Presupposti per l’assegno divorzile

Cass. 20.04.2023 n. 10.702:

Sintesi della giurisprudenza:

<<In definitiva, occorre un rigoroso accertamento del fatto che lo squilibrio,
presente al momento del divorzio, fra la situazione reddituale e patrimoniale
delle parti è l’effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle
esigenze familiari, il che giustifica il riconoscimento di un assegno perequativo,
cioè di un assegno tendente a colmare tale squilibrio, mentre in assenza della
prova di questo nesso causale, l’assegno può essere solo eventualmente
giustificato da una esigenza assistenziale, la quale tuttavia consente il
riconoscimento dell’assegno solo se il coniuge più debole non ha i mezzi
sufficienti per un’esistenza dignitosa, o non può pr ocurarseli per ragioni
oggettive>>.

Applicazione al caso de quo:

<<Nella specie, quanto alla componente perequativo compensativa dell’assegno
(attesa la sperequazione reddituale tra gli ex coniugi), la Corte d’appello ha
rilevato che nessuna delle parti risultava avere sacrificato il proprio percorso professionale onde consentire la crescita dell’altro coniuge ovvero risultava
avere contribuito alla formazione “di un patrimonio familiare (inesistente)”.
La ricorrente deduce che non si sarebbe tenuto conto del “consistente capitale”
La ricorrente deduce che non si sarebbe tenuto conto del “consistente capitale” da essada essa investito nella ristrutturazione della casa coniugale di proprietà investito nella ristrutturazione della casa coniugale di proprietà esclusiva dell’ex marito.esclusiva dell’ex marito.

Ora, in ordine ai presupposti dell’assegno divorzile, questa Corte, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 18287/2018, ha chiarito, con riferimento ai dati normativi già esistenti, che: 1) “il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto”; 2) “all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate”; 3) “la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”.

Successivamente, questa Corte ha chiarito (Cass. 21926/2019) che “L’assegno divorzile ha una imprescindibile funzione assistenziale, ma anche, e in pari misura, compensativa e perequativa. Pertanto, qualora vi sia uno squilibrio effettivo, e di non modesta entità, tra le condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi, occorre accertare se tale squilibrio sia riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli all’interno della coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due. Laddove, però, risulti che l’intero patrimonio dell’ex coniuge richiedente sia stato formato, durante il matrimonio, con il solo apporto dei beni dell’altro, si deve ritenere che sia stato già riconosciuto il ruolo endofamiliare dallo stesso svolto e – tenuto conto della composizione, dell’entità e dell’attitudine all’accrescimento di tale patrimonio ? sia stato già compensato il sacrificio delle aspettative professionali oltre che realizzata con tali attribuzioni l’esigenza perequativa, per cui non è dovuto, in tali peculiari condizioni, l’assegno di divorzio” (cfr. anche Cass. 15773/2020; Cass. 4215/2021). In Cass. 24250/2021, si è affermato che ” sciolto il vincolo coniugale, in linea di principio ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, tuttavia tale principio è derogato, in base alla disciplina sull’assegno divorzile, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge, “ex post” divenuto ingiustificato, spostamento patrimoniale che in tal caso deve essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa. Pertanto, ove ne ricorrano i presupposti e vi sia una specifica prospettazione in tal senso, l’assegno deve essere adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole, in funzione perequativo-compensativa, del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale” (cfr. anche Cass. 23583/2022).

In definitiva, occorre un rigoroso accertamento del fatto che lo squilibrio, presente al momento del divorzio, fra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti è l’effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari, il che giustifica il riconoscimento di un assegno perequativo, cioè di un assegno tendente a colmare tale squilibrio, mentre in assenza della prova di questo nesso causale, l’assegno può essere solo eventualmente giustificato da una esigenza assistenziale, la quale tuttavia consente il riconoscimento dell’assegno solo se il coniuge più debole non ha i mezzi sufficienti per un’esistenza dignitosa, o non può procurarseli per ragioni oggettive. [questa è la parte più im,prtante della  motivazione]

Nella specie, quanto alla componente perequativo-compensativa dell’assegno (attesa la sperequazione reddituale tra gli ex coniugi), la Corte d’appello ha rilevato che nessuna delle parti risultava avere sacrificato il proprio percorso professionale onde consentire la crescita dell’altro coniuge ovvero risultava avere contribuito alla formazione “di un patrimonio familiare (inesistente)”.

La ricorrente deduce che non si sarebbe tenuto conto del “consistente capitale” da essa investito nella ristrutturazione della casa coniugale di proprietà esclusiva dell’ex marito.

Ora, dalla sentenza non risulta tale allegazione e in ricorso non si dice dove, come e quando tale documentazione sarebbe stata prodotta nel presente giudizio e solo nella memoria la ricorrente fa riferimento a documentazione (estratti conto corrente integrali del conto bancario comune delle parti) “prodotti in sede separativa” . Peraltro, questa Corte (Cass. 18749/2004) ha già affermato che “i bisogni della famiglia, al cui soddisfacimento i coniugi sono tenuti a norma dell’art. 143 c.c., non si esauriscono in quelli, minimi, al di sotto dei quali verrebbero in gioco la stessa comunione di vita e la stessa sopravvivenza del gruppo, ma possono avere, nei singoli contesti familiari, un contenuto più ampio, soprattutto in quelle situazioni caratterizzate da ampie e diffuse disponibilità patrimoniali dei coniugi, situazioni le quali sono anch’esse riconducibili alla logica della solidarietà coniugale” (nell’enunciare il principio, si è confermato la sentenza impugnata, la quale – esclusa la configurabilità, nella specie, di un mutuo endofamiliare – aveva ritenuto espressione di partecipazione alle esigenze dell’intero nucleo familiare, ai sensi della citata norma codicistica, il consistente intervento finanziario della moglie a titolo di concorso nelle spese relative alla ristrutturazione della casa di villeggiatura di proprietà del marito ma di uso familiare comune). E successivamente, si è precisato (Cass. 10927/2018) che “poiché durante il matrimonio ciascun coniuge è tenuto a contribuire alle esigenze della famiglia in misura proporzionale alle proprie sostanze, secondo quanto previsto dall’art. 143 c.c. e art. 316 bis c.c., comma 1, a seguito della separazione non sussiste il diritto al rimborso di un coniuge nei confronti dell’altro per le spese sostenute in modo indifferenziato per i bisogni della famiglia durante il matrimonio”.

Nella specie, comunque si deduce che ciò (il contributo nelle spese di ristrutturazione della casa di proprietà dell’ex coniuge) dovrebbe rilevare sotto l’aspetto del contributo richiesto per assolvere alla funzione perequativo-compensativa dell’assegno, ma la deduzione risulta generica ed aspecifica.

Sul piano delle condizioni patrimoniali delle parti e del criterio perequativo-compensativo, la Corte ha dunque operato una valutazione in fatto, motivata, sulla mancata rinuncia da parte di entrambi i coniugi ai propri percorsi professionali, né è dimostrato l’affermato contributo della ricorrente alla formazione del patrimonio familiare.

Quanto alla componente assistenziale dell’assegno, la Corte d’appello ha tenuto conto delle documentate condizioni di salute della U., rilevando che la grave patologia oncologica era insorta durante il matrimonio e che, a seguito del divorzio, la U., malgrado le fosse riconosciuta un’invalidità nella misura del 75% dal 2018, aveva continuato a svolte l’attività di libera professione, avendo dichiarato una “retribuzione mensile media pari a circa Euro1.000,00”, concludendo per un giudizio di inattendibilità dei redditi dichiarati (peraltro, solo attraverso dichiarazioni sostitutive di atto notorio, per quanto emerge).

Deve poi aggiungersi che la stessa ricorrente assume di avere rinunciato a richiedere un sussidio in relazione all’invalidità riconosciutale in sede amministrativa, “in ragione della libera professione esercitata, confidando nel mantenimento di una soglia reddituale tale da consentirle di prescindere dalla richiesta di invalidità/accompagno” (pag. 16 del presente ricorso).

Il principio enunciato dalle Sezioni Unite, nella sentenza sopra richiamata del 2018 è che il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale e IN PARI MISURA compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive (Cass. S.U. 18287/2018; Cass. 21234/2019).

Nella specie, la Corte d’appello ha accertato che le condizioni di salute della U. (isterectomia) erano già sussistenti alla data del matrimonio (durato meno di dieci anni), che la stessa non ha cessato l’attività lavorativa, che – anzi – la medesima non ha contestato di prestare attività lavorativa, come psicologa, in un altro centro, che la odierna ricorrente, pur essendo invalida al 75%, non ha richiesto né pensione di invalidità, né assegno di mantenimento, proprio perché continuava a lavorare>>.

Segnalzione di C. Fossati su Ondif.