Impugnazione della delibera di revoca da parte di amministratore di s.p.a.: il caso della utility AGSM AIM spa

Trib. Venezia decr. 1644/2023 del 03.07.2023, RG 1909/2023-1, rel. Tosi, sul tema con alcuni spunti interessanti:

– l’amministratore revocato è legittimato (ed ha interesse) ad impugnare la delibera dei soci che lo revoca: corretto, poichè il vizio dedotto sta a monte della perdita della carica.

– la giusta causa conta solo ai fini del risarcimento, non della efficacia della delibera: corretto e pacifico , essendo la revoca immediata ed incondizionata.

– l’abuso nel voto da parte di in socio . E’ la parte più interessante dato che qui è fatto valere da un non socio (l’ammministratore) contro la società-

<<L’abuso del voto è figura giuridica che si impernia sulla regola per cui anche il contratto di società, come ogni altro, va eseguito in buona fede; e riguarda il caso in cui il voto sia esercitato in modo contrario alla buona fede. Il tema non riguarda pertanto l’astratto interesse della società, ma i rapporti fra i soci, parti del contratto. In linea generale ogni socio persegue, nell’esercitare i suoi diritti sociali, propri interessi ed è libero di esercitare il proprio voto come meglio crede, nell’interesse proprio [entro quelli dedotti -espicit. o implicit.  nel contratto sociale!]. Si configura abuso di maggioranza (così si intende configurato dal ricorrente il comportamento di voto del socio Verona) solo quando l’esercizio del voto da parte della maggioranza avviene al solo scopo di ledere l’interesse della minoranza [meglio: quando è difforme dallo scopo di produrre profitto sostenibile]. Diversamente, la divergenza di voto fra soci è fisiologia della vita sociale: nel caso in esame, peraltro, al dissenso fra soci in occasione della revoca dell’avv. Casali e della consigliera Vanzo, è seguita concordia nella scelta dei successori suo e della consigliera Vanzo.

In ogni caso, rispetto al requisito fondante l’abuso (l’esercizio del voto a soli fini di lesione del socio di minoranza) nulla viene allegato dal ricorrente. Egli invece chiede che il giudice si addentri nella verifica di quale sia la migliore scelta, fra le varie possibili ai soci rispetto all’ordine del giorno assembleare, rispetto alla governance sociale; il giudice dovrebbe entrare a gamba tesa nelle scelta dei soci, valutando se il voto del Comune di Verona sia conforme all’interesse sociale e addirittura apprezzando la qualità dell’operato dei consiglieri rimasti e di quelli sostituitivi, come la parte ricorrente chiede di fare nel momento in cui intende verificare i contenuti del procedimento ex art. 2409 c.p.c. che essa allega sia stato incardinato avanti a questa Sezione contro il nuovo CdA. A questo proposito, non solo non spetta al giudice operare una valutazione di opportunità della scelta della compagine sociale in punto nomina amministratori nella prospettiva ex ante, l’unica eventualmente ipotizzabile, dal punto di vista logico [punto di cvista “giuridico”, non logico!. Può poi appplicarsi la business judgment rule anche nella delibera dei soci , come per le scelte gestorie: se irrazionale -cioè in malafede- , è illegittima], rispetto alla valutazione della liceità della delibera; ma tanto meno spetta una valutazione alla luce di fatti posteriori, peraltro essi stessi sub iudice [ovvio, nemmeno andava precisato: conta solo l’ ex ante].

In realtà, nella fattispecie dell’abuso , la verifica dell’interesse sociale costituisce più che altro uno strumento di controllo, nel senso che la difficoltà di ravvisare un apprezzabile interesse sociale può costituire elemento che sorregge la verifica dello scopo lesivo; e comunque si tratta di elemento sussidiario, non principale, della fattispecie. La verifica stessa dell’interesse sociale è materia assai delicata, e tanto più lo è nel caso concreto, dove, in una prospettiva diversa da quella dell’amministratore revocato, e pur sempre riferita all’interesse sociale, va considerato che a consiglieri “divisivi” sono stati sostituiti consiglieri votati conformemente dai due soci. Questo aspetto fattuale pare peraltro rilevante anche rispetto all’apprezzamento del periculum in mora, ex  art. 2378 comma 3 c.c.>>.

Spunto finale:

<<In ogni caso, non è neppure allegato che il socio maggioritario Verona abbia votato a soli fini di lesione del socio minoritario Vicenza; e tanto basta in questa sede, non meritando addentrarsi nella verifica (che pure non appare peregrina) se all’amministratore spetti l’azione di annullamento per abuso, non essendo egli un socio>>.       Dubbio interessante posto dal giudice: ma la risposta è positiva sia qualora l’effetto si riverberi -non come mero fatto ma precisa conseguenza giuridica- sul rapporto tra società e amministratore sia per la legittimazione all’impugnazione delle delibere illegittime dei soci spettante all’amministratore.

Il ruolo del colore nei marchi figurativi semplici (chevrons zig-zag, strisce etc.)

Marcel Pemsel in IPKat dà notizia di un interssante ed analitica decisione di appello dell’ufficio di Alicante relativa ad un marchio composto da due freccette (chevrons) che però erano state poi usate a colori invertiti.

marchio depositato

Si tratta di EUIPO 2nd board of appel 10.03.2023,  case R 1422/2022-2, Barry’s Bootcamp Holdings, LLC v. HUMMEL HOLDING A/S .

L’ufficio svaluta il ruolo del colore e dice che l’inversione non altera la distintività (la domanda era di revoca per non uso) , sempre che la figura non sia banale o troppo semoplice.    Il rif. è all’art. 18.1.a) del reg. 1001 del 2017.

” § 53   However, the contested IR in the present appeal is not extremely simple unlike the aforementioned case with three parallel black lines, that did not even have the minimum degree of distinctive character. It is not denied that the distinctiveness of the two-chevron device is somewhat below average. Nevertheless, the sign in question consists of two identical chevrons, which are not basic geometric shapes (by analogy, 07/09/2022, R 615/2022-2, Gelber Strich mit linkem Knick (fig.), § 14). What characterises this sign is the outline of the two chevrons, their equal thickness and width and the equal distance between them. Chevrons or V-shaped marks can be presented in multiple ways showing different characteristics (as shown for instance in the examples of registered EUTMs provided by the IR holder on 18 June 2020: , , , , etc.). In contrast, the thickness of the lines and the space between them are the sole features that set a sign made of three vertical lines apart from others. Consequently, even minor changes are able to change the distinctive character of three vertical lines. Following from the above, the Board is of the opinion that the use of the sign does not alter the distinctive character of the contested IR . This is because the chevrons maintain the same outline, the same distance between them, they have an identical thickness and width”.

La posizione dell’Ufficio è di dubbia esattezza ,  stante l’importanza che il colore riveste nella moda di largo consumo: ma alla fine è forse esatto che il cunsumatore ricolleghi il segno nuovo (con colori invertiti) al precedente ed originario

Prima decisione sulla normativa riformata del diritto di autore: Trib. Roma 1094/2023, RG 2312/2022, segnalata e linkata dal prof. Paolo Cuomo.

Il giudice affronta una questione preliminare di di diritto transitorio e cioè l’applicabilità del novellato art. 110 septies l. aut. ai contratti anteriori: e la risolve in senso negativo.

Del resto il tenore della pertinente norma della  dir. e del ns. d. lgs. 177/2021 (art. 3: <<1. Le disposizioni del presente decreto si applicano anche alle opere e agli altri materiali protetti dalla normativa nazionale in materia di diritto d’autore e diritti connessi vigente alla data del 7 giugno 2021. Sono fatti salvi i contratti conclusi e i diritti acquisiti fino al 6 giugno 2021>>. ) non lascia spazio a dubbi di sorta.  Qualunque contratto anteriore, anche se ancora efficace alla data di entrata in vigore, non è governato dalla novella.

Il giudice poi rigetta la domanda sotto il profilo del diritto comune (risoluzione contrattuale ex art. 1453 ss c.c.) non ravvisando inadempimento . Ma questo attiene alle circostanze del caso .

Piuttosto, non risulta esplorata la possibilità interpretativa di far sorgere/esplicitare un dovere di sfruttamento (rimasto poi eventualmente inadempiuto) sulla base del dovere di eseguire il contratto secondo buona fede.

Trib. Roma sul ruolo di SIAE e sulla “bollinatura” dei supporti digitali

Trib. Roma n° 9315/2023 del 12.06.2023, RG 57860/2018, rel. Garrisi:

<<La funzione del contrassegno è quello di autenticazione del prodotto ai fini della sua commercializzazione, in modo da garantire il consumatore, attraverso
uno strumento di immediata verificabilità, che il prodotto acquistato è legittimo e non un c.d. “prodotto pirata”. Si tratta di una funzione eminentemente pubblica a vantaggio della collettività e  non del richiedente che ne sopporta il costo: il che spiega l’obbligatorietà ex lege del contrassegno
e la sanzione penale per l’ipotesi della mancata apposizione del medesimo sul prodotto (L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. d), come modificata dal D.Lgs. n. 68 del 2003, art. 26). (…)

A norma dell’art. 180 della legge sul diritto d’autore, l’oggetto principale dell’attività della SIAE, quale Organismo di Gestione Collettiva, è l’intermediazione per l’esercizio dei diritti di rappresentazione, esecuzione, recitazione, radiodiffusione e riproduzione meccanica e cinematografica di opere tutelate dalla legge d’autore, connotata dai seguenti tre contenuti:
– la stipulazione, per conto e nell’interesse degli aventi diritto, dei necessari negozi privatistici, che la legge definisce licenze ed autorizzazioni, con i grandi e piccoli utilizzatori delle opere ad essa affidate per la gestione dei vari diritti;
– l’incasso delle royalties versate per l’utilizzazione delle opere;

– la ripartizione dei proventi di cui sopra tra gli aventi diritto.
L’attività della SIAE non pregiudica tuttavia la facoltà dell’autore dell’opera di esercitare direttamente i propri diritti. (…)

Con l’introduzione dell’obbligo di apporre il contrassegno si è, infatti, voluto consentire di effettuare una rapida verifica sulla produzione e sulla commercializzazione dei supporti nel rispetto dei diritti dell’autore dell’opera riprodotta. Il contrassegno consente, inoltre, ai consumatori di accertare la provenienza lecita del prodotto acquistato, tutelando in tal modo anche il consumatore in ordine alla liceità della produzione e della vendita del prodotto
acquistato.(…)

Nel caso di specie, premesso in fatto e diritto quanto sopra, non è configurabile alcun rapporto negoziale tra le parti, atteso che l’attività accertativa da parte della convenuta consistente nella apposizione del contrassegno su ogni supporto su cui viene impressa un’opera tutelata dalla legge sul diritto d’autore discende direttamente dalla legge, segnatamente dal citato articolo 181-bis L.A., senza che possa considerarsi instaurato tra l’attrice e la convenuta alcun contratto da cui far discendere l’obbligo in capo a quest’ultima di apporre i contrassegni su cui si
controverte.
La natura tributaria del contrassegno predicata dalla giurisprudenza prevalente esclude la sinallagmaticità del rapporto inter partes, non essendo quindi configurabile alcun obbligo contrattuale a carico della convenuta.
Quanto alla pretesa risarcitoria, non è ravvisabile la condotta illecita da parte della SIAE.
L’attrice deduce di aver inviato, in data 23/8/2016, le richieste di rilascio dei contrassegni (cfr. doc. 1 allegato all’atto di citazione).
Tuttavia la convenuta ha dato ampia prova documentale del fatto che le richieste inviate erano irregolari in relazione alla compilazione di modelli appositi, con la conseguenza che ciò ha reso necessaria una interlocuzione tra le parti ed il compimento di una ulteriore attività accertativa da parte della convenuta.
L’ampia corrispondenza intercorsa tra le parti dimostra che la convenuta, riscontrata l’irregolarità nella compilazione dei moduli di richiesta di rilascio dei contrassegni – con particolare riferimento alla sottoscrizione mediante scansione anziché in via telematica, all’incompletezza dei moduli e delle varie sezioni – ha sempre e tempestivamente richiesto le necessarie modificazioni o integrazioni (cfr. doc. da 5 a 7 e da 17 a 30 allegati alla comparsa di costituzione)>>.

Da vedere se la non contrattualità vale anche dopo la dir. 26 del 2014 il cui art. 5.2 recita: <<I titolari dei diritti hanno il diritto di autorizzare un organismo di gestione collettiva di loro scelta a gestire i diritti, le categorie di diritti o i tipi di opere e altri materiali protetti di loro scelta, per i territori di loro scelta, indipendentemente dallo Stato membro di nazionalità, di residenza o di stabilimento dell’organismo di gestione collettiva o del titolare dei diritti. A meno che non abbia ragioni oggettivamente giustificate per rifiutare la gestione, l’organismo di gestione collettiva è obbligato a gestire tali diritti, categorie di diritti o tipi di opere e altri materiali protetti, purché la gestione degli stessi rientri nel suo ambito di attività>>.

Capacità lavorativa generica e specifica, danno biologico e danno patrimoniuakle in un caso di malpractice sanitaria con invalidità al 100 per cento

Cass.  n. 16.844 del 13.06.2023, sez. 3, rel. Cirillo:

<<La sentenza, infatti, muove da una premessa corretta – e cioè che la danneggiata “ha subito la perdita totale della capacità lavorativa generica” – per poi pervenire ad una conclusione non coerente con la premessa. Si legge nel successivo passaggio, infatti, che “non vi è prova della perdita di una concreta capacità reddituale della minore ovvero di una capacità lavorativa specifica risarcibile, nella specie non configurabile nemmeno in via potenziale e futura, dovendosi escludere che la danneggiata potrà mai intraprendere un’attività lavorativa”. Di talché, in conclusione, la Corte di merito ha ritenuto sufficiente, ai fini risarcitori, il risarcimento della capacità lavorativa generica “compresa nel danno biologico”.

Tale valutazione, però, non considera che la giurisprudenza di questa Corte alla quale la sentenza impugnata chiaramente si riferisce, pur senza richiamarla formalmente, è stata dettata per percentuali del danno biologico assai più contenute, le quali lasciano evidentemente intatta, in misura maggiore o minore, una residua capacità lavorativa. E’ stato infatti affermato da questa Corte che il danno patrimoniale futuro conseguente alla lesione della salute è risarcibile solo ove appaia probabile, alla stregua di una valutazione prognostica, che la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell’infortunio, mentre il danno da lesione della “cenestesi lavorativa”, che consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell’attività lavorativa, non incidente neanche sotto il profilo delle opportunità sul reddito della persona offesa, si risolve in una compromissione biologica dell’essenza dell’individuo e va liquidato in modo unitario come danno alla salute, potendo il giudice, che abbia adottato per la liquidazione il criterio equitativo del valore differenziato del punto di invalidità, anche ricorrere ad un appesantimento del valore monetario di ciascun punto (così le ordinanze 9 ottobre 2015, n. 20312, 22 maggio 2018, n. 11750, nonché la sentenza 4 luglio 2019, n. 17931).

Questa giurisprudenza, però, si riferisce – come risulta dalla lettura integrale dei provvedimenti citati e dalle fattispecie ivi regolate – a postumi di invalidità permanente bassi, o comunque contenuti entro una soglia (orientativa) del 25 per cento (v. la sentenza 12 giugno 2015, n. 12211, richiamata e chiarita dalla citata sentenza n. 17931 del 2019).

E’ evidente, invece, che in presenza di un soggetto che è divenuto invalido al 100 per cento fin dalla nascita a causa di una malpractice sanitaria, com’e’ avvenuto nel caso di specie, ogni discussione circa la distinzione tra capacità lavorativa generica e specifica e sulla possibile ricomprensione del danno patrimoniale in quello biologico è del tutto fuor di luogo. P.G., che oggi ha quasi trent’anni, non solo non è in grado di svolgere, all’attualità, alcuna attività lavorativa, ma neppure potrà mai svolgerla in futuro, data la gravità e l’irreversibilità della sua condizione (come del resto ammette la stessa Corte napoletana nel passaggio che sopra si è riportato).    In una situazione del genere non ha senso compiere alcuna previsione di quella che potrà essere, in futuro, l’attività lavorativa svolta dalla danneggiata; ma è palese che la persona danneggiata certamente ha patito, in conseguenza del fatto dannoso, la definitiva e totale perdita della sua capacità di lavoro, pur non potendosi fare riferimento alla capacità di lavoro specifica, posto che la parte non ha mai lavorato. E tale perdita dovrà essere risarcita a titolo (anche) di danno patrimoniale e non certo (soltanto) di danno biologico, proprio per il fatto che la vittima non potrà mai svolgere alcuna attività lavorativa in conseguenza del fatto dannoso.

2.3. La sentenza impugnata, quindi, deve sul punto essere cassata, in considerazione dell’errore commesso dalla Corte d’appello là dove ha automaticamente ricondotto il danno da lesione della capacità lavorativa generica (totale, nel caso in esame) al danno biologico, rigettando la domanda di risarcimento del danno patrimoniale.

A questo compito dovrà provvedere il giudice di rinvio, che potrà giovarsi della consolidata giurisprudenza di questa Corte in base alla quale “un danno patrimoniale risarcibile può essere legittimamente riconosciuto anche a favore di persona che, subita una lesione, si trovi al momento del sinistro senza un’occupazione lavorativa e, perciò, senza reddito, in quanto tale condizione può escludere il danno da invalidità temporanea, ma non anche il danno futuro collegato all’invalidità permanente che, proiettandosi appunto per il futuro, verrà ad incidere sulla capacità di guadagno della vittima” (così la sentenza 9 novembre 2021, n. 32649). Tale risarcimento spetta al soggetto già percettore di reddito da lavoro, ma anche a chi non lo sia mai stato e, in difetto di prova rigorosa del reddito effettivamente perduto o non ancora goduto dalla vittima, potrà essere liquidato con il criterio (residuale) del triplo della pensione sociale, oggi assegno sociale, in assenza di un ragionevole parametro di riferimento (v. la sentenza in ultimo citata, nonché le ordinanze 4 maggio 2016, n. 8896, e 12 ottobre 2018, n. 25370, le quali ribadiscono il carattere residuale del criterio della liquidazione con il triplo della pensione sociale)>>.

Sulla cessazione del dovere di mantenimento del figlio maggiorenne

Cass. sez. 1 n. 19530 del 10.07.2023, rel. Pazzi:

<<6.2 Va poi escluso che la condizione di disoccupazione rimanga a
carico del genitore attraverso una perpetuazione ad libitum
dell’obbligo di mantenimento.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte a questo proposito il figlio
di genitori divorziati, il quale abbia ampiamente superato la
maggiore età e non abbia reperito, pur spendendo il conseguito titolo
professionale sul mercato del lavoro, un’occupazione lavorativa
stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo
economicamente autosufficiente, non può soddisfare l’esigenza a
una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve
aspirare, mediante l’attuazione dell’obbligo di mantenimento del
genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di
dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al
reddito, ferma restando l’obbligazione alimentare da azionarsi
nell’ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di
vita dell’individuo bisognoso (Cass. 29264/2022; Cass.
38366/2021)>>.

Opinione errata : l’art. 337 septies cc fa (a contrario id est implicitamente, ma inequivocamente) cessare il dovere di mantenimento solo al raggiungimento della “indipendenza economica”del figlio.

Trib. Firenze 19.05.2023 n° 1519/2023, RG 16901/2018, rel. Pattonelli (da giurisprudenzadelleimprese.it):

<<Più in generale, la disciplina d’autore non assicura la tutela alle semplici idee,
informazioni, opinioni e teorie espresse nell’opera (come anche chiarito all’art. 9,
comma 2 Accordo TRIPS, all’art. 2, n. 8 L. n. 633/41 e nelle DCE nn. 1991/250 e 1996/9, rispettivamente in tema di programmi per elaboratore e di banche-dati), ma soltanto alle relative forme espressive, ossia alla loro concretizzazione esterna, intesa come rappresentazione nel mondo esterno di un contenuto di idee, fatti, sensazioni, ragionamenti, sentimenti, sicché l’opera dell’ingegno è tutelata soltanto quale espressione, segno palese e concreto della creatività dell’autore, mentre pari tutela non riceve l’utilizzazione dell’argomento o dell’insegnamento espressi nell’opera stessa: ciò in nome di criteri di ragionevolezza, dacché un’esclusiva tanto ampia da abbracciare perfino le idee – ancorché originali – dell’autore o i contenuti dell’opera recherebbe pregiudizio al progresso delle arti e delle scienze. Siffatto principio – esteso anche alle c.d. “idee elaborate”, per tali intendendosi gli schemi che fungono da traccia nello svolgimento di un’attività diretta alla successiva realizzazione di un’opera dell’ingegno completa – è stato ribadito, in particolare, per quanto qui di interesse, con riferimento alle opere di carattere scientifico (Cass. n. 190/62), nel cui ambito, del pari, l’esclusiva deve ritenersi cadere soltanto sull’espressione formale, id est, sulla soluzione espressiva del discorso scientifico, ma non pure sul contenuto intellettuale intrinseco dell’opera scientifica, o sull’insegnamento che da esso può trarsene, dovendo questo invece rimanere a disposizione di tutti, per il progresso delle scienze e della cultura generale (Cass. n. 10300/20; n. 15496/04). E se è pur vero, da un lato, che la visione personale, che dà luogo all’opera dell’ingegno creativa nel senso suindicato, si manifesta non soltanto nella c.d. forma esterna con cui viene espressa l’opera, ossia nell’espressione in
cui l’opera si presenta ai soggetti che intendono fruirne, ma anche nella c.d. forma interna, identificabile con la struttura dell’opera, ovvero con quel nucleo fondamentale che ne costituisce l’originalità creativa, che – come tale – non è appropriabile liberamente dai terzi; è d’altro canto da ribadirsi come, al fine della configurazione di un’opera dell’ingegno, occorra pur sempre una forma esteriore compiuta, determinata e identificabile, in cui la stessa opera si concretizzi e possa pertanto essere percepita come tale all’esterno, non ponendosi altrimenti neppure il problema della sua percezione come frutto dell’attività creativa di un determinato autore.

In altri termini, dunque, un’opera dell’ingegno in tanto riceve protezione, in quanto sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppure minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore, a prescindere dal suo carattere edito o inedito, sempreché, tuttavia, ne sussistano i requisiti della concretezza di espressione, e, dunque, una forma come tale riconoscibile e riconducibile al soggetto autore (Cass. n. 22010/15; n. 18073/12) – come è ben evincibile, anzitutto, dalla lettura della clausola di chiusura di cui all’art. 1 LDA (“in qualunque forma di espressione”) e all’art. 2575 c.c., entrambe presupponenti l’esistenza di un’espressione tangibile e percepibile dell’opera>>

Oper dell’integno non ravvisata nel caso specifico in cui <<secondo le prospettazioni attoree (cfr. pag. 4 citazione), “idea, ricerca, formulazione, programma, progetto ed esecuzione” di un laboratorio scientifico, il LISM, costituirebbero un’opera dell’ingegno da tutelare in suo favore, in quanto diretta promanazione dai suoi studi e dalle sue intuizioni, e di cui, pertanto, lo stesso attore avrebbe dovuto essere ritenuto l’unico autore>>.

Decisione ineccepibile anche se facile.

Diritto di parola della società tramite i suoi amministratori sui temi socialmente divisivi

La Corte del Delaware 27.06.2023 , C.A. No. 2022-1120-LWW, Simeone v. Walt Diusney, sulla nota controversia tra Ron De Santis e la Walt Disney, a seguito della decisione della seconda di opporsi alla legge c.d.  «Don’t Say Gay» (il primo aveva minacciato di far perdere alla seconda benefici fiscali, con esternazione vagamente minatoria).

Il tema è interessnte, divenendo sempre più attuale l’intervento dei CEOs sui temi socialmente significativi.

C’è un profilo esterno (diritto di parola in senso tecnico in capo ad ente lucrativo) e uno interno (doveri del manegement verso i soci): i quali sono correlati (è il secondo a porre limiti al primo?).

Lite nata da istanza di accesso ai libri contabili secondo la Sec. 220, sempre più spesso azionata per facilitare le successive azioni di responsabiiità (v.  saggi di Roy Shapira)

Riporto quanto segue:

<< Far from suggesting wrongdoing, the evidence here indicates that the Board actively engaged in setting the tone for Disney’s response to HB 1557.132 The Board did not abdicate its duties or allow management’s personal views to dictate Disney’s response to the legislation. Rather, it held the sort of deliberations that a board should undertake when the corporation’s voice is used on matters of social significance.

As Chapek told stockholders during Disney’s 2022 annual meeting, the company’s original approach to HB 1557 “didn’t quite get the job done.” The company, facing widespread backlash from its staff and creative talent, changed course after the full Board held a special meeting about “Political Engagement and Communications.” The Board discussed “the communications plan, philosophy and approach regarding Florida legislation and employee response.” Only then did Chapek announce that Disney opposed the bill. The Board’s consideration of employee concerns was not, as the plaintiff suggests, at the expense of stockholders.

A board may conclude in the exercise of its business judgment that addressing interests of corporate stakeholders—such as the workforce that drives a company’s profits—is “rationally related” to building long-term value. Indeed, the plaintiff acknowledges that maintaining a positive relationship with employees and creative partners is crucial to Disney’s success. It is not for this court to “question rational judgments about how promoting nonstockholder interests—be it through making a charitable contribution, paying employees higher salaries and benefits, or more general norms like promoting a particular corporate culture—ultimately promote stockholder value.”>>

Equo compenso anche per le riproduzioni private di trasmissioni televisive, dice l’Avvocato Generale

Secondo le Conclusioni 13.07.2023 dell”AG Collins, C-260/22, Seven.One Enterteinment group c. Coriont Media GmBH, è incompatibile col diritto UE la legge tedesca, laddove  non attriobuisce l’equo compenso agli organismi di radio diffusione sulla riproduzione privatedi loro trasmissioni.

<<§ 41 L’articolo 2, lettera e), e l’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, devono essere interpretati nel senso che ostano a che uno Stato membro preveda un’eccezione per copia privata al diritto esclusivo di riproduzione degli organismi di diffusione radiotelevisiva nelle fissazioni delle loro trasmissioni, escludendo al contempo il diritto a un equo compenso per tale copia qualora essa arrechi loro un pregiudizio più che minimo.

Il fatto che gli organismi di diffusione radiotelevisiva possono avere diritto a un equo compenso ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29 in qualità di produttori cinematografici è irrilevante [giusto ma ovvio]>>.

Circa la possibilità di disapplicare, sempre utile il ripasso:

<<38. La questione che si pone nel caso di specie è se la ricorrente possa invocare l’articolo 2, lettera e), e l’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29 in un procedimento contro la convenuta al fine di ottenere la disapplicazione di una normativa nazionale contrastante con tali disposizioni. L’articolo 288, terzo comma, TFUE stabilisce che le direttive non possono di per sé creare obblighi a carico di soggetti di diritto e quindi non possono essere fatte valere in quanto tale nei confronti di soggetti di diritto dinanzi a un giudice nazionale. Anche se chiare, precise e incondizionate, le disposizioni di una direttiva, come quelle di cui all’articolo 2, lettera e), e all’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29 non consentono al giudice nazionale di disapplicare una disposizione del suo diritto interno ad esse contraria se, in tal modo, venisse imposto un obbligo aggiuntivo a un soggetto di diritto (51).

39. Una direttiva può comunque essere invocata nei confronti di uno Stato membro, a prescindere dalla veste in cui quest’ultimo agisce. Il giudice nazionale è tenuto a disapplicare la disposizione nazionale contraria a una direttiva laddove quest’ultima sia invocata nei confronti di uno Stato membro, degli organi della sua amministrazione, ivi comprese autorità decentralizzate, o degli organismi o entità sottoposti all’autorità o al controllo dello Stato o a cui uno Stato membro abbia demandato l’assolvimento di un compito di interesse pubblico e che dispongono a tal fine di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli (52).

40. All’udienza, sia la convenuta che il governo tedesco hanno confermato che la convenuta è una società di gestione collettiva a cui la legge ha conferito poteri speciali e che deve agire nell’interesse pubblico. Ne consegue che, qualora il giudice del rinvio si trovi nell’impossibilità di interpretare l’articolo 87, paragrafo 4, dell’UrhG in modo conforme agli articoli 2, lettera e), e 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29, la ricorrente può avvalersi di queste ultime disposizioni nella sua controversia con la convenuta per cercare di persuadere tale giudice a disapplicare l’articolo 87, paragrafo 4, dell’UrhG>>.

Quindi verso la collecting,  organo di diritto pubblico, vale l’efficacia verticale delle direttive inattuate.

Sulla (in-)validità di marchio sonoro

Anna Maria Stein in IPKat segnala una decisione dell’ufficio di Alicante che rigetta la domanda di registrazine di marchio musicale (la canzone per bimbi “Johnny Johnny Yes Papa”)

Si tratta di 15.06.2023, applicat. n° 018713855, Mora TV srl (testo inglese automat. trad. qui)

Le ragioni del rigetto attengono alla carenza di distintività; ne è interessante l’applicaizone ai marchi musicali (riporto la sintesi di Anna Maria Stein, ove trovi pure un paio di precedenti amministrativi):

<<a) Length of the sound mark

Although the length of a sound mark does not disqualify it from being considered as an indicator of origin, and the EUTMR is silent in this regard, the EUIPO’s examination guidelines specify the types of sound marks that are not likely to be accepted without proof of acquired distinctiveness, including sounds which are too long to be considered as an indication of origin and sounds which are usually associated with certain goods and services.

b) Lack of easily identifiable and recognisable melodic structure

The sign does not contain an easily identifiable and quickly recognisable melodic structure since it begins with a simple, repetitive motif, which is then accompanied by a few basic tones and sounds, typical of music played in cartoons, movies or songs with lyrics for babies or children. Thus, it does not contain any relevant melodic moment/structure that would allow the public to clearly identify it as a brand, and consequently lacks the ability to function as an identifier of commercial origin.

d) The sound trade mark does not identify the commercial origin of goods or services

Consumers are not in the habit of making assumptions about the origin of products or services in the absence of any graphic or verbal element, because, in general, a sound in itself is not commonly used in any field of commercial practice as a means of identification. However, marketing habits in an economic sector are not fixed and can evolve in a very dynamic way, including through the use of sound trade marks.

When a sound mark consists of non-distinctive/descriptive/generic verbal elements pronounced in a clear manner and without striking or unusual sound elements, the sound mark will be considered non-distinctive.

The trade mark at issue here contains several phrases taken from a song that is very popular throughout the world and for which there are numerous versions and videos that can easily be found on the internet.

e) No acquired distinctive character

According to the EUIPO, the applicant did not submit any opinion polls/surveys or depositions, nor did it provide details of turnover and sales figures or any document regarding investment in advertising and efforts made to promote the brand.

Thus, it was not possible to establish the market share regarding the objected products and services, the intensity, geographical extent and duration of the use of the sound trade mark, or the proportion of the relevant public that identifies the origin of the products and services, before the filing date of the application>>.

Si v. il Chapter 3, § 14 Sound marks, Sect 4 – part B Examination, p. 452 ss, delle Guidelines EUIPO, vers. 1.0, 31 marzo 2023.