Non trascrivibile l’atto di nascita estero da procreazone medicalmente assistita voluta da coppia omoaffettiva femminile

Cass. sez. I, ord. 2 agosto 2023, n. 23.527, Rel. Tricomi (testo preso da Ondif):

<<2.3.- In particolare, va confermato il principio secondo il quale “In caso di concepimento all’estero mediante l’impiego di tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, voluto da coppia omoaffettiva femminile, la domanda volta ad ottenere la formazione di un atto di nascita recante quale genitore del bambino, nato in Italia, anche il c.d. genitore intenzionale, non può trovare accoglimento, poiché il legislatore ha inteso limitare l’accesso a tali tecniche alle situazioni di infertilità patologica, fra le quali non rientra quella della coppia dello stesso genere; non può inoltre ritenersi che l’indicazione della doppia genitorialità sia necessaria a garantire al minore la migliore tutela possibile, atteso che, in tali casi, l’adozione in casi particolari si presta a realizzare appieno il preminente interesse del minore alla creazione di legami parentali con la famiglia del genitore adottivo, senza che siano esclusi quelli con la famiglia del genitore biologico, alla luce di quanto stabilito dalla sentenza della Corte Cost. n. 79 del 2022.” (Cass. n. 22179/2022; conf. prec. Cass. nn. 7668 /2020, n. 6383/2022, n. 7413/2022).
Invero, come affermato dalle Sezioni Unite, in relazione ai casi di minori nati all’estero da maternità surrogata, con principio che è applicabile anche alla fattispecie in cui il minore sia nato in Italia mediante il ricorso a tecniche di p.m.a., eseguite all’estero perché non consentite nel territorio nazionale a richiesta di una coppia omoaffettiva, il minore ha un diritto fondamentale al riconoscimento, anche giuridico, del legame sorto in forza del rapporto affettivo instaurato e vissuto con il genitore d’intenzione e “tale esigenza è garantita attraverso l’istituto dell’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. d) della l. n. 184 del 1983 che, allo stato dell’evoluzione dell’ordinamento, rappresenta lo strumento che consente, da un lato, di conseguire lo “status” di figlio e, dall’altro, di riconoscere giuridicamente il legame di fatto con il “partner” del genitore genetico che ne ha condiviso il disegno procreativo concorrendo alla cura del bambino sin dal momento della nascita.” (Cass. Sez. U. n. 38162 del 30/12/2022; V. anche Cass. Sez. U. n. 12193/2019)>>.

Delibera condominiale sull’uso del cortile comune tramite assegnazione turnaria di posti auto

Cass. sez. 2 , ord. n. 14.019 del 22/05/2023, rel. Besso Marcheis:

<< La delibera del 5 aprile 2002 (cfr. le pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata) ha stabilito “di ricavare nelle zone posteriori e laterali dell’area condominiale dei posti macchina aggiuntivi da assegnare annualmente in uso ai condomini che ne facciano richiesta e che hanno la necessità di parcheggiare all’interno dell’area condominiale una seconda vettura dietro pagamento di euro 7 mensili a posto, quale contributo per il temporaneo uso esclusivo della porzione della proprietà comune rispetto agli altri condomini; qualora le richieste superino il numero dei posti aggiuntivi disponibili, l’assegnazione di questi avverrà per sorteggio”. Si tratta – come ha osservato il giudice d’appello – non dell’attribuzione in via esclusiva e per un tempo indefinito di posti auto, al di fuori della logica della turnazione, ma della regolamentazione di una forma di godimento turnario dell’area del cortile comune: l’assegnazione dei posti è annuale, su richiesta o sorteggio, ed è previsto il versamento di un mero contributo (7 euro mensili), che non rende a pagamento l’attribuzione dei posti. Tale regolamentazione rientrava pertanto nelle attribuzioni dell’assemblea condominiale ed è pertanto legittima la delibera che l’ha approvata. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “la delibera assembleare che, in considerazione dell’insufficienza dei posti auto in rapporto al numero dei condomini, ha previsto l’uso turnario e stabilito l’impossibilità, per i singoli condomini, di occupare gli spazi ad essi non assegnati anche se i condomini aventi diritto non occupino in quel momento l’area parcheggio loro riservata, [..] costituisce corretta espressione del potere di regolamentazione dell’uso della cosa comune da parte dell’assemblea; infatti, se la natura di un bene immobile oggetto di comunione non ne permette un simultaneo godimento da parte di tutti i comproprietari, l’uso comune può realizzarsi o in maniera indiretta oppure mediante avvicendamento; pertanto, l’assemblea, alla quale spetta il potere di disciplinare i beni e servizi comuni, al fine della migliore e più razionale utilizzazione, ben può stabilire, con deliberazione a maggioranza, il godimento turnario della cosa comune, nel caso in cui – come nella fattispecie in esame – non sia possibile l’uso simultaneo da parte di tutti i condomini, a causa del numero insufficiente dei posti auto condominiali” (così, ex multis, Cass. 12485/2012)>>.

L’insegnamento è esatto.

Trasferimento di azienda, pagamento di debito anteriore da parte dell’acquirente e fallimento del venditore: debitore è solo quest’ultimo, il primo è mero responsabile

Cass. sez. 1 n° 19806 del 12 luglio 2023, rel. Caiazzo:

<<Ebbene, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la previsione della solidarietà dell’acquirente dell’azienda nella obbligazione relativa al pagamento dei debiti dell’azienda ceduta è posta a tutela dei creditori, e non dell’alienante, per cui essa non determina alcun trasferimento della posizione debitoria sostanziale, nel senso che il debitore effettivo rimane pur sempre colui cui è imputabile il fatto costitutivo del debito, e cioè il cedente, nei cui confronti può rivalersi in via di regresso l’acquirente che abbia pagato, quale coobbligato in solido, un debito pregresso dell’azienda, mentre lo stesso non può fare il cedente che abbia pagato il debito verso il coobbligato in solido.
Pertanto, in caso di fallimento della società cedente, il curatore non è legittimato a promuovere l’azione per la dichiarazione di solidarietà dell’acquirente dell’azienda ceduta dalla società poi fallita nella obbligazione relativa al pagamento dei debiti contratti dalla stessa anteriormente alla cessione, e ciò in quanto detta azione non sarebbe proposta nell’interesse della massa dei creditori, poiché il suo eventuale accoglimento non comporterebbe alcun vantaggio per il fallimento, che sarebbe comunque tenuto ad ammettere al passivo, e pagare nei limiti della massa attiva disponibile, da un lato i creditori dell’azienda, senza potersi rivalere nei confronti dell’acquirente della stessa, e, dall’altro, quest’ultimo, agente in via di regresso in relazione ai debiti dell’azienda stessa eventualmente soddisfatti in quanto acquirente coobbligato in solido (Cass., n. 23780/04; n. 20153/2011)>>.

Non è legittimato perchè non ne ha diritto, visto che debitore è solo l’alienante! Quindi non è che non sia legittimato: è che la domanda va rigettata nel merito.

Il fideiussore che ha pagato un debito dell’alienante d’azienda può agire in surroga anche verso l’acquirente della stessa ex art. 2560 c. 2 c.c.

Interessanti precisazioni in Cass. sez.  I 05/07/2023 n.19.041, rel. Nazzicone sul non sempre cristallinamente chiaro concetto di surroga:

<<3. – Con il terzo motivo, si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2467 c.c. e art. 2560 c.c., comma 2, perché il cessionario di azienda, secondo tale ultima disposizione, assume una posizione di garanzia aggiuntiva, a fini di rafforzamento della tutela per i creditori, ma la cessione d’azienda non opera una modificazione del lato passivo del rapporto: pertanto, il fideiussore, che abbia pagato un debito aziendale sorto in capo al soggetto alienante, non ha diritto di regresso o di surroga se non contro questi, mentre il suo pagamento avrà, nei confronti del cessionario dell’azienda, semplicemente l’effetto di liberarlo da quell’obbligo di garanzia, ma non gli darà diritto di ripetere quanto versato.

Il motivo è infondato.

Dispone l’art. 2560 c.c., circa i “Debiti relativi all’azienda ceduta”, che l’alienante non è liberato dai debiti, inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito (comma 1); risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori (comma 2).

Pertanto, deve trattarsi di debiti che siano “inerenti all’esercizio dell’azienda”, pure nel caso di cui al comma 2, che prevede l’escutibilità dell’acquirente. Ma, se tale requisito è soddisfatto, il debito passa proprio in capo all’acquirente, principale obbligato; la liberazione dell’alienante, invece, non avviene e ciò per disposto di legge, a maggiore garanzia dei creditori.

Nel caso di fideiussione, rilasciata da un terzo a favore del creditore del soggetto che l’azienda abbia, in seguito, alienato, certamente non si trasmette sul piano soggettivo il negozio fideiussorio, dalla giurisprudenza di questa Corte ricostruito come negozio (di regola) intercorrente tra fideiussore e creditore, cui il debitore sul piano della conclusione del negozio resta, invece, estraneo (Cass. 30 giugno 2014, n. 14772, in motiv.). Pertanto, nel caso di cessione d’azienda, è certo che non subisce mutamenti soggettivi il negozio fideiussorio, ex art. 2558 c.c..

Occorre invece, nel caso di specie, stabilire se risponda – in quanto “debito inerente all’esercizio dell’azienda” e sempreché “risult(i) dai libri contabili obbligatori” – l’acquirente dell’azienda, in virtù del disposto dell’art. 2560 c.c., comma 2, per il debito esistente non direttamente verso il creditore originario (nella specie, la banca in forza di contratto di conto corrente bancario), ma derivante dall’esercizio dell’azione di surrogazione ex art. 1949 c.c. da parte del fideiussore, che quel debito abbia pagato.

Con riguardo alla surrogazione, questa Corte (cfr. Cass. 30 giugno 2014, n. 14772, in motiv.) ha già osservato che essa realizza una variazione soggettiva del rapporto obbligatorio, in quanto l’adempimento del terzo non estingue l’obbligazione in senso oggettivo, ma piuttosto tacita la pretesa del creditore, senza liberare il debitore.

Si opera, quindi, una variazione dal lato attivo del rapporto obbligatorio e si mira ad agevolare la soddisfazione del soggetto attivo del rapporto stesso, consentendo a colui che paga di succedere nello stesso diritto di cui era titolare l’accipiens.

Nella specie, mentre i ricorrenti riferiscono di un’azione proposta nel ricorso monitorio dal fideiussore ai sensi di entrambe le disposizioni degli artt. 1949 e 1950 c.c., la sentenza in questa sede impugnata afferma senz’altro che il fideiussore si è surrogato ex art. 1203 c.c. nei diritti del creditore (la banca) (v. p. 3 della sentenza): onde si tratta dello stesso diritto di questa, esercitato dal fideiussore in via surrogatoria, a fronte del medesimo debito inerente l’azienda, di cui risponde proprio il cessionario, a norma dell’art. 2560, comma 2, c.c.

Una volta eseguito il pagamento, spetta al fideiussore, dunque, il diritto di surrogazione, ai sensi dell’art. 1203 c.c. e della disposizione speciale dell’art. 1949 c.c.: diritto in cui egli subentra in luogo del creditore.

Pertanto, come la banca creditrice avrebbe potuto agire per il pagamento del dovuto sia verso la diretta cliente, alienante l’azienda, sia verso la cessionaria di questa, del pari la posizione giuridica attiva, in virtù del subentro per effetto dell’azione di surrogazione ad opera del fideiussore che abbia pagato, è esercitabile da lui nei confronti di entrambe le parti, a tutela della medesima posizione creditoria. La soluzione raggiunta dalla sentenza impugnata, e’, in definitiva, corretta>>.

Corresponsabilità per illecito diffamatorio e sentenza ottenuta da uno solo dei corresponsabili

Cass. sez. III n° 19.611 del 11.07.2023, rel. Condello:

<<Questa Corte, con giurisprudenza consolidata, ha affermato il principio per cui, ai fini dell’applicazione dell’art. 2055 c.c. in tema di solidarietà tra più responsabili del danno, è sufficiente l’esistenza di un unico fatto dannoso alla cui produzione abbiano concorso con efficacia causale più condotte. Si e’, in particolare, evidenziato che l’unicità del fatto dannoso prevista dalla diposizione in esame deve essere riferita unicamente al danneggiato e non va intesa come identità delle azioni degli autori del danno e neppure delle norme giuridiche da essi violate. La norma, in sostanza, nell’affermare la responsabilità solidale degli autori del fatto illecito, pone come condizione l’unicità del fatto dannoso riguardando, a tal fine, la posizione di colui che subisce il danno, senza tenere conto se le condotte lesive siano o meno tra loro autonome, né se siano o meno identici i titoli delle singole responsabilità (Cass., sez. 3, n. 5944/1997; Cass., sez. 6-1, 16/09/2022, n. 27267).

Nel caso in esame, la pubblicazione della notizia diffamatoria dapprima nell’articolo del V. e, successivamente, in parte, nel libro ‹‹Il caso G.››, non esclude l’unicità del fatto dannoso, da intendere con riguardo al risultato finale in cui confluiscono le condotte dei diversi responsabili, stante l’identità del soggetto danneggiato ( C.G.) e dell’interesse leso (la reputazione del magistrato), a nulla valendo che non vi sia coincidenza delle modalità di tempo e di luogo con le quali la notizia è stata diffusa, per il fatto che l’articolo del V., oggetto del giudizio definito con la sentenza della Corte di cassazione penale n. 34016/21, è stato pubblicato sul blog ‹‹ V.C..it›› in data 26 dicembre 2008, mentre il libro ‹‹Il Caso G.››, oggetto del presente giudizio, è stato pubblicato a distanza di qualche mese, nell’ottobre 2009, né ancora che sia diverso il mezzo utilizzato per propalare la notizia che si assume diffamatoria.

Siffatte circostanze non escludono la sostanziale unicità dell’evento lesivo, se si considera che, sebbene l’articolo sul blog del V. sia stato pubblicato in anticipo, il libro del M., pur se pubblicato dopo qualche mese, ha pacificamente ripreso una parte di quell’articolo, senza alterarne il contenuto, contribuendo in tal modo, con efficacia causale, alla diffusione della medesima notizia ritenuta, dalla Corte d’appello con la sentenza qui impugnata, lesiva dell’onore e del prestigio del soggetto su differenti organi di informazione.

L’accertato concorso delle diverse condotte ascritte al V., al M. ed al G. alla determinazione, ex art. 2055 c.c., dell’evento dannoso determina l’applicabilità della disciplina codicistica in tema di solidarietà, tra cui l’art. 1306, comma 2, c.c., che consente, salvo che non sia fondata su ragioni personali al singolo condebitore, di opporre al creditore la sentenza favorevole pronunciata tra il creditore ed uno dei debitori in solido.

La regola di cui al citato comma 2 dell’art. 1306 c.c., diversamente da quanto sostenuto dal controricorrente C.G., trova applicazione proprio nel caso in cui la sentenza, di cui il debitore in solido intenda giovarsi, sia stata resa in un giudizio cui non abbiano partecipato i condebitori che intendano opporla (Cass., sez. 3, 30/09/2014, n. 20559; Cass., sez. 2, 29/01/2007, n. 1779).

Le condizioni richieste per l’operatività del richiamato art. 1306 c.c. ricorrono nella fattispecie in esame, dovendosi considerare che la sentenza n. 13046/21 costituisce sentenza ormai definitiva, l’eccezione di giudicato è stata tempestivamente sollevata nella prima difesa utile, costituita dalla memoria illustrativa, ed il giudicato invocato non si è formato su ragioni personali del V., avendo anzi investito il valore oggettivo delle affermazioni del giornalista in relazione a determinati fatti, poi ripresi nella pubblicazione oggetto del presente giudizio>>.

Prescrizione della responsabilità per i danni lungo latenti (contagio da virus HCV)

Cass.  sez 3 n. 19.568 del 10.07.2023, rel Graziosi:

Fatto:

<<B.P. – vedova di M.G. – e M.N. di lui figlio – convenivano davanti al Tribunale di Venezia il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali anteriormente Ministero della Sanità – per ottenere jure hereditario il risarcimento dei danni subiti da loro congiunto e per il risarcimento dei danni da loro subiti jure proprio per perdita parentale quando, nel 1999, egli era morto per cirrosi epatica che sarebbe derivata dal contagio con virus HCV causato da emotrasfusioni avvenute nel 1972 in ospedale; adducevano di avere appreso la causa della patologia soltanto con la comunicazione, in data 9 maggio 2008, dell’accoglimento della domanda di indennizzo ex l. 210 del 1990 che era stata proposta il 4 ottobre 2005>>.

DIRITTO

<<2.1 Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e detta o falsa applicazione degli artt. 2935 e 2947 c.c. in ordine alla decorrenza della prescrizione per il diritto al risarcimento del danno jure proprio.

Il giudice d’appello identifica il dies a quo nella data della morte del congiunto, invocando Cass. 7553/2012 e Cass. 28464/2013 per sostenere tale identificazione. Si oppone da parte dei ricorrenti che quando M.G. morì essi non avevano consapevolezza della causa di ciò, e si argomenta in ordine alla presunzione della conoscenza/conoscibilità in relazione alla fattispecie, rapportandosi anche alla motivazione di Cass. 3129/2020.

2.2 La giurisprudenza di questa Suprema Corte, in realtà, non lascia spazio per l’appena riassunta prospettazione, e questo collegio non ravvisa in effetti ragione alcuna che possa sostenere di non darle continuità.

Invero Cass. sez. 3, 15 maggio 2012 n. 7553 afferma che la responsabilità del Ministero della Salute per il danno da emotrasfusioni di sangue infetto è di genere extracontrattuale per cui è sottoposta alla prescrizione di cinque anni ai sensi dell’art. 2947, comma 1, c.c. per il danneggiato; il danno jure proprio subito invece dai congiunti rientra nella prescrizione decennale in quanto “il decesso del convenuto emotrasfuso integra omicidio colposo, reato a prescrizione decennale (alla data del fatto)”.

Sulla stessa linea si pongono tra gli arresti massimati Cass. sez. 3, 19 dicembre 2013 n. 28464 (richiamata anch’essa nella sentenza d’appello), Cass. sez. 3, 16 ottobre 2015 n. 20934 e Cass. sez. 3, ord. 22 agosto 2018 n. 20882.

Tale giurisprudenza dunque si rapporta in toto all’omicidio colposo così da identificarlo anche come dies a quo, essendo costituito appunto dalla morte della vittima, il che conduce a disattendere il motivo.

Ad abundantiam, si rileva che l’asserto dei ricorrenti nel senso che quando avvenne il decesso non avevano conoscenza della sua origine costituisce un argomento fattuale, che quindi non può in questa sede essere vagliato in ordine alla sua fondatezza o meno (a prescindere, ovviamente, da quel che emergerebbe appunto sul piano fattuale dal notorio: è del tutto improbabile, invero, che una persona contagiata nel 1972 non fosse nel 1999 consapevole – e così pure i suoi congiunti – di patire tale infezione da HCV).

3.1 Il terzo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2935 e 2947 c.c. riguardo il dies a quo della prescrizione per il diritto al risarcimento del danno jure hereditatis. Si sostiene che il dies a quo dovrebbe identificarsi soltanto con il responso della CMO, e non con la richiesta, invocando SS.UU. 576/2008 e 581/2008.

3.2 In realtà, Cass. S.U. 11 gennaio 2008 n. 576 indica come dies a quo non la comunicazione del responso della commissione medica, bensì la proposizione della relativa domanda amministrativa; e conformi sono tutte le coeve sentenze nn. 576, 579, 580, 581, 583 e 584, cui hanno dato seguito, tra i massimati arresti, Cass. sez. 3, 23 maggio 2011 n. 11302, Cass. sez. 3, 13 luglio 2011 n. 15391, Cass. sez. 3, 14 luglio 2011 n. 15453, Cass. sez. 3, 19 dicembre 2013 n. 28464, Cass. sez. 3, 31 marzo 2016 n. 6213, Cass. sez. 6-3, ord. 18 giugno 2019 n. 16217 e Cass. sez. 6-3, ord. 26 maggio 2021 n. 14470. Il motivo è dunque palesemente infondato>>.

L’embedding sul proprio sito di fotografia altrui, legittimamente presente su altro sito, non è comunicazione al pubblico

l’appello del 9° Circuito afferma quanto sopra (No. 22-15293 del 17 luglio 2023, Hunley e Brauer c. Instagram ; notizia e link da Tyler Ochoa in Eric Goldman blog).

Due fotografi avevano postato loro foto su Instagram e se le vedono poi riprrodotte tramite incorporazione (embedding) da Time e da Buzzfeed.

Agiscono solo verso Instagram per secondary liability (contributory e/o vicarious), non verso le due testate giornalsitiche.

Risposta in 1 e 2 grado: nessuna responsabilità perchè manca la violazione primaria. Infatti l’embedding non è violazione , la quale richiede una riproduzione nella forma di fissazione sul server (c.d. server test).

Precisazioni tecniche:

<<embedding is different from merely providing a hyperlink. Hyperlinking gives the URL address where external content is located directly to a user. To access that content, the user must click on the URL to open the linked website in its entirety. By contrast, embedding provides instructions to the browser, and the browser automatically retrieves and shows the content from the host website in the format specified by the embedding website. Embedding therefore allows users to see the content itself—not merely the address—on the embedding website without navigating away from the site. Courts have generally held that hyperlinking does not constitute direct infringement. See, e.g., Online Pol’y Grp. v. Diebold, Inc., 337 F. Supp. 2d 1195, 1202 n.12 (N.D. Cal. 2004) (“[H]yperlinking per se does not constitute direct infringement because there is no copying, [but] in some instances there may be a tenable claim of contributory infringement or vicarious liability.”); MyPlayCity, Inc. v. Conduit Ltd., 2012 WL 1107648, at *12 (S.D.N.Y. Mar. 20, 2012) (collecting cases), adhered to on reconsideration, 2012 WL 2929392 (S.D.N.Y. July 18, 2012).
From the user’s perspective, embedding is entirely passive: the embedding website directs the user’s own browser to the Instagram account and the Instagram content appears as part of the embedding website’s content. The embedding website appears to the user to have included the copyrighted material in its content. In reality, the embedding website has directed the reader’s browser to retrieve the public Instagram account and juxtapose it on the embedding website. Showing the Instagram content is almost instantaneous>>.

Server test, p. 18:

<<We interpreted the Copyright Act’s fixation requirement and found that an image is “fixed in a tangible medium of expression” when it is “embodied (i.e., stored) in a computer’s server, (or hard disk, or other storage device).” Id. at 1160 (citing MAI Sys. Corp. v. Peak Computer, Inc., 991 F.2d 511, 517–18 (9th Cir. 1993)). Applying that interpretation, we concluded that a “computer owner shows a copy ‘by means of a . . . device or process’ when the owner uses the computer to fill the computer screen with the photographic image stored on that computer.” Id. (quoting 17 U.S.C. § 101. And “a person displays a photographic image by using a computer to fill a computer screen with a copy of the photographic image fixed in the computer’s memory.” Id. This requirement that a copy be “fixed in the computer’s memory” has come to be known as the “Server Test.” See id. at 1159 (“The district court referred to this test as the ‘server test.’”) (quoting Perfect 10 v. Google, Inc., 416 F. Supp. 2d 828, 838–39 (C.D. Cal. 2006)); Free Speech Sys., LLC v. Menzel, 390 F. Supp. 3d 1162, 1171 (N.D. Cal. 2019).>>ù

Sua applicazione al caso, p. 34:

<<Having rejected Hunley’s legal and policy challenges to Perfect 10, we now apply the Server Test to the facts of this case.
By posting photographs to her public Instagram profile, Hunley stored a copy of those images on Instagram’s servers. By displaying Hunley’s images, Instagram did not directly infringe Hunley’s exclusive display right because Instagram had a nonexclusive sublicense to display these photos.
To assert secondary liability claims against Instagram, Hunley must make the threshold showing “that there has been direct infringement by third parties.” Oracle Am., Inc., 971 F.3d at 1050. Time and BuzzFeed wrote the HTML instructions that caused browsers to show Hunley and Brauer’s photographs on Time and BuzzFeed websites. However, under Perfect 10 these instructions did not constitute “display [of] a copy.” See Perfect 10, 508 F.3d at 1160–61. Rather, Instagram displayed a copy of the copyrighted works Hunley posted on its platform, and the web browser formatted and displayed the images alongside additional content from Time and BuzzFeed. Because BuzzFeed and Time embedded—but did not store—the underlying copyrighted photographs, they are not guilty of direct infringement. See Perfect 10, 508 F.3d at 1160–61. Without direct infringement, Hunley cannot prevail on any theory of secondary liability. See Giganews, 847 F.3d at 671. As a result, Instagram is not secondarily liable (under any theory) for the resulting display. The district court did not err in dismissing this case on the basis of the Server Test>>.

Nemmeno il profilo della percezione dell’utente fa cambiare opinione ai giudici di appello, pp. 30-31.

IN UE è importante a questo proposito il caso VG Bild-Kunst / Stiftung Preußischer Kulturbesitz, causa C-392/19 con sentenza C.G. 9 marzo 2021 e spt. conclusioni AG Szpunar 10.09.2020 (nella cui Introduzione v. spiegazioni tecniche in linguaggio meritoriamente accessibile), giunto a conclusioni opposte.

Resta che il contenuto esterno, pur entrando nel sito web incorporante automaticamente, viene ivi pur sempre “riprodotto”: quindi la violazione di quest’ultimo diritto dovrebbe esserci

Ancora sul mantenimento del figlio maggiorenne ma non indipendente economicamente (art. 337 septies cc): due sentenze della Cassazione

Cass. sez. I del 31.07.2023 n. 23.245, rel. Fidanzia sull’art. 337 septies cc:

<<Va osservato che questa Corte, nell’ordinanza n. 17183/2020, ha enunciato il principio di diritto secondo cui “Ai fini del riconoscimento dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, ovvero del diritto all’assegnazione della casa coniugale, il giudice di merito è tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all’età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo o l’assegnazione dell’immobile, fermo restando che tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e (purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori) aspirazioni”.

Nel suo percorso argomentativo, la predetta pronuncia ha evidenziato che, ogniqualvolta i figli maggiorenni siano “non indipendenti economicamente”, l’obbligo di mantenimento “non è posto direttamente e automaticamente dal legislatore, ma è rimesso alla dichiarazione giudiziale alla stregua di tutte le “circostanze” del caso concreto. Esso sarà quindi disposto – pena la superfluità della norma di riserva alla decisione del giudice – non solamente e non semplicemente perché manchi l’indipendenza economica del figlio maggiorenne. Affinché la disposizione menzionata abbia un qualche effetto, occorre, invero, eliminare ogni automatismo, rimettendo essa al giudice la decisione circa l’attribuzione del diritto al mantenimento, prima di quel momento inesistente… “(pag. 13).

L’ordinanza n. 17183/2020 si è occupata anche della situazione del figlio maggiorenne che ha intrapreso un’attività di studio, evidenziando che “trascorso un lasso di tempo sufficiente dopo il conseguimento di un titolo di studio, non potrà più affermarsi il diritto del figlio ad essere mantenuto: il diritto non sussiste, cioè certamente dopo che, raggiunta la maggiore età, sia altresì trascorso un ulteriore lasso di tempo, dopo il conseguimento dello specifico titolo di studio in considerazione (diploma superiore, laurea triennale, laurea quinquennale ecc.) che possa ritenersi idoneo a procurare un qualche lavoro, dovendo essere riconosciuto al figlio il diritto di godere di un lasso di tempo per inserirsi nel mondo del lavoro…..Invero, occorre affermare come il diritto al mantenimento debba trovare un limite sulla base di un termine, desunto dalla durata ufficiale degli studi, e dal tempo mediamente occorrente ad un giovane laureato, in un data realtà economica, affinché possa trovare un impiego; salvo che il figlio non provi non solo che non sia stato possibile procurarsi il lavoro ambito per causa a lui non imputabile, ma che neppure un altro lavoro fosse conseguibile, tale da assicuragli l’auto-mantenimento….”(vedi pagg. 15 e 16).

La Corte d’Appello di Milano non ha fatto buon governo di tali principi, avendo riconosciuto in via automatica al figlio maggiorenne l’assegno di mantenimento come mera conseguenza della sua mancanza di indipendenza economica, senza valutare le altre circostanze relative al caso concreto (se non la capacità lavorativa del padre, elemento da solo ininfluente).

In particolare, la Corte si è limitata a dare atto che il sig. V.A. era laureato, ma senza specificare da quando e se lo stesso avesse eventualmente avviato un percorso di studi post universiatari, e si fosse o meno messo alla ricerca di un’occupazione e con quali esiti, né ha precisato a quali cause fosse riconducibile il suo mancato inserimento nel mondo del lavoro.

Come già sopra anticipato, la Corte d’Appello ha erroneamente interpretato l’art. 337-septies c.c., finendo per ritenere configurabile un automatismo tra il riconoscimento dell’assegno di mantenimento al figlio maggiorente e la sua condizione di non autosufficienza economica, omettendo ogni altra valutazione.

La Corte d’Appello è quindi incorsa nel vizio denunciato dal ricorrente>>.

Il principio è abbastanza esatto: non è automatico il mantenimento in caso di non raggiunta indipendenza, quando c’ è palese colpa del figlio. D’altro canto non basta la laurea per perdere l’assegno ma serve “un certo tempo” ad essa successivo. se il mercato del lavoro non permette l’independenza economica se non dopo molti anni, tocca al genitore il mantenimento medio tempore .

Per non dire poi che i titoli di studio son sempre più importanti per lavori soffisfacenti: non si può allora vietare di conseguirli -anche a livello post laurea- al giovane desideroso di impegnarsi .

Se l’istruzione è la chiave per soddisfazioni future, essa va favorita in tutti i modi possibili e compatibili con l’equilibrio economico familiare.

Il medesimo relatore però pare più restrittivo (ed errando a mio parere, secondo quanto appena osservato) in Cass. sez. I del 31 luglio 2023 n. 23.133:

<<Va preliminarmente osservato che questa Corte (vedi Cass. n. 29264/2022; conf. Cass. 38366/2021) ha più volte enunciato il principio di diritto secondo cui “Il figlio di genitori divorziati, che abbia ampiamente superato la maggiore età, e non abbia reperito, pur spendendo il conseguito titolo professionale sul mercato del lavoro, una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente, non può soddisfare l’esigenza ad una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l’attuazione dell’obbligo di mantenimento del genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito, ferma restando l’obbligazione alimentare da azionarsi nell’ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita dell’individuo bisognoso”.

Tale principio non soffre eccezioni ove il figlio (ultra)maggiorenne non autosufficiente risulti affetto da qualche patologia (nel caso di specie depressiva), ma non tale da integrare la condizione di grave handicap che comporterebbe automaticamente l’obbligo di mantenimento.

In tale fattispecie, per soddisfare le essenziali esigenze di vita del figlio maggiorenne non autosufficiente, ben può richiedersi, ove sussistano i presupposti, un sussidio di ausilio sociale, oppure può proporsi l’azione per il riconoscimento degli alimenti, i quali rappresentano un “minus” rispetto all’assegno di mantenimento, con la conseguenza che nella richiesta di un tale assegno può ritenersi compresa anche quella di alimenti>>.

L’interpretazione non pare corretta, dato il ruolo di norma generale rivestito dal combinato disposto degli artt. 147 e 315 bis cc. Anche perchè l’assistenza sociale è assai scadente in Italia per cui non può farvicisi affidamento (l’incertissima sorte ad es. del reddito di citadinanza, al centro delle cronache di questi giorni,  lo conferma).

Violazioni di copyright e vicarious liability di eBay

Il prof. Eric Goldman nel suo blog  dà notizia del Trib. Del Maine Case 2:22-cv-00284-LEW del 28 luglio 2023, Okolita v. Amazon Walmart eBay , su allegata coviolazione da parte di dette piattaforme dei diritti sulle sue fotografie.

La domanda è rigettata tranne che in un punto che sarà approfondito : per la vicarious liability .

Ecco il passaggio:

<<Homing in on eBay’s right and ability to supervise and control infringing activity conducted on its online marketplace, Ms. Okolita alleges in her third claim that eBay is liable to her for failing to stop and/or prevent ongoing incidents of infringement of her copyrights.

To be vicariously liable for infringement, the facts need to demonstrate that eBay profited from the direct infringement of third-party users of its services “while
declining to exercise a right to stop or limit it.” Grokster, 545 U.S. at 930. This final claim satisfies the plausibility standard. It does so because the law suggests the need for consideration of the qualitative nature of eBay’s response to Ms. Okolita’s takedown requests and eBay’s knowledge and understanding of the infringers’ conduct on its online marketplace. In the context of a motion to dismiss, a plausible claim is viable and an examination of the quality of eBay’s response to Ms. Okolita’s takedown requests is suited for a summary judgment record or trial. Moreover, to the extent eBay premises its motion to dismiss on the copyright safe harbor found in § 512(c), that entails a separate inquiry that arises in the context of an affirmative defense. Although the current record establishes that eBay has a § 512(c) policy (on paper) and that eBay did remove content that infringed Ms. Okolita’s copyright(s), I am not persuaded that a review of Ms.
Okolita’s FAC and its attachments makes it obvious that eBay is sheltered by the safe harbor>>.

Da noi una domanda analoga difficilemente avrebbe successo in base all’art. 6.2 del Digital serices act reg.- Ue 2022/2065 (2. Il paragrafo 1 non si applica se il destinatario del servizio agisce sotto l’autorità o il controllo del prestatore). Almeno in una interpretazione testuale: ma non ne è escluso affatto un esito opposto con interpretazione estensiva

La crowded art riduce il tasso di distintività del marchio azionato

Alessandro Cerri in IPKat ci propone High CourT of Justice inglese 19 luglio 2023, Case No: IL-2018-000115, giudice Mellor, per cui il primo dei due marchi seguenti non è violato dal secondo.

Le differenze sono modeste dato che fantino e cavallo non hanno un ruolo dominante (§ 264) e che il settore delle magliette polo è assi affollato di marchi analoghi.

Il passo più interessante è quello circa la valorizzazione della crowded art: essa conta circa il giudizio di distintività del segno azionato, che si riduce se il settore è pieno di prodotti affini marcati in modo assai simile.

Mi pare esattissimo.

<<66  As far as I could tell, the Ds did not engage with the Cs’ arguments as to context but it seems to me that these submissions confuse two separate but related concepts and involve a non-sequitur between the first two and the last two points. The concepts are related in the sense that they both involve things that impinge on the mind of the average consumer and (may) influence the result.

67. There are sound policy reasons for not taking an over-expansive view of the context of the allegedly infringing use. These can be readily understood in the examples which the Deputy Judge had in mind in [24]. The use of ‘Fake Rolex’ or ‘Imitation Louis Vuitton’ does not escape infringement of the famous marks.

68. Although, as I have indicated, the Cs suggested this case was all about context, the Ds put their case differently. Instead, the Ds submitted the key here was to focus on the nature of the mark, the message it conveys to the consumer and hence on its distinctive character. Implicitly, the Ds therefore agreed with the notion that the relevant context was ‘local’, and so do I.

69. Taking a step back from the detail, if I assume for a moment that RL Polo, USPA and all the other third party ‘polo’ brands had never existed and BHPC was the first ‘polo’ brand which created the market and Sign 3 was freshly launched onto the market (for this purpose, assume UK), the infringement action would look very different – in short, it would be far more likely to succeed.

70. Instinctively, the long-standing presence of RL Polo, USPA and possibly other third party ‘polo’ brands must create a different situation. I agree with the Ds that it is necessary to assess the nature of the Cs mark, what it conveys to the average consumer and its distinctive character in this market which can be characterised as somewhat crowded with ‘polo’ themed brands. This is not a ‘context’ issue, and the distinction is clear: context is concerned with an examination of the use complained of, whereas the Ds are saying that it is the Cs mark which brings to that examination the relevance of other ‘polo’ brands in the market, provided they impinge on the way in which the average consumer views and recalls the Cs’ mark>>

<<.74. Once again, it is apparent that Marcus Smith J. considered that the relevance of other ‘polo’ brands went to distinctiveness or the lack of it. I should make it clear that the point I derive from Greenwich Polo is additional support for the point of law that the relevance of a ‘crowded market’ is to distinctiveness of the registered trade mark in issue. I should also emphasise that, whilst that case involved the same Cs’ registered trade marks as in this case, the Greenwich Signs were very different from those I have to consider. Furthermore and most importantly, I have received different evidence in this case – I have not received any evidence from Mr Durbridge>>.