Importante insegnamento dalla sempre ottima penna “successoria” del rel. Criscuolo in Cass. sez. II del 11 maggio 2023 n. 12.813 , rel. Criscuolo, sul sempre ostico argomento in oggetto:
Premessa :
<<La disposizione [art. 552 seconda parte cc] , che completa quanto già disposto dall’art. 521 c.c., mira, secondo la prevalente opinione dottrinale, a sanzionare il legittimario che, avendo già ricevuto delle donazioni in vita non dispensate da imputazione, e quindi naturalmente in conto di legittima, preferisce rinunciare all’eredità, determinando in tal modo un aggravio della posizione degli altri legittimari, e ponendo potenzialmente in pericolo, ai fini della riduzione, le donazioni ovvero le altre disposizioni mortis causa, che, ove invece avesse accettato, sarebbero state immuni dalla riduzione, in quanto gravanti sulla disponibile.
In questo caso il legislatore prevede che le pretese degli altri legittimari debbano essere indirizzate proprio nei confronti delle disposizioni che il rinunciante intendeva ritenere con la propria scelta, mettendo al riparo quelle altre donazioni o legati che invece sarebbero gravate sulla disponibile, ove vi fosse stata accettazione>>.
Poi il dubbio per il caso di rappresetnazione:
<<La norma però pone un dubbio interpretativo nell’ipotesi in cui, per effetto della rinuncia, operi il meccanismo della rappresentazione con il subentro dei discendenti in luogo del rinunciante.
Occorre, infatti, anche tenere conto dell’ulteriore previsione di cui al comma 3 dell’art. 564 c.c. che prevede che il legittimario che subentra per rappresentazione debba imputare alla propria quota di riserva le donazioni ed i legati dispensati da imputazione fatti al proprio ascendente.
Se l’avvenuta rinuncia all’eredità da parte degli originari donatari esclude che possa dibattersi per loro di collazione, mancando l’attuale qualità di coeredi in capo ai medesimi, parte della dottrina, richiamata in ricorso, ritiene che l’insieme delle norme determinerebbe delle conseguenze inique a carico dei rappresentanti, i quali, pur non avendo tratto alcun beneficio dalle donazioni ricevute dal loro ascendente, dovrebbero comunque imputarle alla loro quota nel momento in cui agissero in riduzione (nonché a portarle in collazione ai sensi dell’art. 740 c.c.).
Al fine, quindi, di rendere tollerabile tale apparente iniquità, alcuni autori hanno sostenuto che l’inciso contenuto nell’art. 552 c.c., con il riferimento alla rappresentazione, comporterebbe che la possibilità per il donatario di ritenere le donazioni in caso di rinuncia varrebbe solo in assenza di rappresentazione, ma laddove operi anche questo istituto, quanto ricevuto per donazione si trasmetterebbe automaticamente a favore dei rappresentanti.
Solo in questa prospettiva ermeneutica sarebbe quindi meritevole di fondamento la tesi di parte ricorrente secondo cui della comunione oggetto della domanda di divisione sarebbero parti anche i figli di D.B.G. (ma senza che ciò incida a ben vedere sulla qualificazione come ereditaria anziché ordinaria della comunione, sembrando al Collegio che il meccanismo come configurato dalla dottrina in esame, miri solo a prevedere un subentro dei rappresentanti nella titolarità dei beni donati, ma senza che muti la natura originaria dell’acquisto).
Ritiene però la Corte che debba invece aderirsi all’opinione della prevalente dottrina che, senza prevedere un subentro dei rappresentanti in luogo del rappresentato (conclusione questa che porrebbe evidentemente anche profili problematici quanto alla tutela dell’eventuale terzo acquirente dal donatario, in assenza di adeguate forme di pubblicità che consentano di avvedersi del mutamento di titolarità dei beni per effetto del meccanismo sopra delineato), reputa che la norma contempli in ogni caso il diritto del donatario di ritenere i beni oggetto della donazione che, in assenza di rappresentazione, gravano in ogni caso sulla disponibile.
Ove invece si verifichi il subentro dei discendenti del rinunciante, le stesse donazioni e legati vanno invece fatti gravare sull’indisponibile e quindi sulla quota di legittima, nella quale sono subentrati i rappresentanti, che per effetto tale previsione sono appunto tenuti a procederne all’imputazione.
Inoltre, non sussiste alcun profilo di iniquità in quanto la norma si pone in maniera coerente rispetto al principio secondo cui la divisione avviene per stirpi, e con la regola per cui ad una data stirpe, ancorché a seguito dell’operatività della rappresentazione, non può essere attribuito più di quanto sarebbe spettato al capostipite.
In assenza, infatti, di una norma che appunto disponga l’onere di imputazione delle donazioni fatte all’ascendente anche al rappresentante, si potrebbero perpetrare delle iniquità in danno degli altri soggetti convolti nella successione, in quanto il rappresentato potrebbe rinunciare all’eredità (ritenendo, quindi, le donazioni), ed i rappresentanti potrebbero far valere per intero la quota di legittima che sarebbe spettata al loro ascendente, senza che si debba tenere conto di quanto già ricevuto da quest’ultimo in conto di legittima (in tal senso, e cioè di ritenere tale norma intesa alla tutela dei terzi e delle aspettative già consolidate, si veda anche la Relazione al Codice civile. Libro dele successioni e delle donazioni, n. 47).
Trattasi di conclusione che appare conforme al complessivo tenore letterale delle norme ed idonea a raggiungere un giusto equilibrio tra le esigenze dei vari soggetti coinvolti nella successione, impregiudicata in ogni caso la possibilità per i rappresentanti, ove anche a seguito dell’imputazione alla loro quota delle donazioni ricevute in vita dal loro ascendente, residui una lesione della quota di legittima, di poter avvalersi della previsione di cui all’art. 553 c.c., ovvero, ove non vi sia spazio per la successione legittima ovvero non sia possibile, riequilibrare la misura delle quote ab intestato, agire in riduzione nei confronti delle disposizioni testamentarie ovvero delle donazioni compiute dal de cuius.
Così intesa la portata precettiva delle norme richiamate dal ricorrente, resta confermata la natura ordinaria della comunione, e la conseguente correttezza della soluzione in punto di diritto raggiunta dal giudice di appello, la cui motivazione, in parte carente, non avendo apparentemente inteso il senso della critica mossa, deve essere integrata nei termini sovra esposti.
La conferma della contitolarità dei beni in capo ai soli donatari rende altresì evidente l’infondatezza della denuncia di violazione delle regole del litisconsorzio necessario, attesa la partecipazione al giudizio degli effettivi comproprietari>>.
Principio di diritto (art. 363 c. 3 CPC):
<< Ai sensi dell’art. 552 il legittimario che rinuncia all’eredità ha diritto di ritenere le donazioni o di conseguire i legati a lui fatti, anche nel caso in cui operi la rappresentazione, senza che i beni oggetto dei legati o delle donazioni si trasmettano ai rappresentanti, fermo restando però l’onere di questi ultimi di dover imputare le stesse disposizioni alla quota di legittima nella quale subentrano iure repraesentationis>>.