Cass. n. 7358 del 07.03.2022, sez. 2, rel. Abete, Italiana Investimenti c. Casa Oleraria italiana-I.B. INTERNATIONAL TRADING CO. LT, affronta un interessante caso di elusione di obbligazione contrattuale concretizzatasi nel far intervenire un distinto soggetto giuridico ma pur sempre controllato dal paciscente obbligato.
la SC conferma la violazine contrattuale, già accertata dalla corte di appello:. Si tratta di caso classico di tetnativo di elusione, nemmeno oscurato e per questo interessante . Pacifico che il terzo intervenuto appoartenesse allo stesso gruppo dell’obbligato, è sufficiente la distinzione soggettiva ad evitare la violazione? Conferma il no la SC : e giustamente, direi.
La fattispecie concreta ricorda da vicino quella decisa dalla celeberrima Cassazione nel caso Fiuggi (n° 3774 del 20.04.1994).
La motivazione sul punto però è leggerina: la SC poteva impegnarsi di più su un tema così importante.
Viene ad es. offerto il testo integrale in un post di circa un anno fa in Diritto e Politica dei Trasporti .
Il punto è trattato nel terzo motivo di ricorso.
C’è una premessa sulla censurabilità in Cass. dell’interpretazione del contratto: interessante ma qui fuori tema.
Poi si entra in medias res, a sua volta due passaggi.
1° passo:
<< 33. Per un verso, questa Corte spiega che, in tema di interpretazione del contratto, il dato letterale, pur di fondamentale rilievo, non e’, da solo, decisivo, atteso che il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito esclusivamente al termine del processo interpretativo che deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé non bisognose di approfondimenti interpretativi, dal momento che un’espressione “prima facie” chiara può non apparire più tale se collegata alle altre contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti (cfr. Cass. sez. lav. 1.12.2016, n. 24560; Cass. 11.1.2006, n. 261; Cass. 11.6.1999, n. 5747). E spiega ancora che, in tema di interpretazione del contratto, l’elemento letterale, sebbene centrale nella ricerca della reale volontà delle parti, deve essere riguardato alla stregua degli ulteriori criteri ermeneutici e, segnatamente, del criterio dell’interpretazione funzionale, che attribuisce rilievo alla causa concreta del contratto ed allo scopo pratico perseguito dalle parti, oltre che del criterio dell’interpretazione secondo buona fede, che si specifica nel significato di lealtà e si concreta nel non suscitare falsi affidamenti e nel non contestare ragionevoli affidamenti ingenerati nella controparte (cfr. Cass. 19.3.2018, n. 6675; Cass. (ord.) 10.6.2020, n. 11092).
Per altro verso, questa Corte spiega – lo si è anticipato – che i principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione e nell’interpretazione dei contratti, di cui agli artt. 1175,1366 e 1375 c.c., rilevano sia sul piano dell’individuazione degli obblighi contrattuali, sia su quello del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti; e che, sotto il secondo profilo, consentono al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto, qualora ciò sia necessario per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l’abuso del diritto (cfr. Cass. 18.9.2009, n. 20106)>>.
2° passo:
<< 34. Ebbene, nel quadro della riferita elaborazione giurisprudenziale, inevitabile è la formulazione dei rilievi che seguono.
Non possono in alcun modo essere condivisi gli assunti secondo cui “era doveroso utilizzare il criterio interpretativo basato sul senso letterale delle espressioni impiegate (…) (e) soprattutto non si poteva (…) ricorrere agli ulteriori criteri ermeneutici e segnatamente al criterio della buona fede in senso oggettivo” (così ricorso principale, pag. 26). E secondo cui la Corte di Lecce “ha finito per stravolgere l’autentico contenuto delle pattuizioni inter partes, sostituendo la propria volontà a quella negoziale espressa dai contraenti” (così ricorso principale, pag. 25. Cfr. analogamente memoria delle ricorrenti principali, pagg. 4 – 5).
Ne’ vale addurre che il diritto di esclusiva dell’iniziale attrice, quale pattuito nei contratti in data 15.6.1998 e 18.12.1998, non si estendeva alle cosiddette forniture “indirette”.
Se è vero – come è vero – che i principi di correttezza e buona fede ex artt. 1175,1366 e 1375 c.c., abilitano il giudice ad intervenire anche in senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto, non si è né al cospetto di un’indebita proiezione, in difetto del doveroso riscontro del legittimante substrato normativo, così come si paventa con il sesto motivo del ricorso principale, degli effetti obbligatori della lex contractus oltre la sfera soggettiva delle parti contraenti, né al cospetto – si aggiunge – dell’incauta sovversione dei formali criteri di imputazione, ancorati alla “spendita del nome”, dell’attività d’impresa, in spregio, per giunta, al principio cardine per cui le imprese societarie pur appartenenti al medesimo “gruppo” conservano distinta soggettività e piena autonomia giuridica.
Si tratta invece di definire puntualmente i confini degli impegni obbligatori che ciascuna delle parti contraenti le pattuizioni in data 15.6.1998 ed in data 18.12.1998 ebbe ad assumere.
Se è vero – come è vero – che la regola integrativa ed interpretativa della buona fede in senso oggettivo eleva il giudice, pur nel quadro del “naturale” antagonismo che segna la genesi e la dinamica della vicenda contrattuale, a presidio di prevenzione e di repressione dell’abuso del diritto, la dilatazione, nella specie, dell’obbligo di esclusiva gravante sulle preponenti “Oleifici Italiani” ed “Ital Bi Oil” oltre l’ambito correlato alla sua rigorosa formulazione letterale appieno si giustifica, appieno si legittima. [in che modo? su che base si giustifica? in pratica è immotivata!]
D’altronde, questa Corte ha già avuto cura di puntualizzare, seppur sullo specifico terreno del contratto di agenzia, che, ai sensi dell’art. 1748 c.c., comma 2, il diritto alla provvigione cosiddetta “indiretta” compete in ogni caso di ingerenza nella zona di esclusiva o di captazione di clienti riservati all’agente attraverso l’intervento diretto o indiretto del preponente, quali che siano le modalità della sottrazione così realizzata ed indipendentemente dalla tecnica negoziale prescelta o dal luogo in cui questa è posta in essere (cfr. Cass. 30.1.2017, n. 2288)>>.