazioni compiute in sentenza circa la rilevanza causale della violazione dell’obbligo di fedeltà da parte della odierna appellante – chiaramente evincibile dal colloquio telefonico intrattenuto dalla B____  con un uomo di nome Angelo – appaiono pienamente condivisibili.
E’ vero, infatti, che nella memoria integrativa la ricorrente non ha contestato la circostanza del repentino mutamento di abitudini di vita a partire dal mese di giugno 2013 e, soprattutto, non ha adeguatamente allegato, né tanto meno provato che la crisi della coppia fosse preesistente e legata alla violazione dei doveri coniugali da parte del marito, del tutto generiche e non ricollegate a comportamenti ed eventi concreti risultando le relative deduzioni.
Il tenore della conversazione registrata il 27 febbraio 2014 lascia invece intendere, come sottolineato in sentenza, l’esistenza di un rapporto e di una consuetudine risalenti fra la B____ ed il suo interlocutore, con cui peraltro la donna parlava del Bar R____  proprio il luogo che, a partire dall’estate precedente, aveva preso a frequentare con assiduità nelle ore notturne (si rimanda ai brani riportati in sentenza)>>.

Manca però ogni accesso all’inquadramento tramite il GDPR , spt. trmite l’art. 9.1.lett. f) , secondo cui non applica il divieto di trattamento se <<il trattamento è necessario per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali;>>.

Se vale per i dati biometrici , tale eccezione varrà anche per i dati meno “delicati”.

Creatività di opera digitale

Cass. 16.01.2023 n° 1.107, sez. 1, rel. Scotti,. sull’argomento.

Poche le consiedraizoni realmente interessanti, ripetendosi tralatici giudizi sulla creatività:

<<4.3. Nel caso di specie la Corte di appello è partita dall’esatta premessa, conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale in tema di diritto d’autore il concetto giuridico di creatività, cui fa riferimento la L. n. 633 del 1941, art. 1 non coincide con quello di creazione, originalità e novità assoluta, ma si riferisce, per converso, alla personale e individuale espressione di un’oggettività appartenente alle categorie elencate, in via esemplificativa, nell’art. 1 della legge citata, di modo che un’opera dell’ingegno riceva protezione a condizione che sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppur minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore.

Di conseguenza la creatività non può essere esclusa soltanto perché l’opera consiste in idee e nozioni semplici, ricomprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia; inoltre, la creatività non è costituita dall’idea in sé, ma dalla forma della sua espressione, ovvero dalla sua soggettività, di modo che la stessa idea può essere alla base di diverse opere, che sono o possono essere diverse per la creatività soggettiva che ciascuno degli autori spende e che, in quanto tale, rileva ai fini della protezione (Sez. 1, n. 25173 del 28.11.2011; Sez. 1, n. 21172 del 13.10.2011; Sez. 1, n. 20925 del 27.10.2005)>>.

Interessante è semmai il giudizio sul perchè la sentenza non sia apparente/carente , ma sufficientemente motivata: compito difficile su un concetto vago come quello di creativirtà. Ecco :

<<4.4. Nella fattispecie, la Corte di appello ha osservato che l’opera è creativa allorché esprime una idea originale, proveniente solo dall’ispirazione del suo autore e ha confermato la valutazione espressa dal giudice di primo grado, sostenendo che l’immagine non era una semplice riproduzione di un fiore, ma ne comportava una vera e propria rielaborazione, perciò meritevole di tutela autorale per il suo carattere creativo (pag.11, primo periodo).

La Corte di appello, poi, ha rafforzato tale valutazione, dando conto dell’ampia valorizzazione impressa all’opera da parte della stessa RAI in occasione della presentazione della manifestazione alla stampa periodica, volta a porre in risalto il fiore e la sua valenza simbolica facendolo campeggiare sul palco spoglio, invece tradizionalmente addobbato con vere decorazioni floreali. Ha infine considerato quale ulteriore indizio confirmativo il grado di notorietà raggiunto dall’opera sul web, dando conto di visualizzazioni, preferenze e commenti.

4.5. La motivazione è pertanto esistente e non meramente apparente e rende ragione del percorso seguito dai giudici genovesi: l’opera non è una semplice riproduzione di un fiore ma una sua rielaborazione; la stessa RAI l’ha implicitamente riconosciuto, valorizzandola in modo accentuato come simbolo della manifestazione; gli utenti hanno reagito positivamente con acquisizione di un buon grado di notorietà.>>

Inrterssante, infine, è l’apertura verso la creatività di opera frutto di software (intellegenza artificiale?):

<<5.1. La RAI si duole del fatto che la Corte di appello abbia erroneamente qualificato come opera dell’ingegno una immagine generata da un software e non attribuibile a una idea creativa della sua supposta autrice.

La ricorrente sostiene che l’opera dell’arch. B. è una immagine digitale, a soggetto floreale, a figura c.d. “frattale”, ossia caratterizzata da autosimilarità, ovvero da ripetizione delle sue forme su scale di grandezza diverse ed è stata elaborata da un software, che ne ha elaborato forma, colori e dettagli tramite algoritmi matematici; la pretesa autrice avrebbe solamente scelto un algoritmo da applicare e approvato a posteriori il risultato generato dal computer.

(…) 5.3. La questione è nuova perché non risulta trattata nella sentenza impugnata e la stessa ricorrente non indica quando e come l’avrebbe sottoposta al giudice di primo grado e a quello di appello.

Non è certamente sufficiente a tal fine l’ammissione della controparte di aver utilizzato un software per generare l’immagine, circostanza questa che, come ammette la stessa ricorrente, è pur sempre compatibile con l’elaborazione di un’opera dell’ingegno con un tasso di creatività che andrebbe solo scrutinato con maggior rigore (cfr ricorso, pag.17), se, com’e’ avvenuto nel caso concreto, la RAI non ha chiesto ai giudici di merito il rigetto della domanda per quella ragione.

E infatti si sarebbe reso necessario un accertamento di fatto per verificare se e in qual misura l’utilizzo dello strumento avesse assorbito l’elaborazione creativa dell’artista che se ne era avvalsa.>>

La Sc ribadisce cjhe il giuidizi odi creatività è di fatti e no di diriutto, , § 4.6. Il che però non è esatto.