Il motore di ricerca è corresponsabile per associazioni indesiderate ma errate in caso di omonimia?

La risposta è negativa nel diritto USA, dato che Microsoft è coperta dal safe harbour ex § 230 CDA:

Così , confermando il 1° grado, la 1st District court of appeal della Florida, Nos. 1D21-3629 + 1D22-1321 (Consolidated for disposition) del 10 maggio 2023, White c. DISCOVERY COMMUNICATIONS, ed altri.

fatto:

Mr. White sued various nonresident defendants for damages in tort resulting from an episode of a reality/crime television show entitled “Evil Lives Here.” Mr. White alleged that beginning with the first broadcast of the episode “I Invited Him In” in August 2018, he was injured by the broadcasting of the episode about a serial killer in New York also named Nathaniel White. According to the allegations in the amended complaint, the defamatory episode used Mr. White’s photograph from a decades-old incarceration by the Florida Department of Corrections. Mr. White alleged that this misuse of his photo during the program gave viewers the impression that he and the New York serial killer with the same name were the same person thereby damaging Mr. White.

Diritto :

The persons who posted the information on the eight URLs provided by Mr. White were the “information content providers” and Microsoft was the “interactive service provider” as defined by 47 U.S.C. § 230(f)(2) and (3). See Marshall’s Locksmith Serv. Inc. v. Google, LLC, 925 F.3d 1263, 1268 (D.C. Cir. 2019) (noting that a search engine falls within the definition of interactive computer service); see also In re Facebook, Inc., 625 S.W. 3d 80, 90 (Tex. 2021) (internal citations omitted) (“The ‘national consensus’ . . . is that ‘all claims’ against internet companies ‘stemming from their publication of information created by third parties’ effectively treat the defendants as publishers and are barred.”). “By presenting Internet search results to users in a relevant manner, Google, Yahoo, and Microsoft facilitate the operations of every website on the internet. The CDA was enacted precisely to prevent these types of interactions from creating civil liability for the Providers.” Baldino’s Lock & Key Serv., Inc. v. Google LLC, 285 F. Supp. 3d 276, 283 (D.D.C. 2018), aff’d sub nom. Marshall’s Locksmith Serv., 925 F.3d at 1265.
In Dowbenko v. Google Inc., 582 Fed. App’x 801, 805 (11th Cir. 2014), the state law defamation claim was “properly dismissed” as “preempted under § 230(c)(1)” since Google, like Microsoft here, merely hosted the content created by other providers through search services. Here, as to Microsoft’s search engine service, the trial court was correct to grant summary judgment finding Microsoft immune from Mr. White’s defamation claim by operation of Section 230 since Microsoft did not publish any defamatory statement.
Mr. White argues that even if Microsoft is immune for any defamation occurring by way of its internet search engine, Microsoft is still liable as a service that streamed the subject episode. Mr. White points to the two letters from Microsoft in support of his argument. For two reasons, we do not reach whether an internet streaming service is an “interactive service provider” immunized from suit for defamation by Section 230.
First, the trial court could not consider the letters in opposition to the motion for summary judgment. The letters were not referenced in Mr. White’s written response to Microsoft’s motion. They were only in the record in response to a different defendant’s motion for a protective order. So the trial court could disregard the letters in ruling on Microsoft’s motion. See Fla. R. Civ. P. 1.510(c)(5); Lloyd S. Meisels, P.A. v. Dobrofsky, 341 So. 3d 1131, 1136 (Fla. 4th DCA 2022). Without the two letters, Mr. White has no argument that Microsoft was a publisher of the episode.
Second, even considering the two letters referenced by Mr. White, they do not show that Microsoft acted as anything but an interactive computer service. That the subject episode was possibly accessible for streaming via a Microsoft search platform does not mean that Microsoft participated in streaming or publishing the episode

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Per il concorso di colpa in sinistro stradale, il ruolo dell’infrazione al codice della strada è altro dalla colpa

Infatti infrangere il CdS non è necessariamente e sempre qualificabile come colpa nel giudizio di causalità ex art 2054 cc. Così Cass. n° 8311 del 23.03.2023, sez. III, rel. Porreca,

<<è del tutto evidente che altro è la valutazione delle infrazioni al codice
della strada, altro la ricostruzione eziologica della responsabilità civile soggetta
alle sue proprie regole;
questo proprio perché la presunzione in parola opera sul piano causale,
sicché la violazione amministrativa deve aver avuto un’incidenza causale per
aver rilievo in termini di responsabilità civile (Cass., 15/09/2020, n. 19115);
nell’accertata mancanza di obiettivi elementi per evincere il punto d’urto,
e di elementi per affermare che l’uno o l’altro dei veicoli avesse superato la
mezzeria, nei pressi della quale entrambi presumibilmente si trovavano
omettendo di tenere la destra, il Collegio di merito ha legittimamente fatto
ricorso all’art. 2054, secondo comma, cod. civ.>>;

Si tratta di affermazione ovvia; la prova contraria ex rt. 2054 c. 2 cc riguiarda i nesso di causalità.

Diligenza nella prestazione del servizio di trasposto di persona disabile

Sul danno da caduta mentre scendeva dal pulmino una persona disabile (grave patologia metnale), Cass. sez. III del 20.03.2023 n. 7922, rel. Gorgoni, così insegna (accogliendo la domanda risarcitoria e cassando la contraria decisione di appello):

<< 15) ebbene, P.M. versava in condizioni di vulnerabilità accertate e note alla cooperativa ed è innegabile che per il fatto che la cooperativa avesse assunto l’obbligo di trasportarla e che si fosse instaurata una relazione con la fonte di pericolo era sorto un dovere di sorveglianza a suo carico, da intendersi alla stregua di un munus e di una funzione liberamente accettati e come tali riconoscibili all’esterno, sì da assumere rilevanza erga omnes (Cass. 16/06/2005, n. 12965), giacché il principio di affidamento implica che un soggetto viene a trovarsi nella sfera di custodia e di vigilanza di altro soggetto che sia in grado di seguirne e controllarne le azioni affinché non si verifichino effetti pregiudizievoli (Cass. 01/06/1994, n. 5306 e successiva giurisprudenza conforme);

16) non poteva non conseguirne la legittima pretesa che la cooperativa tenesse un comportamento “diligente”, da valutare ex art. 1176,2 comma, c.c. norma operante anche in ambito extra contrattuale, in ragione dello statuto dell’attività esercitata (Cass. 08/07/2020, n. 14260, la diligenza richiesta nell’espletamento delle attività di controllo e di sorveglianza non può considerarsi in astratto, o in assoluto, ma va commisurata al caso concreto e alle circostanze di tempo e di luogo di volta in volta presenti);

17) risulta, dunque, evidente che il grado di diligenza e di controllo dovesse essere più intenso proprio in considerazione della vulnerabilità dei fruitori del servizio, in ragione delle loro particolari condizioni soggettive;

ad escluderlo, non bastava, nel caso di specie, il fatto che la condizione della vittima non avesse richiesto l’adozione di misure di assistenza specifica o che la stessa non avesse dato prova di necessitarne;

quand’anche ciò possa rilevare – non può non osservarsi che la denuncia mossa alla sentenza impugnata di non avere esaminato il capitolato di appalto relativo al servizio di trasporto disabili tra la Ausl (Omissis) e la Cooperativa La Romagnola non è stata formulata, secondo le modalità prescritte dall’art. 366, (e’ 1 comma, n. 6, c.p.c., come inteso dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr., da ultimo, Cass., Sez Un., 18/03/2022, n. 8540) è sufficiente osservare che il capitolato non è stato riportato nel ricorso neppure per sintesi della parte rilevante, né il ricorrente ha fatto riferimento alla sua presenza negli atti del fascicolo di merito con modalità atte a localizzarlo – implicherebbe solo il difetto di un obbligo specifico di assistenza speciale a favore di P.M., ma giammai significherebbe automatico esonero da responsabilità per la cooperativa per il sinistro occorsole, come è stato ritenuto nella sentenza impugnata dalla Corte di merito, la quale infatti dalla mancata assunzione di un obbligo specifico di assistenza ha tratto la errata conseguenza che “La Romagnola non aveva nei confronti di P.M. un obbligo di assistenza a bordo dell’automezzo utilizzato per il trasporto” (p. 5);

anche a prescindere dalle diatribe in ordine alla sussistenza di un comportamento colpevole, dipendenti dall’accezione della colpa – se criterio di valutazione del comportamento o se comportamento riprovevole di chi non abbia fatto uso delle proprie capacità e facoltà per impedire il verificarsi dell’evento dannoso deve partirsi dal presupposto che il danno di cui è stato chiesto il risarcimento era quello conseguente alla caduta dal pullmino per omessa adozione delle misure di cautela necessarie ad impedirlo;

premesso che il giudizio causale assume come termine iniziale la condotta omissiva e che l‘evento dannoso è una concretizzazione del rischio che la norma di condotta violata tendeva a prevenire – stante che l’omissione di un certo comportamento rileva quale condizione determinativa del processo causale dell’evento dannoso, soltanto quando si tratti di omissione di un comportamento imposto non solo da una norma giuridica specifica (omissione specifica), ma anche, in relazione al configurarsi della posizione del soggetto cui si addebita l’omissione, siccome implicante l’esistenza a suo carico di particolari obblighi di prevenzione dell’evento poi verificatosi e, quindi, di un generico dovere di intervento (omissione generica) in funzione dell’impedimento di quell’evento – deve ritenersi che esistesse a carico della cooperativa l’obbligo di tenere la condotta omessa;>>

Significativo il richiamo dell’art. 1176 per responsabilità aquiliana: che è esatto, solo che è da vedere se non sia contrattuale (c. a favore di terzo o meglio con prestazione al terzo, nonostante la opposta soluzione per la responsabilità medica ex art. 7 L. Gelli Bianco n° 24 del 2017)

Nullità parziale e dovere del giudice di indicare la norma sostitutiva della clausola invalida

Cass. n° 9616 dell’ 11.04.2023, rel. Graziosi:

<< 5.1.3 È evidente la discrasia che così emerge. La clausola viene dichiarata
nulla, ma il contratto “rimane in piedi”: si dovrebbe pertanto ritenere che la
corte territoriale abbia applicato l’articolo 1419, secondo comma, c.c., per cui il
contratto si salva qualora contenga clausole nulle ma queste siano “sostituite
di diritto da norme imperative”. Quali norme imperative siano state applicate
dalla corte territoriale non è evincibile dalla sua, a questo punto palesemente
incompleta, motivazione e/o valutazione con essa illustrata. L’articolo 1419,
secondo comma, c.c. si riferisce infatti, ictu ocu/i, a norme che regolino
imperativamente il contenuto negoziale, giacché esso presidia i limiti così
inferiti dall’ordinamento al loro opposto, id est all’autonomia negoziale:
l’imperio (democraticamente legittimo) del legislatore prevale quindi sul potere
dispositivo sostanziale cioè sulla libertà negoziale delle parti, per tutelare valori
superiori – il che sovente significa tutelare una parte debole, la cui potenziale
inferiorità condiziona appunto il sinallagma -. Radicalmente diversa è invece
una norma relativa alla prescrizione, non alla costituzione dei diritti; e non a
caso la corte territoriale si è astenuta dal menzionarla.
Il giudice d’appello, dunque, più che incorrere in un vizio motivazionale (a
prescindere dal fatto che si sta vagliando anche il quarto motivo, il primo
motivo proposto ben può essere riqualificato: sulla non vincolatività per il
giudicante della configurazione formale offerta dalla rubrica del motivo se
questo è tuttavia riconducibile nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c. è noto
l’insegnamento di S.U. 24 luglio 2013 n. 17931, seguito, tra gli arresti
massimati, da Cass. sez. 3, 29 agosto 2013 n. 19882, Cass. sez. 1, 31 ottobre
2013 n. 24553, Cass. sez. 6-3, ord. 20 febbraio 2014 n. 4036, Cass. sez. L, 17
dicembre 2015 n. 25386, Cass. sez. 2, 29 novembre 2016 n. 24247, Cass. sez.
5, ord. 6 ottobre 2017 n. 23381, Cass. sez. 6-5, ord. 27 ottobre 2017 n.
25557, Cass. sez. 2, ord. 7 maggio 2018 n. 10862, Cass. sez. 5, ord. 23
maggio 2018 n. 12690 e Cass. sez. 6-5, ord. 19 giugno 2018 n. 16170), ha
violato – e il primo motivo in realtà denuncia, come appunto il quarto il cui
vaglio è stato perciò congiunto, tale violazione in forza dell’articolo 360, primo
comma, n.3 c.p.c. in tal senso dovendo essere riqualificato – la norma che 5
regola la nullità parziale, consentendo di sostituire ex lege l’illegittima volontà
delle parti, con effetto conservativo del resto.
La corte territoriale, invero, non ha rispettato l’articolo 1419, secondo comma,
c.c., in quanto ha omesso di identificare la norma imperativa con cui supplire la
clausola concreta di claims made presente nella polizza, come pretende
appunto tale norma>>.

pertanto la corte di rinvio << dovrà procedere alla relativa individuazione e, nel caso in cui non rinvenga la “norma protesi” che il capoverso dell’articolo 1419 c.c. esige, trarne la nullità del contratto>>.

Fair use nel software: la sentenza di appello in Apple v. Corellium

L’appello dell’11 circuito 8 maggio 2023, Apple v. Corellium, Case: 21-12835, decide un interessante caso di fair use nel software.

Si tratta del sftw CORSEC per simulare il sistema operativo iOS di Apple anche su macchine android.

La corte di appello conferma il fair use, dati i benefici per la collettività di tale sftw.

<< Like Google Books, CORSEC adds new features to copyrighted works. CORSEC allows re-searchers to visualize in real time iOS’s processes, freeze those pro-cesses and study them for as long as they need to, step backward and forward in time at will to closely monitor system activity, and run multiple experiments from the same starting point. CORSEC also adds file and app browsers. There’s no dispute that these fea-tures assist researchers and enable them to do their work in new ways. Corellium has thus “augment[ed] public knowledge by mak-ing available information about [iOS].” Id. at 207; see also A.V. ex rel. Vanderhye v. iParadigms, LLC, 562 F.3d 630, 639 (4th Cir. 2009) (finding that copying student assignments into a database to detect plagiarism was “transformative” because the database’s “use of [the students’] works had an entirely different function and pur-pose than the original works”); Perfect 10, Inc. v. Amazon.com, Inc., 508 F.3d 1146, 1165 (9th Cir. 2007) (finding that Google image search’s “use of thumbnails [was] highly transformative” because the “use of the images served a different function” than the original pictures by “improving access to information on the internet ver-sus artistic expression” (cleaned up)); Sony Comput. Ent., Inc. v. Connectix Corp., 203 F.3d 596, 606 (9th Cir. 2000) (finding that a PlayStation emulator was “modestly transformative” because the emulator “create[d] a new platform, the personal computer, on which consumers can play games designed for the Sony PlayStation”) >>.

Apple solleva tre obieizoni, rigettate dalla Corte.

<<Against all this, Apple advances three arguments—all unpersuasive.

First, Apple argues that “making verbatim copies of a cop-yrighted work and converting [those works] into a different format is not transformative.” Apple is right. In Patton, for example, we found no transformative use where “verbatim copies of portions of . . . original books . . . ha[d] merely been converted into a digital format.” 769 F.3d at 1262. Similarly, the Ninth Circuit held that it was not transformative to convert copyrighted songs from CDs to MP3 files for download because the “original work[s] [were] merely retransmitted in a different medium.” See A&M Recs., Inc. v. Napster, Inc., 239 F.3d 1004, 1015 (9th Cir. 2001).
But this isn’t a case in which the original is simply repack-aged in a different format. Corellium adds several features that are not normally available on iOS. These include (1) the ability to see and halt running processes; (2) the ability to modify the kernel; (3) CoreTrace, a tool to view system calls; (4) an app browser; (5) a file browser; and (6) the ability to take live snapshots. They also include, for example, the ability to modify the trust cache so that researchers can install new programs on the device that allow the user to perform fuzzing (a way to find bugs in a product’s code) or other types of security research. The record, in other words, shows that there wasn’t verbatim copying here. And even if there were, Patton itself recognized that “verbatim copying may be transform-ative so long as the copy serves a different function than the origi-nal work.” 769 F.3d at 1262. Here, Corellium used iOS to serve a research function, and not as a consumer electronic device.
Second, Apple contends that “[s]ecurity research is not a transformative purpose because it is one of the purposes already served by Apple’s works.” Apple says that “security researchers have long used Apple-licensed versions of iOS to do their work.” Corellium (in our view) rightly points out the flaw in this argu-ment: it’s “like saying Google Books was not transformative be-cause scholars could manually search books for keywords by going to the library.” In other words, there’s no dispute that CORSEC “adds features that are not available on retail iOS that are useful for security research.” These features make security research far more efficient. See Fox News Network, LLC v. TVEyes, Inc., 883 F.3d 169, 177 (2d Cir. 2018) (noting “the transformative purpose of en-hancing efficiency”). They also make possible deeper insights into the software. The fact that iOS itself allowed for some security re-search before, then, can’t negate Corellium’s innovation (just like sifting through books at the library didn’t negate Google Books’s transformativeness).
Third, Apple asserts that “the district court was wrong to find—on summary judgment—that the purpose of [CORSEC] is security research.” For this, Apple mostly points to evidence show-ing that customers can use CORSEC for multiple purposes. For example, Corellium’s expert testified that security research wasn’t CORSEC’s “exclusive use.” But transformativeness does not re-quire unanimity of purpose—or that the new work be entirely dis-tinct—because works rarely have one purpose. In assessing whether a work is transformative, the question has always been “whether a [transformative use] may reasonably be perceived.” Campbell, 510 U.S. at 582 (emphasis added) (finding that a parody was transformative even though both a song and its parody serve the same function of entertainment). We don’t ask whether the new product’s only purpose is transformative.
The Supreme Court made this point in Google. In that case, Google used Java’s code “for the same reason that [Oracle] created those portions, namely, to enable programmers [to use shortcuts] that would accomplish particular tasks.” Google, 141 S. Ct. at 1203. But, at a higher level, the purpose was to create a “new product [that] offer[ed] programmers a highly creative and innovative tool for a smartphone environment.” Id. This higher-order purpose was what made Google’s product transformative. Id. As in Google, the mere fact that some purposes overlap does not pre-clude a finding of transformative use >>

Conflitto tra nomi di dominio e applicazione della disciplina dei segni distintivi: una pronuncia veneziana

giurisprudenzadelleimprese.it pubblica Tribunale di Venezia-sez. specializz. imprese RG 4569/2020, 16.03.2022, rel. L. tosi.

E’ interessante perchè non sono molte le vertenze (note) tra nomi di dominio .

Provvedimento corretto tranne in un puinto:

Segnalo solo un passaggio che parrebbe un errore concettuale:

<<Secondo le linee guida EUIPO relative ai marchi – valido supporto anche per la valutazione nel diritto interno, data la diretta ispirazione o derivazione di questo dalle fonti sovranazionali, e comunitarie in particolare – il carattere distintivo può essere valutato solo in relazione, in via primaria, ai prodotti o servizi per i quali è stata chiesta la sua registrazione, e, secondariamente, alla percezione del segno da parte del pubblico di riferimento.>>

L’errore starebbe nel far proprio il giudizio dell’ Ufficio Europeo,  che in effetti nelle sue Guidelines (ediz. 2023, p. 368) scrive (“Such distinctiveness can be assessed only by reference first to the goods or services for which registration is sought and, second, to the relevant public’s perception of that sign (12/07/2012, C‑311/11 P, Wir machen das Besondere einfach, EU:C:2012:460, § 24 and case-law cited therein”).

Che lo pensi l’EUIPO e la sentenze ivi citt., non fa venir meno l’errore.

Infatti, come la confondibilità va stimata in base al consumatore (al giudizio del pubblici), così la distintività: non può essere diverso il parametro soggettivo di giudizio nei due casi.

Ma potrebbe essere solo un difetto comunicativo e non cognitivo: potrebbe riferirsi solo ai due aspetti logici da considerare (prodotti + soggetti), fermo restando che il giudizio è solo in relazione ai secondi (non ha senso indagare il punto di vista “delle merci”).

Irrilevante è qui la regola della c.d. unitarietà, dato che gli usi in conflitto erano entrambi come domain names

Onere del coerede di eccepire al creditore la propria responsabilità parziaria per i debiti del de cuius

Cass. sez. III del 3 febbraio 2023 n. 3391, rel. Spaziani:

<<Va rilevato che l’argomentazione con cui viene dedotto il carattere parziario dell’obbligazione di ciascun erede non costituisce oggetto di un’eccezione in senso stretto, e dunque il motivo in esame non può essere giudicato inammissibile per non avere la ricorrente provato di averla tempestivamente sollevata nel giudizio di merito.

Non trova applicazione, infatti, nella fattispecie, il consolidato principio, richiamato anche dal Procuratore Generale, che impone di interpretare l’art. 754 c.c., nel senso che il coerede convenuto per il pagamento di un debito ereditario ha l’onere di indicare al creditore questa sua condizione di coobbligato passivo, entro i limiti della propria quota (Cass. 05/05/1997 n. 7216; Cass. 12/07/2007 n. 15592; Cass. 31/03/2015 n. 6431; Cass. 13/08/2020, n. 17122).

L’onere di formulare tale dichiarazione, che integra gli estremi dell’istituto processuale della eccezione propria (con la conseguenza che la sua mancata proposizione consente al creditore di chiedere legittimamente il pagamento per l’intero), sussiste, infatti, allorché il creditore abbia agito direttamente nei confronti del coerede chiedendone la condanna al pagamento di un debito o peso ereditario, nel qual caso costituiscono fatti impeditivi della pretesa del creditore (che il convenuto ha l’onere di dedurre tempestivamente sollevando la relativa eccezione) le circostanze relative all’esistenza di altri coeredi e alla divisione pro quota del debito ereditario.

Il predetto onere, invece, non sussiste nella diversa ipotesi in cui la qualità di erede e la conseguente legittimazione a stare in giudizio in tale qualità siano sopravvenute all’inizio del processo introdotto nei confronti del titolare originario della situazione soggettiva passiva oggetto di successiva vicenda successoria, nel qual caso, a seguito della prosecuzione, in confronto della pluralità di eredi, del processo iniziato verso il de cuius, si instaura tra di essi, come già rilevato, una condizione di litisconsorzio processuale necessario.

In questa ipotesi, infatti, il principio nomina et debita hereditaria ipso iure dividuntur costituisce il fondamento stesso della concorrente legittimazione passiva di tutti gli eredi, per modo che trova applicazione il diverso principio – da questa Corte affermato già in epoca risalente e recentemente ribadito (Cass. 16/12/1971, n. 3681; Cass. 22/11/2016, n. 23705) – per cui ciascun erede è tenuto a soddisfare il debito ereditario esclusivamente pro quota, ovverosia in ragione della quota attiva in cui succede, e, pertanto, non può essere condannato in solido con i coeredi al pagamento del debito stesso.

Nella specie, dunque, la ricorrente principale, in qualità di erede insieme con altri – dell’originario responsabile dell’illecito civile, avrebbe dovuto essere condannata, al pari degli altri coeredi debitamente convenuti nel processo, al risarcimento del danno cagionato dal predetto illecito, esclusivamente nei limiti della propria quota>>.

AN e QUANTUM dell’assegno divorzile

Il punto sulla disciplina dell’assegno divorzile è fatto da Cass. sez. I del 5 maggio 2023 n. 11832, rel. R.R.R. russo:

” 3.1.- Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass., s.u. n. 18287 dell’11/07/2018), infatti, il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equi-ordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi
per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudice deve quantificare l’assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare, ma in misura adeguata innanzitutto a garantire, in funzione assistenziale, l’indipendenza o  autosufficienza economica dell’ex coniuge, intesa in una accezione non circoscritta alla pura sopravvivenza ma ancorata ad un criterio di normalità, avuto riguardo alla concreta situazione del coniuge richiedente nel contesto in cui egli vive (Cass., 07/12/2021, n.38928; Cass., 08/09/2021, n.24250). Di contro, la differenza reddituale, coessenziale alla ricostruzione del tenore di vita matrimoniale, è oramai irrilevante ai fini della determinazione dell’assegno perché l’entità del reddito dell’altro ex coniuge non
giustifica, di per sé, la corresponsione di un assegno in proporzione delle sue sostanze (Cass. 09/08/2019, n. 21234).
La regola di giudizio, ispirata al canone dell’auto-responsabilità, in affermazione della funzione oltre che assistenziale anche perequativa e compensativa dell’assegno, vuole che il giudice del merito, investito della domanda di corresponsione di assegno divorzile, accerti l’impossibilità dell’ex coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, nella registrata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi (Cass. 09/08/2019 n. 21234; Cass. 28/02/2020, n. 5603; Cass. n. 5603 del 28/02/2020).

3.2.- Poiché la funzione assistenziale dell’assegno resta imprescindibile, in ragione dei principi solidaristici di derivazione costituzionale che informano i modelli relazionali familiari e potrebbe anche essere considerata prevalente sulle altre (in arg. Cass. n. 21926 del 30/08/2019; Cass. n. 5055 del 24/02/2021) la Corte di merito avrebbe dovuto verificare in primo luogo se le risorse di cui dispone la siano effettivamente sufficienti a consentirle una vita dignitosa in autonomia – cosa ben diversa dal mantenimento del tenore di vita matrimoniale- e segnatamente se i suoi mezzi fossero sufficienti alla soddisfazione (anche) delle primarie esigenze abitative, e se ella fosse nella oggettiva impossibilità di procurarseli, e non già semplicemente valorizzare la circostanza che dovrà sostenere una  spesa dalla quale prima era esente. Questa finalità dell’assegno di divorzio non è stata indagata, limitandosi a mettere in relazione il venir meno della assegnazione della casa coniugale con il dovere di corrispondere alla ex moglie una somma sufficiente a coprire i costi di un canone di locazione, senza valutare che l’assegnazione della casa coniugale ha la finalità di assicurare l’habitat domestico dei figli minorenni o privi di autonomia economica e non già a beneficiare economicamente l’ex coniuge, pur se si tratta un’utilità suscettibile di apprezzamento economico (Cass. sez. I , 21/09/2022, n.27599; Cass., Sez. I, 12/10/2018, n. 25604; Cass., Sez. VI, 7/02/2018, n. 3015). Questa utilità – e cioè il risparmio di spesa per l’abitazione personale- è una conseguenza in punto di
fatto dell’assegnazione della casa familiare, ma non può fondare alcun automatismo tra la revoca dell’assegnazione e il riconoscimento di un contributo economico in favore di colui che perde questo diritto personale di godimento (Cass. 24/06/2022, n.20452).

Ciò non significa che l’evento sia irrilevante, quanto piuttosto che se ne deve valutare in concreto l’effettiva incidenza sulle complessive condizioni economiche delle parti, ma non già per la mera sperequazione -sopravvenuta- delle risorse, bensì pur sempre in relazione alla funzione assistenziale e perequativocompensativa dell’assegno, nei termini e limiti sopra precisati.
Diversamente ragionando si riconoscerebbe un assegno divorzile anche al soggetto dotato di mezzi adeguati per il sol fatto che la revoca dell’assegnazione ne comporta un impoverimento, senza valutare se abbia risorse sufficienti a provvedere da sé e ricollegando la sopravvenuta sperequazione delle condizioni economiche non già ai sacrifici sostenuti nell’interesse della famiglia, ma alla circostanza -peraltro fisiologica- che ad un determinato momento cessano gli
obblighi di mantenimento e cura nei confronti dei figli”

Ruolo della descrizione e dei disegni nell’interpretazione della domanda brevettuale

Cass. sez. I del 01.02.2023 n. 3013, rel. Catallozzi:

<<- ciò posto, si osserva che, come osservato anche nello stesso precedente giurisprudenziale di questa Corte richiamato dalle ricorrenti, la descrizione ed i disegni allegati alla domanda di concessione di un brevetto industriale, pur non potendo in alcun modo determinarne l’ambito della tutela concessa dal brevetto laddove questo sia del tutto generico con riferimento all’indicazione dei limiti della protezione, possono essere utilizzati al fine di chiarire e interpretare la rivendicazione (cfr. Cass. 9 aprile 2019, n. 22079);

– infatti, l’individuazione dell’ambito di protezione brevettuale e dei relativi limiti è enucleabile anche attraverso la descrizione e i disegni del brevetto stesso, che assolvono a una funzione esplicativa delle rivendicazioni (cfr. Cass. 16 dicembre 2019, n. 33232; Cass. 5 marzo 2019, n. 6373; Cass. 28 luglio 2016, n. 15705);

– pertanto, pur riconoscendo la validità della regola che pone la sufficiente descrizione dell’invenzione quale requisito per il rilascio del brevetto e la centralità del ruolo delle rivendicazioni nell’individuazione dell’ambito della tutela, deve ritenersi che l’interpretazione di queste ultime non si limita al testo letterale delle stesse, pur non potendosi estendere a tutto ciò che può essere dedotto da un esperto del ramo dalla considerazione della descrizione e dei disegni;

– in particolare, non può disconoscersi la valenza interpretativa della descrizione e dei disegni nei casi, quale quello in esame, in cui tali strumenti, nel circostanziare la struttura di una certa caratteristica del trovato, consentono di puntualizzare, in funzione limitativa, l’oggetto della rivendicazione, formulata in termini ampi e caratterizzati da inevitabile genericità, partecipando alla dichiarazione di volontà del titolare circa il perimetro della tutela richiesta;

– in tali casi, l’utilizzo delle descrizioni e dei disegni, lungi dall’estendere l’ambito della protezione oltre quella espressa dalle rivendicazioni, permette che la concessione della privativa sia maggiormente aderente alla volontà del titolare e, coerentemente con quanto disposto dall’art. 52, comma 3, cod. prop. ind., realizza un’equa protezione del titolare e una ragionevole sicurezza giuridica ai terzi, potenzialmente avvantaggiati dalla limitazione dell’ambito di protezione;>>

La sentenza, poi , esamina pure l’art. 64 cpi (invenzione dei dipendenti)

Due Cassazioni sulla contraffazione per equivalenti

Cass. sez. I del 4 gennaio 2022 n. 120 , rel.  Iofrida, sull’interpretazione dell’art. 52 cod. propr. ind. (e soprattutto sul suo co. 3 bis)

Premessa:

<<Come già rilevato da questa Corte (Cass. 2977/2020), nelle disposizioni della CBE e dell’art. 52 c.p.i. viene colto unanimemente “il superamento del risalente approccio cosiddetto della “central definition theory””, incentrato sulla valutazione dell’invenzione nel suo complesso, quale ricostruita sulla base delle caratteristiche essenziali della soluzione inventiva attribuita al trovato, non rilevando elementi accessori e secondari, anche se riprodotti (si pensi all’orientamento improntato, ai fini del giudizio sull’equivalenza, alla individuazione, nell’invenzione e nel prodotto contraffattorio, della medesima “idea inventiva” o “idea di soluzione” o “nucleo inventivo protetto” o “cuore dell’invenzione brevettata”: Cass. 2848/1960; Cass. 257/2004; Cass. 12545/2004; Cass. 22495/2006); modalità di ricostruzione che aveva incontrato critiche perché prescindeva dal ruolo centrale svolto dalle rivendicazioni e frustrava le esigenze di certezze dei terzi in ordine all’ampiezza dell’esclusiva brevettuale, e “l’approdo alla cosiddetta “peripheral definition theory”, fondata sulla chiara e precisa identificazione dei limiti e dei confini della protezione brevettuale, funzionali alla determinazione del perimetro della privativa”, sulla base delle caratteristiche del trovato espressamente rivendicate nel testo brevettuale, secondo il c.d. esame “elemento per elemento”, fatto proprio dal legislatore Europeo e italiano, che aveva già trovato applicazione nel sistema statunitense (c,d. “element by element rule”, a sua volta corollario della “all elements rule”, secondo cui, perché si abbia contraffazione, ogni elemento rivendicato deve ritrovarsi nell’oggetto o letteralmente o per equivalenti).

Si è quindi rafforzato il ruolo centrale e autonomo delle rivendicazioni, sia nella valutazione dei requisiti di brevettabilità dell’invenzione, in quanto solamente le caratteristiche, come effettivamente rivendicate, debbono essere prese in considerazione per stabilire la differenza tra l’oggetto del brevetto e l’arte nota, sia nella fase di accertamento della contraffazione letterale o per equivalenti>>.

Poi sull’equivalenza come di solito inerpretata:

< 2.4. Vi sono due principali metodologie per valutare l’equivalenza: a) il triple test o metodo FWR (function, way, result), di matrice statunitense, secondo cui, in un’analisi di ogni parte dell’invenzione, nella contraffazione per equivalenti rientrano solo quelle soluzioni che realizzano lo stesso risultato dell’invenzione (result), con le stesse modalità (way) e che svolgono sostanzialmente la stessa funzione (function); b) il criterio dell’ovvietà, di derivazione tedesca, secondo cui rientrano nella contraffazione del brevetto per equivalenti tutte le realizzazioni che, in virtù della tecnica nota, costituiscono, per il tecnico del ramo, un’ovvia variante ovvero una risposta banale e ripetitiva rispetto a quanto rivendicato, salvo che il trovato oggetto di contestazione non risolva un problema tecnico diverso, potendo allora rientrare nel campo delle invenzioni dipendenti, di cui all’art. 68, comma 2, c.p.i..

Questa Corte ha aderito prevalentemente alla seconda teoria (Cass. 257/2004; Cass. 9549/2012 Cass. 24658/2016).

Si è poi rilevato che, al fine di escludere la contraffazione per equivalenza, non rileva la variazione, seppure originale, apportata ad un singolo elemento del trovato brevettato, se la variazione non consenta di escludere l’utilizzazione, anche solo parziale, del brevetto anteriore, occorrendo, in tal caso, l’autorizzazione all’utilizzo da parte del titolare del brevetto antecedente (Cass. 30234/2011).

E’ stato nuovamente ribadito (Cass. 22351/2015, caso Omac-Galli, riguardante un brevetto relativo ad una macchina per carico e scarico e accoppiamento di strisce di pelle) che “una riproduzione solo parziale del dispositivo brevettato non è idonea ad escludere, di per sé, la contraffazione laddove la parzialità non impedisca, secondo un accertamento che costituisce una questione di fatto, affidata all’apprezzamento del giudice di merito, insindacabile se sorretto da motivazione adeguata ed esente da vizi logici, di ritenere l’utilizzazione del brevetto, nella sua struttura generale, anteriore”.

Si è invece esclusa la contraffazione per equivalenti quando un prodotto o procedimento in contestazione sia significativamente diverso rispetto a quello brevettato, tanto che, presentando una differenza tecnica strutturale, qualitativamente apprezzabile e che investe il nucleo inventivo protetto, non possa essere considerata un mero equivalente (Cass. 9548/2012).

Nella pronuncia già citata n. 2977/2020, si è chiarito in motivazione che, tuttavia, al fine di dare, oggi, effettiva applicazione alla regola di contemperamento, contemplata dell’art. 52 c.p.i., commi 3 e 3 bis, l’ambito di tutela del brevetto non può sempre essere determinato sulla base del solo contenuto letterale delle rivendicazioni, che esprimono dichiarazioni di volontà dell’inventore, in quanto “vi sono indubbiamente casi in cui la non coincidenza fra il prodotto e il contenuto oggettivo delle rivendicazioni brevettuali non esclude la contraffazione, allorché la modesta variante incida su di un elemento della rivendicazione che non abbia importanza centrale nell’economia dell’idea inventiva (eliminandolo, o sostituendolo in una diversa soluzione espressiva della stessa idea fondamentale); o allorché il prodotto accusato di contraffazione per equivalenti assolve alla stessa funzione del prodotto brevettato, seguendo sostanzialmente la stessa via e pervenendo allo stesso risultato; o, ancora quando la soluzione sostitutiva adottata dal contraffattore rispetto alla soluzione brevettata appaia ovvia e non originale, tenuto conto, quale parametro di valutazione, delle conoscenze medie del tecnico del settore” >>.

Principio di diritto: ““In tema di brevetti per invenzioni industriali e della loro contraffazione per equivalente, ai sensi dell’art. 52, comma 3 bis, del Codice Proprietà Industriale, di cui al D.Lgs. n. 30 del 2005, come modificato ad opera del D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 131, il giudice – chiamato a valutare l’esistenza di un illecito contraffattorio deve preliminarmente determinare l’ambito della protezione conferita dal brevetto, poi individuare analiticamente le singole caratteristiche del trovato, così come espressamente rivendicate nel testo brevettuale, interpretate anche sulla base della loro descrizione e dei disegni allegati, e quindi verificare se ogni elemento così rivendicato si ritrovi anche nel prodotto accusato della contraffazione, anche solo per equivalenti, così intendendosi, secondo una delle possibili metodologie utilizzabili, quelle varianti del trovato che possano assolvere alla stessa funzione degli elementi propri del prodotto brevettato, seguendo sostanzialmente la stessa via dell’inventore e pervenendo al conseguimento dello stesso risultato”“.

Passiamo a Cass. sez. I del 20.10.2022 n. 30.943, rel. Falabella:

<< La banalità delle soluzioni tecniche alternative che sono state adottate si traduce, del resto, nella contraffazione per equivalente che la Corte di merito ha positivamente accertato: infatti, al fine di valutare se la realizzazione contestata possa considerarsi equivalente a quella brevettata, così da costituirne una contraffazione, occorre accertare se, nel permettere di raggiungere il medesimo risultato finale, essa presenti carattere di originalità, offrendo una risposta non banale, né ripetitiva della precedente, essendo da qualificarsi tale quella che ecceda le competenze del tecnico medio che si trovi ad affrontare il medesimo problema, potendo ritenersi in questo caso soltanto che la soluzione si collochi al di fuori dell’idea di soluzione protetta (Cass. 2 novembre 2015, n. 22351; Cass. 13 gennaio 2004, n. 257; cfr. pure Cass. 7 febbraio 2020, n. 2977, circa il rilievo che assume, ai fini dell’equivalenza della soluzione inventiva, il fatto che la realizzazione contestata permetta di raggiungere il medesimo risultato finale adottando varianti prive del carattere di originalità, perché ovvie alla luce delle conoscenze in possesso del tecnico medio del settore che si trovi ad affrontare il medesimo problema)>>.