Sul rapporto tra domanda di violazione brevettuale e domanda di concorrenza sleale: rigettatala prima, va necessariamente rigetta pure la seconda?

la risposta è negativa , secondo  App. Milano n 132/2023, del 18.01.2023, RG 2231/2020, rel Giani, Piaggio c. Peugeot.

La corte rigetta l’appello di Piaggio contro la sentenza di prim ogrado cjhe aveva già repointo la sua domanda di contraffazione contro Peugeot, relativao allo scooter Metropolis rispetto al proprio MP3

Sul punto in oggetto, così ossservba , basandosi sul parametro soggettivo di rifeirmento:

<<29. La tutela accordata per la violazione della privativa può concorrere con quella
prevista per la concorrenza per imitazione servile, sul presupposto che il prodotto
rechi una forma individualizzante, tale da essere percepibile, oltre che
dall’utilizzatore informato, anche dal consumatore medio (Cass. n. 8944/2020;
Cass. n. 19174/2015).
Piaggio ha invocato la tutela per concorrenza sleale senza indicare fatti diversi
rispetto a quelli allegati per la tutela della privativa, precisando (con la memoria di cui all’art. 183, sesto comma, n. 1, c.p.c.) che la fattispecie di concorrenza sleale
sia quella per imitazione servile. Ne consegue che la sussistenza della concorrenza vada valutata esclusivamente con riguardo a tale fattispecie, in quanto ciascuna delle ipotesi previste dall’art. 2598 c.c. individua un’autonoma causa petendi che deve essere espressamente allegata nella domanda affinché sia delimitato il thema decidendum (Cass n. 2124/2014; Cass. n. 25652/2014).
Sul piano teorico, la medesima condotta di riproduzione delle forme del prodotto
non impedisce il concorso dei due illeciti, giacché “la configurazione dell’uno o
dell’altro di essi dipende solo dal diverso parametro di cui ci si avvale per la
valutazione del carattere (rispettivamente individuale o distintivo) delle dette
forme e della loro violazione, che è nel primo caso l’utilizzatore informato e nel
secondo il consumatore medio” (Cass. n. 8944/2020; Cass. n. 19174/2015).
Nel caso di specie, Piaggio non ha specificamente allegato quali siano le forme
distintive e quali quelle imitate, limitandosi, nell’atto di citazione, ad allegare la
sola perpetrazione degli atti di concorrenza sleale di cui all’art. 2598 c.c.
Quand’anche si supplisse a tali lacune assertive, ritenendo che le forme distintive
implicitamente corrispondessero con quelle oggetto della privativa e andassero
ricavate dalle raffigurazioni contenute nel modello registrato, non essendo mai
state allegate ai fini della concorrenza sleale se non con un generico riferimento ai fatti integranti la contraffazione, in ogni caso l’imitazione servile del modello
Piaggio non sarebbe ravvisabile, nel caso di specie, perché le differenze sopra
emerse tra i due modelli, ai fini del giudizio di contraffazione, sono di tale
evidenza da essere percepibili non solo dall’utilizzatore informato, ma anche dal
consumatore medio, “normalmente informato e ragionevolmente attento”  >>.

Tema poco esplorato dalla dottrina ma interessante sotto il profilo teorico

Aperta la consultaizone pubblica sul report inerente alla prassi applicativa della regola sulla mala fede in materia di marchi: CP 13 – Common Practice ‘Trade mark applications made in bad faith’, marzo 2023.

Qui la pagina dell’ufficio e qui invece il link diretto al file word .-

Sintesi molto interessante su un tema che potrebbe ritenersi di rara applicazione, mentre invece non è così.

Vedremo quanto vi si avvicinerà il testo definitivo.

Illegittima segnalazione alla centrale rischi e danno all’immagine e alla reputazione

Cass. sez. 1 del 6 marzo 2023 n. 6589, rel. Falabella, sull’oggetto:

<<Rammentato che pure in tema di illegittima segnalazione alla
Centrale rischi il danno all’immagine ed alla reputazione, in quanto
costituente «danno conseguenza», non può ritenersi sussistente in re
ípsa, dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il
risarcimento (Cass. 28 marzo 2018, n. 7594), non si ravvede,
nell’esposizione del mezzo di censura, alcuna rappresentazione delle
ragioni per cui le norme di cui agli artt. 2059 e 2697 c.c. sarebbero
state violate o falsamente applicate. Sul punto non possono non valere,
dunque, le considerazioni svolte nel trattare il precedente motivo.>>

(notizia e link da   ilcaso.it)

La tutelabilità come modello del componente di prodotto complesso nel caso di sua consumabilità

Utili indicazioni sul problema in oggetto da parte di Trib. UE 22.03.2023, T-617/21, B§Bartoni c. EUIPO – Hypertherm .   Si trattava di elettrodo di torcia da saldatura.

Il fatto, che il compoente sia consumabile con l’uso, impedisce la sua tutela ex art. 4 (spt. § 2 ) reg. 6 del 2002, §§ 33-42.

Il Trib. poi dà altri chiarimenti:

– sull’assenza di smontaggio e di nuovo montaggio al momento della sostituzione dell’elettrodo , § 40 ss.

– sul fatto che la torcia sia considerata completa senza l’elettrodo, § 50′ ss

– sull’intercambiabilità dell’elettrodo, § 63 ss

In sintesi non è data tutela da modello sotto alcun profilo all’elettrodo di tale torcia.

(notizia e link offerti da Marcel Pemsel Wednesday, April 12, 2023  in IPKat)

Il marchio multimediale (audiovisivo) è registrabile

Interessante decisione del 5° Board of Appeal dell’EUIPO, 7 marzo 2023, caso R 1490/2022-5, Chiever RB . v. la pagina web della pratica nel sito del’ufficio nonchè direttamente il file word on la traduzione automatica inglese (orig. olandese).

Questo il link diretto al video.

Domanda rigettata in primo grado amminstrativo per assenza di distintività ma accolta nel reclamo.

I marchi multimediali sono contemplati dal reg. di esecuzione del reg. UE 2017/1001: reg. 2018/626 art. 3.3.i), circa la modalità di rappresentazione (file audiovisivo)

Qui l’interessnte  è dove si possa apporre il marchio audiovisivo.

Lo spiega l’istante:

<< –  The Office shall explicitly draw the comparison with a TV spot. In most cases, a multimedia brand is not TV advertising at all and should therefore not be compared with it. It is a new type of brand, a combination of sound, images and movement. This could be a TV spot, but in most cases it is precisely not. They are videos on the internet, lead on websites, on Instagram. All moving images and sounds, to which modern consumers are fully accustomed to using their mobile phone.
–  The sign in question will be used in practice, including via Facebook. Once the end has passed, a bottle of wine with a clear label appears in a new shot. Of course, the trade mark proprietor does not choose to include that bottle of wine in his trade mark, just as, in the case of a slogan, you do not, in principle, take the trade mark (the sender) with it>>.

Poi il Board osserva:

<< (5) Final remark: evolution of technology and digital marketing
72 With the evolution of technology, it cannot be excluded that multimedia brands are also effectively placed on goods. Moreover, digital packaging is already a reality.
73 For wines, it is perfectly possible, for example, that not only a QR code on the bottle, but also the wine label itself is scanned by the consumer via his smartphone and it will then see the video requested. A label can be ‘activated’ by way of words.
74 The Chamber gives an example below:
https://winerytale.com/media-release/wine-label-storytelling/” >>

Riporto poi la Conclusion:

<<75 Consumers may not have previously been accustomed to assigning a function of origin to a combination of images and sounds. This has changed with the digital evolution. As also indicated in the Common Communication on new types of marks, there is an increase in the number of signs combining images and sound used as part of market strategies, which will lead consumers to perceive them more as indications of commercial origin. The applicant also rightly points out that the multimedia mark consists of moving images and sounds to which modern consumers are entirely accustomed to their mobile phone.
76 Although the filing of films as trade marks is quite new and exceptional, that does not mean that the registration of such marks would be precluded if they could be immediately perceived as an indication of the commercial origin of the goods or services in question, so that the relevant public could, without any possibility of confusion, distinguish the goods or services of the proprietor of the mark from those with a different commercial origin (05/12/2002, T 130/01, Real People, Real Solutions, EU:T:2002:301, § 19).
77 Admittedly, although special or original characteristics are not criteria for the distinctive character of a trade mark, the mark in question must enable the public to distinguish the goods and services in question from those of other undertakings or persons (04/07/2017, T-81/16, a pair of curved strips on the side of a Tire, EU:T:2017:463, § 49).
78 The mark applied for does not only have original features (although they are not necessary), but the video also enables the public to distinguish the goods and services in question from those with a different commercial origin.
79 Therefore, in the view of the Chamber, the multimedia mark at issue is capable of fulfilling the essential function of a trade mark, which distinguishes the goods and services applied for from a different origin, and is therefore not contrary to the absolute ground for refusal laid down in Article 7 (1) (b)EUTMR.
80 In the light of the foregoing considerations, the appeal is therefore considered to be well founded and the contested decision is annulled.

(notizia e link offerti da  Anna Maria Stein Thursday, April 13, 2023 in IPKat)

L’esaurimento di marchio opera anche in presenza di distribuzione selettiva, se non ne è adeguatamente provata la sua attuazione oltre progettaizone

Cass. sez. 1 del 14.03.2023 n. 7378, rel. Fidanzia, circa il legittimo motivo che osta all’esarimento del marchio (art. 5 cod. propr. ind.) costituito da distribuzione selettiva di prodotti di lusso.

<<La Corte d’Appello si è limitata a dare atto che Chantecler aveva ben “indicato”, già nel procedimento di primo grado, quali caratteristiche dovevano possedere i rivenditori della sua rete, ritenendo, tuttavia, all’esito dell’esame del materiale probatorio – difformemente rispetto alle conclusioni cui era pervenuto il giudice di primo grado – che non vi era prova che i criteri elencati dalla Chantecler (ubicazione in capoluoghi di provincia o importanti comuni di provincia o zone di rilevante interesse turistico commerciale, posizione centrale dell’esercizio commerciale; tradizione consolidata nel tempo dell’esercizio; alta professionalità dell’esercente ed elevata qualità del servizio offerto ai clienti; stigliature ed arredi presenti nell’esercizio eleganti e di alta qualità; commercializzazione autorizzata di importanti marchi di gioielleria quali a titolo esemplificativo: Bulgari, Pomellato, Buccellati, Cartier, Chopard, etc) fossero stati dalla stessa effettivamente applicati nell’individuazione dei distributori.

In particolare, ha precisato la Corte di merito che, nei contratti di distribuzione (valorizzati dal Tribunale in senso favorevole alla ricorrente), non era, in realtà, indicato alcun criterio in forza del quale il singolo distributore era stato selezionato, né che, nel corso del rapporto, il distributore dovesse continuare a mantenere il possesso dei requisiti richiesti. Neanche i contratti di agenzia prodotti in causa (valorizzati difformemente dal Tribunale) erano idonei a fornire la prova dell’esistenza di un sistema di distribuzione selettiva e comunque risultavano conclusi dopo quelli con i distributori, non consentendo quindi di affermare che i distributori fossero stati in precedenza selezionati sulla base dei criteri previsti dai contratti di agenzia….

Infine, la Corte d’Appello, nell’esaminare i diversi criteri indicati da Chantecler per la selezione dei distributori, ha comunque accertato che ben venticinque esercizi su novantanove presenti nell’elenco non erano ubicati né in capoluoghi di provincia, né in zone di interesse turistico.

Alla luce delle soprariportate osservazioni, la Corte territoriale ha concluso che difettava la prova che i distributori autorizzati fossero stati selezionati sulla base del possesso di determinati requisiti prestabiliti.

Come già anticipato, trattasi di valutazione di fatto che non è sindacabile in sede di legittimità, essendo stata articolatamente congruamente con una motivazione immune da vizi logici>>.

Segue importante precisazione processuale su come vada fatta valere l’eccezione:

<<In ogni caso, se era pur vero che la Chantecler aveva richiesto di provare, anche per testimoni, la circostanza che i distributori erano stati selezionati in base ai criteri sopra indicati, tuttavia, dopo che il Tribunale aveva ritenuto superflua la prova, la Chantecler s.p.a. non aveva proposto l’istanza, in sede di precisazione delle conclusioni di primo grado, con la conseguenza che la stessa doveva ritenersi rinunciata, e non poteva essere presa in considerazione nel giudizio d’appello, pur se in quella sede era stata riproposta>>.

L’eccezione di inadempimento nel contratto di appalto: utili precisazioni sull’ art. 1667 c. 3 cod. civ.

Precisazioni della SC sull’oggetto , assai utili dati il frequentissimo ricorso a questo tipo contrattuale.

La distinzione tra inadempiento per opera non conclusa/non consegnata e inadempimeno per presenza di vizi, però, è teoricamente alquanto incerta.

Si tratta di Cass. 9 marzo 2023 n. 7041, sez. II, rel. Pirari:

<<Come si è visto, i giudici d’appello hanno, in merito, ritenuto di non dover decurtare, dalla somma dovuta all’appaltatore, quella stimata dal medesimo c.t.u. come necessaria per l’eliminazione dei vizi riscontrati, in quanto il committente non aveva proposto alcuna domanda, secondo quanto postulato dai rimedi di cui agli artt. 1667 e 1668 c.c..

Questa argomentazione, però, contrasta con quanto più volte affermato da questa Corte in tema di appalto, allorché ha detto che il committente, convenuto in giudizio, può paralizzare la pretesa avversaria, opponendo le difformità e i vizi dell’opera, in virtù del principio inadempimenti non est adimplendum, richiamato dal secondo periodo dell’ultimo comma dell’art. 1667 c.c., applicabile in caso di opera portata a termine (Cass., Sez. 1, 14/2/2019, n. 4511), anche quando non abbia proposto in via riconvenzionale la domanda di garanzia o la stessa sia prescritta, atteso che le disposizioni speciali di cui agli artt. 1667,1668,1669 e ss. c.c., attinenti alla particolare disciplina della garanzia per le difformità ed i vizi dell’opera, assoggettata ai ristretti termini decadenziali di cui all’art. 1667 c.c., integrano – senza escluderne l’applicazione – i principi generali in materia di inadempimento delle obbligazioni e di responsabilità comune dell’appaltatore, che si applicano in assenza dei presupposti per la garanzia per vizi e difformità prevista per i casi di opere completate in violazione delle prescrizioni pattuite o delle regole tecniche (Cass., Sez. 2, 17/5/2004, n. 9333; Cass., Sez. 2, 20/3/2012, n. 4445) e che impongono all’appaltatore, che agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo, l’onere di dimostrare, quando il committente sollevi l’eccezione di inadempimento di cui al comma 3 di detta disposizione, di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte (Cass., Sez. 2, 20/1/2010, n. 936; Cass., Sez. 2, 13/2/2008, n. 3472).

Infatti, come ripetutamente affermato da questa Corte, le disposizioni generali di cui agli artt. 1453 e 1455 c.c., che contemplano la comune responsabilità dell’appaltatore, operano quando egli non esegua interamente l’opera o, se l’ha eseguita, si rifiuti di consegnarla o vi proceda con ritardo rispetto al termine di esecuzione pattuito, mentre la differente responsabilità dell’appaltatore, inerente alla garanzia per i vizi o difformità dell’opera, prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c., ricorre quando il suddetto ha violato le prescrizioni pattuite per l’esecuzione dell’opera o le regole imposte dalla tecnica, sicché, nel caso di omesso completamento dell’opera, anche se questa per la parte eseguita risulti difettosa o difforme, non è consentito, al fine di accertare la responsabilità dell’appaltatore per inesatto adempimento, far ricorso alla disciplina della suindicata garanzia che richiede necessariamente il totale compimento dell’opera (per tutte, Cass., Sez. 2, 09/08/1996, n. 7364).

Dunque, mentre in caso di mancata ultimazione dell’opera, il committente può legittimamente rifiutare o subordinare il pagamento del corrispettivo all’eliminazione dei vizi dell’opera, invocando l’eccezione di inadempimento prevista dall’art. 1460 c.c., in quanto istituto di applicazione generale in materia di contratti a prestazioni corrispettive, purché il rifiuto di adempiere non sia contrario alla buona fede, spettando al giudice del merito accertare se la spesa occorrente per l’eliminazione delle difformità sia proporzionata a quella che il committente rifiuta di corrispondere all’appaltatore o che subordina a tale eliminazione (Cass., Sez. 6-2, 26/11/2013, n. 26365), in caso di opera ultimata, il committente, convenuto per il pagamento, può opporre all’appaltatore le difformità ed i vizi dell’opera, avvalendosi del principio inadimpleti non est adimplendum, al quale si ricollega la più specifica disposizione dettata dal secondo periodo dell’ultimo comma dell’art. 1667 c.c., analoga a quella di portata generale di cui all’art. 1460 c.c. in materia di contratti a prestazioni corrispettive (Cass., Sez. 2, 20/1/2010, n. 936), anche quando la domanda di garanzia sarebbe prescritta ed indipendentemente, quindi, dalla contestuale proposizione, in via riconvenzionale, di questa domanda, che può anche mancare senza pregiudizio alcuno per la proponibilità della eccezione (Cass. Sez. 2, 17/05/2004, n. 9333).

In altre parole, operando, in materia di appalto, il principio generale che governa la condanna all’adempimento in materia di contratto con prestazioni corrispettive, l’appaltatore, che agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto, ha l’onere di provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte, sicché la domanda di condanna del committente al pagamento non può essere accolta nel caso in cui quest’ultimo contesti l’adempimento dell’appaltatore e tale contestazione risulti fondata, integrando tale adempimento il fatto costitutivo del diritto di credito oggetto della sua pretesa (Cass., Sez. 2, 13/2/2008, n. 3472; Cass., Sez. 2, 4/1/2019, n. 98)>>.

Guidelines dell’US Copyright Office sulle creazioni tramite intelligenza artificiale

Anna Maria Stein su IPKat ci informa che l’Ufficio USA ha emesso guidelines sull’oggetto: Copyright Registration Guidance: Works Containing Material Generated by Artificial Intelligence.

Si legge  nelle stesse:

<<As the agency overseeing the copyright registration system, the Office has extensive
experience in evaluating works submitted for registration that contain human
authorship combined with uncopyrightable material, including material generated by
or with the assistance of technology. It begins by asking “whether the ‘work’ is basically
one of human authorship, with the computer [or other device] merely being an assisting
instrument, or whether the traditional elements of authorship in the work (literary,
artistic, or musical expression or elements of selection, arrangement, etc.) were actually
conceived and executed not by man but by a machine.” 23 In the case of works containing
AI-generated material, the Office will consider whether the AI contributions are the result of “mechanical reproduction” or instead of an author’s “own original mental conception,
to which [the author] gave visible form.” 24 The answer will depend on the circumstances,
particularly how the AI tool operates and how it was used to create the final work.   This is necessarily a case-by-case inquiry.

If a work’s traditional elements of authorship were produced by a machine, the work lacks
human authorship and the Office will not register it .  For example, when an AI technology
receives solely a prompt from a human and produces complex written, visual, or musical
works in response, the “traditional elements of authorship” are determined and executed
by the technology—not the human user. Based on the Office’s understanding of the
generative AI technologies currently available, users do not exercise ultimate creative
control over how such systems interpret prompts and generate material. Instead, these
prompts function more like instructions to a commissioned artist—they identify what the
prompter wishes to have depicted, but the machine determines how those instructions are
implemented in its output. For example, if a user instructs a text-generating technology
to “write a poem about copyright law in the style of William Shakespeare,” she can expect
the system to generate text that is recognizable as a poem, mentions copyright, and
resembles Shakespeare’s style. 29 But the technology will decide the rhyming pattern, the
words in each line, and the structure of the text. 30 When an AI technology determines
the expressive elements of its output, the generated material is not the product of
human authorship.31 As a result, that material is not protected by copyright and must be
disclaimed in a registration application.

In other cases, however, a work containing AI-generated material will also contain
sufficient human authorship to support a copyright claim. For example, a human may
select or arrange AI-generated material in a sufficiently creative way that “the resulting
work as a whole constitutes an original work of authorship.” 33 Or an artist may modify
material originally generated by AI technology to such a degree that the modifications
meet the standard for copyright protection. 34 In these cases, copyright will only protect
the human-authored aspects of the work, which are “independent of ” and do “not affect”
the copyright status of the AI-generated material itself>>.

Responsabilità dell’amministratore di società in stato di scioglimento verso il creditore per operazioni non conservative

Cass. sez. 1 dell’ 8 marzo 2023 n. 6893, rel. Vannucci, circa la responsabilità per vioalzione del dovere di gestine conservativa ex art. 2449.1 cc (ante 2003) , ora art. 2486.1-2 cc.

Si trattava di una SRL.

Interessa spt la lett. c) (e magari le successive)

<< Nell’interpretare tale disciplina, la giurisprudenza di legittimità era (ed è ancora) costante nell’affermare che:

a) le “nuove operazioni” vietate agli amministratori dall’art. 2449 sono quelle non finalizzate alla liquidazione del patrimonio sociale (non necessarie dunque per portare a compimento attività già intraprese prima del verificarsi della causa di scioglimento) e determinanti la nascita di rapporti giuridici che vengono costituiti dagli amministratori, con assunzione di ulteriori vincoli per l’ente, e sono preordinati al conseguimento di nuovi utili d’impresa (in questo senso, cfr., fra le altre: Cass. n. 5190 del 1979: Cass. n. 6431 del 1982; Cass. n. 1035 del 1995; Cass. n. 9887 del 1995);

b) l’art. 2449 c.c. esprime infatti sul piano normativo la coerente conseguenza del fatto che, dopo il verificarsi della causa di scioglimento, il patrimonio sociale non può più considerarsi destinato, qual era in precedenza, alla realizzazione dello scopo sociale, onde gli amministratori non possono più utilizzarlo a tal fine, ma sono abilitati a compiere soltanto quegli atti correlati strumentalmente al diverso fine della liquidazione dei beni, restando ad essi inibito il compimento di nuovi atti d’impresa suscettibili di porre a rischio il diritto dei creditori e degli stessi soci (cfr. Cass. n. 5275 del 1997; Cass. n. 2156 del 2015);

c) la violazione da parte degli amministratori del divieto di compiere “nuove operazioni” (da intendersi nel senso teste’ precisato) costituisce, nei confronti dei terzi, una fattispecie tipica di obbligazione ex lege che pur avendo natura extracontrattuale, non può perciò solo essere ricondotta allo schema generale dell’art. 2043 c.c. in quanto – agendo gli amministratori nel compimento di tali operazioni non in proprio ma pur sempre in qualità di organi investiti della rappresentanza della società – non si verte in tema di “fatto illecito” nel senso voluto dal citato art. 2043, né conseguentemente di risarcimento del danno; con la conseguenza che nessun rilievo ai fini probatori assume l’accertamento del danno né, sotto il profilo soggettivo, quello del dolo o della colpa, essendo sufficiente la consapevolezza da parte degli amministratori dell’evento comportante lo scioglimento della società (in questo senso, cfr.: Cass. n. 6431 del 1982; Cass. n. 5275 del 1997; Cass. n. 3694 del 2007); [piccoli errori: i) se è obbligazione, non può avere natura extyracontrattuale; ii) non è la qualità di organo di ente  la ragione per cui è fatto illecito; iii) se è fatto illecito, opera invece l’art. 2043 in cui quello sub iudice rientrebbe; iv) però è resp. contrattuale e non aquiliana, in quanto violazione di un obbligo verso soggetto determinato/-abile]

d) l’azione ex art. 2449 c.c., comma 1, spettante al terzo creditore per il compimento da parte degli amministratori di nuove operazioni dopo la verificazione di un fatto che determina lo scioglimento della società si distingue poi, per la diversità della causa petendi e del petitum, sia dall’azione sociale di responsabilità (art. 2393 c.c.) sia dall’azione dei creditori sociali prevista dall’art. 2394 c.c.: se, infatti, la violazione del divieto di compiere nuove operazioni, oltre a dar luogo a responsabilità diretta degli amministratori verso il terzo, può integrare il presupposto tanto dell’azione sociale di responsabilità (per violazione dei doveri imposti dalla legge) quanto dell’azione di responsabilità dei creditori sociali (per inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale), qualora ad agire contro gli amministratori della società legalmente disciolta non sono, genericamente, i creditori della società, ma precisamente i creditori per le operazioni nuove compiute dopo lo scioglimento, essi vantano nei confronti degli amministratori un titolo diretto, fondato appunto sull’art. 2449 c.c., comma 1, (giustificato dalla non riferibilità allo scopo sociale degli atti, compiuti dalla società ormai disciolta), che, per espressa previsione della norma, si aggiunge alla perdurante responsabilità della società (in questo senso, cfr. Cass. n. 15770 del 2004); [interessante la distinzione rispetto alla vioalzione ex art. 2394: da approfondire]

e) quanto alla distribuzione dell’onere della prova, colui che agisce in giudizio per l’accertamento della responsabilità degli amministratori di una società di capitali, ex art. 2449 c.c., deve fornire la prova soltanto della novità dell’operazione, dimostrando il compimento di atti negoziali in epoca successiva all’accadimento di un fatto che determini lo scioglimento della società, mentre spetta agli amministratori convenuti provare i fatti estintivi o modificativi del diritto azionato, mediante dimostrazione che quegli atti erano giustificati dalla finalità liquidatoria, in quanto non connessi alla normale attività produttiva dell’azienda, non comportanti un nuovo rischio d’impresa o necessari per portare a compimento attività già iniziate; nella valutazione di tale prova occorre, peraltro, considerare che gli amministratori non sono solo tenuti all’ordinario (e non anomalo) adempimento delle obbligazioni assunte in epoca antecedente allo scioglimento della società, ma hanno anche il potere-dovere di compiere, in epoca successiva al menzionato scioglimento, quegli atti negoziali di gestione della società necessari al fine di preservare l’integrità del relativo patrimonio (in questo senso, cfr.: Cass. n. 2156 del 2015)>>.

Infine, dopo aver osservato che la nuova disciplina sostanzialmente coincide con la previgente, così riassume:

<<Da quanto evidenziato risulta che la responsabilità degli amministratori verso il creditore di società a responsabilità limitata leso dal compimento da parte di costoro di atti gestori non funzionali alla conservazione del patrimonio sociale, dopo il verificarsi della causa di scioglimento di cui all’art. 2484 c.c., comma 1, n. 4), trova per intero la propria disciplina nel successivo art. 2486 (le disposizioni di cui all’art. 2476 c.c., in tema di responsabilità degli amministratori di tale tipo di società, non entrano quindi in giuoco ricorrendo tale ipotesi); è di natura extracontrattuale ma non può perciò solo essere ricondotta allo schema generale dell’art. 2043 c.c. in quanto – agendo gli amministratori nel compimento di tali operazioni non in proprio ma pur sempre in qualità di organi investiti della rappresentanza della società – non si verte in tema di “fatto illecito” nel senso voluto dal citato art. 2043; prevede, quale sanzione, il risarcimento del danno arrecato al creditore sociale>>.

Separazione personale, permanenza del vincolo coniugale e determinazione dell’assegno di mantenimento

Cass . , sez. I, ord., 23 marzo 2023 n. 8254:

<<7.1. — Costituisce principio interpretativo ormai acquisito che la separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 cod. civ., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio (cfr. Cass. 12196/2017; id. 16809/2019; id. 5605/2020; id.4327/2022).
7.2. — Ciò posto è stato altresì precisato, in relazione allo stato di bisogno che giustifica il contributo e rispetto al quale rilevano sia i redditi percepiti dal coniuge richiedente che la sua capacità lavorativa, che l’attitudine al lavoro proficuo valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, è costituita dalla effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, senza limitare l’accertamento al solo mancato svolgimento di un ‘attività lavorativa e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass.24049/2021).
7.3. — Ebbene, nel caso di specie la corte territoriale non si è attenuta a questi principi là dove ha respinto la domanda di mantenimento della sig.ra D’E. senza alcuna considerazione, da un canto del tenore di vita matrimoniale, ed ancora rilevante ai fini del contributo di mantenimento, e dall’altro, all’effettiva possibilità di reperire un lavoro adeguato nella zona di trasferimento (Monte di Procida prima e San Prisco dopo).
7.4.— Infatti, per quanto riguarda il tenore di vita non è contestato che la famiglia abbia potuto beneficiare di una buona disponibilità finanziaria assicurata dal lavoro del sig. P. – conduttore radiofonico e disc-jochey, noto con lo pseudonimo di R. F. – e che ciò sia proseguito anche dopo il trasferimento in Campania della sig.ra D’E. con la figlia mediante il versamento da parte del marito della somma mensile di circa euro 3.400,00 (euro 2000,00 oltre euro 700,00 per affitto ed oltre euro 700,00 per la governante).
7.5.— Tale disponibilità non è stata considerata dalla corte territoriale mentre è in realtà rilevante ai fine di ricostruire l’effettivo livello di vita matrimoniale e il contributo dalla stessa fornito.
7.6.— Inoltre, la corte d’appello non ha considerato l’effettiva possibilità per la sig.ra D’E. di reperire un’adeguata attività lavorativa, in una regione che conosce notoriamente tali problemi, ma anche in ragione delle caratteristiche specifiche delle esigenze di cura della figlia e delle difficoltà, pure riconosciute, quali l’indisponibilità di un mezzo di trasporto personale.
7.7. — A questo riguardo, infatti, la corte territoriale ha motivato erroneamente il rigetto con la “poco incisiva” ricerca di un posto di lavoro allegata dall’appellante e con il mancato riferimento all’eventuale richiesta del reddito di cittadinanza, in una prospettiva astratta che non può automaticamente condurre ad escludere l’osservanza dell’obbligo, ancora normativamente esistente in sede separativa, di assistenza materiale a favore del coniuge che non disponga di propri mezzi adeguati a mantenere il tenore di vita matrimoniale. >>