Nuova edizione dei principi di Corporate governance dell’OECD (anzi, G20/OECD)

Orizzonti del diritto commerciale dà notizia della e link alla nuova edizione dei  Principi di Corporate governance OECD (anzi G20/OECD).

Qui richiamo la parte sulla sostenibilità , cap. VI Sustainability and resilience.

Le relative regole mirano solo alla miglior profittabilità nel lungo termine.

Tale è lo scopo anche della misura più avanzata, il dialogo con gli stakeholders (VI.B. Corporate governance frameworks should allow for dialogue between a company, its shareholders and stakeholders to exchange views on sustainability matters as relevant for the company’s business strategy and its assessment of what matters ought to be considered material).

Genericissima la regola sulla partecipazione dei lavoratori, VI.D.3 (The degree to which employees participate in corporate governance depends on national laws and practices, and may vary from company to company as well. In the context of corporate governance, mechanisms for participation may benefit companies directly as well as indirectly through the readiness by employees to invest in firm specific skills. Examples of mechanisms for employee participation include employee representation on boards and governance processes such as works councils that consider employee viewpoints in certain key decisions. International conventions and national norms also recognise the rights of employees to information, consultation and negotiation).

Violazione di servitù reciproche condominiali: i divieti di certi usi delle parti di proprietà esclusiva devono essere “chiari ed espliciti”

Cass. sez.- II n- 15.222 del 30 maggio 2023 rel. Scarpa, circa la legittimità dell’uso di un immoibile condominiale come asilo nido.

L’art. 9 del regolamento di condominio era finalizzato <<ad impedire di “destinare gli appartamenti e gli altri enti dello stabile a uso diverso da quello figurante nel rogito di acquisto”, aggiungendo “e’ vietato destinare gli alloggi a uso sanitario, gabinetti di cura, ambulatorio per malattie infettive e contagiose, scuole di musica, di canto, di ballo e pensioni”>>.

sulla non ncessità di litisconsorzio verso il pripreitario condoiuno per le azioni di cessazione, bastando la presenza del  conduttore:

<<2.6.1. L’azione intentata dal Condominio di via (Omissis) per l’asserita violazione, in immobile condotto in locazione, di una prescrizione contenuta nel regolamento condominiale di non destinare i singoli locali di proprietà esclusiva dell’edificio a determinati usi, recante altresì la domanda di cessazione dell’attività abusiva e di accertamento della illegittimità dell’attività svolta nell’immobile alla stregua del divieto regolamentare, non poteva proporsi nei confronti della sola conduttrice Child Care s.r.l., essendo la proprietaria dell’unità immobiliare Talvera s.a.s. litisconsorte necessario in un tale giudizio. Ciò si comprende in quanto il giudizio che sia diretto a verificare l’esistenza e l’opponibilità di una siffatta clausola del regolamento, la quale preveda limitazioni all’uso delle unità immobiliari in proprietà esclusiva, accerta la sussistenza di servitù reciproche che riguardano immediatamente la cosa e perciò deve coinvolgere anche il proprietario, e non soltanto il conduttore.

Deve invero considerarsi che l’azione del condominio diretta a curare l’osservanza del regolamento ed a far riconoscere in giudizio l’esistenza della servitù che limiti la facoltà del proprietario della singola unità di adibire il suo immobile a determinate destinazioni, si configura come confessoria servitutis, e perciò vede quale legittimato dal lato passivo in primo luogo colui che, oltre a contestare l’esistenza della servitù, abbia un rapporto attuale con il fondo servente (proprietario, comproprietario, titolare di un diritto reale sul fondo o possessore suo nomine), potendo solo nei confronti di tali soggetti esser fatto valere il giudicato di accertamento, contenente, anche implicitamente, l’ordine di astenersi da qualsiasi turbativa nei confronti del titolare della servitù o di rimessione in pristino, mentre gli autori materiali della lesione del diritto di servitù possono essere eventualmente chiamati in giudizio quali destinatari dell’azione ex art. 1079 c.c. ove la loro condotta si sia posta a titolo di concorso con quella di uno dei predetti soggetti o abbia comunque implicato la contestazione della servitù (arg. da Cass. n. 1332 del 2014; n. 1383 del 1994).

Il condominio, quindi, sempre che sia provata l’operatività della clausola limitativa, ovvero la sua opponibilità al condomino locatore, può chiedere, comunque, nei diretti confronti del conduttore di una porzione del fabbricato condominiale, la cessazione della destinazione abusiva e l’osservanza in forma specifica delle istituite limitazioni, giacché il conduttore non può venire a trovarsi, rispetto al condominio, in posizione diversa da quella del condomino suo locatore, il quale, a sua volta, è tenuto ad imporre contrattualmente al conduttore il rispetto degli obblighi e dei divieti previsti dal regolamento, a prevenirne le violazioni e a sanzionarle anche mediante la cessazione del rapporto di locazione (cfr. Cass. n. 24188 del 2021; n. 11383 del 2006; n. 4920 del 2006; n. 16240 del 2003; n. 23 del 2004; n. 15756 del 2001; n. 4963 del 2001; n. 8239 del 1997; n. 825 del 1997; n. 5241 del 1978).

Le aspirazioni del conduttore di destinare l’immobile locato al soddisfacimento delle proprie esigenze abitative o all’esercizio della sua attività produttiva non hanno, invero, spazio per alcuna rivendicazione nei confronti della collettività condominiale, e vengono relegate al piano dei rimedi sinallagmatici esperibili verso il locatore. Il nostro ordinamento, diversamente da altri, non differenzia, in termini di opponibilità al conduttore, tra clausole del regolamento condominiale trascritte prima o dopo la stipula del contratto di locazione. Il conduttore convenuto dal condominio sull’assunto della violazione della norma regolamentare non può perciò invocare alcuna verifica giudiziale di meritevolezza della limitazione al suo godimento, ma solo rilevare, eventualmente, la mancata approvazione o l’inopponibilità di quel regolamento che rappresenta la condizione costitutiva dell’esperita azione>>

e poi:

<<2.6.5. Configurandosi, appunto, tali restrizioni di godimento delle proprietà esclusive come servitù reciproche, intanto può allora ritenersi che un regolamento condominiale ponga limitazioni ai poteri ed alle facoltà spettanti ai condomini sulle unità immobiliari di loro esclusiva proprietà, in quanto le medesime limitazioni siano enunciate nel regolamento in modo chiaro ed esplicito, dovendosi desumere inequivocamente dall’atto scritto, ai fini della costituzione convenzionale delle reciproche servitù, la volontà delle parti di costituire un vantaggio a favore di un fondo mediante l’imposizione di un peso o di una limitazione su un altro fondo appartenente a diverso proprietario. Il contenuto di tale diritto di servitù si concreta nel corrispondente dovere di ciascun condomino di astenersi dalle attività vietate, quale che sia, in concreto, l’entità della compressione o della riduzione delle condizioni di vantaggio derivanti – come qualitas fundi, cioè con carattere di realità – ai reciproci fondi dominanti, e perciò indipendentemente dalla misura dell’interesse del titolare del Condominio o degli altri condomini a far cessare impedimenti e turbative. Non appaga, pertanto, l’esigenza di inequivoca individuazione del peso e dell’utilità costituenti il contenuto della servitù costituita per negozio la formulazione di divieti e limitazioni nel regolamento di condominio operata non mediante elencazione delle attività vietate, ma mediante generico riferimento ai pregiudizi che si ha intenzione di evitare (quali, ad esempio, l’uso contrario al decoro, alla tranquillità o alla decenza del fabbricato), da verificare di volta in volta in concreto, sulla base della idoneità della destinazione, semmai altresì saltuaria o sporadica, a produrre gli inconvenienti che si vollero, appunto, scongiurare (Cass. n. 38639 del 2021; n. 33104 del 2021; n. 24188 del 2021; n. 21307 del 2016; n. 23 del 2004).

2.6.6. La condivisa esigenza di chiarezza e di univocità che devono rivelare i divieti ed i limiti regolamentari di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva, coerente con la loro natura di servitù reciproche, comporta che il contenuto e la portata di detti divieti e limiti vengano determinati fondandosi in primo luogo sulle espressioni letterali usate. L’art. 1362 c.c., del resto, allorché nel comma 1 prescrive all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l’elemento letterale del contratto, anzi intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile>>.

Sulla necessitàò di precisa indiduazione della servitu cioè meglio del “peso” concordato sul fondo servente: ovvia, visto l’art. 1346 cc e la fonte contrattuale dela servitù. Meno ovvio è il criterio letterale che impedisce applicazioni estensive o analogiche (diremmo se si tratasse di norma legislativa invece che di patto)

<<2.6.7. Nella interpretazione del divieto di “destinare gli appartamenti e gli altri enti dello stabile a uso diverso da quello figurante nel rogito di acquisto”, occorre allora considerare che il contenuto di un diritto reale di servitù non può consistere in un generico divieto di disporre del fondo servente, dovendo il titolo costitutivo contenere tutti gli elementi atti ad individuare la portata oggettiva del peso imposto sopra un fondo per l’utilità di altro fondo appartenente a diverso proprietario, con la specificazione dell’estensione (Cass. n. 18349 del 2012).

Si insegna in dottrina che la servitù è un “diritto reale speciale”, sicché contenuto di essa, ove il peso imposto consista in un non facere, non può mai essere un indeterminato divieto di astensione da ogni diversa destinazione all’utilizzazione del fondo servente, che ne svuoti la proprietà.

La questione rievoca il complesso dibattito sui vincoli convenzionali alla destinazione d’uso dei beni immobili e sulla inidoneità degli stessi a valicare l’efficacia meramente obbligatoria. Già la più risalente giurisprudenza sosteneva l’invalidità delle clausole contrattuali degli atti di vendita che vietassero sine die all’acquirente di imprimere una diversa destinazione al bene, per l’effetto di disintegrazione del diritto di proprietà da esse discendenti (Cass. n. 1056 del 1950; n. 1343 del 1950; n. 4530 del 1984).

La costituzione della servitù, concretandosi in un rapporto di assoggettamento tra due fondi, importa, allora, una restrizione delle facoltà di godimento del fondo servente, ma tale restrizione, seppur commisurata al contenuto ed al tipo della servitù, non può risolversi nella totale elisione delle facoltà di disposizione del fondo servente (Cass. n. 1037 del 1966), precludendo al titolare dello stesso ogni possibile mutamento di destinazione.

Avendo, peraltro, la Corte d’appello di Milano analizzato la nozione legislativa della “destinazione d’uso”, occorre precisare che la decisione in esame non pone una questione di interpretazione delle disposizioni di legge, la quale è regolata dall’art. 12 preleggi assegnando un valore prioritario al dato letterale ed individuando, quale ulteriore elemento, l’intenzione del legislatore, quanto questione di interpretazione contrattuale in senso stretto, la quale, come già considerato, ha ad oggetto la determinazione della volontà dei contraenti.

Nella interpretazione, invece, del divieto di “destinare gli alloggi a uso sanitario, gabinetti di cura, ambulatorio per malattie infettive e contagiose, scuole di musica, di canto, di ballo e pensioni”, occorre preservare il significato lessicale delle espressioni adoperate nel testo negoziale, avendo riguardo alle limitazioni enunciate nel regolamento in modo chiaro ed esplicito, e cioè alla elencazione delle attività vietate risultanti dall’atto scritto, non potendosene desumere ulteriori e diverse in ragione delle possibili finalità pratiche perseguite dai condomini contraenti in rapporto ai pregiudizi che si aveva intenzione di evitare (quale, ad esempio, evitare tutte le attività parimenti “rumorose”).

3. Alla stregua dei principi enunciati, dovrà procedersi in sede di rinvio ad accertare se l’art. 9 del regolamento condominiale fosse opponibile alla condomina locatrice Talvera s.a.s. e se lo stesso rechi un divieto chiaro ed esplicito di destinare le unità immobiliari di proprietà esclusiva ad asilo nido>>.

Probabilmente, stante l’affermata interpretazione letterale, la SC avrebbe potuto ex art. 384/2 cpc decidere nel merito, dato che l’asilo nido non rientra negli usi proibiti elencati  nel regol..

Plagio di lettera da parte di un breve saggio: “The Kindest” in Larson v. Dorland Perry

La corte del Massachussets 14.09.2023 n. Case 1:19-cv-10203-IT, larson v. Dorland Perry, (segnalato e linkato dal prof. Edward Lee su X ).

Qui la peculiarità fattuale è che il lavoro plagiario si è evoluto in tre versioni, sempre più lontane dal lavoro originale.

Sulla substantial similarity : <<“Substantial similarity is an elusive concept, not subject to precise definition.” Concrete Mach. Co. v. Classic Lawn Ornaments, Inc., 843 F.2d 600, 606 (1st Cir. 1988). The inquiry is a “sliding scale”: If there are many ways to express a particular idea, then the burden of proof on  the plaintiff to show substantial similarity is lighter. Id. at 606-07. Here, there are many ways to write a letter, even one dealing specifically with kidney donations. Larson Mem. SJ, Ex. 8 [Doc. No. 189-8] (examples of sample letters from organ donors/family members of organ donors to recipients); Id., Ex. 1 ¶ 7 (Larson Aff.) [Doc. No. 189-1]>>.

Sulle parti non originali:

<<However, “[n]o infringement claim lies if the similarity between two works rests necessarily on non-copyrightable aspects of the original—for example, ‘the underlying ideas, or expressions that are not original with the plaintiff.’” TMTV, Corp. v. Mass. Prods., Inc., 645 F.3d 464, 470 (1st Cir. 2011) (internal citation omitted). “[I]t is only when ‘the points of dissimilarity not only exceed the points of similarity, but indicate that the remaining points of similarity are (within the context of plaintiff’s work) of minimal importance either quantitatively or qualitatively, [that] no infringement results.’” Segrets, Inc., 207 F.3d at 66. “‘The test is whether the accused work is so similar to the plaintiff’s work that an ordinary reasonable person would conclude that the defendant unlawfully appropriated the plaintiff’s protectible expression by taking material of substance and value.’” Id. at 62. “While summary judgment for a plaintiff on these issues is unusual,” it may be warranted based on the factual record. Id.; accord T-Peg, Inc. v. Vt. Timber Works, Inc., 459 F.3d 97, 112 (1st Cir. 2006)>>.

Sui dati fattuali sostenenti il giudizio di accertato plagio nella prima versione:

<<The 2016 Brilliance Audio Letter.8 As Larson concedes, the undisputed evidence mandates a conclusion that the 2016 Letter is substantially similar to the Dorland Letter. The Dorland Letter is approximately 381 words long, Dorland Mem. SJ, Ex. C [Doc. No. 181-3]; of those 381 words, the 2016 Letter copies verbatim approximately 100, and closely paraphrases approximately 50 more, Larson Mem. SJ, Appendix I [Doc. No. 193-1]. Many of these verbatim or near-verbatim lines gave the Dorland Letter its particular character, including: “My gift…trails no strings”; “I [focused/channeled] [a majority of] my [mental] energ[y/ies] into imagining and celebrating you”; “I accept any level of involvement,…even if it is none”; “To me the suffering of strangers is just as real”; and “I [wasn’t given/didn’t have] the opportunity to form secure attachments with my family of origin.” Id. The 2016 Letter also follows an identical structure to the Dorland Letter: a paragraph introducing the donor, including information on race, age, and gender; a paragraph explaining how the donor discovered the need for kidney donation; a paragraph explaining the donor’s traumatic childhood; a paragraph expressing the donor’s focus on the future recipient; a paragraph wishing the recipient health and happiness; and a concluding paragraph expressing a desire to meet. Id. Based on the documents before the court, the 2016 Letter took “material of substance and value” from the Dorland Letter in such a quantity and in such a manner that the points of similarity outweigh the points of dissimilarity. See Segrets, Inc., 207 F.3d at 62, 66.>>

Con analitico esame ravvisa comunque fair use.

Il giudice esclude tortiuous interference nelle continue dichiaraizoni dell’asserito plagiato verso le contriopati contrattiuali dell’asserito plagiante

Esclude anche che ricorra diffamazione.

Onere della prova del danno da emotrasfusione

Sulla sempre poco lineare disciplina in oggetto si v. Cass. sez. III n. 26.091 del 7 settembre 2023, rel. Ambrosi:

Contesto fattual-processuale:

<<Tanto richiamato, la decisione di appello, nel riformare integralmente la decisione di prime cure, ha imposto alla paziente un onere probatorio sul nesso causale, nel caso di specie, che si pone al di fuori dei confini tracciati dai principi sopra richiamati, anche alla luce delle precisazioni in tema di prova del nesso eziologico poc’anzi ricordate, soprattutto, a fronte di una serie di circostanze emerse dall’istruttoria compiuta, quali, nella specie:

– la mancanza di documentazione sanitaria, (della cui produzione era onerata la A.S.P.) in ordine al peculiare procedimento di conservazione del sangue c.d. a “circuito chiuso”, soltanto dedotto dall’Azienda ma non prodotto in atti, – circostanza che, in prime cure, difatti, non era stata presa in considerazione dal C.T.U. -, e sulla quale, viceversa, la CTU rinnovata in appello aveva espresso considerazioni di tipo generale, ipotizzando, altrettanto astrattamente, e senza alcun riferimento al caso concreto, “l’impossibilità” del contagio soltanto nella ipotesi in cui tale procedura fosse correlata a condizioni astratte di normalità; – il protrarsi di tale omissione, benché il Giudice di prime cure avesse (correttamente) ordinato all’Ente, nell’esercizio dei suoi poteri officiosi, di produrre in giudizio la predetta documentazione;

– la carenza di prova (gravante sulla struttura) del rispetto, nel caso concreto, di tutte le procedure indicate dalla CTU (sul punto, in tema di infezioni nosocomiali, cfr. Sez. 3, 03/03/2023 n. 6386, precedente con cui, da ultimo, è stata affermata la necessità che la prova del rispetto di tutte le procedure necessarie a prevenire tali infezioni sia offerta non in astratto, attraverso la produzione dei protocolli da seguire, ma in concreto e con riferimento al singolo intervento sanitario In particolare, si legge in motivazione che, “in tema di infezioni nosocomiali, la responsabilità della struttura sanitaria non ha natura oggettiva, sicché, a fronte della prova presuntiva, gravante sul paziente, della contrazione dell’infezione in ambito ospedaliero, la struttura può fornire la prova liberatoria di aver adottato, nel caso di specie, tutte le misure utili alla prevenzione delle stesse (sempre in motivazione, sono esemplificativamente elencate una serie di misure e procedure idonee a fornire detta prova liberatoria).

– il fatto che in occasione del ricovero, la paziente era, sì affetta da una generica sofferenza epatica, ma non anche (ed è certo) da epatite, come accertato anche dallo stesso CTU in appello, senza che, sul punto, la prova positiva sulla esistenza della infezione epatica al momento del ricovero fosse stata fornita dalla struttura sanitaria onde contrastare la presunzione semplice di contrazione dell’infezione all’esito dell’avvenuta trasfusione (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata, in motivazione)>>.

Errore della corte:

<<5.3. Nello specifico, la Corte d’appello ha violato i criteri di riparto dell’onere probatorio dettati dai precedenti richiamati allorquando ha, erroneamente, onerato la danneggiata, odierna ricorrente, di dimostrare l’assenza di una malattia epatica al momento del ricovero, senza poi valutare nel complesso gli elementi specifici addotti dalla stessa paziente ai fini di ritenere, presuntivamente, provato il nesso causale tra la condotta della danneggiante e l’evento di cui domandava il risarcimento. Risulta, difatti accertato (e riportato nell’illustrazione dei motivi di ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza) che la paziente aveva dedotto:

– di non avere fattori di rischio specifici che potessero aver scatenato l’epatite;

– che la patologia era stata accertata ad un anno di distanza dalla trasfusione;

– che era restata del tutto ignota la causa alternativa.

Sul punto, la Corte di merito ha invero concluso in modo insanabilmente perplesso, asserendo che “non era possibile affermare la pregressa esistenza dell’infezione, ma neppure era possibile escluderla (…)” (pag. 9 della sentenza impugnata, in motivazione), in tal modo violando i principi posti a presidio dell’accertamento del nesso causale, alla luce del criterio “del più probabile che non”, ponendo a confronto le due ipotesi, positiva e negativa, in ordine alla sua sussistenza, senza spiegare in alcun modo perché una ipotetica causa ignota dovesse prevalere, nel giudizio probabilistico, sulla contraria ipotesi positiva, benché assistita da solidi argomenti presuntivi.

inoltre, la Corte di merito, sebbene abbia dato atto delle omissioni e lacune, che ha definito (con un irrilevante giudizio di tipo etico ai fini del decidere) “certamente non commendevoli” dell’Azienda sanitaria nella redazione e conservazione della documentazione prevista dalla normativa di settore, tuttavia ha inteso considerare detta carenza solo in relazione all’assolvimento dell’onere del debitore di fornire la prova liberatoria, tornando a sottolineare che la creditrice non aveva fornito la prova del nesso causale, quale presupposto imprescindibile per l’insorgenza dell’onere del debitore di provare l’esatto adempimento o l’impossibilità dello stesso (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata, in motivazione).

Osserva in conclusione il Collegio che le medesime argomentazioni della sentenza impugnata, addossando arbitrariamente in capo alla danneggiata, per un verso, l’onere di dimostrare che al momento della trasfusione non fosse affetta dall’infezione di cui ha preteso il risarcimento (cfr. Cass. Sez. 3 24/09/2015 n. 18895), e dall’altro, disinteressandosi di accertare se la condotta della A.S.P. nelle procedure di acquisizione e perfusione del plasma fosse stata o meno, nel caso concreto, conforme alla normativa di settore, pur avendone stigmatizzato la condotta sia nella tenuta e conservazione della documentazione sia nella accertata carenza di ogni allegazione al riguardo, contravvengono, come poc’anzi evidenziato, ai criteri funzionali di accertamento probatorio del nesso causale (funditus, cfr. Cass. Sez. 6 – 3, 22/04/2021 n. 10592).>>.

Principi di diritto (importanti assai a livello pratico):

“In tema di danno da infezione trasfusionale, è onere della struttura sanitaria dimostrare che, al momento della trasfusione, il paziente fosse già affetto dall’infezione di cui domanda il risarcimento;

“In tema di danno da infezione trasfusionale, è onere della struttura sanitaria allegare e dimostrare di avere rispettato, in concreto, le norme giuridiche, le leges artis e i protocolli che presiedono alle attività di acquisizione e perfusione del plasma”.

Sul ne bis in idem nel diritto europeo: anche le sanzioni amministrative da pratiche commerciali sleali (da Dieselgate) sono “penali” ai sensi dellart. 50 Carta di Nizza

La corte di giustizia 14.09.2023, C-27/22, Volkswagen c. AGCM,  decide l’interessante questione rinviatale dal nostro consiglio di stato sull’impugnazione delle sanzioni da slealtà commerciale, proposta da società Volkswagen.

Due punti solo accenno :

– le sanzioni amministrative ex art. 27 cod. cons. sono “penali” ai sensi dell’art. 50 Carat di Nizza;

– resta però da vedere se si tratti del “medesimo fatto” visto che il previo giudizio si era svolto in Germania. La Corte rimanda al giudice nazionale ma dà qualche indiazionie (sulla scia di quelle dell’avvocato generale : v. mio post di marzo u.s.) :

<< 72  A tal proposito occorre rilevare, in primo luogo, come fa il governo dei Paesi Bassi nelle sue osservazioni scritte, che la negligenza nella supervisione delle attività di un’organizzazione con sede in Germania, oggetto della decisione tedesca, è una condotta distinta dalla commercializzazione in Italia di veicoli muniti di un impianto di manipolazione vietato, ai sensi del regolamento n. 715/2007, e dalla diffusione di pubblicità ingannevole in tale Stato membro, le quali sono oggetto della decisione controversa.

73 In secondo luogo, nei limiti in cui la decisione tedesca riguarda la commercializzazione di veicoli muniti di un siffatto impianto di manipolazione vietato, anche in Italia, nonché la diffusione di messaggi pubblicitari scorretti relativi alle vendite di tali veicoli, occorre ricordare che la mera circostanza che un’autorità di uno Stato membro menzioni, in una decisione che constata un’infrazione al diritto dell’Unione nonché alle corrispondenti disposizioni del diritto di tale Stato membro, un elemento di fatto che riguarda il territorio di un altro Stato membro non può essere sufficiente per ritenere che tale elemento di fatto sia all’origine del procedimento o sia stato considerato da tale autorità tra gli elementi costitutivi di tale infrazione. Occorre ancora verificare se detta autorità si sia effettivamente pronunciata su detto elemento di fatto al fine di accertare l’infrazione, dimostrare la responsabilità della persona perseguita per tale infrazione e, se del caso, infliggerle una sanzione, di modo che detta infrazione debba essere considerata come estesa al territorio di tale altro Stato membro (v., in tal senso, sentenza del 22 marzo 2022, Nordzucker e a., C‑151/20, EU:C:2022:203, punto 44).

74 In terzo luogo, dalla decisione tedesca risulta tuttavia che le vendite di siffatti veicoli in altri Stati membri, compresa la Repubblica italiana, sono state prese in considerazione dalla procura tedesca in sede di calcolo della somma di EUR 995 milioni, disposta a carico della VWAG a titolo di prelievo sul beneficio economico derivante dalla sua condotta illecita.

75 In quarto luogo, la procura tedesca ha espressamente rilevato, nella decisione tedesca, che il principio del ne bis in idem, quale sancito nella costituzione tedesca, osterebbe all’irrogazione di ulteriori sanzioni penali al gruppo Volkswagen, in Germania, per quanto riguarda l’impianto di manipolazione in questione e il suo utilizzo. Infatti, ad avviso di tale procura, i fatti oggetto di detta decisione sarebbero gli stessi fatti oggetto della decisione controversa, ai sensi della giurisprudenza della Corte, in quanto l’installazione di detto impianto, il rilascio dell’omologazione, nonché la promozione e la vendita dei veicoli in questione costituiscono un insieme di circostanze concrete inscindibilmente connesse tra loro.

76 Nell’ipotesi in cui il giudice del rinvio dovesse dichiarare che i fatti oggetto delle due procedure di cui trattasi nel procedimento principale sono identici, il cumulo delle sanzioni irrogate alla VWAG costituirebbe una limitazione dell’applicazione del principio del ne bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta>>.

Risolto il dubbio teorico sul concetto di <penale>, ora il CdS valuterà se i fatti giudciat in Germania furono gli stessi alla base delal sanzione italiana. In concreto, direi , valuterà se  le vendite e le pubblicità sanzionate là compresero anche quelle sanzionate qui (e nel medesimo arco temporale, aggiungo, saltando altrimenti le medesimezza fattuale)

Marchio denominativo anticipato da marchio complesso

Trib. ue 13.09.2023, T-167/22, Transformers Manufacturing Company Pty Ltd c. EUIPO – H&F srl, decide la tra i seguenti segni (prodotti quasi uguali):

segno denominativo TMC TRANSFORMERS , chiesto in registrazione;

marchio anteriore azionato dall’opponente

Il Trib conferma le decisioni amministrative che danno ragione all’opponente: il secondo marchio crea confondibilità.

Centrale è l’espressione TMc in entrambi, la quale a sua volta è sufficientemente distintiva.

C’è somiglianza fonetica e visiva, non concettuale

Approvata dal parlamento la bozza di regolamento UE sulla protezione di indicazioni geografiche per prodotti artigianali e industriali

Il Parlamento UE approva la <<Risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 12 settembre 2023 sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla protezione delle indicazioni geografiche per i prodotti artigianali e industriali, che modifica i regolamenti (UE) 2017/1001 e (UE) 2019/1753 del Parlamento europeo e del Consiglio e la decisione (UE) 2019/1754 del Consiglio (COM(2022)0174 – C9-0148/2022 – 2022/0115(COD))>> (link diretto qui).

Ora tocca al Consiglio ma non si vedono ostacoli all’orizzonte per  l’approvaizone.

La novità è decisamente importante: la tutela (è una privativa sui nomi) prevista per l’agroalimentare ora si estende ai prodotti artigianali e industriali.

Riporto solo questi ultimi due cocnetti come definiti dal reg.:

art. 4.1) << “prodotti artigianali e industriali”: prodotti
a) realizzati interamente a mano, oppure con l’ausilio di strumenti manuali o digitali, o mediante mezzi meccanici, con il contributo manuale ▌ che costituisce una componente importante del prodotto finito; oppure
b) realizzati in modo standardizzato, compresa la produzione in serie e mediante l’uso di macchine;>>

Complicata (doppia, locale e europea) procedura di reguistrazione.

Cenno alla possibilità di intese sulla sostenibilità (art. 40.2.c): che costituisce deroga al divieto di intese restrittive della concorrenza.

La tutela sta nel titolo III, art. 40 ss. Vedi spt art. 40 di cui riporto il § 1:

Articolo 40
Protezione delle indicazioni geografiche
1. Le indicazioni geografiche iscritte nel registro dell’Unione ▌sono protette da:
a) qualsiasi uso commerciale diretto o indiretto dell’indicazione geografica per prodotti che non sono oggetto di registrazione, qualora questi ultimi siano paragonabili ai prodotti oggetto di registrazione o qualora l’uso di tale nome sfrutti, indebolisca, svigorisca o danneggi la reputazione dell’indicazione geografica protetta;
b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione del nome protetto come indicazione geografica, anche se la vera origine dei prodotti o servizi è indicata o se l’indicazione geografica protetta è una traduzione o è accompagnata da espressioni quali “genere”, “tipo”, “metodo”, “alla maniera”, “imitazione”, “gusto”, “fragranza”, “come” o un’espressione simile;
c) qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all’origine, alla natura o alle caratteristiche essenziali del prodotto usata sulla confezione o sull’imballaggio, sui materiali pubblicitari, nei documenti o nelle informazioni fornite su interfacce online relative al prodotto, così come l’utilizzo, per il confezionamento del prodotto, di recipienti che possano indurre in errore quanto alla sua origine;
d) qualsiasi altra pratica che possa indurre in errore il consumatore quanto alla vera origine del prodotto.

Caramella a forma e sapore di fetta di anguria: marchio di forma negato dal 3° circuito d’appello usa

il 3 circuito d’appello usa 7 settembre n. 22-2821, Pim brands v. Haribo, giudice Arleo, conferma il primo grado (notizia e link da IPwatchdog)

La forma e i colori indicano il flavour del dolciume: quindi nessuna distintività.

<<The question is whether the candy’s colors alone signal its flavor or whether the colors and shape combined further that function. Though PIM disagrees, we think the two work together. (…)

As PIM notes, the shape and colors do not match exactly: The bottom could be more curved and have a thinner band of darker green. The wedge could be wider. The point could be sharper and a deeper red. There could be black seeds. But as PIM itself put it, because this candy is an impulse buy, it “do[es]n’t need to be the Mona Lisa.” Oral Arg. 13:15–19. To identify its flavor, the candy’s trade dress need not exactly copy watermelon, but just evoke it.
And the shape contributes to the overall effect. Some shapes for watermelon candies, such as sharks, ropes, and rib-bons, detract from (or at least add no information beyond) the colors. But the wedge shape contributes to the function. The colors alone could leave some ambiguity: Is it watermelon or strawberry? With the wedge shape, all ambiguity is gone—this candy is a wedge of watermelon.
In that vein, the wedge might or might not identify the fla-vor on its own or with other color schemes. That trade dress is not before us; the watermelon-colored wedge is. The registered trademark at issue defines the mark by both colors and shape. So does PIM’s complaint. Plus, when we look at the pictured candies, our eyes are drawn immediately to both their colors and their shape. We think of a slice of watermelon based on both its color scheme and its shape. And in this color scheme, the candy looks like a watermelon wedge. So we hold that the trade dress presented as a whole, colors and shape together, makes the watermelon candy more identifiable as a slice of wa-termelon. That is function enough>>.

DA noi la conclusione sarebbe verosimilmente uguale ex art. 9.c – 13.1.b) c.p.i.

Interruzione della prescrizione solo tramite la domanda giudiziale principale o anche tramite quella subordinata?

ilcaso.it dà notizia di Cass. sez. III n° 16.120 del 7 giugno 2023 , rel. Porreca, per cui l’atto introduttivo interrompe la prescrizione per il diritto azionato sia con la domanda principale che subordinata.

Aspetto interessante, probabilmente esatto, anche se non scontato.

<<La proposizione di una domanda giudiziale determina l’interruzione della prescrizione con riguardo a tutti i diritti pretesi che si trovano in relazione di causalità, anche in via subordinata, con il rapporto unitario dedotto con l’istanza principale, assumendo rilievo l’unitarietà del fatto a cui sono ricollegate le varie domande, volte ad un’unitaria tutela, rispetto alla quale le singole azioni sono serventi. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, ravvisando l’estensione dell’effetto interruttivo dell’azione volta a ottenere l’esecuzione di un accordo di ritrasferimento di immobili a quella, subordinata, di ripetizione delle somme corrisposte in base a tale accordo perché nullo, poiché entrambe volte a far valere il diritto al ristoro patrimoniale in ragione della medesima vicenda)>>. (massima ufficiale, riportata da ilcaso.it

Il governo USA durante la pandemia ha violato il diritto di freee speech dei dissenzienti esercitando eccessive pressioni sulle piattaforme

– I –

Probatestars.com  ricorda (ma molti altri l’hanno fatto) e offre il link diretto ala sentenza del 5 circuito dell’appello n. 23-30445 del 8 settembre 2023stete of Missouri et c. Biden-Fauci e altri:

– To sum up, under the close nexus test, a private party’s conduct may
be state action if the government coerced or significantly encouraged;

– They met regularly, traded information and reports, and worked together on
a wide range of efforts. That working relationship was, at times, sweeping.
Still, those facts alone likely are not problematic from a First-Amendment
perspective. But, the relationship between the officials and the platforms
went beyond that. In their communications with the platforms, the officials
went beyond advocating for policies, Southworth, 529 U.S. at 229, or making
no-strings-attached requests to moderate content, Warren, 66 F.4th at 1209.
Their interaction was “something more.” Roberts, 742 F.2d at 228.
We start with coercion. On multiple occasions, the officials coerced
the platforms into direct action via urgent, uncompromising demands to
moderate content. Privately, the officials were not shy in their requests—
they asked the platforms to remove posts “ASAP” and accounts
“immediately,” and to “slow[] down” or “demote[]” content. In doing so,
the officials were persistent and angry. Cf. Bantam Books, 372 U.S. at 62–63.
When the platforms did not comply, officials followed up by asking why posts
were “still up,” stating (1) “how does something like [this] happen,” (2)
“what good is” flagging if it did not result in content moderation, (3) “I don’t
know why you guys can’t figure this out,” and (4) “you are hiding the ball,”
while demanding “assurances” that posts were being taken down. And, more
importantly, the officials threatened—both expressly and implicitly—to
retaliate against inaction. Officials threw out the prospect of legal reforms and
enforcement actions while subtly insinuating it would be in the platforms’
best interests to comply. As one official put it, “removing bad information”
is “one of the easy, low-bar things you guys [can] do to make people like
me”—that is, White House officials—“think you’re taking action.”, p. 43

– Finally, and “perhaps most important[ly],” we ask whether the
speaker “refers to adverse consequences that will follow if the recipient does
not accede to the request.” Warren, 66 F.4th at 1211 (citing Vullo, 49 F.4th
at 715). Explicit and subtle threats both work— “an official does not need to
say ‘or else’ if a threat is clear from the context.” Id. (citing Backpage.com,
807 F.3d at 234). Again, this factor is met.
Here, the officials made express threats and, at the very least, leaned
into the inherent authority of the President’s office. The officials made
inflammatory accusations, such as saying that the platforms were
“poison[ing]” the public, and “killing people.” The platforms were told they
needed to take greater responsibility and action. Then, they followed their
statements with threats of “fundamental reforms” like regulatory changes
and increased enforcement actions that would ensure the platforms were
“held accountable.” But, beyond express threats, there was always an
“unspoken ‘or else.’” Warren, 66 F.4th at 1212. After all, as the executive of
the Nation, the President wields awesome power. The officials were not shy
to allude to that understanding native to every American—when the
platforms faltered, the officials warned them that they were “[i]nternally . . . considering our options on what to do,” their “concern[s]
[were] shared at the highest (and I mean highest) levels of the [White
House],” and the “President has long been concerned about the power of
large social media platforms.” Unlike the letter in Warren, the language
deployed in the officials’ campaign reveals clear “plan[s] to punish” the
platforms if they did not surrender. Warren, 66 F.4th at 1209. Compare id.,
with Backpage.com, 807 F.3d at 237. Consequently, the four-factor test weighs
heavily in favor of finding the officials’ messages were coercive, not
persuasive, p. 49-50;

– Given all of the above, we are left only with the conclusion that the
officials’ statements were coercive. That conclusion tracks with the decisions
of other courts. After reviewing the four-factor test, it is apparent that the
officials’ messages could “reasonably be construed” as threats. Warren, 66
F.4th at 1208; Vullo, 49 F.4th at 716. Here, unlike in Warren, the officials’
“call[s] to action”—given the context and officials’ tone, the presence of
some authority, the platforms’ yielding responses, and the officials’ express
and implied references to adverse consequences—“directly suggest[ed] that
compliance was the only realistic option to avoid government sanction.” 66
F.4th at 1208. And, unlike O’Handley, the officials were not simply flagging
posts with “no strings attached,” 62 F.4th at 1158—they did much, much
more., p. 51;

– It is true that the officials have an interest in engaging with socialmedia
companies, including on issues such as misinformation and election
interference. But the government is not permitted to advance these interests
to the extent that it engages in viewpoint suppression. Because “[i]njunctions
protecting First Amendment freedoms are always in the public interest,” the
equities weigh in Plaintiffs’ favor. Opulent Life Church, 697 F.3d at 298
(quotation marks and citations omitted), p. 64

– II –

Altra decisione in simile fattispecie è quella dell’Appello del  6° circuito 14.09.2023,  No. 22-3573, MARK CHANGIZI; MICHAEL P. SENGER; DANIEL KOTZIN v. Dipartimento della SAlute , segnalata da post del prof. Eric Goldman. Qui gli attori hanno scelto di agire contro la PA (ministero salute) invece che contro Twitter: ma si son complicati la vita, non essendo riusciti a provare il nesso causale (traceability) tra la condotta della prima e il danno allegato.

<<Traceability looks to whether a defendant’s actions have a causal connection to a plaintiff’s injuries. Lujan, 504 U.S. at 560. Causation need not be proximate, so an indirect injury can support standing. Lexmark Int’l, Inc., 572 U.S. at 134 n.6; see United States v. Students Challenging Regul. Agency Procs. (SCRAP), 412 U.S. 669, 688-89 (1973). But “‘an injury that results from [a] third party’s voluntary and independent actions’ does not establish traceability.” Turaani v. Wray, 988 F.3d 313, 317 (6th Cir. 2021) (quoting Crawford v. U.S. Dep’t of Treasury, 868 F.3d 438, 457 (6th Cir. 2017)). Thus, a plaintiff must show that the defendant’s actions had a “determinative or coercive effect” on the third party such that the actions of the third party can be said to have been caused by the defendant. See Bennett v. Spear, 520 U.S. 154, 169 (1997); see also Turaani, 988 F.3d at 316 (explaining “[a]n indirect theory of traceability requires that the government cajole, coerce, [or] command”). That the defendant is the federal government does not change this assessment. See, e.g., Skinner v. Ry. Labor Execs.’ Ass’n, 489 U.S. 602, 614 (1989) (“Although the Fourth Amendment does not apply to a search or seizure, even an arbitrary one, effected by a private party on his own initiative, the Amendment protects against such intrusions if the private party acted as an instrument or agent of the Government.”).
By this metric, Plaintiffs’ complaint falls short. Plaintiffs maintain that the timing of Twitter’s actions related to the RFI and the July Advisory as well as the public statements made by the Surgeon General, Press Secretary, and President Biden all support an inference that Twitter’s disciplinary measures are state action attributable to HHS. But Plaintiffs fail to adduce facts demonstrating that the decisions Twitter made when it enforced its own COVID-19 policy did not result from its “broad and legitimate discretion” as an independent company. ASARCO Inc. v. Kadish, 490 U.S. 605, 615 (1989)>>.