Importanti insegnamenti da Cass. sez. II, 4 luglio 2023 n. 18.841, rel Scarpa (segnalazine e testo da Ondif) sul sempre scivoloso tema del rapporto tra collazione e riduzione per lesione di legittima:
<<5.1. Secondo consolidata interpretazione di questa Corte, la collazione presuppone l’esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere, sia pure di modico valore (nella specie, al momento dell’apertura della successione, costituito dal saldo di un conto corrente bancario aperto presso la Banca della Bergamasca: pagina 14 della sentenza impugnata), giacchè se manchi un relictum, non vi è luogo a divisione e, quindi, neppure a collazione, salvo l’esito dell’eventuale azione di riduzione.
In tema di divisione ereditaria, l’istituto della collazione, che, in presenza di donazioni (dirette e indirette) fatte in vita dal de cuius e salva apposita dispensa di quest’ultimo, impone il conferimento del bene che ne è oggetto in natura o per imputazione, ha la finalità di assicurare l’equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti nella formazione della massa ereditaria, così da non alterare il rapporto di valore tra le varie quote determinate attraverso la sommatoria del relictum e del donatum al momento dell’apertura della successione, sicchè il relativo obbligo sorge automaticamente in seguito ad essa, senza necessità di proporre espressa domanda da parte del condividente, essendo a tal fine sufficiente che sia chiesta la divisione del patrimonio relitto e che sia menzionata, in esso, l’esistenza di determinati beni quali oggetto di pregressa donazione. Tuttavia, in caso di donazione indiretta, è pregiudiziale all’obbligo di collazione la proposizione della domanda di accertamento dell’esistenza della stessa (da ultimo, Cass. n. 23403 del 2022).
5.2. Avendosi nel caso in esame riguardo ad una divisione tra legittimari – da operarsi, invero, fra i quattro figli della de cuius – non occorreva affatto proporre azione di riduzione della donazione indiretta oggetto di lite (quella collegata alla sottoscrizione in data (Omissis) di un fondo d’investimento da parte della de cuius del valore di Lire 386.025.295, poi trasferito in data (Omissis) a A.A. e B.B., neppure essendo stata dedotta alcuna prova della volontà della donante di sottrarre la donazione all’obbligo della collazione). Il meccanismo della collazione e dei prelievi è infatti sufficiente a ricondurre le situazioni soggettive dei condividenti alla legge, rimanendo annullato l’effetto della donazione: perciò correttamente la Corte di Brescia, essendo stata proposta da C.C., + Altri Omessi azione di divisione ereditaria tra eredi legittimari, ha fatto applicazione della collazione (art. 737 c.c.), in virtù della quale i beni donati devono essere compresi o conferiti, insieme al relictum, nella massa attiva del patrimonio ereditario, ed avente la funzione di conservare tra gli eredi stessi la proporzione stabilita nel testamento o nella legge, permettendo la divisione tra i coeredi in proporzione delle quote a ciascuno spettanti, in maniera da assicurare l’equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti, indipendentemente dall’esperimento dell’azione di riduzione (che nel caso in esame non poteva effettivamente dirsi proposta con la mera allegazione relativa alla “violazione delle quote di riserva attoree”) (ex multis, Cass. n. 2004 del 21896; n. 15131 del 2005; n. 3013 del 2006; n. 1408 del 2007; n. 41132 del 2021).
Si spiega così che mentre la riduzione sacrifica i donatari nei limiti di quanto occorra per reintegrare la legittima lesa ed è quindi imperniata sul rapporto fra legittima e disponibile, la collazione, nei rapporti indicati nell’art. 737 c.c., pone il bene donato, in proporzione della quota ereditaria di ciascuno, in comunione fra i coeredi che siano il coniuge o discendenti del de cuius, donatario compreso, senza alcun riguardo alla distinzione fra legittima e disponibile.
5.3. Nondimeno, la collazione può comportare di fatto l’eliminazione di eventuali lesioni di legittima, consentendo agli eredi legittimi di conseguire nella divisione proporzioni uguali; il che non esclude che il legittimario possa contestualmente esercitare l’azione di riduzione verso il coerede donatario, atteso che solo l’accoglimento di tale domanda assicura al legittimario leso la reintegrazione della sua quota di riserva con l’assegnazione di beni in natura, privando i coeredi della facoltà di optare per l’imputazione del relativo valore. Al contempo, e in modo speculare, deve riconoscersi che l’azione di riduzione, una volta esperita, non esclude l’operatività della collazione con riguardo alla donazione oggetto di riduzione, fermo restando che mentre la collazione, ove richiesta in via esclusiva, comporta il rientro del bene donato nella massa, senza riguardo alla distinzione fra legittima e disponibile, nel caso di concorso con l’azione di riduzione essa interviene in un secondo tempo, dopo che la legittima sia stata reintegrata, al fine di redistribuire l’eventuale eccedenza, e cioè l’ulteriore valore della liberalità che esprime la disponibile (Cass. n. 28196 del 2020 ; Cass. n. 39368 del 2021 ).
5.4. Anche, del resto, nelle ipotesi in cui sia attribuita al coerede donatario la facoltà di scelta tra il conferimento in natura ed il conferimento per imputazione (art. 746 , comma 1, c.c.), si intende che la stessa spetti pure allorchè il valore del bene donato sia superiore al valore della rispettiva quota ereditaria. L’art. 746 c.c. trova, invero, di regola applicazione nei casi in cui il valore del bene donato sia inferiore, o al massimo uguale al valore della quota spettante al donatario, giacchè se il primo valore sia superiore al secondo il medesimo donatario, chiamato alla successione insieme a coeredi aventi diritto alla collazione, ben può preferire di rinunziare all’eredità e così sottrarsi così all’obbligo della collazione della donazione ricevuta. La norma non può, viceversa, interpretarsi nel senso che il donatario, che conferisce per imputazione, possa trattenere la differenza tra il valore della donazione ricevuta ed il valore della sua quota ereditaria: egli deve, comunque, “imputare alla sua quota” il valore della donazione ricevuta sino a concorrenza del valore della quota stessa, e versare alla massa l’equivalente pecuniario dell’eccedenza.
La conclusione è che, quando il coerede donatario preferisce la collazione per imputazione o deve necessariamente conferire per imputazione, la collazione non produce la risoluzione della donazione, ed il coerede trattiene i beni in forza di questa, sorgendo a suo carico soltanto l’obbligo di conferire nella massa il relativo equivalente pecuniario. Tale conferimento, che di regola opera mediante proporzionale riduzione della massa su cui il donatario può far valere il suo diritto alla quota, assume concretezza per l’eventuale eccedenza del valore dei beni donati rispetto al valore della quota stessa, in quanto per tale frazione il coerede è tenuto all’effettivo versamento dell’equivalente pecuniario, ovvero alla corresponsione di un “debito di conguaglio”, in senso improprio, da determinarsi ai sensi dell’art. 747 c.c.; l’eccedenza è così versata nell’asse ed è prelevata dai non donatari insieme alla totalità dei beni compresi nella successione, e l’una e gli altri vengono ripartiti in ragione delle quote di ognuno>>.