Sul luogo del danno da illecito ai fini della giurisdizione ex reg. UE 1215 del 2012, art. 7 n° 2

Trib. Milano 5 luglio 2023 n° 5553/2023 sez. 14 Trib. IMpr., rel. Fazzini Elisa, rigetta una domanda di misure di diritto di autore avanzata da soggetto italiano contro pretesi contraffattori inglesi per carenza di giurisdizione.

Ciò perchè il criterio di colelgasmento del luogo del dannn (“in materia di illeciti civili dolosi o colposi, davanti all’autorità giurisdizionale del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire;” art. 7 n. 2 del reg. cit.) non va inteso come danno conseguenza ma solo come danno evento.

<<A tale riguardo, il Collegio rileva che la Corte di Giustizia identifica, in generale, detto luogo sia in quello in cui ha avuto luogo la condotta lesiva, sia in quello in cui il danno si è concretizzato, sicché il convenuto può essere citato, a scelta dell’attore, dinanzi al giudice dell’uno o dell’altro (Corte UE 28 gennaio 2015, causa C-375/13; Corte UE 16 giugno 2016, causa C-12/15; Corte UE 5 luglio 2018, causa C27/17; Corte UE 29 luglio 2019, causa C-451/18). Alla luce degli insegnamenti della Suprema Corte, il tribunale ritiene che occorra tenere presente che “per luogo in cui il danno si è concretizzato” si deve aver riguardo al «danno iniziale», l’unico ad essere destinato ad assumere rilievo ai fini della giurisdizione, senza che assumono rilevanza i diversi luoghi ove si asserisce patito il pregiudizio patrimoniale (cfr. Cass. S.U. 13504/2023; Cass. S.U. 8571/2015; Cass. S.U. 23593/2010), in quanto il criterio del locus commissi delicti non può dilatarsi fino a ricomprendere qualsiasi luogo in cui possano
essere risentite le conseguenze negative a valle di un danno verificatosi altrove (cfr. Corte UE 10 giugno 2004, causa C-168/02), né tantomeno detto luogo può coincidere con il domicilio del danneggiato, laddove la condotta dannosa si sia verificata altrove (cfr. Corte UE 16 giugno 2016, causa C-12/15). In considerazione dei principi espressi dai giudici di legittimità e da quelli europei, è, dunque, evidente che la disposizione di cui all’art. 7.2 del Regolamento deve essere interpretata nel senso che per ‘luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire’ debba intendersi il luogo in cui “si è prodotta la lesione del diritto della vittima, senza avere riguardo al luogo dove si sono verificati o potranno verificarsi le conseguenze future della stessa” (cfr. Cass., S.U. 24245/2015), in quanto tale espressione non può riguardare il luogo del domicilio del ricorrente, in cui è localizzato il centro principale del suo patrimonio, per il solo motivo che egli avrebbe ivi subìto un danno finanziario derivante dalla perdita di elementi del suo patrimonio avvenuta e subìta in un altro Stato membro (cfr. Corte UE 10 giugno 2004, causa C-168/02).
Alla luce di tali principi, il tribunale ritiene che il “danno iniziale”, nel caso di specie, debba collocarsi nel Regno Unito a seguito della pubblicazione del libro “The Good Mothers”, essendosi verificate in Italia esclusivamente le eventuali conseguenze patrimoniali, che rappresentano il c.d. danno conseguenza o danno risarcibile, non contemplate dall’art. 7 n. 2 del Regolamento. Nessuna rilevanza,
assume, ai fini della sussistenza di una giurisdizione in capo al giudice italiano, la circostanza che il libro, attraverso la piattaforma e-commerce Amazon, sia acquistabile anche in Italia (cfr. nota 4, pag. 6 dell’atto di citazione), atteso che è circostanza pacifica che esso sia stampato esclusivamente in lingua inglese, non destinato, pertanto, a un pubblico italiano>>

Solo che la legge parla di evento dannoso: quindi fino a che una conseguenza negativa nel patrimoniio della vittima non ci sia, non c’è evento di danno. Quindi deve trattarsi del luogo del danno conseguenza, non della condotta.   La legge avrebbe dobuto dire “l’autorità giurisdizionale del luogo in cui la condotta poi risoltasi in danno è stata tenuta …> .

Il che dovrebbe valere per l’azione sia su danno patrimoniale che non patrimoniale.

Da notare che il giudice riesce ad applicare il reg. citato UE contro un soggetto di un paese che dal 2016 non è più in UE

Nella cessione di azienda, la responsabilità del cessionario per i debiti aziendali non necessariamente richeide la loro annotazione nei libri contabili: può bastare la loro conoscenza, come quando la cessione è in sostanza simulata

Intreressante fattispecie decisa da una approfondita ed esatta Cass. 13.09.2023 n. 26.450, sez. 3, rel. Spaziani sull’art. 2560 c.2 cc.

RAgionamento astratto:

<<1.1.f. L’individuazione del differente fondamento dogmatico dei due orientamenti induce, tuttavia, anche l’evidenziazione del presupposto fondamentale della fattispecie regolata dall’art. 2560 c.c., in entrambi i capoversi in cui esso si articola.

Essa fattispecie – sia che la si ricostruisca, in termini soggettivi, come successione nell’impresa, sia che la si ricostruisca, in termini oggettivi, come trasferimento di beni e di rapporti giuridici (nella prima ipotesi, coinvolgente tutti i debiti di cui si provi che il cessionario abbia conoscenza; nella seconda ipotesi, coinvolgente i soli debiti risultanti dai libri contabili obbligatori) – postula, in ogni caso, una reale dualità di soggetti e, dunque, una effettiva alterità tra il cedente e il cessionario.

Questo presupposto fondamentale della fattispecie è stato, del resto, posto in evidenza dalle Sezioni Unite di questa Corte con la pronuncia 28/02/2017, n. 5054.

Questa pronuncia – peraltro diretta a dirimere la specifica questione se ed, eventualmente, a quali condizioni, il cessionario di un’azienda commerciale risponda, a norma dell’art. 2560 c.c., comma 2, ovvero ad altro titolo, del debito restitutorio che consegue alla revoca fallimentare di un pagamento ricevuto dal cedente – pur escludendo, in relazione alla peculiare fattispecie, che, ai fini dell’insorgenza della responsabilità solidale prevista dalla norma, sia sufficiente la conoscibilità, tramite i libri contabili obbligatori, del precedente rapporto contrattuale intrattenuto dal dante causa con un imprenditore, divenuto poi insolvente alla data del pagamento – e pur osservando, in linea generale, che la responsabilità solidale del cessionario di azienda va ricondotta “nell’alveo dell’evidenza diretta, risultante dai libri contabili obbligatori dell’impresa, a tutela del suo legittimo affidamento, essenziale per il corretto svolgimento della circolazione di beni di particolare rilievo commerciale” – ha, peraltro, affermato, sia pure in obiter dictum, che l’operatività dell’art. 2560 c.c., comma 2, “incontra un limite solo nella carenza di un’effettiva alterità soggettiva delle parti titolari dell’azienda” (Cass., Sez. Un., 28/02/2017, n. 5054).

Le Sezioni unite, esemplificando, hanno osservato che il difetto di alterità soggettiva si riscontra nel caso di trasformazione, anche eterogenea, della forma giuridica del soggetto e nel caso del conferimento dell’azienda di una impresa individuale in una società unipersonale.

Queste indicazioni vanno ritenute meramente esemplificative e non tassative, per modo che deve reputarsi che il difetto di dualità soggettiva, che esclude l’applicazione della norma codicistica in esame, sussista in tutti i casi in cui, in seguito al trasferimento dell’azienda, al di là della diversa forma o denominazione giuridica, la compagine sociale dell’impresa e gli organi amministrativi della stessa siano rimasti immutati, poiché in tali casi il trasferimento dell’azienda è solo formale.

In queste ipotesi, non vi è spazio per l’applicazione dell’art. 2560 c.c., comma 2, poiché la norma non potrebbe esplicare la funzione che si riconduce alla sua ratio, ovverosia la salvaguardia dell’interesse dell’acquirente dell’azienda, quale accollante dei relativi debiti, ad avere precisa conoscenza degli stessi; interesse che si correla a quello, superindividuale, alla certezza dei rapporti giuridici e alla facilità di circolazione dell’azienda>>.

Applicazione al caso sub iudice:

<<1.1.g. Nel caso di specie è stato accertato in sede di merito – ed è incontroverso tra le parti – che il sig. R.F. era socio di maggioranza ed amministratore unico della cedente Intercontinentale Organizzazione Turismo s.r.l., ma anche amministratore unico della cessionaria Iottour Viaggi s.r.l., nonché socio di maggioranza e presidente del consiglio d’amministrazione di IOT – Intercontinental Organization of Tourism, a sua volta socia unica della cessionaria.

E’ stato, poi, altresì accertato – ed anche questa circostanza è incontroversa – che la compagine sociale della società cedente era formata dallo stesso R.F. (per una quota pari al 72,17%) e da G.A. (per la rimanente quota del 27,83%), i quali, dal 2011, erano divenuti, rispettivamente, presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato di IOT – Intercontinental Organization of Tourism.

In tale situazione, a prescindere dalla circostanza se la “cessione” fosse connotata, o no, dalla finalità fraudolenta accertata dal giudice d’appello, non si poneva il problema di tutelare l’interesse del cessionario alla conoscenza dei debiti dell’azienda acquistata, poiché mancava in radice, nella sostanza, l’alterità soggettiva del cessionario medesimo rispetto al cedente, che quei debiti aveva assunto.

Inoltre, diversamente da quanto reputato dal giudice di primo grado (e conformemente, invece, a quanto ritenuto da quello d’appello), nessun rilievo poteva attribuirsi, in senso favorevole alla società debitrice, alla circostanza che il debito verso la sig.ra M. non risultasse nella relazione di stima di cui all’art. 2465 c.c. (tra l’altro, specificamente prescritta dalla legge con riguardo ai conferimenti dei beni in natura e dei crediti, non anche dei debiti), mentre l’ulteriore circostanza che esso debito risultasse invece nel bilancio finale di liquidazione della società cedente, lungi dall’essere assunta a presupposto dell’accoglimento dell’opposizione a precetto, avrebbe dovuto essere valorizzata in funzione dell’affermazione della responsabilità dell’opponente>>.

L’autorità della concorrenza tedesca sulla abusività della clausole imposte da Google

nel caso B7-70721 l’autogirà garante tedesca fa partire un’indagine verso Google per la vioalzione dell’art. 19a.2.4  e art. 32.b.1 della legge concorrenziale tedesca.

Si tratta della decisione 5 ottobre 2023 : vedila in inglese nel sito dell’autorità.

Ex art. 19a.2.4, l’autorità può impedire di

<<4. creating or appreciably raising barriers to market entry or otherwise impeding other undertakings by processing data relevant for competition that have been collected by the undertaking, or demanding terms and conditions that permit such processing, in particular

a) making the use of services conditional on the user agreeing to the processing of data from other services of the undertaking or a third-party provider without giving the user sufficient choice as to whether, how and for what purpose such data are processed;

b) processing data relevant for competition received from other undertakings for purposes other than those necessary for the provision of its own services to these undertakings without giving these undertakings sufficient choice as to whether, how and for what purpose such data are processed;>>

Andiamo ora alle violazioni ravvisarte, sostanzialmente consistenti nella insufficiente scelta data all’utente:

<<(51) .First of all, there is a lack of sufficient granularity in the setting options both when a  Google account is created and when Google’s services are used by non-authenticated  users. Users do not have the option to opt out of cross-service data processing and to limit the processing of data to the Google end user service in which the data were generated. Users only have the choice to accept personalisation across all services –  including data Google collects on third-party websites and apps as well as data Google obtains from third parties – or to opt out of personalisation altogether, also including personalisation based on the data collected in the specific service used. Due to this lack of fine-tuning users cannot make a free choice.19 As a result, they may be tempted to consent to more extensive data processing than they actually wish to accept. The Decision Division has thus reached the preliminary view that insufficient granularity of the choices offered can also result from the fact that no differentiation is possible with regard to different processing purposes.
(52) Furthermore, users are not given sufficient choice within the meaning of Section 19a(2) sentence 1 no. 4a GWB with regard to Google’s data processing terms as in some cases Google offers users no choice at all as to the data processing options, thus not giving any choice with regard to cross-service data processing. When users use a service either by signing in to an account or without an account, Google provides for the possibility of (cross-service) data processing for certain areas without giving users the option of rejecting this.20 Users who wish to use one of Google’s services thus have no choice but to accept cross-service data processing (“take it or leave it”).
(53) Furthermore, the setting options offered by Google – both for signed-in users and for non-authenticated users – lack sufficient transparency. There is a lack of sufficiently concise and comprehensible indications which could provide users with sufficient information as to whether, how and for what purpose Google processes data across services.
The information provided by Google is not sufficient to make users understand
the far-reaching possibilities Google provides for cross-service data processing. In particular, Google does not explain to users which of their data are processed, how they are processed and what is included in the processing purposes. The use of imprecise or unclear terminology and the exclusive reference to examples instead of conclusive definitions contribute to this. In addition, data processing enabled by the users’ consent is presented from a one-sided positive perspective whereas the significant extent of cross-service data processing is not disclosed to users. Users can thus not easily comprehend the scope of the choice options.
(54) Finally, when creating a Google account there is no equivalence of consent and rejection. This is because in the context of the so-called “Express personalisation” users can only accept the data processing option provided for, but have no possibility of rejecting this. Rejection is only possible in the context of the so-called “Manual personalisation”, which requires considerably more clicks. For users it is therefore easier to consent than to reject. In this way, Google exerts an unreasonable influence on the users’ decision so that they have no free choice and no sufficient choice within the meaning of Section 19a(2) sentence 1 no. 4a GWB>>.

Azione di classe contro Google, basata su illecito data scraping per allenare la sua intelligenza artificiale

E’ diffusa in rete la notizia della citazione in giudizio per l’illecito in oggetto del 11 luglio 2023 da parte della Clarkson law firm, reperibile ad es proprio nel sito dello studio)  (“web-scraping theft” per la chatbox BArd, concorrente di OpenAI, ad altro).

Provato Bard con richiesta di consulenza giuridica: fa diversi errori (serve altro allenamento)

Google scansionerebbe e raccoglierebbe qualunque dato passa per i suoi server (irragionevole dubitarne). Pare che non sia molto coperta da consenso contrattuale (nonostante nessuno riesca a farle modificare i moduli di accettazione iniziali)

Sono azionati diritto di privacy,  di proprietà sui dati (non coincidente con la privacy; opinabile, ma dipende da come i due istituti son configurati nei singoli ordinamenti), di copyright, di concorrenza sleale (sub III, da § 153 ss.)

Consenso informato circa trattamento algoritmico di dati reputazionali

Cass. 28.358 del 10.10.2023, rel. Nazzicone, sez. I, (link offerto da Il Sole 24 ore) esamina un caso di pretesa illegittimità di tratamento dati reptuaizonali da aprte di algoritmo (era un sito che offriva consulebza sulal reputaizone nel web).

Il focus è sul se sia valido il consenso (artt. 23 e 13 del d. lgs 196/2003, ora sostituiti dal GDPR) espresso enza conoscere esattamente il funzionamento dell’algoritmo.

O meglio, visto che la risposta deve essere negativa, bisogna capiure quando ricorra una conoscenza sufficiente per dare validità al consenso espresso. Il tema è assai interessante e si porrà sempre più spesso.

Premessa tecnica:

<<4.1. – Al giudice del merito era stato demandato di verificare,
sulla base delle regole dell’iniziativa de qua, se il trattamento svolto
con mezzi informatici fosse adeguatamente trasparente con
riguardo all’algoritmo di calcolo del c.d. rating reputazionale, fulcro
dell’intero sistema progettato al riguardo.
Secondo la sentenza rescindente, infatti, il necessario
accertamento in punto di fatto – al fine di reputare la validità del
consenso in ragione della sussistenza di una conoscenza effettiva
consapevolezza delle finalità e modalità di espletamento del
trattamento – riguardava la trasparenza e la conoscenza delle
caratteristiche funzionali dell’algoritmo.
Ciò che si richiedeva, cioè, non è che l’associato debba
conoscere ex ante con certezza l’esito finale delle valutazioni che il
sistema di intelligenza artificiale opera – perché altrimenti sarebbe
quanto meno inutile – ma il procedimento che conduce alle
medesime.
4.2. – In matematica, un procedimento da seguire viene
descritto sinteticamente da un’equazione, la quale si compone di
variabili e di funzioni che le collegano.
L’algoritmo è un procedimento di risoluzione di un problema: da
determinati dati di ingresso (input) derivano soluzioni (output).
Lo “schema esecutivo” di un algoritmo specifica, pertanto, i
passi da eseguire in sequenza, per giungere al risultato.
Gli studiosi della materia precisano che un algoritmo è
costruibile, se i dati ed il procedimento rispettano alcuni requisiti.

Li ricorda anche la ricorrente, nel primo motivo di ricorso:
richiedendosi che i passaggi siano elementari, univoci, di numero
finito, operabili in un tempo finito e con un risultato unico.
E, nel caso, in esame non è in questione se l’algoritmo, per
funzionare algebricamente e quindi per il processo informatico,
possedesse tali requisiti>>.

Poi passa a spiegare che il punctum dolens è la validità o meno del consenso espresso:

<<I requisiti del consenso sono, dunque, la prestazione libera e
specifica in riferimento ad un trattamento chiaramente individuato
e le previe informazioni di cui all’art. 13, ossia, in particolare, circa
le finalità e le modalità del trattamento.
Quando, come nella specie, i dati personali sono destinati ad
essere “lavorati” da un algoritmo, dovrà dunque anche tale
modalità essere coperta dal consenso.
Pertanto, nella vicenda in esame, ad integrare i presupposti del
“libero e specifico” consenso, affinché esso sia legittimo e valido, è
richiesto che l’aspirante associato sia in grado di conoscere
l’algoritmo, inteso come procedimento affidabile per ottenere un
certo risultato o risolvere un certo problema, che venga descritto
all’utente in modo non ambiguo ed in maniera dettagliata, come
capace di condurre al risultato in un tempo finito.
Che, poi, il procedimento, come spiegato con i termini della
lingua comune, sia altresì idoneo ad essere tradotto in linguaggio
matematico è tanto necessario e certo, quanto irrilevante: ed
invero, non è richiesto né che tale linguaggio matematico sia
osteso agli utenti, né, tanto meno, che essi lo comprendano.
Ciò che rileva, invece, è che sia possibile tradurre in linguaggio
matematico/informatico i dati di partenza, cosicché il tutto divenga
opportunamente comprensibile alla macchina, grazie ai soggetti
esperti programmatori, secondo le sequenze e le istruzioni tratte
dai dati “in chiaro”, come descritti nel regolamento più volte citato.
4.3. – Ora, sulla base degli accertamenti compiuti dal giudice
del merito, tali parametri di riferimento erano tutti presenti nel
regolamento>>

Poi la SC erra vistosamente:

<<Mentre non si comprende la pretesa che fosse indicato il “peso
specifico” dei vari criteri – posto che si tratta di termine scientifico,
concernente il rapporto tra il peso e il volume di una materia, non
sempre essendo opportuno il travaso al diritto dei termini di altre
scienze – si potrà anche non concordare con la logica o con taluno
dei criteri sottesi al sistema illustrato nel regolamento, che il primo
motivo del ricorso riporta: ma non è questione ora rilevante,
richiedendosi, ai fini del trattamento dei dati personali su consenso
dell’interessato, soltanto che il sistema dei parametri ostesi fosse
sufficientemente determinato.
E proprio questa è la situazione di fatto, accertata dal giudice
del merito, onde la sua sussunzione nella fattispecie del valido
consenso era dovuta, secondo il controllo affidato a questa Corte in
sede di legittimità>>

I vari fattori concorrenti non è detto abbiano la medesima importanza per determinare l’output finale. Il peso specifico di ciascuno può variare, per  cui   l’interessato deve avere il diritto di conoscerlo. Non capisce il punto la SC.

Si veda l’art. 14.2.g) GDPR, che  impone al titolare del trattamento dare informazioni all’interessato circa <<l’esistenza di un processo decisionale automatizzato, compresa la profilazione di cui all’articolo 22, paragrafi 1 e 4, e, almeno in tali casi, informazioni significative sulla logica utilizzata, nonché l’importanza e le conseguenze previste di tale trattamento per l’interessato>>.

Sulla validità del c.d. vitalizio alimentare (art. 1872 cc)

Ondif segnala Cass. n. 28.329 del 10.10.2023, rel. Carrato, sull’oggetto.

Viene ritenuto valido il vitalizio consistente nel trasferimento di nuda proprieotà immobiliare da padre di 82 anni a figlia a fronte di dovere di costei prestargli assistenza materiale e morale, date le non cattive condizioni di salute del primo.

Massima di Cianciolo Valerid di Ondif :

<<Sussistono tutti i presupposti per ravvisare la validità del contratto di mantenimento, avuto riguardo alle condizioni circa la prognosi delle patologie del vitaliziato e alla insussistenza della univoca predeterminabilità della durata successiva della vita dello stesso, elementi questi da portare ad escludere la sproporzione tra le prestazioni>>.

Ancora sul mantenimento del figlio maggiorenne

Cass. ass. Civ., Sez. I, ord. 20 settembre 2023 n. 26875, rel. Nazzicone, interessante anche per gli aspetti fattuali.

Principi di diritto enunciati:

1 – “In tema di mantenimento del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica, l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente, vertendo esso sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro: di conseguenza, se il figlio è neomaggiorenne e prosegua nell’ordinario percorso di studi superiori o universitari o di specializzazione, già questa circostanza è idonea a fondare il suo diritto al mantenimento; viceversa, per il “figlio adulto”, in ragione del principio dell’autoresponsabilità, sarà particolarmente rigorosa la prova a suo carico delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa”.

2 – “I principi della funzione educativa del mantenimento e dell’autoresponsabilità circoscrivono, in capo al genitore, l’estensione dell’obbligo di contribuzione del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica per il tempo mediamente necessario al reperimento di un’occupazione da parte di questi, tenuto conto del dovere del medesimo di ricercare un lavoro contemperando, fra di loro, le sue aspirazioni astratte con il concreto mercato del lavoro, non essendo giustificabile nel “figlio adulto” l’attesa ad ogni costo di un’occupazione necessariamente equivalente a quella desiderata”.

3 – “I principi della funzione educativa del mantenimento e dell’autoresponsabilità circoscrivono, in capo al genitore, l’estensione dell’obbligo di contribuzione del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica per il tempo mediamente necessario al reperimento di un’occupazione da parte di questi, tenuto conto del dovere del medesimo di ricercare un lavoro contemperando fra di loro, ove si verifichi tale evenienza, il bisogno di particolari attenzioni o cure del genitore convivente con i doveri verso sé stesso, la propria vita e la propria indipendenza economica, potendo tale necessità unicamente giustificare, dopo la maggiore età, meri ritardi nel conseguire la propria autonomia economico-lavorativa, ma mai costituire, nel “figlio adulto”, che anzi è allora tanto più tenuto ad attivarsi, ragione della completa elisione dei doveri verso sé stesso, anche in vista della propria vita futura”.

SAfe harbour ex § 230 CDA in una azione contro piattaforma (di affitti brevi) VRBO per danni da incendio della casa affittata

Eric Goldman dà ntozia del caso deciso dalla Dis. Court East. Dist. NY 29 sett. 2023, 22-cv-7081 (GRB)(ARL), Eiener c. Mlller e VRBO.

La domanda erso VRBO è rigettata in limine per il cit. safe harbour.

Si tratta di un hosting provider .

la curiosità sta nel fatto che qui il danno è solo indirettametne connesso alla piattaforma dato che deriva dalla res ivi pubblicizzata, non dalla informazione in sè di affittabilità.

O meglio: gli attori allegano che l’informazione on line era errata e/o insufficiente.

Ebbene, dA noi rientra tale fattispecie nella disciplina della resp. del provider, ora regolata dagli artt. 4 segg. del DSA reg. UE 2065 del 2022?

la revocatoria fallimentare del mutuo fondiario comporta la perdita dell’esenzione dalla revocabilità ipotecaria ex art. 39.4 TUB

Cass. 22.563 del 26 luglio 2023 , sez. I, rel. Catallozzi:

<<la concessione di una ipoteca a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni nascenti da un contratto di mutuo fondiario [NB: la solita e vecchia prassi di sostiture un mutuo chirografo con uno nuovo ipotecario, a pagamento del primo … ] è revocabile, ai sensi dell’art. 67, primo comma, n. 2), legge fall. e in ogni caso ex art. 67, secondo comma, legge fall. qualora – come accertato nel caso in esame dal Tribunale – le somme oggetto di tale contratto siano destinate a ripianare una esposizione debitoria presente su conto corrente e l’atto si inserisca all’interno di un’operazione unitaria posta in essere in funzione dell’azzeramento della esposizione (cfr. Cass. 16 febbraio 2022, n. 5034; Cass. 21 febbraio 2018, n. 4202; Cass. 1° ottobre 2007, n. 20622);
– non pertinente è il richiamo operato dalla ricorrente all’esenzione dalla revocatoria prevista dall’art. 39, quarto comma, t.u.b., in quanto una volta ricostruita l’operazione nei termini di un procedimento indiretto anormalmente solutorio (costituito dal mutuo e dall’utilizzazione della somma accreditata a quel titolo ad estinzione di preesistente credito del mutuante verso il mutuatario) e revocato, dunque, nel suo ambito, lo stesso contratto di mutuo, anche l’ipoteca perde la qualificazione – che deriva dal contratto – di ipoteca iscritta a garanzia di un mutuo fondiario e, con essa, il beneficio in questione (cfr., oltre alle pronunce richiamate in precedenza, Cass. 20 marzo 2003, n. 4069, la quale sottolinea che l’azionabilità in questo caso del meccanismo revocatorio ex art. 67 primo o secondo comma legge fall. non osta all’ammissione al passivo della somma mutuata poiché la revoca dell’intera operazione – e, quindi, anche del mutuo – comporterebbe pur sempre la necessità di ammettere al passivo la somma (realmente) erogata in virtù del mutuo revocato, atteso che, all’inefficacia del contratto, conseguirebbe pur sempre la necessità di restituzione, sia pur in moneta fallimentare);>>

Condominio: differenza tra innovazioni e disciplina delle modalità di uso della cosa comune

Cass. sez. II del 13.06.2023 n. 16.902, rel. Falaschi:

<<Ad avviso della giurisprudenza di questa Corte (cfr., Cass. n. 15460 del 2002; Cass. n. 12654 del 2006 e Cass. n. 18052 del 2012), in tema di condominio, per innovazioni delle cose comuni devono intendersi non tutte le modificazioni (qualunque “opus novum”), ma solamente quelle modifiche che, determinando l’alterazione dell’entità materiale o il mutamento della destinazione originaria, comportano che le parti comuni, in seguito all’attività o alle opere eseguite, presentino una diversa consistenza materiale ovvero vengano ad essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti. In altre parole, nell’ambito della materia del condominio negli edifici, per innovazione in senso tecnico – giuridico, vietata ai sensi dell’art. 1120 c.c., deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l’entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le modificazioni che mirino a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lascino immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto. A tale principio si è conformata la Corte di secondo grado che, con valutazione di merito adeguatamente motivata e fondata su univoci accertamenti di fatto, ha esattamente ritenuto – condividendo l’accertamento effettuato dal c.t.u. – che il Condominio con la diversa assegnazione dei posti auto e con l’amministrazione del corridoio sito a destra dell’ingresso del palazzo condominiale ha avuto quale finalità proprio quella di rendere detti spazi fruibili a tutti e per questo ne ha coerentemente disciplinato l’utilizzo. Con la conseguenza che ha valutato rispondere a logica e coerenza assegnare a ciascuno dei proprietari dei locali terranei lo stallo immediatamente prospicente gli stessi. Dunque si è trattata di operazione diretta a disciplinare, in senso migliorativo, l’uso della cosa comune impedendo che taluno dei condomini rimanesse privo della utilità fornita dal potere parcheggiare nello spazio comune, soprattutto considerando che, nel caso di specie, al piano terra del fabbricato esistevano locali di proprietà esclusiva, per cui non si era determinata alcuna interclusione degli stessi ma solo “il mero fastidio di spostare la propria vettura per accedervi più comodamente”. Ne’ l’utilizzo del “corridoio comune” per parcheggiare i motocicli solo sul lato destro ne impediva la percorribilità da parte dei proprietari dei depositi ivi situati, stante la oggettiva ampiezza dello stesso.

Pertanto deve, in questa sede, essere riconfermato il principio secondo cui, in tema di condominio di edifici, la Delib. assembleare, con la quale sia stata disposta una diversa distribuzione dei posti auto e dell’area per il parcheggio delle moto per disciplinare lo spazio comune in modo più utile per tutti i condomini, anche in funzione di impedire usi discriminati di tale area, rientra legittimamente nei poteri dell’assemblea dei condomini, attenendo all’uso della cosa comune ed alla sua regolamentazione, senza sopprimere o limitare le facoltà di godimento dei condomini, non incidendo sull’essenza del bene comune né alterandone la funzione o la destinazione (v., Cass. n. 9999 del 1992 e Cass. n. 875 del 1999). Pertanto, non è richiesta (come ravvisato esattamente, nella fattispecie, dalla Corte territoriale) per la legittimità di una Delib. assembleare condominiale avente detto oggetto, l’adozione con la maggioranza qualificata dei due terzi del valore dell’edificio, non concernendo tale Delib. una “innovazione” secondo il significato attribuito a tale espressione dal codice civile, ma riguardando solo la regolamentazione dell’uso ordinario della cosa comune consistente nel consentire a tutti i condomini di potersi avvantaggiare del beneficio del parcheggio>>.