Di marchi numerici/alfabetici e di buona fede

Tre notazioni su Trib. Milano n. 6542/2021 del 27 luglio 2021, RG 32332/2016, rel. Fazzini E.:
1°)  <<. Il Collegio ritiene, comunque, che tale eccezione
sia anche infondata, atteso che essa si basa esclusivamente sul fatto che esso sarebbe formato da
semplici lettere dell’alfabeto, “senza alcuna caratteristica di fantasia”, dovendosi ritenere al riguardo
che i marchi numerici (o alfabetici) sono privi di tutela solo quando sono usati per esigenze di
comunicazione imprenditoriale, come per indicare la serie o il tipo di prodotto o la loro quantità, ma
non quando sono utilizzati, come nel caso di specie, in funzione distintiva, tenuto conto che l’art. 7
c.p.i. prevede espressamente che possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa
tutti i segni, in particolare, fra gli altri, le parole, compresi i nomi di persone, i disegni e le lettere. Si
ritiene, in particolare, che il marchio, rappresentato da lettere dell’alfabeto, non possa automaticamente
essere considerato nullo, o comunque debole, essendo, comunque, necessaria la prova contraria da
parte di chi ne contesti la validità come marchio, la quale, nel caso di specie, non è stata in alcun modo
fornita>>

2°)   <<Alla luce di tale motivazione, il Collegio ritiene, pertanto, tenuto conto della pluralità dei casi indicati
da parte attrice e non oggetto di specifica contestazione e del comportamento assunto dal Riva Faccio e
dalla società convenuta anche nelle more del giudizio, continuando a porre in essere atti in violazione
dell’accordo, che sia provata la reiterata violazione degli obblighi negoziali per la palese e insistita
inosservanza sia di quanto sancito specificatamente nel contratto, concluso tra le parti nel novembre
2012, sia del canone della buona fede nella sua esecuzione. Si ritiene, in particolare, alla luce del consolidato indirizzo interpretativo della Suprema Corte, che la buona fede nella esecuzione del
contratto si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in
modo tale da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali,
quanto dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, trovando tale impegno solidaristico il suo
limite precipuo unicamente nell’interesse proprio del soggetto, tenuto, pertanto, al compimento di tutti
gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte,
nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico (cfr. per tutte Cass. 4
maggio 2009, n. 10182). Si ritiene, pertanto, come già affermato anche da questo tribunale, che un
compromesso negoziale fondato anche su particolari piccoli impone alle parti di uniformare i propri
comportamenti a un livello molto elevato di correttezza, tale da evitare che anche in via indiretta si
possano generare o anche solo avallare fraintendimenti ed equivoci (cfr. tribunale di Milano, sentenza
6454/2016, pubblicata il 26.05.2016). La violazione continuata e duratura delle disposizioni
contrattuali, nonché del canone di lealtà costituisce inadempimento contrattuale di indubbia rilevanza e
oggettiva gravità, tale, quindi, da giustificare l’accoglimento della domanda di risoluzione. Trattandosi
di contratto a esecuzione continuata, in conformità della previsione di cui all’art. 1458 c.c., l’efficacia
della pronuncia retroagisce al momento della litispendenza, con conseguente cessazione degli effetti
dei contratti alla data della notificazione dell’atto di citazione introduttivo del presente giudizio,
effettuata in data 20.05.2016 (cfr. Cass. 20894/2014)>>.

3°)  danno da royalties ipotetiche: 15% del fatturato (ammontare assai diffuso)

Concorrenza sleale per violazione di norme pubblistiche (art. 2598 n.3 c.c.)

Cass. sez. I dell’8 maggio 2023 n. 12.049, rel. Ioffrida :

<<In effetti, con riguardo alla violazione dell’art. 2598 c.c., n. 3, la sola violazione di norme pubblicistiche non implica necessariamente, attesa la moltitudine di norme che incidono sullo svolgimento dell’attività imprenditoriale, il compimento di un atto di concorrenza sleale, ai sensi dell’art. 2598 c.c., n. 3, occorrendo distinguere tra norme che sono rivolte a porre dei limiti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, la cui violazione implica sempre un atto contrario ai principi di correttezza professionale e dunque di concorrenza sleale, e norme che impongono dei costi alle imprese operanti sul mercato (ad es. le disposizioni fiscali, le prescrizioni igienico-sanitarie ovvero anche le norme che subordinano l’esercizio di determinate attività imprenditoriali all’ottenimento di licenze o di autorizzazioni, implicanti comunque anche dei costi), la cui violazione può costituire l’antecedente di un atto di concorrenza, fonte di danno concorrenziale, ovvero servire per sostenere un ribasso dei prezzi o misure equivalenti, divenendo in tal caso la violazione della norma di diritto pubblico indirettamente la fonte di un illecito concorrenziale; deve essere data, in sostanza, dall’imprenditore che si duole della condotta del concorrente, dimostrazione non tanto della violazione di norme amministrative, quanto anche del compimento di atti di concorrenza potenzialmente lesivi dei propri diritti, mediante malizioso ed artificioso squilibrio delle condizioni di mercato (cfr. Cass. 8012/2004: in applicazione di tale principio la Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la sussistenza dell’illecito concorrenziale nel fatto di un gestore di una sala cinematografica che aveva solo ampliato la capienza del locale, portandolo da 308 a 1000 posti, senza alcuna autorizzazione amministrativa; cfr. anche, in motivazione, Cass. 9770/2018).

Ora, dalla sentenza impugnata emerge che l’illecito concorrenziale contestato ed accertato di Geoeco Italia consisteva nell’avere esercitato, dal 2002 al 2004, attività commerciali di ristorazione e market in aree nelle quali erano stati compiuti abusi edilizi (con mutazione della destinazione d’uso di alcuni ambienti) e che erano state peraltro trasferite al patrimonio comunale, oltre che in assenza di autorizzazione amministrativa, il tutto all’interno dello stesso complesso villaggio turistico ove la In. Tu.Ga. svolgeva regolarmente (essendo state respinte le domande riconvenzionali delle convenute Geoeco Italia e Gargano Progetti nei sui riguardi, sempre ex art. 2598 c.c.), sulla base di titoli abilitativi, per il periodo 2000/2005, attività ricettiva ed anche di somministrazione, alimenti e bevande. E rilevava il particolare settore e la tipologia di attività turistico – ricettiva svolta dalla concorrente danneggiata In. Tu.Ga., necessitante di un complesso di autorizzazioni amministrative per il legittimo esercizio.

Peraltro la vicenda dell’esecuzione ed ottemperanza del giudicato amministrativo traslativo della proprietà delle aree non è conferente rispetto al presente contenzioso che attiene all’illecito concorrenziale posto in essere dalla Geoeco Italia in danno alla In. Tu.Ga. in relazione all’esercizio di attività commerciale di vendita di prodotti alimentari e ristorazione, in assenza delle necessarie autorizzazione della pubblica amministrazione>>

Discorso un pò (come spesso) fumoso dato che il giudice deve dire se e in che modo la violazione abbia procurato vantaggi concorrenzialmente illeciti.

La decorrenza degli effetti della fusione per incorproazione: serve anche la prova della cancellazione dell’incorporata

Cass. sez. 3 del 8 maggio 2023 n. 12128, rel. Rossi Raff., ai fini della legittimazione ad impugnare:

<<2.2. Muovendo all’esame nel merito del motivo, dirimente valenza assume, al riguardo, il dettato dell’art. 2504 c.c., comma 2, (“L’atto di fusione deve essere depositato per l’iscrizione, a cura del notaio o dei soggetti cui compete l’amministrazione della società risultante dalla fusione o di quella incorporante, entro trenta giorni, nell’ufficio del registro delle imprese dei luoghi ove è posta la sede delle società partecipanti alla fusione, di quella che ne risulta o della società incorporante”) e dell’art. 2504-bis c.c., comma 2, (“La fusione ha effetto quando è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte dall’art. 2504”).

Sulla corretta lettura ermeneutica di tali norme e sull’efficacia della vicenda societaria, si è espressa, di recente, questa Corte, nella sua composizione tipica di organo della nomofilachia, chiarendo che gli effetti giuridici della fusione tra società “si producono dal momento dell’adempimento delle formalità pubblicitarie, concernenti il deposito per l’iscrizione del registro delle imprese dell’atto di fusione previsto dalla norma, avente efficacia costitutiva, con la precisazione che, a mente dell’art. 2504 c.c., comma 3, il deposito relativo alla società risultante dalla fusione o di quella incorporante non può precedere quelli relativi alle altre società partecipanti alla fusione” (Cass., Sez. U, 30/07/2021, n. 21970).

Sulla scorta dell’enunciato principio di diritto – al quale si intende dare convinta continuità – errato si appalesa l’apprezzamento del giudice territoriale, estrinsecato in parte motiva nella (invero alquanto anapodittica) affermazione per cui la banca appellante “che aveva in origine prodotto solo l’atto pubblico ha correttamente, in risposta, documentato l’espletamento delle successive attività necessarie affinché la fusione fosse pienamente efficace erga omnes” (così la sentenza impugnata, alla pag. 12, punto 21).

Ed invero, dall’esame dei documenti versati dall’appellante nel fascicolo del giudizio di secondo grado e specificamente richiamati dall’odierno ricorrente (atti alla cui lettura questa Corte è abilitata, poiché sollecitata allo scrutinio di un error in procedendo), risulta, con inequivoca chiarezza, l’omessa asseverazione della cancellazione della società incorporata, Banco Popolare, dal Registro delle Imprese di Verona (luogo di allocazione della sede legale di detta società), alcun riscontro attestante detto adempimento essendo stato prodotto.

Mancando, per l’effetto, la possibilità di verificare la completezza delle formalità pubblicitarie afferenti la fusione societaria e la regolarità della sequenza cronologica delle stesse, non poteva considerarsi fornita la prova, ad opera della società appellante (Banco BPM S.p.A.), della asserita qualità di successore della parte soccombente in prime cure (Banco Popolare società cooperativa) e, quindi, della legittimazione ad impugnare la pronuncia resa dal Tribunale di Avezzano>>.

Curiosa è la precisazione per cui serve anche la prova di avvenuta cancellazione della incorporata. Infatti la legge non ne parla: le iscrizioni dell’art. 2504 cc,  cui rinvia l’art. 2504 bis c.2, non concernono tale cancellazione ma solo l’atto di fusione.

Conseguenza pesante (anche per i difensori …), dato che così è passata in giudicato la sentenza di primo grado : la quale , pur accogliendo in misura ridotta la domanda, pur sempre aveva condannato la banca ad un milione e mezzo di euro di danni.

La relazione investigativa costituisce prova atipica liberamente valutabile dal giudice nel processo di separazione dei coniugi

Cass. sez. I n° 15196 del 30 maggio 2023, rel. Tricomi:

<<Il motivo di ricorso in esame investe, non un fatto inteso in senso
storico e avente valenza decisiva, ma elementi probatori suscettibili
di valutazione, come appunto la relazione investigativa rientrante tra
le prove atipiche liberamente valutabili nel giudizio civile ai sensi
dell’art. 116 cod.proc.civ., di cui il giudice è legittimato ad avvalersi,
atteso che nell’ordinamento processuale vigente manca una norma
di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova (v. Cass. n.
7712/2023, proprio in tema di relazione investigativa; Cass. n.
1593/2017; Cass. n. 18025/2019; Cass. n. 3689/2021; su
accertamenti tramite agenzia investigativa v. anche Cass. n. 15094/
2018; Cass. n. 11697/2020)>>.

Sempre che non sia confermata dall’investigatore come testimone, naturalmente: a quel punto il mezzo probatorio -presumibilmetne più persuasivo- sarà la testimonianza.

(segnalazione di V. Cianciolo su Ondif)