Il logo di Batman è sufficientemente distintivo per maschere e costumi teatrali

Trib. UE 7 giugno 2023, T-735/21, Aprile -Commerciale Italiana v. EUIPO – DC Comics  conferma la decisione del Board amministrativo e rigetta l’opposizione che voleva far dichiarare nulli i marchi sotto riportati .

In effetti la domanda giudiziale pareva assai poco fondata e quindi assai azzardata: non credo che alcuno possa ritenere  il logo descrittivo o indicazione generica del prodotto.

 

marchio impugnato

Responsabilità contrattuale sanitaria in caso di degente sfuggito al controllo della RSA nonchè concorso di cause umane e naturali

Cass. sez. III del 12.05.2023 n. 13.037, rel. Vincenti, riferito al caso di un’anziana che uscì dalla RSA e dopo un vagare di giorni fu trovata morta

In genrale:

<<2.1.2. – Devono, quindi, essere sin d’ora precisate le coordinate giuridiche del riparto degli oneri di allegazione e di prova dell’azione risarcitoria per il danno alla salute in ambito sanitario.

Giova, infatti, rammentare che, in sede di accertamento della responsabilità contrattuale della struttura ospedaliera o del sanitario (per quest’ultimo, in riferimento ai fatti antecedenti alla L. 8 marzo 2017, n. 24: cfr. Cass. n. 28994/2019), in caso di inadempimento o inesatto adempimento delle obbligazioni di diligenza professionale sanitaria, spetta al danneggiato fornire la prova del contratto e del nesso di causalità materiale tra il predetto inadempimento o inesatto adempimento e l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie, restando a carico dell’obbligato la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente o che quegli esiti siano stati determinati da una causa imprevedibile o inevitabile che abbia reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione (tra le altre: Cass. n. 18392/2017 e, successivamente, Cass. n. 28891/2019 e Cass. n. 28892/2019).

Difatti, anche nell’ambito della responsabilità contrattuale sanitaria (al pari della responsabilità di tipo aquiliano), il danno (alla salute) e la sua eziologia sono oggetto del “fatto costitutivo” del diritto al risarcimento del danno ex art. 2697 c.c., per cui il danneggiato è tenuto ad allegare, anzitutto, una condotta di inadempimento (o di inesatto adempimento) che abbia astratta efficienza causale rispetto alla lesione della salute e, quindi, a provare che tale condotta abbia poi avuto concreta efficienza causale rispetto a detto evento lesivo (prova, questa, che l’orientamento giurisprudenziale precedente non postulava a carico dell’attore-danneggiato) e ciò in base ai principi della causalità materiale ricavabili dagli artt. 40 e 41 c.p..

In base a tali principi, un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, dovendosi, altresì, avere riguardo al criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all’interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano – ad una valutazione ex ante – del tutto inverosimili (tra le molte, Cass., S.U., n. 576/2008).

Per il caso in cui un siffatto accertamento abbia, poi, ad oggetto una condotta omissiva, la verifica del nesso causale tra tale condotta e il fatto dannoso si sostanzia nell’accertamento della probabilità positiva o negativa del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno, riconosciuta alla condotta omessa, da compiersi mediante un giudizio controfattuale, che pone al posto dell’omissione il comportamento dovuto.

Tale giudizio deve essere effettuato sulla scorta del criterio del “più probabile che non”, conformandosi ad uno standard di certezza probabilistica, che, in materia civile, non può essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (cd. probabilità quantitativa o pascaliana), la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica o baconiana) (tra le altre: Cass. n. 23197/2018; Cass. n. 19372/2021).

Ne deriva, quindi, che le conseguenze sfavorevoli in caso di mancato assolvimento dei predetti oneri di allegazione e prova gravano interamente a carico dell’attore>>.

Nel particolare:

<<2.1.6. – Quanto al profilo dell’onere probatorio, il giudice di secondo grado ha evidenziato che non erano stati forniti elementi per dimostrare che la morte della G. non si sarebbe altrimenti cagionata se la stessa non si fosse allontanata, essendo, altresì, presente agli atti una relazione peritale (eseguita dalla Dott.ssa F.) che dava atto dell’ipotesi alternativa di infarto miocardico acuto come sindrome secondaria dovuta ad arteriosclerosi coronarica, né essendo risultati utili all’attore gli esiti della c.t.u. espletata nel giudizio di primo grado, “che si limita ad accertare la consecuzione causale tra le carenze strutturali della RSA e l’allontanamento, che si ritiene… causa del decesso senza alcuna motivazione sul punto” (p. 15 e 16 della sentenza di appello).

2.1.7. – La Corte territoriale ha, però, omesso di considerare che nella stessa relazione peritale alla quale ha fatto riferimento (indicata puntualmente in ricorso a p. 14, unitamente alla c.t.u. espletata in primo grado e alla relazione del consulente tecnico di parte acquisita agli atti e richiamata dallo stesso ricorso ex art. 702-bis c.p.c., presente come doc. 5 nel fascicolo depositato in questa sede) si dava atto delle condizioni precarie di salute della G., delle condizioni di tempo e di luogo nella quale la stessa venne ritrovata priva di vita (contesto evidenziato anche dalla c.t.u. espletata in primo grado e dalla sentenza di questa Corte, Sezione IV penale, n. 48269/2015, richiamata a p. 3 del ricorso e presente come doc. n. 2 nel fascicolo depositato in questa sede), della possibilità di individuare come fattore scatenante l’infarto acuto del miocardio “un intenso sforzo fisico” o “uno stress psicologico intenso e prolungato” o ancora “forti ed improvvise emozioni” (p. 16 della relazione peritale) e del fatto che l’ipotesi alternativa quale causa del decesso della stessa paziente – da riconoscersi non già, come in modo affatto contraddittorio inteso dal giudice di appello, nella aterosclerosi coronarica, alla base dell’infarto, bensì nell'”ematoma subdurale rilevato in sede di autopsia” e in possibile “relazione con il sinistro stradale del (Omissis)” -, pur non essendo possibile escluderla “con certezza”, era da ritenersi superata, alla luce degli esiti dell’esame autoptico, dalla causa dovuta ad “(a)rresto cardiocircolatorio secondario a infarto acuto del miocardio” (pp. 116/17 della relazione peritale della Dott.ssa F.).

Ne’, del resto, la Corte territoriale, alla luce della medesima anzidetta relazione peritale acquisita agli atti, avrebbe potuto confondere la causa remota dell’infarto (l’aterosclerosi) con la sua causa prossima (lo stress psico-fisico), assumendo la prima come causa alternativa e assorbente, trattandosi invece di cause concorrenti, essendo l’aterosclerosi la situazione patologica pregressa da cui è insorto l’infarto acuto del miocardio in ragione dello stress psico-fisico dovuto alla condizione di abbandono.

Con la conseguenza che in una siffatta situazione di concorrenza di cause – l’una ascrivibile ad un fattore naturale (pregressa situazione patologica del danneggiato) e l’altra ascrivibile alla condotta umana (lo stress psico-fisico determinato dalla condizione di abbandono cagionata dalla omessa sorveglianza della paziente cui era tenuta la struttura sociosanitaria nella quale la stessa era ricoverata) – l’autore del fatto illecito risponde, in base ai criteri della causalità materiale, di tutti i danni che ne sono derivati, a nulla rilevando che gli stessi siano stati concausati anche da un evento naturale, il quale può invece rilevare ai fini della stima del danno, ossia sul piano della causalità giuridica (tra le altre: Cass. n. 15991/2011; Cass. n. 24204/2014; Cass. n. 27524/2017; Cass. n. 5632/2023; Cass. n. 6122/2023).

Era, dunque, in base anche ai menzionati e decisivi elementi acquisiti agli atti che la Corte territoriale avrebbe dovuto impostare, correttamente, il proprio giudizio sull’accertamento della causalità materiale omissiva, alla luce della regola sulla concorrenza delle cause (naturale ed umana), della teoria della regolarità causale e della regola di funzione del “più probabile che non”. Là dove, poi, avesse reputato necessario, ai fini della valutazione ad essa rimessa, l’impiego di particolari competenze tecniche, ben avrebbe potuto disporre una consulenza tecnica d’ufficio, senza incorrere nel divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova e nuovi documenti nel giudizio di appello, previsto dall’art. 345 c.p.c., comma 3, facendo la c.t.u. eccezione al principio (art. 115 c.p.c.) per cui le sole prove disponibili per la decisione sono quelle proposte dalle parti o dal pubblico ministero (Cass. n. 13343/2000; Cass. n. 15945/2017)>>.

Sul concorso cause umane/cause naturali:

<<Ne’, del resto, la Corte territoriale, alla luce della medesima anzidetta relazione peritale acquisita agli atti, avrebbe potuto confondere la causa remota dell’infarto (l’aterosclerosi) con la sua causa prossima (lo stress psico-fisico), assumendo la prima come causa alternativa e assorbente, trattandosi invece di cause concorrenti, essendo l’aterosclerosi la situazione patologica pregressa da cui è insorto l’infarto acuto del miocardio in ragione dello stress psico-fisico dovuto alla condizione di abbandono.

Con la conseguenza che in una siffatta situazione di concorrenza di cause – l’una ascrivibile ad un fattore naturale (pregressa situazione patologica del danneggiato) e l’altra ascrivibile alla condotta umana (lo stress psico-fisico determinato dalla condizione di abbandono cagionata dalla omessa sorveglianza della paziente cui era tenuta la struttura sociosanitaria nella quale la stessa era ricoverata) – l’autore del fatto illecito risponde, in base ai criteri della causalità materiale, di tutti i danni che ne sono derivati, a nulla rilevando che gli stessi siano stati concausati anche da un evento naturale, il quale può invece rilevare ai fini della stima del danno, ossia sul piano della causalità giuridica (tra le altre: Cass. n. 15991/2011; Cass. n. 24204/2014; Cass. n. 27524/2017; Cass. n. 5632/2023; Cass. n. 6122/2023)>>.

Tutela extramerceologica di marchio rinomato concessa solo in parte

Trib. UE 24 maggio 2023, T-509/22, Bimbo SA v. Euipo-Bottari euripe srl, decide in modo corretto domanda di tutela della rinomanza (art. 8.5 reg. UE 2017/1001)

marchio chiesto in registratozione ma contestato dall’opponente

L’anteriorità era data da BIMBO (marchio denominativo assai rinomato in Spagna per pane e prodotti relativi) rispetto al marchio de quo , riferito per lo più a prodotti  relativi alle biciclette.

Giustamente il Trib. conferma la decisione amministrativa di rigetto della domanda di tutela della rinomanza: non c’è approfittamento indebito da parte dell’uno nè dilution  a carico dell’altro.

E’ però assai dubbio che ci sia per quelle poche classi di prodotti per cui l’Ufficio ha concesso la tutela (§ 7: soprattutto per le cl. 3 e 28)

  • class 3: ‘Detergents; Soap; Grease-removing preparations’;
  • Class 21: ‘Drinking bottles; Drinking bottles for sports’;
  • Class 28: ‘Scooters [toys]; Tricycles for infants [toys]; scooters for kids; Gloves for games’.

Marcel Pemsel su Ipkat offre un utile suggerimento operativo per favorire il riconoscimenot della tutela allargata:    <<In order to show that the reputation of a trade mark goes beyond the public targeted by the goods or services for which the trade mark is famous, evidence on collaboration with companies from different sectors can be useful. Also, other efforts to extend the brand beyond the sector for which it enjoys a reputation can show that consumers in other sectors are familiar with it, such as merchandising producs or sponsorships>>.

Giusto: bravo Marcel!

Google è protetto dal safe harbour ex 230 CDA poer truffa da parte di un falso inserzionista (falso eBay)

La US distr. court -South. Dis. of NY Case 1:22-cv-06831-JGK, Ynfante v. Google su un caso semplice del safe harbour ex § 230 CDA:

<<In this case, it is plain that Section 230 protects Google from liability in the negligence and false advertising action brought by Mr. Ynfante. First, Google is the provider of an interactive computer service. The Court of Appeals for the Second Circuit has explained that “search engines fall within this definition,” LeadClick Media, 838 F.3d at 174, and Google is one such search engine. See, e.g., Marshall’s Locksmith Serv. Inc. v. Google, LLC, 925 F.3d 1263, 1268 (D.C. Cir. 2019) (holding that the definition of “interactive computer service” applies to Google specifically).
Second, there is no doubt that the complaint treats Google as the publisher or speaker of information. See, e.g., Compl. ¶¶ 27, 34. Section 230 “specifically proscribes liability” for “decisions relating to the monitoring, screening, and deletion of content from [a platform] — actions quintessentially related to a publisher’s role.” Green v. Am. Online (AOL), 318 F.3d 465, 471 (3d Cir. 2003). In other words, Section 230 bars any claim that “can be boiled down to the failure of an interactive computer service to edit or block user-generated content that it believes was tendered for posting online, as that is the very activity Congress sought to immunize by passing the section.” Fair Hous. Council of San Fernando Valley v. Roommates.com, LLC, 521 F.3d 1157, 1172 n.32 (9th Cir. 2008). In this case, the plaintiff’s causes of action against Google rest solely on the theory that Google did not block a third-party advertisement for publication on its search pages. But for Google’s publication of the advertisement, the plaintiff would not have been harmed. See, e.g., Compl. ¶¶ 38-39, 61. The plaintiff therefore seeks to hold Google liable for its actions related to the screening, monitoring, and posting of content, which fall squarely within the exercise of a publisher’s role and are therefore subject to Section 230’s broad immunity.
Third, the scam advertisement came from an information content provider distinct from the defendant. As the complaint acknowledges, the advertisement was produced by a third party who then submitted the advertisement to Google for publication. See id. ¶ 26. It is therefore plain that the complaint is seeking to hold the defendant liable for information provided by a party other than the defendant and published on Google’s platform, which Section 230 forecloses>>

Niente di nuovo.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Youtube non è corresponsabile delle violazioni di copyright consistite in ripetuti upload sulla sua piattaforma

Youtube non è corresponsabile delle violazioni di copyright date da ripetuti upload sulla sua piattaforma. Così US distr. court southern district of Florida 16 maggio 2023, Case No. 21-21698-Civ-GAYLES/TORRES, Athos overseas ltc c. Youtube-Google.

domanda attorea:

According to Plaintiff, Defendants are liable under direct and secondary infringement theories for YouTube’s failure to prevent the systematic re-posting of Plaintiff’s copyrighted movies to its platform. Plaintiff contends that YouTube has turned a blind eye to rampant infringement of Athos’ copyrights by refusing to employ proprietary video-detection software to block or remove from its website potentially infringing clips, and not just clips specifically identified by URL in Plaintiff’s DMCA takedown notices. In essence, Plaintiff argues that evidence of YouTube’s advanced video detection software, in conjunction with the thousands of takedown notices Athos has tendered upon YouTube, give rise to genuine issues of fact as to whether Defendants have forfeited the DMCA’s safe harbor protections.

Domanda rigettata: il provider non pèerde il suo safe harbour ex 17 US code § 512 per assenbza dell’element soggettivo:

<<Indeed, in Viacom the Second Circuit rejected identical arguments to the ones asserted here by Athos, which were presented in a lawsuit brought by various television networks against YouTube for the unauthorized display of approximately 79,000 video clips that appeared on the website between 2005 and 2008. Viacom, 676 F.3d at 26. Among other things, the Viacom plaintiffs argued that the manner in which YouTube employed its automated video identification tools—including liming its access certain users—removed the ISP from the safe harbor. Id. at 40–41. Yet, the court unequivocally rejected plaintiffs’ arguments, holding that the invocation of YouTube’s technology as a source of disqualifying knowledge must be assessed in conjunction with the express mandate of § 512(m) that “provides that safe harbor protection cannot be conditioned on ‘a service provider monitoring its service or affirmatively seeking facts indicating infringing activity[.]’”9 Viacom, 676 F.3d at 41 (quoting 17 U.S.C. § 512(m)(1))>>

poi:

<<Plaintiff conflates two concepts that are separate and distinct in the context of YouTube’s copyright protection software: automated video matches and actual infringements. As explained by YouTube’s copyright management tools representative, software-identified video matches are not necessarily tantamount to  copyright infringements. [D.E. 137-7, 74:21–25]. Rather, the software detects code, audio, or visual cues that may match those of a copyrighted work, and presents those matches to the owner for inspection. Thus, while YouTube systems may be well equipped to detect video matches, the software does not necessarily have the capacity to detect copyright infringements. See id. Further, the accuracy of these automatically identified matches depends on a wide range of factors and variable. [Id. at 75:1–10, 108:2–110:17, 113:3–114:25]. That is why users, not YouTube, are required to make all determinations as to the infringing nature of software selected matches. [Id.].
Second, Plaintiff does not point to any evidence showing that YouTube, through its employees, ever came into contact, reviewed, or interacted in any way with any of the purportedly identified video matches for which Athos was allegedly required to send subsequent DMCA takedown notices (i.e., the clips-in-suit). As explained by YouTube’s product manager, the processes of uploading, fingerprinting, scanning, and identifying video matches is fully automated, involving minimal to no human interaction in the part of YouTube. [Id. at 68:22–69:18, 118:17–119]. The record shows that upon upload of a video to YouTube, a chain of algorithmic processes is triggered, including the automated scanning and matching of potentially overlapping content. If the software detects potential matches, that list of matches is automatically directed towards the copyright owner, by being displayed inside the user’s YouTube interface. [Id. at 68:22–70:25]. Therefore, the record only reflects that YouTube does not rely on human involvement during this specific phase of the scanning and matching detection process, and Plaintiff does not proffer any evidence showing otherwise>>.

sintesi:

<<As the relevant case law makes clear, evidence of the technologies that ISPs independently employ to enhance copyright enforcement within their system cannot form the basis for ascribing disqualifying knowledge of unreported infringing items to the ISP. Such a conception of knowledge would contradict the plain mandate of § 512(m), “would eviscerate the required specificity of notice[,] . . . and would put the provider to the factual search forbidden by § 512(m).” Viacom, 718 F. Supp. 2d at 528. Thus, we find that Athos’ theory that specific knowledge of non-noticed infringing clips can be ascribed to Defendants by virtue of YouTube’s copyright management tools fails as a matter of law>>.

Notizia e link alla sentenza dal blog del prof Eric Goldman

Decettività e non distintività della mucca rovesciata (inverted cow)

Anna Maria Stein su IPKat dà notizia di interessante decisione EUIPO 08.05.2023, marchio inter. reg. 1600229, ref. dell’istante 35/RM20K01/EM.

Si tratta di marchio costituito da immagine di mucca rovesciata per prodotti alimentari etc. come sostituti della carne etc..

L’idea commerciale -parrebbe- era quella di indicare l’assenza di carne marcandoli tramite l’immagine di una mucca rovesciata anzichè diritta.

Ma le cose vanno doppiamente male: da un lato è ingannatoria perchè l’utente continua a pensare invece alla presenza (non all’assenza) di carne; dall’altro, è comunque descrittivo.

I giudizio sulla decettità non sono frequenti.

Quindi domanda rigettata

 

Ben si può condannare il Comune ai danni per non aver fatto quianto possibile per eliminare il disturbo da riumnori niotturni proocati dalal clientela dei bar

Giustamente Cass. sez. III del 23 maggio 2023 n. 14.209, rel. Vicenti, cassa l’appello Brescia che aveva negato il danno perchè allegante vioalazioni del Comune esorbitanti i suoi poteri .

E’ ora che la giurisprudenza interventa in modo deciso sul grave problema della rimorosità prodotta dai clienti dei locali che tengono aperto fino a tardi alla sera. In attesa che intervenga il legislatore (improbabile)

<<3.2. – Ciò premesso, è errata la premessa da cui muove la Corte territoriale, poiché la tutela del privato che lamenti la lesione, anzitutto, del diritto alla salute (costituzionalmente garantito e incomprimibile nel suo nucleo essenziale (Cost., art. 32)), ma anche del diritto alla vita familiare (convenzionalmente garantito (art. 8 CEDU: cfr., tra le altre, Cass. n. 2611/2017; Cass. n. 19434/2019; Cass. n. 21649/2021)) e della stessa proprietà (che rimane diritto soggettivo pieno sino a quando non venga inciso da un provvedimento che ne determini l’affievolimento (Cass. n. 1636/1999)), cagionata dalle immissioni (nella specie, acustiche) intollerabili, ex art. 844 c.c., provenienti da area pubblica (nella specie, da una strada della quale la Pubblica Amministrazione è proprietaria), trova fondamento, anche nei confronti della P.A., anzitutto nelle stesse predette norme a presidio dei beni oggetto dei menzionati diritti soggettivi.

La P.A. stessa, infatti, è tenuta ad osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni e, quindi, il principio del neminem laedere, con ciò potendo essere condannata sia al risarcimento del danno (artt. 2043 e 2059 c.c.) patito dal privato in conseguenza delle immissioni nocive che abbiano comportato la lesione di quei diritti, sia la condanna ad un facere, al fine di riportare le immissioni al di sotto della soglia di tollerabilità, non investendo una tale domanda, di per sé, scelte ed atti autoritativi, ma, per l’appunto, un’attività soggetta al principio del neminem laedere (tra le più recenti: Cass., S.U., n. 21993/2020; Cass., S.U., n. 25578/2020; Cass., S.U., n. 23436/2022; Cass., S.U., n. 27175/2022; Cass., S.U., n. 5668/2023).

Ne consegue la titolarità dal lato passivo del convenuto Comune di (Omissis) a fronte delle domande, risarcitoria e inibitoria, proposte dagli attori a fronte del dedotto vulnus che le immissioni intollerabili, provenienti dalla strada comunale in cui si trova la loro abitazione, sono idonee a cagionare ai diritti dai medesimi vantati.

3.3. – Posta tale diversa premessa, e’, altresì, errata la decisione della Corte territoriale di ritenere, di per sé, infondate le domande attoree in quanto esorbitanti dai limiti interni della giurisdizione del giudice ordinario.

Anzitutto, la domanda di risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti dagli attori in conseguenza delle immissioni acustiche intollerabili, non postula alcun intervento del giudice ordinario di conformazione del potere pubblico e, dunque, non spiega alcuna incidenza rispetto al perimetro dei limiti interni della relativa giurisdizione, ma richiede soltanto la verifica della violazione da parte della P.A. del principio del neminem laedere e, dunque, della sussistenza o meno della responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c., per aver mancato di osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni quale condotta, connotata da c.d. colpa generica, determinativa di danno ingiusto per il privato.

Anche la domanda volta a far cessare le immissioni intollerabili, come detto, non implica, di per sé, una attribuzione al giudice ordinario di poteri esorbitanti rispetto a quelli previsti dall’ordinamento e, dunque, ad esso inibiti dal principio desumibile dalla L. 20 marzo 1865 n. 2248 All. E., art. 4, comma 2, siccome incidenti sul potere discrezionale riservato alla Pubblica Amministrazione nell’espletamento dei suoi compiti istituzionali.

La circostanza che il primo giudice avesse predeterminato il facere del Comune convenuto imponendo ad esso taluni comportamenti implicanti l’adozione di provvedimenti discrezionali ed autoritativi – come l’effettuazione di un servizio pubblico di vigilanza, organizzandone anche le modalità operative – non impediva, però, ogni diversa delibazione del giudice di secondo grado, coerente con la portata della domanda formulata dagli attori, che fosse volta ad imporre alla P.A. (non già le modalità di esercizio del potere discrezionale ad essa spettante, ma) di procedere agli interventi idonei ed esigibili per riportare le immissioni acustiche entro la soglia di tollerabilità, ossia quegli interventi orientati al ripristino della legalità a tutela dei diritti soggettivi violati>>.

Sui marchi di forma: la Cassazione chiude il processo sulla violazione della forma della confezione dei “Tic Tac” Ferrero

Cass., sez. I ,  11 maggio 2023 n. 12.881, rel. Nazzicone, sul tema.

Non ci son particolari approfondimenti ma solo rapide condivisioni di alcuni passaggi della ben più articolata sentenza di appello (App. Torino n. 199/2021 del 17.02.2021, RG 1932/2019)

<<La corte territoriale ha ritenuto che la forma oggetto dei marchi “(Omissis)” sia soltanto una delle numerose forme che potrebbero avere i contenitori di confetti, in quanto tutti i vari tipi di confezione potrebbero del pari essere muniti della medesima chiusura, brevettata come soluzione tecnica tutelata: ha, quindi, escluso che i brevetti attengano ad una “forma necessaria” o ad una “forma sostanziale”.

Si ricorda che per “forma necessaria” si intende quella che sia necessaria per ottenere un risultato tecnico, e, quindi funzionale, perché imposta dall’utilità industriale che persegue, onde, secondo tale principio, quando una determinata forma è “necessaria”, cioè inscindibilmente connessa con l’utilità di un trovato, l’imitazione è per ciò stesso lecita, sempre che sussista tale elemento di inscindibilità e quindi di necessarietà. Pertanto, si è affermato che i segni possono costituire oggetto di marchio, in quanto rispondano oggettivamente e preminentemente alla funzione distintiva del prodotto e della sua provenienza, senza esser vincolati dalla destinazione merceologica o dalla forma necessaria del prodotto stesso (Cass. 28 giugno 1980, n. 4090), in quanto “una forma funzionale, o necessaria, tale cioè da non potere essere evitata senza con ciò compromettere la funzione realizzata dal modello, pone in essere contestualmente un preciso elemento individualizzante nel mercato. Il modello si identifica, segno commerciale a parte, perché la sua forma, dichiarando e rendendo possibile la funzione che costituisce il cuore dell’idea, e’, in quanto tale, inconfondibile. Consegue che fuori delle ipotesi nelle quali vi è una privativa a tutela di quella funzione e di quella forma, se la funzione è liberamente riproducibile, lo è anche la forma che necessariamente la realizza” (in motivazione, Cass. 9 marzo 1998, n. 2578).

Dunque, per forma imposta dalla natura stessa del prodotto deve intendersi quella naturale ovvero quella standardizzata del prodotto, noto in tale configurazione, in tal modo restando esclusa la proteggibilità come marchio dalla legge, attesa la mancanza di capacità individualizzante del segno, che si oppone in via di principio ad una monopolizzazione, che penalizzerebbe la concorrenza senza giustificazione (così Cass. 23 novembre 2001, n. 14863; e già Cass. n. 60 del 2001; Cass. n. 6644 del 1996); essa si riscontra quando si tratta di una forma che non è ispirata ad un criterio di fantasia o di differenziazione del prodotto, ma costituisce una forma, utile e conveniente, che esprime esclusivamente il valore, cioè le caratteristiche essenziali del prodotto, racchiudendone in sé tutta e solo la dimensione funzionale (così, in motivazione, Cass. 16 luglio 2004, n. 13159, in relazione al c.d. ovetto Kinder, richiamata da entrambe le parti).

Mentre per “forma sostanziale” si intende quella che dà un valore sostanziale al prodotto, ossia “il cui pregio modifica l’identità di un prodotto in quanto tale, perché ne aumenta il valore merceologico, senza mutarne la funzione ontologica” (Cass. 23 novembre 2001, n. 14863).

La giurisprudenza unionale ha più volte ribadito che un segno, il quale rappresenti la forma di un prodotto, rientra tra i segni idonei a costituire un marchio, a condizione che sia, da un lato, riproducibile graficamente e, dall’altro, adatto a distinguere il prodotto o il servizio di un’impresa da quelli di altre imprese (Corte di giustizia UE 10 novembre 2016, C-30/15, Simba Toys, punto 37; 29 aprile 2004, Henkel, C-456/01, C-457/01, punti 30 e 31; 14 settembre 2010, Lego Juris, C-48/09, punto 39), affermando altresì che, più la forma della quale è chiesta la registrazione assomiglia alla forma che con ogni probabilità assumerà il prodotto di cui si tratta, più è verosimile che tale forma sia priva di carattere distintivo (Corte giustizia Comunità Europee 29 aprile 2004, n. 456/01 e 457/01, Henkel, cit.).

Proprio per questo, essa ha ritenuto nullo il marchio Europeo di forma tridimensionale costituito dal “cubo di Rubik”, svolgendo la c.d. struttura a griglia, che compare su ciascuna delle sue facce, dividendola in nove elementi quadrati della stessa dimensione, una funzione tecnica, assicurando la rotazione dei singoli elementi delle bande verticali ed orizzontali del cubo medesimo, sicché tale cubo costituisce un puzzle tridimensionale (Corte giustizia UE 10 novembre 2016, C-30/15 P, cit.).

Infatti, la legge impedisce la valida registrazione di un segno costituito, nelle sue caratteristiche essenziali, da un risultato tecnico, perché vi è un interesse generale all’utilizzo, che preclude situazioni di monopolio di soluzioni tecniche (cfr., fra le altre, Corte giustizia UE 16 settembre 2015, C-215/14, Nestle’, punto 38; 18 giugno 2002, C 299/99, Philips Electronics, punti 76 ss., sulle tre testine rotanti di un rasoio elettrico; Corte giustizia Comunità Europee 8 aprile 2003, C-53/01 a C-55/01, Linde, punto 44): così per la forma costituente soluzione di un problema tecnico e di marchi costituiti dalla forma del prodotto.

Mentre si osserva come non si possa escludere che l’aspetto estetico di un marchio che assume una determinata forma possa essere tenuto in considerazione, se richiama l’effetto visivo oggettivo e inusuale del design specifico del marchio suddetto (Corte giustizia UE 12 dicembre 2019, Euipo/Wajos, C-783/18, p. 32); Tribunale UE, 14 luglio 2021, T-488/20, p. 43 e 44).

Del pari, anche per questa Corte non è suscettibile di registrazione come marchio di forma la forma funzionale di un prodotto, che non presenti, per i consumatori di riferimento, carattere distintivo (Cass. 27 luglio 2015, n. 15681, non massimata, ma edita), come quando la forma sia imposta dalla natura stessa del prodotto, in quanto forma necessaria per ottenere un risultato tecnico o forma che dà un valore sostanziale al prodotto (Cass. 29 ottobre 2009, n. 22929).

In ogni caso, recepiti dall’ordinamento positivo tali concetti, va altresì precisato che il principio di correttezza, enunciato in senso generale dall’art. 2598, comma 1, n. 3, c.c., costituisce anche il limite della teoria della c.d. forma necessaria e della c.d. forma sostanziale.

Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha accertato l’estrinsecità della forma rispetto al prodotto ed ha escluso che la prima sia carattere indefettibile del secondo: essa ha affermato la validità del marchio, perché è dato di distinguere chiaramente tra la forma ed il prodotto come realizzato.

La Corte territoriale ha dunque escluso sia possibile nella specie, in punto di fatto, individuare sia una “forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico”, sia una “forma che dà un valore sostanziale al prodotto”, la cui proteggibilità come marchio sia esclusa dall’art. 9, lett. b) e c), cod. propr. ind.

La corte territoriale si è attenuta ai ricordati principi ed ha proceduto quindi, sul piano concreto, ad accertare che, nella specie, la forma del contenitore dei confetti non costituisca una soluzione di carattere tecnico ad un problema di tal fatta, aggiungendo che ciò viene sul piano logico confermato proprio dalla sicura possibilità che il contenitore assuma altre forme, senza pregiudizio funzionale al fine di contenere e distribuire i confetti, proprio perché non è forma che costituisca pura la soluzione ad un problema tecnico.

Non sussistono, pertanto, le lamentate violazioni di legge, giacché la sentenza, che muove da esatti princip? giuridici, ha raggiunto la sua statuizione sulla base di un accertamento di fatto incensurabile>>.

REsponsabilità contrattuale della scuola per danno autocagionatosi dall’alunno: non sempre ricorre

Cass. Sez. III, Ord., 30 maggio 2023, n. 15190; Rel. Spaziani:

<<1.1.a. la Corte d’appello, qualificata la responsabilità dell’amministrazione scolastica come responsabilità contrattuale, ha correttamente individuato la regola di riparto dell’onere della prova, in quanto ha ritenuto che gravasse sull’attrice l’onere di provare la fonte del suo credito e il danno, nonché quello di allegare l’inadempimento o l’inesatto adempimento dell’obbligazione di vigilanza
gravante sulla convenuta, mentre spettasse a quest’ultima la prova, da offrirsi anche in via presuntiva, dell’esatto adempimento di tale obbligazione o della causa imprevedibile e inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione che ne forma oggetto (Cass.31/03/2021, n. 8849; Cass.17/02/2023, n. 5118; in generale, v. Cass., Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533);
1.1.b. movendo da tale corretta ripartizione dell’onere probatorio, la Corte territoriale ha poi ritenuto che quello, gravante sull’amministrazione convenuta, di dimostrare il regolare adempimento dell’obbligo di sorveglianza degli alunni, potesse ritenersi assolto, nel caso concreto, in seguito all’emersione della circostanza che tanto le condizioni oggettive dello stato dei luoghi (non essendo stata evocata l’usura dei gradini o la loro scivolosità, nè essendo stata dedotta la contemporanea presenza di più alunni) quanto le condizioni subiettive dell’allieva (dotata di sufficiente grado di sviluppo psico-motorio e di piena autonomia e capacità di deambulazione) ne rendevano inesigibile una sorveglianza continua nel tratto che separava l’aula di lezione dai bagni;
l’accertamento, in concreto, dell’esatto adempimento del debitore, in base alle prove da esso fornite o comunque emerse in giudizio, costituisce – ove, come nella specie, debitamente motivato – l’oggetto di un giudizio di merito, insindacabile in sede di legittimità;>>

Nullità del marchio perchè domandato in mala fede: estensione merceologica del giudizio

Trib. UE 22 marzo 2023, T-366/21, Coinbase c. EUIPO+bitFlyer:

<<34  Furthermore, in order to determine whether the applicant is acting in bad faith, all the relevant factors specific to the particular case which pertained at the time of filing the application for registration of the sign as an EU trade mark must be taken into consideration, in particular: (i) the fact that the applicant knows or must know that a third party is using, in at least one Member State, an identical or similar sign for an identical or similar product capable of being confused with the sign for which registration is sought; (ii) the applicant’s intention to prevent that third party from continuing to use such a sign; and, (iii) the degree of legal protection enjoyed by the third party’s sign and by the sign for which registration is sought (judgment of 11 June 2009, Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli, C‑529/07, EU:C:2009:361, paragraph 53).

35 However, it is apparent from the wording used by the Court of Justice in the judgment of 11 June 2009, Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli (C‑529/07, EU:C:2009:361), that the factors listed are merely examples drawn from a number of factors which may be taken into account in order to decide whether the applicant for registration of a sign as an EU trade mark was acting in bad faith at the time of filing the application for the mark. In that regard, it should be noted that, in the context of the overall analysis undertaken pursuant to Article 52(1)(b) of Regulation No 207/2009, account may also be taken of the origin of the sign and its use since its creation, the commercial logic underlying the filing of the application for registration of that sign as an EU trade mark, and the chronology of events leading up to that filing (see judgment of 16 December 2020, Pareto Trading v EUIPO – Bikor and Bikor Professional Color Cosmetics Małgorzata Wedekind (BIKOR EGYPTIAN EARTH), T‑438/18, not published, EU:T:2020:630, paragraph 21 and the case-law cited).

36 Having regard to the foregoing considerations and in the light of the applicant’s arguments, it is necessary to assess whether the Board of Appeal correctly took into consideration all the relevant factors specific to the particular case which pertained at the time of filing the application for registration by the proprietor of the contested mark.

37 It must be borne in mind that the Board of Appeal considered, in essence, in paragraph 14 of the contested decision, that the scope of the appeal was limited to whether the proprietor of the contested mark acted in bad faith in relation to the dissimilar goods and services in respect of which the mark remained valid. That definition of the scope of the dispute was in line with the applicant’s appeal before the Board of Appeal, which sought the annulment of the decision of the Cancellation Division only in so far as it had rejected the application for a declaration of invalidity, namely for the dissimilar goods and services.

38 However, even if the scope of the appeal before the Board of Appeal was limited to the dissimilar products and services, in order to take into consideration all the relevant factors specific to the particular case when assessing bad faith, in accordance with the case-law referred to above, the Board of Appeal should nevertheless have taken into consideration the similar products and services. Those goods and services formed part of those referred to by the proprietor of the contested mark at the time of filing its application for registration. Therefore, the assessment of bad faith by the Board of Appeal should have also covered the similar goods and services and the evidence relating to them>>.

Il Trib. annulla la decisione del board of appel accogliendon e l’impugnazione.