Erogazioni al convivente di fatto tra mutuo , liberalità indiretta e adempimento di obbligazione naturale

Dopo anni di convivenza e aver messo al mondo tre figli con lei, lui le chiede la restituzione di 170.000 euro ca. a titolo di rimborso di presunto mutuo.

Lei contesta che la ragione era invece stata l’indennizzo per una previa permanenza di lui nella casa di lei per anni e il suo dovere di mantimento dei figli.

Il Tribunale di Milano n° 4432/2023 del 29 maggio 2023, RG 16556/2021, g.u. Guantario, rigetta la domanda di lui perchè non provato il titolo azionato.

<<Come noto, “l’attore che chiede la restituzione di somme date a mutuo
è tenuto, ex art. 2697, comma 1, c.c., a provare gli elementi
costitutivi della domanda e, quindi, non solo la consegna, ma anche
il titolo da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione; ed
infatti l’esistenza di un contratto di mutuo non può desumersi dalla
mera consegna di assegni bancari o somme di denaro (che, ben potendo
avvenire per svariate ragioni, non vale, di per sé, a fondare una
richiesta di restituzione allorquando l'”accipiens” – ammessa la
ricezione – non confermi, altresì, il titolo posto dalla controparte
a fondamento della propria pretesa, ma ne contesti, anzi, la
legittimità), essendo l’attore tenuto a dimostrare per intero il
fatto costitutivo della sua pretesa, senza che la contestazione del
convenuto (il quale, pur riconoscendo di aver ricevuto la somma, ne
deduca una diversa ragione) possa tramutarsi in eccezione in senso
sostanziale e, come tale, determinare l’inversione dell’onere della
prova (tra le altre Cass.24328/2017)
Ebbene, nel caso di specie la convenuta negava che le somme ricevute
dall’attore le fossero state versate a titolo di prestito, sostenendo
che invece le erano corrisposte dal sig. Ranzani in adempimento di
doveri morali e sociali nei suoi confronti, anche per avere vissuto
per 7 anni nella casa di sua proprietà esclusiva di San Donato Milanese, senza versare alcunché; affermava inoltre che l’attore
aveva così contribuito al mantenimento dei tra figli della coppia e
dunque alle loro esigenze abitative, alimentari e di cura.
A fronte di tale contestazione, pertanto, il sig. Ranzani avrebbe
dovuto provare di avere concordato con la signora Delledonne la
restituzione degli importi versati e che pertanto la stessa avesse
assunto un obbligo in tal senso. Come chiarito dalla sentenza citata,
non incombeva invece su parte convenuta, la prova del diverso titolo
allegato.
Ciò posto, nessun documento veniva prodotto da parte attrice neppure
a dimostrazione di avere richiesto, prima della diffida del febbraio
2021 (doc. 2 di parte attrice) la restituzione di importi versati per
la maggior parte nel 2011 e comunque non oltre il 2014, così da
rendere implausibile che tre le parti fosse stato stipulato un
prestito.
Nemmeno i capitoli articolati, erano idonei a dimostrare che le somme
per cui è causa fossero state concesse a tale titolo. Al contrario lo
stesso attore allegava che, nonostante le raccomandazioni del proprio
legale, decideva di non formalizzare alcun accordo con la signora
Delledonne per riottenere, anche in caso di cessazione delle
convivenza, quanto versatole.
A ciò si aggiunga che, fermo restando quanto sopra detto in punto di
onere della prova, la qualificazione dei versamenti effettuati
dall’attore in favore della convenuta in termini di adempimento di
obbligazioni naturali e di contribuzione al ménage familiare è del
tutto conforme al principio secondo il quale le unioni di fatto,
quali formazioni sociali che presentano significative analogie con la
famiglia formatasi nell’ambito di un legame matrimoniale e assumono
rilievo ai sensi dell’art. 2 Cost., sono caratterizzate da doveri di
natura morale e sociale di ciascun convivente nei confronti
dell’altro, che si esprimono anche nei rapporti di natura
patrimoniale>>.

Non risulta azionata una  domanda restitutoria basata su donazione nulla per carenza di forma.

Resta da precisare che i doveri verso i figli, pur non nati da matrimonio, sono obbligo non naturale ma giuridico (art. 337 ter c.c.).

Comunicazione congiunta di alcune Autorità Privacy sul “data scraping”

Viene segnalata dai social la comunicazione 24 agosto u.s. di alcune autorità garanti privacy sul c.d. data scraping : cioè sulla prassi di catturare dati personali pubblicamente presenti nel web (come se questo non richiedesse consenso dell’interessato) [notizia presa dall’ Information Commissioner’s Office inglese ].

Tra di esse non c’è nè l’autorità italiana nè quella europea. trattandosi di solamente di alcune Autorità coordinatesi entro il Global Privacy Assembly.

Non ci sono grosse novità. Riporto solo la sez. privacyrisks:

<<10.  In recent years, many data protection authorities have seen increased reports of mass data scraping from SMCs and other websites. The reports raise a number of privacy concerns, including the use of scraped data for:
 Targeted cyberattacks – for example, scraped identity and contact information posted on ‘hacking forums’ may be used by malicious actors in targeted social engineering or phishing attacks.
 Identity fraud – scraped data may be used to submit fraudulent loan or credit card applications, or to impersonate the individual by creating fake social media accounts.
 Monitoring, profiling and surveilling individuals – scraped data may be used to populate facial recognition databases and provide unauthorised access to authorities.
 Unauthorised political or intelligence gathering purposes – scraped data may be used by foreign governments or intelligence agencies for unauthorised purposes.
 Unwanted direct marketing or spam – scraped data may include contact information that can be used to send bulk unsolicited marketing messages.
11.   More broadly, individuals lose control of their personal information when it is scraped without their knowledge and against their expectations. For example, data scrapers may aggregate and combine scraped data from one site with other personal information, and use it for unexpected purposes. This can undermine individuals’ trust in the SMC or other websites, with potentially detrimental impacts on the digital economy. Moreover, even if individuals decide to delete their information from a social media account, data scrapers will likely continue using and sharing>>

Ciò che le azienda titolari dei social dovrebbero fare, allora, è scritto nei segg. §§ 12-17.

Si conferma difficile la tutela del format (radiofonico in questo caso) come opera dell’ingegno

Rigttata la domanda di tutela come opera dell’ingegno di un format di programma radiofonico da Trib Roma n. 10837/2022 del 6 luglio 2022, RG 80912/2019, rel. Maretucci .

<<In sostanza, il format di un programma televisivo è tutelabile quale opera dell’ingegno protetta dal diritto d’autore quando presenti uno schema di programma, un canovaccio delineato nei suoi tratti essenziali, generalmente destinato ad una produzione televisiva seriale, come risultante da una sintetica descrizione.
Al contrario, non è tutelabile come opera dell’ingegno una descrizione assolutamente generica e sommaria dei contenuti del programma, senza previsione concreta dello svolgimento dello stesso ( cfr. Trib. Roma n. 8736/2015; Trib. Roma n. 19116/2017; Trib. Roma n. 14827/2019).
Nella specie, il programma radiofonico rispetto al quale l’attore invoca la tutela autorale è privo di tutti i requisiti necessari perché possa valere quale opera dell’ingegno, non atteggiandosi ad opera strutturata ed in quanto tale valida come format, trattandosi, al contrario, di trasmissione radiofonica di segmenti di film, compresi la musica e il rumore di sottofondo, peraltro non commentati dal conduttore, il cui parlato non rappresentava una critica o un commento del film tramesso in parte, ma riguardava temi sviluppati dal Brondello soggettivamente ed a prescindere con la stretta attinenza alla trama del prodotto cinematografico, senza alcuna indicazione di una scaletta di programma tale da poter essere riprodotto in modo tale da mantenerne gli elementi caratteristici e distintivi.
Si rileva peraltro che non vi è contezza di un format realizzato per iscritto dall’attore e depositato alcunché presso la SIAE, relativamente al programma radiofonico Specchio dimezzato. Cinema alla radio, il cui schema, come rappresentato nel presente giudizio e risultante dai documenti versati in atti, risulta privo degli elementi essenziali del format inteso come opera tutelabile dal diritto d’autore, fermo restando che non è meritevole di tutela la mera idea di trasmettere attraverso la radio spezzoni di film.
Invero, conformemente alla giurisprudenza consolidata di legittimità e di merito, il diritto d’autore non tutela la mera idea, non trasposta in un’opera avente i caratteri della novità e della creatività come sopra intesi, sicché la mera idea di trasmettere attraverso lo strumento radiofonico spezzoni di film, compresi gli effetti sonori, non integra in re ipsa gli estremi dell’opera dell’ingegno, neanche nella forma sopra delineata del format, la cui idoneità alla riproduzione seriale necessita di una serie di elementi distintivi, come sopra indicati, mancanti nel programma radiofonico condotto dal Brondello tra l’ottobre 1979 ed il 1980 su Radio Torino Alternativa.
Si rileva, inoltre, che non è in atti un documento ideato dall’attore che illustri analiticamente le articolazioni sequenziali della trasmissione radiofonica di cui si chiede la tutela autorale e l’esatta durata di ciascuna delle suddette attività, circostanza che rende oltremodo difficile la tutela del diritto azionato dal Brondello>>.

E poi: <<Ad abundantiam, non può ritenersi che i programmi trasmessi da RadioRai costituiscano plagio del programma radiofonico ideato dall’attore, considerate le sostanziali differenze tra i suddetti prodotti radiofonici, con particolare riferimento al programma “Hollywood Party”, che contempla la partecipazione di registi e interpreti italiani stranieri intervistati di conduttori, con interviste, commenti sul mondo del cinema e lancio di anticipazioni sempre in ambito cinematografico. Il programma ospita anche un momento ludico costituito da un quiz: in particolare, dopo l’ascolto di alcune clip in lingua originale di un celebre film del passato, gli ascoltatori sono invitati a indovinarne il titolo. Uno spazio della trasmissione radiofonica è poi dedicato alle “ultime notizie”: conferenze stampa, aggiornamenti sui premi e indiscrezioni sul mondo delle star.

Sussistono, inoltre, sostanziali differenze anche tra il programma radiofonico attoreo e quello trasmesso dalla convenuta con il titolo “Hollywood Party. Il cinema alla radio”, che rappresenta la versione domenicale del programma “Hollywood Party”, caratterizzato da una durata più estesa, circa 1:15 e che propone l’ascolto di un film, introdotto e raccontato da un critico cinematografico, che, quale conduttore, introduce il film e si limita ad intervenire per descrivere le parti della pellicola prive di sonoro.
Ebbene, le differenze tra i programmi contestazione valgono ad escludere ogni ipotesi di plagio.
Ne consegue il rigetto delle domande attoree di inibitoria e di accertamento della violazione del diritto d’autore da parte delle convenute e delle consequenziali pretese risarcitorie.
E’ parimenti priva di pregio la domanda attorea di condanna della convenuta al risarcimento del danno per l’asserita violazione del diritto all’identità personale del Brondello ai sensi dell’art. 2 Cost.. Ed invero, premesso quanto sopra esposto sulla inidoneità del programma in relazione al quale l’attore invoca la tutela ad assurgere a format, l’idea di trasmettere via radio spezzoni di film non è idonea ad assurgere ad elemento identificativo della identità personale del Brondello,
così come la netta differenza tra i programmi trasmessi dalla RAI e sopra menzionati e quello attoreo è tale da escludere in radice ogni ipotesi di violazione, da parte della convenuta, della altrui identità personale. Si rileva, inoltre, che è pacifico che il parlato del programma attoreo non è mai stato trasposto nei programmi realizzati dalla RAI, né in alcun modo imitato o ripreso
dai conduttori dei programmi trasmessi dalla convenuta, pertanto non può ritenersi leso il diritto all’identità personale del Brondello neanche sotto questo profilo, posto che unico elemento che in parte potrebbe essere ritenuto identificativo della personalità del Brondello è costituito dal parlato trasmesso tra i vari spezzoni dei film, non certamente l’idea di trasmettere via radio
prodotti cinematografici o musiche ritenute appropriate al contesto, che non risultano in alcun modo collegati all’attore.
E’ infondata, infine, la domanda proposta in via ulteriormente subordinata da Dario Brondello ai sensi dell’art. 2041 c.c., atteso che, per le ragioni sopra esposte circa l’assenza della condotta di illecito plagio ascrivibile alla convenuta, non è neanche astrattamente configurabile l’ingiustificato arricchimento da parte della RAI, la quale, nella produzione e trasmissione dei programmi radiofonici sopra citati, non ha tratto alcun indebito arricchimento dal programma ideato dall’attore per affermarsi presso il pubblico e realizzare, quindi, un profitto anche sotto forma di introiti pubblicitari>>.

E’ discriminatorio definire “clandestini” gli immigrati richiedenti asilo

Così Cass. 24.686 del 16 agosto 2023, sez. 3, rel. Cirillo, su ricorso ex art. 44 tu immigrazione d lgs 286 – 1998 e art. 2 d lgs 215 del 2003 (parità di trattamento).

<<Ne consegue che appare del tutto conforme a diritto la decisione impugnata anche là dove, leggendo il riferimento al termine «clandestini» nello specifico e più ampio contesto nel quale era stato utilizzato, ha ritenuto di individuare in tale uso un comportamento discriminatorio, in quanto volto a creare un clima
intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo nei confronti dei 32 richiedenti asilo.

Si tratta, cioè, di una discriminazione indiretta determinata da ragioni di razza e di origine etnica. E tanto va affermato a prescindere dalla concreta possibilità di qualificare la fattispecie in esame in termini di discriminazione diretta, alla luce di quanto la Corte di giustizia UE ha ripetutamente chiarito sostenendo che, laddove una condotta svantaggiosa sia fondata (anche, ma non solo) su stereotipi o pregiudizi connessi al fattore protetto, come nel caso in esame, ci si trovi al cospetto di una discriminazione diretta (sentenza 16 luglio 2015, Chez, C-83/14, § 82)>>, p. 27.

Per la pubblicazione dell’opera, serve la vendita o basta l’esposizione in una mostra pubblica?

E’ giusta la seconda per Cass. sez. 1 n° 23.395 del 7 agosto 2023, rel. Scotti.

Ne dà notizia Eleonora Rosati su IPKat  (il link punta a www.italgiure.giustizia.it che però la dà in via di oscuramento)

In breve un collezionista chiede i danni a Koons per aver disconosciuto la paternità dopo aver pubblicato l’opera The Serpents.

I punti più interessanti sono: 1) quando ricorra pubblicazione ex art.12 l.aut; 2) se l’autore abbbia diritto di disconoscere l’opera (ripudiarla), con tutte le conseguenze per il valore commerciale dell’opera in capo all’attuale proprietario del corpus mysticum.

Il più interessante è il secondo. Bisognerebbe prima approfondire i concetti di “riconoscere” e “disconoscere”  un ‘opera.

In prima approssimazione direi che all’autore non si può imporre il dovere di riconsocere artisticamente un ‘opera pur se materialmente sua i titolari del supporto potranno/dovranno disporne come “opera di Koons  ma da lui ripudiata”, senza pretendere che egli la riconosca.

Annullamento di marchio per deposito in malafede anche senza diritto sul segno da parte del richiedente la nullità

Interessante questione decisa da EUIPO-divis. di annull. , proc. n° C 53 081 (nullità) 8 agosto 2023, circa il marchio figurativo UE n. 17 971 130 , Comune di VErona c. Giulietta Verona srl (qui il link alla decisione e qui alla pagina web del database dell’ufficio).

Il procedimento è deciso accogliendo la domanda di deposito in malafede (art. 59.1.b) , reg. 1001 del 2017)  ; erano stati tuttavia proposti anche altri motivi (art. 7.1.b-g-i reg. cit.) ,  forse più azzeccati.

marchio annullato

Si tratta di simbolo apposto sul cancello del monumento delle Arche Scaligere in centro  a Verona.

Parrebbe allora errato applicare la regola sulla malafede: la quale richiede abuso di un diritto e quindi verso un soggetto determinato, che nel caso mancava dato che il Comune  non ha diritti di PI sul disegno.

Su collazione e riduzione delle donazioni (e sulla loro reciproca differenza)

Importanti insegnamenti da Cass. sez. II,  4 luglio 2023 n. 18.841, rel Scarpa (segnalazine e testo da Ondif) sul sempre scivoloso tema del rapporto tra collazione e riduzione per lesione di legittima:

<<5.1. Secondo consolidata interpretazione di questa Corte, la collazione presuppone l’esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere, sia pure di modico valore (nella specie, al momento dell’apertura della successione, costituito dal saldo di un conto corrente bancario aperto presso la Banca della Bergamasca: pagina 14 della sentenza impugnata), giacchè se manchi un relictum, non vi è luogo a divisione e, quindi, neppure a collazione, salvo l’esito dell’eventuale azione di riduzione.
In tema di divisione ereditaria, l’istituto della collazione, che, in presenza di donazioni (dirette e indirette) fatte in vita dal de cuius e salva apposita dispensa di quest’ultimo, impone il conferimento del bene che ne è oggetto in natura o per imputazione, ha la finalità di assicurare l’equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti nella formazione della massa ereditaria, così da non alterare il rapporto di valore tra le varie quote determinate attraverso la sommatoria del relictum e del donatum al momento dell’apertura della successione, sicchè il relativo obbligo sorge automaticamente in seguito ad essa, senza necessità di proporre espressa domanda da parte del condividente, essendo a tal fine sufficiente che sia chiesta la divisione del patrimonio relitto e che sia menzionata, in esso, l’esistenza di determinati beni quali oggetto di pregressa donazione. Tuttavia, in caso di donazione indiretta, è pregiudiziale all’obbligo di collazione la proposizione della domanda di accertamento dell’esistenza della stessa (da ultimo, Cass. n. 23403 del 2022).
5.2. Avendosi nel caso in esame riguardo ad una divisione tra legittimari – da operarsi, invero, fra i quattro figli della de cuius – non occorreva affatto proporre azione di riduzione della donazione indiretta oggetto di lite (quella collegata alla sottoscrizione in data (Omissis) di un fondo d’investimento da parte della de cuius del valore di Lire 386.025.295, poi trasferito in data (Omissis) a A.A. e B.B., neppure essendo stata dedotta alcuna prova della volontà della donante di sottrarre la donazione all’obbligo della collazione). Il meccanismo della collazione e dei prelievi è infatti sufficiente a ricondurre le situazioni soggettive dei condividenti alla legge, rimanendo annullato l’effetto della donazione: perciò correttamente la Corte di Brescia, essendo stata proposta da C.C., + Altri Omessi azione di divisione ereditaria tra eredi legittimari, ha fatto applicazione della collazione (art. 737 c.c.), in virtù della quale i beni donati devono essere compresi o conferiti, insieme al relictum, nella massa attiva del patrimonio ereditario, ed avente la funzione di conservare tra gli eredi stessi la proporzione stabilita nel testamento o nella legge, permettendo la divisione tra i coeredi in proporzione delle quote a ciascuno spettanti, in maniera da assicurare l’equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti, indipendentemente dall’esperimento dell’azione di riduzione (che nel caso in esame non poteva effettivamente dirsi proposta con la mera allegazione relativa alla “violazione delle quote di riserva attoree”) (ex multis, Cass. n. 2004 del 21896; n. 15131 del 2005; n. 3013 del 2006; n. 1408 del 2007; n. 41132 del 2021).
Si spiega così che mentre la riduzione sacrifica i donatari nei limiti di quanto occorra per reintegrare la legittima lesa ed è quindi imperniata sul rapporto fra legittima e disponibile, la collazione, nei rapporti indicati nell’art. 737 c.c., pone il bene donato, in proporzione della quota ereditaria di ciascuno, in comunione fra i coeredi che siano il coniuge o discendenti del de cuius, donatario compreso, senza alcun riguardo alla distinzione fra legittima e disponibile.
5.3. Nondimeno, la collazione può comportare di fatto l’eliminazione di eventuali lesioni di legittima, consentendo agli eredi legittimi di conseguire nella divisione proporzioni uguali; il che non esclude che il legittimario possa contestualmente esercitare l’azione di riduzione verso il coerede donatario, atteso che solo l’accoglimento di tale domanda assicura al legittimario leso la reintegrazione della sua quota di riserva con l’assegnazione di beni in natura, privando i coeredi della facoltà di optare per l’imputazione del relativo valore. Al contempo, e in modo speculare, deve riconoscersi che l’azione di riduzione, una volta esperita, non esclude l’operatività della collazione con riguardo alla donazione oggetto di riduzione, fermo restando che mentre la collazione, ove richiesta in via esclusiva, comporta il rientro del bene donato nella massa, senza riguardo alla distinzione fra legittima e disponibile, nel caso di concorso con l’azione di riduzione essa interviene in un secondo tempo, dopo che la legittima sia stata reintegrata, al fine di redistribuire l’eventuale eccedenza, e cioè l’ulteriore valore della liberalità che esprime la disponibile (Cass. n. 28196 del 2020 ; Cass. n. 39368 del 2021 ).
5.4. Anche, del resto, nelle ipotesi in cui sia attribuita al coerede donatario la facoltà di scelta tra il conferimento in natura ed il conferimento per imputazione (art. 746 , comma 1, c.c.), si intende che la stessa spetti pure allorchè il valore del bene donato sia superiore al valore della rispettiva quota ereditaria. L’art. 746 c.c. trova, invero, di regola applicazione nei casi in cui il valore del bene donato sia inferiore, o al massimo uguale al valore della quota spettante al donatario, giacchè se il primo valore sia superiore al secondo il medesimo donatario, chiamato alla successione insieme a coeredi aventi diritto alla collazione, ben può preferire di rinunziare all’eredità e così sottrarsi così all’obbligo della collazione della donazione ricevuta. La norma non può, viceversa, interpretarsi nel senso che il donatario, che conferisce per imputazione, possa trattenere la differenza tra il valore della donazione ricevuta ed il valore della sua quota ereditaria: egli deve, comunque, “imputare alla sua quota” il valore della donazione ricevuta sino a concorrenza del valore della quota stessa, e versare alla massa l’equivalente pecuniario dell’eccedenza.
La conclusione è che, quando il coerede donatario preferisce la collazione per imputazione o deve necessariamente conferire per imputazione, la collazione non produce la risoluzione della donazione, ed il coerede trattiene i beni in forza di questa, sorgendo a suo carico soltanto l’obbligo di conferire nella massa il relativo equivalente pecuniario. Tale conferimento, che di regola opera mediante proporzionale riduzione della massa su cui il donatario può far valere il suo diritto alla quota, assume concretezza per l’eventuale eccedenza del valore dei beni donati rispetto al valore della quota stessa, in quanto per tale frazione il coerede è tenuto all’effettivo versamento dell’equivalente pecuniario, ovvero alla corresponsione di un “debito di conguaglio”, in senso improprio, da determinarsi ai sensi dell’art. 747 c.c.; l’eccedenza è così versata nell’asse ed è prelevata dai non donatari insieme alla totalità dei beni compresi nella successione, e l’una e gli altri vengono ripartiti in ragione delle quote di ognuno>>.

Costituzione in giudizio dei chiamati all’eredità e accettazione tacita dell’eredità

Cass. sez. III n. 20503 del 17 luglio 2023, rel. Condello (segnalazione e testo da Ondif)

<<Secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, l’assunzione della qualità di erede non può desumersi dalla mera chiamata all’eredità, nè dalla denuncia di successione, che ha valore di atto di natura meramente fiscale (Cass., sez. 2, 11/05/2009, n. 10729; Cass., sez. 2, 28/02/2007, n. 4783), ma consegue solo all’accettazione dell’eredità, espressa o tacita, che rappresenta elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio quale successore del de cuius (Cass., sez. 2, 6/05/2002, n. 6479; Cass., sez. 3, 10/03/1992, n. 2849).
Affinchè un atto del chiamato all’eredità possa configurare accettazione tacita, è necessario che esso presupponga necessariamente la sua volontà di accettare e che si tratti di atto che egli non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede (Cass., sez. 2, 01/03/2021, n. 5569).
In proposito, questa Corte (Cass., sez. 2, 20/3/1976, n. 1021) ha chiarito che non solo gli atti dispositivi, ma anche gli atti di gestione possono dar luogo all’accettazione tacita dell’eredità, secondo l’accertamento compiuto caso per caso dal giudice di merito, in considerazione della peculiarità di ogni singola fattispecie e tenendo conto di molteplici fattori, tra cui quelli della natura ed importanza nonchè della finalità degli atti di gestione compiuti dal chiamato. In ogni caso, occorre però che si tratti di atti incompatibili con la volontà di rinunziare e non altrimenti giustificabili se non con la veste di erede, mentre sono privi di rilevanza tutti quegli atti che non denotano in maniera univoca un’effettiva assunzione della qualità di erede, occorrendo accertare se il chiamato si sia mantenuto o meno nei limiti della conservazione e dell’ordinaria amministrazione del patrimonio ereditario, potendosi in linea generale affermare che tutti gli atti previsti dall’art. 460 c.c. (disciplinante i poteri del chiamato prima dell’accettazione, e cioè: compimento di azioni possessorie a tutela dei beni ereditari; compimento di atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea) non provochino la mutazione dello status da chiamato a erede.
Sulla base di tali premesse, questa Corte ha ritenuto che il fatto dei chiamati all’eredità che abbiano ricevuto ed accettato la notifica di una citazione o di un ricorso per debiti del de cuius, così come il fatto che essi si siano costituiti eccependo la propria carenza di legittimazione, non possono configurarsi come accettazione tacita dell’eredità, trattandosi di atti pienamente compatibili con la volontà di non accettare l’eredità (così Cass., sez. 3, 03/08/2000, n. 10197).[ovvio]
Quando però i chiamati si costituiscano in giudizio dichiarando la propria qualità di eredi dell’originario debitore, senza in alcun modo contestare l’effettiva assunzione di tale qualità ed il conseguente difetto di titolarità passiva della pretesa, essi compiono un’attività non altrimenti giustificabile se non con la veste di erede, che esorbita dalla mera attività processuale conservativa del patrimonio ereditario, in quanto dichiarata non al fine di paralizzare la pretesa, ma di illustrare la qualità soggettiva nella quale essi intendono paralizzarla.[giusto]
Non può obiettarsi che la memoria di costituzione costituisce un atto del difensore e che, se non sottoscritta dalla parte personalmente non può assumere valore di confessione giudiziale (Cass. n. 26686 del 2005), in quanto nel caso non di confessione si tratta, ma di declinazione degli elementi da cui deriva la titolarità passiva del rapporto controverso (v. in proposito Cass., sez. U, n. 2951 del 2016), che il difensore esplicita in virtù del mandato ricevuto ed in relazione ai quali nel caso è stata presa posizione in modo specifico sin dalla memoria di costituzione di primo grado. [errato: è sempre atto dispositivo compiuto non dalla parte ma da un terzo, irrilevante che sia il difensore]. L’assunzione in giudizio della qualità di erede costituisce quindi accettazione tacita dell’eredità, che non può essere rimessa in discussione per effetto di un atto successivamente intervenuto e dipendente da una libera scelta dei medesimi interessati, qual è la rinuncia all’eredità.
Come evidenziato anche da Cass. n. 21287 del 14 ottobre 2011 (nel ritenere che la riassunzione del processo dopo il decesso della parte sia validamente effettuata nei confronti di coloro che risultano chiamati all’eredità, se questi non contestino tempestivamente la loro qualità di eredi), l’interpretazione che pone a carico dei chiamati un onere di specificare tempestivamente nel processo la loro posizione in relazione al compendio ereditario è necessitata dall’applicazione dei principi di sollecita definizione del processo e di tutela del diritto di difesa, di cui all’art. 111 Cost., ammettendosi in caso contrario la possibilità di protrarre una situazione di incertezza, addirittura sino al decennio, per il quale dovrebbe essere paralizzata l’iniziativa processuale del creditore del de cuius, o il relativo accertamento giudiziale>>

Legittima difesa nella aggressione del genitore verso il docente tre giorni dopo il presunto “eccesso correttivo” verso l’aluinno? Dice di no la Casazione

Cass. sez. 3 del 18 agosto 2023 n. 24.848, rel,. Pellecchia (notizia e testo da Ondif)

<<Per orientamento costante di questa Corte, infatti, la legittima difesa, idonea ad escludere la responsabilità per fatto illecito, esige il concorso di due elementi: la necessità di difendere un diritto proprio od altrui dal pericolo attuale di un’offesa ingiusta, e la proporzione tra l’offesa e la difesa.
Mentre nel giudizio penale la semiplena probatio in ordine alla sussistenza di siffatta scriminante comporta l’assoluzione dell’imputato ex art. 530, comma 3, c.p.p., nel giudizio civile, al contrario, il dubbio si risolve in danno del soggetto che la invoca e su cui incombe il relativo onere della prova (Cass. n. 18094/2020). In particolare, in tema di risarcimento dei danni, l’art. 2044 c.c. rinvia sostanzialmente, per la nozione di legittima difesa, quale situazione idonea ad escludere la responsabilità civile per fatto illecito, all’art. 52 c.p., che richiede, come già osservato poc’anzi, la sussistenza della necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, semprechè vi sia proporzionalità tra la difesa e l’offesa, da valutarsi ex ante. L’identità concettuale tra l’art. 52 c.p. e l’art. 2044 c.c., deve, comunque, confrontarsi, oltre che con il “favor rei” che ha valenza generale in materia penale, con le diverse regole che presiedono alla formazione della prova nel processo civile e penale, con la conseguenza che, mentre nel giudizio penale la semiplena probatio in ordine alla sussistenza della scriminante comporta l’assoluzione dell’imputato ex art. 530, comma 3, c.p.p., nel giudizio civile il dubbio si risolve in danno del soggetto che la invoca e su cui incombe il relativo onere della prova (Cass. n. 4492/2009).
Nel caso di specie, il Tribunale dopo aver opinato che, per il minore, costituisse offesa ingiusta la condotta della docente, ha poi ritenuto, del tutto erroneamente, che l’aggressione verbale del padre all’insegnante integrasse gli estremi della legittima difesa e fosse proporzionata alle azioni dalla stessa poste in essere, pur nella totale assenza del requisito della contestualità della condotta, volta che risulta fatto non contestato che la reazione – violenta, aggressiva e certamente non più giustificata nè inquadrabile nel perimetro applicativo dell’art. 2044 c.c. per essere trascorsi ormai tre giorni dal fatto – non fosse avvenuta entro un tempo ragionevolmente compatibile con il requisito della contestualità rispetto al rimprovero della docente.
Tra il comportamento dell’insegnante e l’aggressione verbale del B.B. si era frapposto, difatti, un lasso di tempo tale da consentire di attivare non altro che le eventuali, legittime forme di tutela del minore – i.e. il ricorso all’autorità giudiziaria al fine di ottenere eventualmente un provvedimento idoneo alla predetta tutela. Risulta, per altro verso, del tutto incomprensibile (con conseguente, mera apparenza della motivazione) il riferimento operato dal Tribunale ad un preteso (benchè mai allegato dalla parte, finanche nella forma del mero flatus vocis) “stato di incapacità” del resistente, il quale, a distanza di tre giorni dal fatto, si era coscientemente e consapevolmente determinato a recarsi appositamente presso l’istituto scolastico al deliberato fine di insolentire l’insegnante, in attuazione di una forma comportamentale qualificabile non certo in termini “di legittima difesa” – come ritenuto dal giudice di merito in spregio ai più elementari principi posti a fondamento dell’esimente in parola – bensì caratterizzata inequivocamente da una sorta di inammissibile ricorso ad un inammissibile modello di “giustizia fai da te”, come sempre più frequentemente è tristemente dato riscontrare nei rapporti d’oggi tra genitori ed insegnanti>>.

Decisione amministartiva sulla confondibilità dei marchi Abercrombie v. Adenauer e Jaguar v. Puma (sulla confondibilità di segni avversari simili/uguali ma rovesciati)

– I –

La divisione di opposizione dell’EUIPO decide l’opposizione N° B 3 172 678 in data  8 agosto 2023  (qui la pagina del fascicolo e qui link diretto al testo) relativa al confronto tra marchi figurativi.

(segnalazione di Marcel Pemsel su IPKat)

anteriorità 1
anteriorità 2
marchio contestato

L’opposizione è parzialmnente (sotto il profilo merceologico) accolta.

<< e) Global assessment, other arguments and conclusion
Likelihood of confusion must be appreciated globally, taking into account all the factors relevant to the circumstances of the case; this appreciation depends on numerous elements and, in particular, on the degree of recognition of the mark on the market, the association that the public might make between the two marks and the degree of similarity between the signs and the goods/services (11/11/1997, C-251/95, Sabèl, EU:C:1997:528, § 22).
A likelihood of confusion (including a likelihood of association) exists if there is a risk that the public might believe that the goods/services in question, under the assumption that they bear the marks in question, come from the same undertaking or, as the case may be, from economically linked undertakings.
The Opposition Division has assumed in section d) of this decision that the earlier marks have been extensively used and enjoy an enhanced scope of protection. The examination of likelihood of confusion will, therefore, proceed on the premise that the earlier marks have an enhanced degree of distinctiveness. Indeed, the more distinctive the earlier mark, the greater will be the likelihood of confusion, and, therefore, marks with a highly distinctive character because of the recognition they possess on the market, enjoy broader protection than marks with a less distinctive character (29/09/1998, C-39/97, Canon, EU:C:1998:442, § 18).
The goods and services are assumed to be identical or similar to a high degree and they target the general and professional publics. The degree of attention varies from average to high.
The similarities between the signs arise from the depiction of a bird in all the signs, which leads to a low degree of visual similarity and at least an average degree of conceptual similarity (if not identity), while the signs are aurally not comparable, as concluded above. However, the signs differ considerably in the particular ways the common elements are depicted, such as their orientations and different shapes of wings, different circular and/or semi-circular shapes and, in particular, the additional verbal elements of the contested sign, which have no counterparts in the earlier marks. The aforesaid differences are particularly relevant when assessing the likelihood of confusion and all these differences will lead to a rather distinct overall impression created by the signs. Even though both parties have used the same concept of a silhouette of a bird in their signs, this itself is not sufficient to give rise to a likelihood of confusion or association, since the differentiating elements are clearly perceivable and sufficiently outweigh the similarities of a depiction of a figurative bird.
The opponent cannot rely on the protection of the depiction of a type of animal, or its part, per se. In the case of two purely figurative signs (or, by analogy a purely figurative sign versus a figurative sign containing a figurative component, as in the present case), which depict a certain type of animal, or a part of it, the owner of an earlier mark can only preclude registration of a contested sign if the figurative depiction itself shows significant similarities to the latter sign (18/04/2018, R 1547/2017-2, DEVICE OF A BLACK BIRD (fig.) / RABE et al., § 35; 28/05/2009, R 1841/2007-1, Form eines Mammuts / ELEPHANT WORLD-TOURS et al., (fig.), § 56). However, the similarities of the figurative elements in the present case are not considered significant, while important differences between the signs are introduced by the verbal elements of the contested sign, as mentioned above, which have the strongest impact in that sign.
Consequently, in the Opposition Division’s point of view, even if there is a conceptual link between the signs, on account of the coinciding concept conveyed by the figurative element of a silhouette of a bird, the considerable visual differences between the signs, as described above, are sufficient to prevent any likelihood of confusion, especially bearing in mind that the relevant public displays an average to high level of attention. Consequently, the fact that the signs contain a depiction of a silhouette of a bird is not sufficient in itself to lead to a finding of likelihood of confusion. The Opposition Division considers that the consumers will be able to safely distinguish between the signs.
Considering all the above, there is no likelihood of confusion on the part of the public. Therefore, the opposition must be rejected insofar as it is based on Article 8(1)(b) EUTMR.
The opponent has also based its opposition on the following earlier trade mark:
international trade mark registration designating the European Union No 1 457 089 (figurative mark).
This earlier mark invoked by the opponent is less similar to the contested mark. This is because it contains additional figurative components, namely a circle and some figurative lines, which overall give an impression of a simplified depiction of the Sun. These additional elements further differentiate between the signs visually and they also introduce an additional differing concept, which is not present in the earlier trade marks compared above. Therefore, the outcome cannot be different with respect to the goods for which the opposition has already been rejected; no likelihood of confusion exists with respect to those goods>>.

C’è pure un interessante esame dell’opposizione basata sulla rinomanza, p. 10 ss , anche essa accolta parzialmente.

Si sta diffondendo la prassi di cercare di sfruttare la notorietà altrui rovesciando la direzione di un’immagine rinomata (e qui pure aggiungendovi un nome): tentativo per ora rischioso .

– II –

In pari data 8 agosto la stessa Divisione di Opposizione nella OPPOSITION Nо B 3 123 557  Jaguar Land Rover Limited v.Puma Energy International SA  ha dato esito quasi opposto (o semplicemente diverso) al conflitto tra questi due segni per prodotti uguali:

marchio anteriore di Jaguar

e

marchio posteriore di Puma

Le differenze però sono qui maggiori:  spt. direi nel primo il felino sta saltando, mentre nel secondo sta correndo e poi i colori sono invertiti.

<<In making the visual comparison of two marks depicting an animal, the Opposition Division must take care not to apportion excessive weight to a coincidence in features that are merely generic to this part of the animal body (e.g. legs, tails), since these traits, which are common to felines, differ significantly in the details of the marks under comparison (13/07/2017, R 110/2017 2, DEVICE OF A FLYING BIRD (fig.) / DEVICE OF A FLYING BIRD (fig.) et al., § 61; 29/07/2020, R 2901/2019 5, DEVICE OF A SHEEP (fig.) / DEVICE OF A RAM (fig.), § 30). Indeed, these two depictions of a feline show some significant differences. This is caused predominantly by the fact that the depiction of a feline in the contested sign is very simplified and the morphologic features of felines are not clearly, immediately and effortlessly visible. Instead, that sign consists merely of a feline’s contour and requires some mental effort in order to recognise and identify a feline. This contrasts sharply with the depiction of a feline in the earlier mark, which is less streamlined and more detailed/elaborate, and contains more clearly identifiable morphologic features of a feline than the contested sign, such as details of its head, ears, eyes, etc.

In this regard, consumers are capable of perceiving differences between the stylisation of signs. The key point is how the signs at issue are normally perceived overall and not how the stylistic differences between them may be perceived in the event that a particularly meticulous consumer is in a position to examine the graphic stylisation and draw comparisons between them (20/07/2017, T 521/15, D (fig.) / D (fig.) et al., EU:T:2017:536, § 49)>>

La risposta è di dubbia esattezza: il consumatore ricorda ad un livello di astrattezza maggiore , almeno per i beni di largo consumo

(anche qui segnalazione di Marcel Pemsel su IPKat che correttamente solleva il problema del grado di astratezza con cui ricorda il consumatore)