Il ruolo di Facebook nella presenza (conosciuta) di marchi contraffatti sul suo marketplace

Direct liability no, ma contributory si, dice il tribunale del Distr. Nord di New York 7.11.2023, caso 5:22-CV-1305 (MAD/ML), Car-Freshner v. Meta.

Si tratta del marchio del noto alberello deodorante di largo uso negli autoveicoli.

responsabilità diretta, no: <<In Tiffany, the Second Circuit concluded that eBay did not directly infringe on Tiffany’s
trademark where it resold genuine Tiffany goods. Tiffany, 600 F.3d at 103. Tiffany argued that
some of the goods being sold on eBay were counterfeit, which the Second Circuit explained “is
not a basis for a claim of direct trademark infringement against eBay, especially inasmuch as it is
undisputed that eBay promptly removed all listings that Tiffany challenged as counterfeit and
took affirmative steps to identify and remove illegitimate Tiffany goods.” Id. The Second Circuit
continued, “[t]o impose liability because eBay cannot guarantee the genuineness of all of the
purported Tiffany products offered on its website would unduly inhibit the lawful resale of
genuine Tiffany goods.” Id.
Although Plaintiffs allege that Meta did not promptly remove the infringing products from
its websites, there are no allegations that Meta “placed” the infringing marks on any goods. 15
U.S.C. § 1127(1)(A); see also Lops v. YouTube, LLC, No. 3:22-CV-843, 2023 WL 2349597, *3
(D. Conn. Mar. 3, 2023) (footnote omitted) (“[T]he exhibits indicate that the videos were created
or posted by third parties rather than by YouTube. But YouTube cannot be subject to direct
liability for trademark infringement based on videos uploaded by third parties”);
Nike, Inc. v. B&H Customs Servs., Inc., 565 F. Supp. 3d 498, 508 (S.D.N.Y. 2021) (“[T]he
infringer must have some intention to sell, advertise, or distribute the infringing product or service
in order for strict liability to attach. Mere unwitting transportation of another’s goods is not enough . . . “). As such, the Court grants Meta’s motion and dismisses the direct liability claims>>.

ma contributory liability, si, visto che Meta sapeva delle dopcumentate contestazioni dell’attore:

<<Plaintiffs’ allegations are different from those in Business Casual Holdings because Plaintiffs allege that Meta did not remove the infringing post or products from Facebook or Instagram until Plaintiffs filed their original complaint with this Court. See Dkt. No. 13 at ¶¶ 114-
15, 117, 119, 121. Plaintiffs allege that even after they notified Facebook and Instagram of the alleged infringement, both websites advertised and offered the infringing products. See id. at ¶¶ 110. Accepting Plaintiffs’ allegations as true, they have sufficiently stated a contribution claim as they allege that Meta had knowledge of the alleged infringement and instead of removing the posts or products from its websites, it continued to advertise the products. Thus, the Court denies Meta’s motion to dismiss>>.

La sentenza riproduce pure i marchi a confronto (p. 48-49), ravvisandone la sufficiente confondibilità per rigettare l’istanza di dismiss di Meta e per proseguire il processo

Il preliminare di preliminare è valido ma non permette l’immediato trasferimento (ex art. 2932) e quindi non costituisce “conclusione dell’affare” per la maturazione della provvigine mediatoria

Cass. sez. 2 del 13.11.2023 n. 31.431 rel. Rolfi:

<<Si deve, tuttavia, rilevare che tale approdo è stato oggetto di un successivo ripensamento, a far tempo dalla sentenza Cass. Sez. 2 – n. 30083 del 19/11/2019, la quale ha invece affermato che, ai fini del riconoscimento del diritto del mediatore alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all’art. 2932 c.c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato, dovendosi, conseguentemente, escludere il diritto alla provvigione qualora tra le parti si sia soltanto costituito un vincolo idoneo a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dell’affare, come nel caso in cui sia stato stipulato un cd. “preliminare di preliminare”, in quanto quest’ultimo, pur essendo di per sé stesso valido ed efficace, ove sia configurabile un interesse delle parti meritevole di tutela, non legittima, tuttavia, la parte non inadempiente ad esercitare gli strumenti di tutela finalizzati a realizzare, in forma specifica o per equivalente, l’oggetto finale del progetto negoziale abortito, ma soltanto ad invocare la responsabilità contrattuale della parte inadempiente per il risarcimento dell’autonomo danno derivante dalla violazione, contraria a buona fede, della specifica obbligazione endoprocedimentale contenuta nell’accordo interlocutorio.

Detta decisione è stata seguita da una nutrita serie di decisioni che si sono poste sulla medesima scia (Cass. Sez. 6- 2, Ordinanza n. 8879 del 5/10/2022, massimata, e le decisioni non massimate Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 7781 del 2020; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 39377 del 2021; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 15559 del 2022; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 22012 del 2023, ma va anche richiamato il precedente “ante Sezioni Unite” costituito da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24445 del 21/11/2011), determinandosi, quindi, la formazione di un orientamento – ormai diventato essenzialmente uniforme – contrario al riconoscimento del diritto del mediatore alla provvigione nel caso di conclusione di un mero “preliminare di preliminare”.

7.4. Ritiene questo collegio che il secondo e più recente indirizzo giurisprudenziale appena sintetizzato meriti ulteriore conferma, dovendosi, quindi, ribadire il principio per cui il c.d. “preliminare di preliminare”, pur essendo vincolo valido ed efficace se rispondente ad un interesse meritevole di tutela delle parti, risulta idoneo unicamente a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dell’affare, senza abilitare le parti medesime ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all’art. 2932 c.c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato e, conseguentemente, non viene a costituire un “affare” idoneo, ex artt. 1754 e 1755 c.c., a fondare il diritto alla provvigione in capo al mediatore che abbia messo in contatto le parti medesime>>.

Poi:

<<Emerge, quindi, in modo univoco dall’arresto delle Sezioni Unite che il “preliminare di preliminare”, pur se valido ove fondato su interessi meritevoli di tutela, si presenta come mezzo per dilatare la fase temporale anteriore all’assunzione di un vincolo alla cui violazione possa reagirsi con l’azione ex art. 2932 c.c. – o, in alternativa, con una domanda risarcitoria volta ad ottenere il risarcimento del danno derivante dalla mancata conclusione del negozio programmato – e, quindi, come mezzo per procrastinare l’assunzione di un impegno pienamente vincolante.

Dal “preliminare di preliminare”, infatti, viene a scaturire il solo vincolo a non interrompere, violando la clausola generale di buona fede e correttezza, l’ulteriore trattativa finalizzata a pervenire alla definizione completa dell’operazione negoziale, pena l’insorgere di un obbligo meramente risarcitorio per violazione di un’obbligazione riconducibile alla terza delle categorie elencate dall’art. 1173 c.c..>>

Il tempo di riferimento per la determinazione della quota di legittima (apertura della successione) è diverso da quello per la formazione delle quote per la divisione ereditaria (tempo della divisione)

Cass. sez. 2 del 8 novembre 2023 n. 31.125, rel. Criscuolo:

premessa:

<<Già in passato questa Corte ha ricordato come le disposizioni testamentarie lesive della legittima non siano nulle né annullabili ma, sino a quando esse non vengano impugnate con l’azione di riduzione, conservano la loro piena efficacia. Di conseguenza, ove il de cuius abbia distribuito, con il testamento alle persone in questo indicate, tutto il suo patrimonio, mediante disposizioni a titolo universale o particolare, pretermettendo alcuni legittimari, questi non partecipano, de iure, alla comunione per il semplice fatto che si è aperta la successione testamentaria, giacché il loro diritto sui beni ereditari può realizzarsi soltanto mediante l’esperimento dell’azione di riduzione. Il legittimario, pertanto, non può chiedere la divisione dei beni lasciati dal de cuius, senza aver prima esercitato l’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie. Inoltre, per ragioni di economia processuale, è tuttavia consentito, in ipotesi del genere, che le azioni di riduzione e di divisione siano proposte cumulativamente nello stesso processo, con la seconda avanzata in subordine all’accoglimento della prima, la quale ha carattere pregiudiziale (Cass. n. 1206/1962; Cass. n. 1077/1964; Cass. n. 160/1970; Cass. n. 2367/1970).

Il principio è stato anche di recente ribadito, essendosi confermato che l’azione di riduzione e quella di divisione, pur presentando una netta differenza sostanziale, possono essere fatte valere nel medesimo processo, in quanto – per evidenti ragioni di economia processuale – è consentito al legittimario di chiedere, anzitutto, la riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni che assume lesive della legittima e, successivamente, nell’eventualità che la domanda di riduzione sia accolta, l’azione di divisione, estesa anche a quei beni che, a seguito dell’accoglimento dell’azione di riduzione, rientrano a far parte del patrimonio ereditario divisibile (Cass. n. 19284/2019; Cass. n. 4140/1992).

Alla base di tale principio si pone la premessa che il legittimario pretermesso non è erede al momento dell’apertura della successione, ma lo diviene per effetto dell’esercizio vittorioso dell’azione di riduzione e concorre poi alla comunione dei beni relitti, secondo una quota di entità corrispondente al valore della quota di riserva non soddisfatta, così che, ove i beni relitti, assegnati per testamento in maniera universale ad altri soggetti, siano di entità superiore alla quota di riserva, sugli stessi si instaura una comunione secondo le quote da determinare in base ai criteri esposti, comunione che può essere sciolta subito dopo l’accoglimento dell’azione di riduzione e nello stesso giudizio, alla luce delle esigenze di economia processuale, alle quali i precedenti richiamati fanno riferimento.

In ipotesi, peraltro, il legittimario ben potrebbe accontentarsi solo di esercitare l’azione di riduzione, al fine di conseguire il riconoscimento della titolarità pro quota dei beni caduti in successione ed assegnati ad altri per testamento, salvo poi decidere in un secondo momento di chiederne la divisione>>.

Poi andando al punto:

<<Risulta quindi pertinente rispetto all’ipotesi oggetto di causa il richiamo effettuato dalla difesa della ricorrente a quanto affermato da Cass. n. 2975/1991, secondo cui, ai fini della determinazione della quota di legittima e della quota disponibile, deve aversi riguardo, ai sensi degli artt. 556 e 564 c.c., esclusivamente al valore dell’asse ereditario al tempo dell’apertura della successione, differentemente dalla stima dei beni per la formazione delle quote per la divisione ereditaria, che a norma dell’art. 726 c.c., deve farsi con riferimento al loro stato e valore venale al tempo della divisione anche quando si provveda alla reintegrazione della legittima (conf. Cass. n. 739/1977).

Infatti, una volta appurata l’entità della lesione e la necessità quindi di ridurre la disposizione testamentaria a titolo universale, insorge, per effetto proprio dell’accoglimento della riduzione, una comunione tra erede istituito e legittimario, secondo le quote come sopra individuate, comunione per il cui scioglimento valgono le regole ordinariamente dettate, tra cui proprio la previsione di cui all’art. 726 c.c., in ordine alla necessità di attualizzazione della stima dei beni alla data dell’effettivo scioglimento>>.

E poi:
<<La logica che sottende la soluzione alla quale il Collegio intende aderire è sostanzialmente la medesima che è alla base dell’altrettanto pacifico orientamento secondo cui, nel procedimento per la reintegrazione della quota di eredità riservata al legittimario, il momento di apertura della successione rileva per calcolare il valore dell’asse ereditario (mediante la cd. riunione fittizia), stabilire l’esistenza e l’entità della lesione della legittima, nonché determinare il valore dell’integrazione spettante al legittimario leso, sicché quest’ultima, ove avvenga mediante conguagli in denaro nonostante l’esistenza, nell’asse, di beni in natura, va adeguata, mediante rivalutazione monetaria, al mutato valore del bene – riferito al momento dell’ultimazione giudiziaria delle operazioni divisionali – cui il legittimario avrebbe diritto affinché ne costituisca l’esatto equivalente (Cass. n. 5320/2016; Cass. n. 7478/2000).

Una volta acquisita la qualità di erede, o meglio di coerede, per effetto dell’esercizio dell’azione di riduzione, tale qualità reca con sé anche la necessità di poter avvantaggiarsi degli eventuali incrementi di valore dei beni in relazione ai quali è stata riconosciuta la contitolarità, in vista del soddisfacimento della quota di riserva, ovvero, ed è caso non infrequente nei periodi in cui il mercato immobiliare subisca delle crisi, di subire le conseguenze del deprezzamento dei beni stessi.

Con l’appello la ricorrente intendeva proprio contestare il criterio con il quale il Tribunale aveva provveduto alla divisione dei beni dei quali la stessa era divenuta contitolare, così che si palesa erronea la risposta fornita dalla sentenza impugnata che ha invece invocato il principio secondo cui la stima andava sempre ed unicamente compiuta in base al valore dei beni alla data di apertura della successione>>.

Finale principio di diritto:

<<In caso di pretermissione del legittimario per effetto di istituzione di erede a titolo universale, a seguito dell’esperimento vittorioso dell’azione di riduzione sui beni relitti ovvero recuperati per effetto sempre dell’azione di riduzione, viene a determinarsi una situazione di comunione tra l’erede istituito ed il legittimario nella quale la quota del primo è corrispondente al valore della quota di legittima non soddisfatta determinata in proporzione al valore dell’intera massa, il tutto secondo la stima compiuta alla data di apertura della successione; tuttavia ove debba procedersi alla divisione della comunione così insorta, la stima dei beni in vista delle operazioni divisionali deve essere aggiornata alla luce del mutato valore dei beni tra la data di apertura della successione e quella di effettivo scioglimento della comunione>>.

L’intelligenza artificiale di Facebook viola il diritto di elaborazione delle opere letterarie utilizzate?

Large Language Model Meta AI (LLaMA)  (v.ne la descrizione nel sito di Meta) non viola il diritto di elaborazione sulle opere letterarie usate per creare tali modelli, dice il Trib. del distretto nord della Calofiornia Case No. 23-cv-03417-VC, 20 novembre 2023 , Kadrey v. Meta.

Nè nella costituzione dei modelli medesimi nè nell’output genrato dal loro uso:

<<1. The plaintiffs allege that the “LLaMA language models are themselves infringing
derivative works” because the “models cannot function without the expressive information
extracted” from the plaintiffs’ books. This is nonsensical. A derivative work is “a work based
upon one or more preexisting works” in any “form in which a work may be recast, transformed,
or adapted.” 17 U.S.C. § 101. There is no way to understand the LLaMA models themselves as a
recasting or adaptation of any of the plaintiffs’ books.

[più che altro non c’è prova: non si può dire che sia impossibile in astratto]
2. Another theory is that “every output of the LLaMA language models is an infringing
derivative work,” and that because third-party users initiate queries of LLaMA, “every output
from the LLaMA language models constitutes an act of vicarious copyright infringement.” But
the complaint offers no allegation of the contents of any output, let alone of one that could be  understood as recasting, transforming, or adapting the plaintiffs’ books. Without any plausible
allegation of an infringing output, there can be no vicarious infringement. See Perfect 10, Inc. v.
Amazon.com, Inc., 508 F.3d 1146, 1169 (9th Cir. 2007).
The plaintiffs are wrong to say that, because their books were duplicated in full as part of
the LLaMA training process, they do not need to allege any similarity between LLaMA outputs
and their books to maintain a claim based on derivative infringement. To prevail on a theory that
LLaMA’s outputs constitute derivative infringement, the plaintiffs would indeed need to allege
and ultimately prove that the outputs “incorporate in some form a portion of” the plaintiffs’
books. Litchfield v. Spielberg, 736 F.2d 1352, 1357 (9th Cir. 1984); see also Andersen v.
Stability AI Ltd., No. 23-CV-00201-WHO, 2023 WL 7132064, at *7-8 (N.D. Cal. Oct. 30, 2023)
(“[T]he alleged infringer’s derivative work must still bear some similarity to the original work or
contain the protected elements of the original work.”); 2 Melville B. Nimmer & David Nimmer,
Nimmer on Copyright § 8.09 (Matthew Bender Rev. Ed. 2023) (“Unless enough of the pre-
existing work is contained in the later work to constitute the latter an infringement of the former,
the latter, by definition, is not a derivative work.”); 1 Melville B. Nimmer & David Nimmer,
Nimmer on Copyright § 3.01 (Matthew Bender Rev. Ed. 2023) (“A work is not derivative unless
it has substantially copied from a prior work.” (emphasis omitted)). The plaintiffs cite Range
Road Music, Inc. v. East Coast Foods, Inc., 668 F.3d 1148 (9th Cir. 2012), but that case is not
applicable here. In Range Road, the infringement was the public performance of copyrighted
songs at a bar. Id. at 1151-52. The plaintiffs presented evidence (namely, the testimony of
someone they sent to the bar) that the songs performed were, in fact, the protected songs. Id. at
1151-53. The defendants presented no evidence of their own that the protected songs were not
performed. Nor did they present evidence that the performed songs were different in any
meaningful way from the protected songs. Id. at 1154. The Ninth Circuit held that, under these
circumstances, summary judgment for the plaintiffs was appropriate. And the Court rejected the
defendants’ contention that the plaintiffs, under these circumstances, were also required to
present evidence that the performed songs were “substantially similar” to the protected songs.
That contention made no sense, because the plaintiffs had already offered unrebutted evidence
that the songs performed at the bar were the protected songs. Id. at 1154. Of course, if the
defendants had presented evidence at summary judgment that the songs performed at the bar
were meaningfully different from the protected songs, then there would have been a dispute over
whether the performances were infringing, and the case would have needed to go to trial. At that
trial, the plaintiffs would have needed to prove that the performed songs (or portions of the
performed songs) were “substantially similar” to the protected songs. That’s the same thing the
plaintiffs would need to do here with respect to the content of LLaMA’s outputs. To the extent
that they are not contending LLaMa spits out actual copies of their protected works, they would
need to prove that the outputs (or portions of the outputs) are similar enough to the plaintiffs’
books to be infringing derivative works. And because the plaintiffs would ultimately need to
prove this, they must adequately allege it at the pleading stage>>

[anche qui manca la prova]

Motivazione un pò striminzita, per vero.

(notizia e link dal blog di Eric Goldman)

La lite sui marchi HAMILTON v. LEWIS HAMILTON

il segno LEWIS HAMILTON (del pilota di F1) è confondibile con HAMILTON (nota marca di orologi svizzeri) per prodotti sostanzialmente eguali?

Risponde positivamente il 1° board dell’appello amministrativo dell’EUIPO 17.10.2023, Case R 336/2022-1, 44IP ltd v. Hamilton International AG .

Si dimostra sempre difficile provare la propria notorietà a livello europeo: qui però, si badi, allo scopo di escludere confondibilità con il previo segno della casa orologiaia svizzera. Si v. la parte VI “Public perception and knowledge of Lewis Hamilton”.

Non è infatti discussa la questione del se ricorrsse uan notirrietà vicile del corridore nel 2015, anno di deposiuto del marchio della casa orologiaia. Ma una norma come nil n. art. 8.3 cpi nella UE non esiste. pur se la giurisprudenza di fatto ha posto una regola analoga ma non uguale (diritto di continuare ad usare mna no ndi impedire la registaszione altrui):  <<§ 61 In accordance with case-law, famous persons enjoy special protection when applying for trade marks. Insofar as their name is recognized, this recognition neutralizes any similarity with other signs which, under normal circumstances, would lead to a likelihood of confusion (24/06/2010, C-51/09 P, Barbara Becker, EU:C:2010:368; 02/12/2008, T-212/07, Barbara Becker, EU:T:2008:544; 17/09/2020, C-449/18 P & C-474/18 P, MESSI (fig.) / MASSI et al., EU:C:2020:722; 26/04/2018, T-554/14, MESSI (fig.) / MASSI et al., EU:T:2018:230; 16/06/2021, T-368/20, Miley Cyrus / Cyrus et al., EU:T:2021:372)>>

Conclusione:

<< 135 According to the case-law of the Court of Justice, the risk that the public might believe that the goods or services in question come from the same undertaking or, as the case may be, from economically-linked undertakings, constitutes a likelihood of confusion. It follows from the very wording of Article 8(1)(b) EUTMR that the concept of a likelihood of association is not an alternative to that of a likelihood of confusion, but serves to define its scope (29/09/1998, C-39/97, Canon, EU:C:1998:442, § 29; 22/06/1999, C-342/97, Lloyd Schuhfabrik, EU:C:1999:323, § 17).
136 A likelihood of confusion on the part of the public must be assessed globally. That global assessment implies some interdependence between the factors taken into account and in particular similarity between the trade marks and between the goods or services covered.
Accordingly, a lesser degree of similarity between these goods or services may be offset by a greater degree of similarity between the signs, and vice versa (29/09/1998, C-39/97, Canon, EU:C:1998:442, § 17; 22/06/1999, C-342/97, Lloyd Schuhfabrik, EU:C:1999:323, § 19). The more distinctive the earlier trade mark, the greater the risk of confusion, and trade marks with a highly distinctive character, either per se or because of the reputation they possess on the market, enjoy broader protection than trade marks with a less distinctive character (29/09/1998, C-39/97, Canon, EU:C:1998:442, § 18).
137 Where a common element, retains an independent distinctive role in the composite sign, the overall impression produced by that sign may lead the public to believe that the goods or services at issue come, at the very least, from companies which are linked economically, in which case a likelihood of confusion must be held to be established (22/10/2015, C‑20/14, BGW / BGW, EU:C:2015:714, § 40).
138 In numerous members states, family names are given more weight than first names, even if they are at the beginning (03/06/2015, T-559/13, Giovanni Galli, EU:T:2015:353, § 47). In the absence of any arguments or evidence submitted with this respect, the Board considers that the family name has no less importance than the first name in neither Bulgaria, Estonia, Croatia, Latvia nor Lithuania.
139 In light of the at least average degree of similarity between the goods and services, the average degree of similarity of the signs and the normal inherent distinctive character of the earlier trade mark, a likelihood of confusion exists in at least Bulgaria, Estonia, Croatia, Latvia and Lithuania. Despite the fact that the average consumer will display a high level of attention, even these consumers may believe that the EUTM applied for is a sub-brand of the earlier trade mark and that both belong to the same or economically-linked undertakings.
140 For the sake of completeness, the Board would like to add the following:
141 Even if Lewis Hamilton were a famous person in the entire European Union, it needs to be taken into consideration that the evidence in file suggests that he is often referred to by his family name. This is evident from the evidence submitted by the opponent in its response to the statement of grounds (page 27ss, page 6 351 of the file and Annex AN44.1), which proves that newspapers refer to him only as ‘Hamilton’. This does not mean anything else than that the relevant public will immediately associate ‘Hamilton’ with ‘Lewis Hamilton’. Even if ‘Lewis Hamilton’ enjoyed the status of a famous person, the term ‘Hamilton’ alone would also be associated with him, which would lead to the fact that the public could believe that the earlier trade mark is also
endorsed by the applicant, and leading therefore also to a likelihood of confusion since the public might believe, that both trade marks are coming from the same undertaking or belong to undertakings economically-connected.
142 The relevant facts in these proceedings are different from those in the proceedings which led to the judgments on which the applicant relies. Nothing in the file allowed the conclusion that the public would refer to Barbara Becker as Becker alone. The same holds true with respect to Miley Cyrus, who is only known as Miley Cyrus and not as Cyrus. Last, in the Messi case, the opposing trade mark was not Messi. Consequently, in these cases, the fame and repute of Barbara Becker, Miley Cyrus and Leo Messi could exceptionally rule out any likelihood of confusion>>

(segnalazine odierna di Marcel Pemsel su IPKat)

Concorrenza sleale per storno dei dipendenti

Sul sempre difficile (teoricmente e praticamente) tema in oggetto, v. Trib. Bologna  n° 1033/2023 del 16 maggio 2023, RG 12327/2018, rel,. Erede:

<<Al riguardo, si rileva in linea teorica che, affinché possano ravvisarsi gli estremi della fattispecie dello storno di dipendenti di un’azienda da parte di un imprenditore concorrente – comportamento vietato in quanto atto di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 n. 3 c.c. – non è sufficiente il mero trasferimento di collaboratori da un’impresa ad un’altra concorrente, né la contrattazione che un imprenditore intrattenga con il collaboratore altrui.
In questi casi, ricorre un’attività di per sé legittima, in quanto espressione del principio della libera circolazione del lavoro, ove non attuata con lo specifico scopo di danneggiare l’altrui azienda, in quanto la mobilità dei dipendenti corrisponde sia al diritto del lavoratore di migliorare la propria posizione professionale, sia al diritto dell’imprenditore di organizzare al meglio la propria azienda, in modo efficiente e produttivo, attingendo alle migliori professionalità presenti sul mercato.
La giurisprudenza di legittimità ha in proposito affermato, in più occasioni, che lo storno deve essere caratterizzato dall’ “animus nocendi”, che va desunto dall’obiettivo che l’imprenditore concorrente si proponga – attraverso il trasferimento dei dipendenti – di vanificare lo sforzo di investimento del suo antagonista, creando nel mercato l’effetto confusorio, o discreditante, o parassitario capace di attribuire ingiustamente, a chi lo cagiona, il frutto dell’investimento (ossia, l’avviamento) di chi lo subisce. Il giudizio di difformità dello storno dai principi della correttezza professionale non va condotto sulla base di un’indagine di tipo soggettivo, ma secondo un criterio puramente oggettivo dovendosi valutare se lo spostamento dei dipendenti si sia realizzato con modalità tali, da non potersi giustificare, in rapporto ai principi di correttezza professionale, se non supponendo nell’autore l’intento di arrecare pregiudizio all’organizzazione e alla struttura produttiva dell’imprenditore concorrente, svuotandola delle sue specifiche possibilità operative (tra tante, Cass. civ. n. 3865 del 17.02.2020; Cass. civ. n. 31203 del 29.12.2017; Cass. civ. n. 20228 del 4.09.2013; Cass. civ. n. 13424 del 23.05.2008).
In base a questi principi, nella concreta esperienza giurisprudenziale, al fine di verificare la sussistenza del requisito dell’animus nocendi, si valuta non solo se lo storno sia stato realizzato in violazione delle regole della correttezza professionale (come nei casi di impiego di mezzi contrastanti con i principi della libera circolazione del lavoro, di denigrazione del datore di lavoro, o avvalendosi di dipendenti dell’impresa che subisce lo storno, o quando il trasferimento del collaboratore sia finalizzato all’acquisizione dei segreti del concorrente), ma principalmente se le caratteristiche e le modalità del trasferimento evidenzino la finalità di danneggiare l’altrui azienda, in misura eccedente il normale pregiudizio che può derivare dalla perdita di prestatori di lavoro trasferiti ad altra impresa, non essendo sufficiente che l’atto in questione sia diretto a conquistare lo spazio di mercato del concorrente (App. Milano 1.08.2019, n. 3393; Trib. Bologna 16.03.2016, n. 683).

Per potersi configurare un’attività di storno di dipendenti, alla luce del requisito dell’animus nocendi, assumono rilievo i seguenti elementi: a) la quantità e la qualità dei dipendenti stornati; b) il loro grado di fungibilità; c) la posizione che i dipendenti rivestivano all’interno dell’azienda concorrente; d) la tempistica dello sviamento; d) la portata dell’organizzazione complessiva dell’impresa concorrente.
Si è anche affermato che “lo storno illecito normalmente afferisce allo spostamento di più soggetti da un imprenditore ad un altro, mentre la sottrazione di un solo dipendente è considerato elemento per lo più inidoneo a predicare la contrarietà alla legge” (Trib. Milano 19.09.2014, n. 11082).
Nel caso di specie, non si ravvisano nelle condotte dei convenuti modalità tali da indurre a riconoscere la volontà degli stessi di danneggiare l’organizzazione dell’impresa concorrente. In disparte la carenza di un rapporto diretto di concorrenzialità tra i convenuti dipendenti persone fisiche e COROB, si osserva che parte attrice non ha allegato e provato alcuna circostanza utile a far ritenere la sussistenza del rapporto di solidarietà dei convenuti ex dipendenti con ALFA in punto di responsabilità nei confronti di COROB, limitandosi a generiche allegazione rimaste sfornite di adeguata prova. Inoltre non può non rilevarsi come nella vicenda in esame alcuna concreta allegazione e prova parte attrice abbia fornito in ordine alla sussistenza di un intento di ALFA di recare pregiudizio all’organizzazione ed alla struttura produttiva della concorrente COROB, quale elemento soggettivo dell’illecito concorrenziale. Si richiama sul punto quel consolidato orientamento giurisprudenziale della S.C. che anche di recente ha affermato che “Per la configurabilità di atti di concorrenza sleale contrari ai principi della correttezza professionale, commessi per mezzo dello storno di dipendenti e/o collaboratori, è necessario che l’attività distrattiva delle risorse di personale dell’imprenditore sia stata posta in essere dal concorrente con modalità tali da non potersi giustificare, in rapporto ai principi di correttezza professionale, se non supponendo nell’autore l’intento di recare pregiudizio all’organizzazione ed alla struttura produttiva del concorrente, disgregando in modo traumatico l’efficienza dell’organizzazione aziendale del competitore e procurandosi un vantaggio competitivo indebito; a tal fine assumono rilievo innanzitutto le modalità del passaggio dei dipendenti e collaboratori dall’una all’altra impresa, che non può che essere diretto, ancorché eventualmente dissimulato, per potersi configurare un’attività di storno, la quantità e la qualità del personale stornato, la sua posizione nell’ambito dell’organigramma dell’impresa concorrente, le difficoltà ricollegabili alla sua sostituzione e i metodi adottati per indurre i dipendenti e/o collaboratori a passare all’impresa concorrente.”( così Cass. n. 3865/2020; conf. più di recente Cass. n. 22625/2022).
In disparte il dato che la contestazione dell’illecito concorrenziale per “storno dei
dipendenti” mossa da COROB non possa riguardare singole persone fisiche, quali ABELLI LUNGHINI, SOLERA e VERONESI e MAZZALVERI -legati a COROB da rapporto di dipendenza e/o collaborazione- non sono essi stessi imprenditori concorrenti e quindi non possono essere soggetti attivi dell’illecito stesso, deve rilevarsi che, con riguardo al MAZZALVERI, lo stesso all’atto della cessazione del suo rapporto di lavoro subordinato con COROB, a seguito di accordo risolutorio (v. doc. 24 allegato alla citazione), ha sottoscritto contestuale contratto di collaborazione con la stessa società ( v. doc. 25 allegato alla citazione), con esclusione di qualsiasi risvolto negativo per COROB.

Peraltro, va pure evidenziato come l’esiguo numero dei dipendenti stornati, in rapporto al numero complessivo dei dipendenti di COROB (119 dipendenti al 31.12.2017, come da visura prodotta dall’attrice sub doc. 1) per quanto specializzati possano essere, certamente non può determinare quella disgregazione traumatica dell’efficienza dell’organizzazione aziendale del competitore COROB, cosi come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità richiamata per la configurabilità di atti di concorrenza sleale contrari ai principi della correttezza professionale, commessi per mezzo dello storno di dipendenti e/o collaboratori.
Alla luce delle considerazioni che precedono, quindi, alcuna tutela inibitoria e risarcitoria può accordarsi in questa sede a COROB, così come vanno disattese le pretese sanzionatorie della stessa attrice>>.

Nell’incertezza sul tema, certo è che l’animus nocendi non può provarsi che in temini oggettivi, giammai psicologico/soggettivi.

Inoltre ricorda la figura dell’abuso del diritto: che ricorre quando un vantaggio per il preteso violatore non c’è per nulla (da tutti ammesso) o c’è ma in misura minima (controverso; da vedere poi come rendere il relativo giudizio e cioè quale ne sarebbe il parametro: ha senso paragonare il vantaggio al danno provocato?).

Va segnalata pure  un’applicazone (con rigetto) della disciplina dei segreti commerciali, art.- 98 cpi

Il giudizio di confondibilità quando il marchio anteriore è di certificazione: il caso Grillhoumi c. Halloumi, con soccombenza del governo cipriota

Altra vicenda nella lite sui segni richiamanti il formaggio cipriota Halloumi.

Si tratta della sentenza Trib. UE 11.10.2023 N, T-415/22 .

Sul punto in oggetto si legge:

<< The General Court held, in particular, that, where the earlier marks relied on in the opposition were national certification marks, which had been registered under national legislation transposing Directive 89/104, the likelihood of confusion had to be understood – by analogy with the rules governing collective marks – as being the risk that the public might believe that the goods or services covered by those earlier trade marks and those covered by the trade mark applied for all originated from persons authorised by the proprietor of those earlier marks to use them or, where appropriate, from undertakings economically linked to those persons or to that proprietor. It added that, furthermore, although, in the event of opposition by the proprietor of a certification mark, the essential function of that type of mark had to be taken into account in order to understand what was meant by likelihood of confusion, within the meaning of Article 8(1)(b) of Regulation No 207/2009, the fact remained that the case-law establishing the criteria with regard to which the existence of such a likelihood of confusion had to be assessed in practice was applicable to cases concerning an earlier certification mark>>.

La mancanza di continuità aziendale è concetto diverso (più ridotto) dalla sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale (causa di scioglimento)

Interessanti (e condivisibili) osservazioni in  Trib. Milano 12.10.2023  n. 7973/2023, RG 35640/2019, pres. e rel. Mambriani:

<<Orbene, se si confronta la nozione di continuità aziendale quale risultante dalle fonti di prassi contabile sopra indicate e la fattispecie normativa di cui all’art. 2484, comma 1, n. 2 c.c., ci si avvede ben presto di quanto segue.
➢ La fattispecie di scioglimento attiene ad una valutazione circa una situazione attuale, definitiva ed irreversibile in cui versa la società, mentre la valutazione circa la sussistenza o la mancanza di continuità aziendale è di natura prospettica, cioè ha a che fare con previsioni circa il futuro della società in un determinato arco temporale (12 mesi), e, come tale, attiene ad una situazione
non definitivamente cristallizzata ed invece tipicamente reversibile. Si tratta di prospettive valutative all’evidenza non compatibili tra loro.
➢ Nella “fattispecie” di continuità aziendale rientrano fattori di natura e tipologia disparate, molti dei quali ictu oculi estranei al tema della possibilità/impossibilità di conseguire l’oggetto sociale.

➢Le fattispecie descritte dall’art. 2484 c.c. sono tipiche e, come tali, esprimono un’esigenza di certezza che non pare compatibile con la natura stessa della valutazione sulla continuità aziendale come connotata nei principi contabili sopra indicati in termini di “dubbio  significativo”, connotazione peraltro che ben si accorda con la natura prognostica della valutazione.
➢ Può accadere che un evento considerato quale “indicatore” utilizzabile per la valutazione circa la sussistenza del presupposto della continuità aziendale possa, di fatto ed in concreto, determinare la sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale. Così è, ad esempio, per eventi catastrofici non adeguatamente assicurati o per la revoca di autorizzazioni amministrative a svolgere l’attività oggetto della società. Oppure, come nel caso di specie, per la risoluzione, da parte di Mercedes, del contratto di concessione dell’attività di distribuzione di
autovetture recanti qual marchio, avvenuta alla fine del 2015. Tuttavia, in tal caso, è giuridicamente irrilevante, ai fini qui considerati, che esso evento determini il venir meno della continuità aziendale, essendo invece rilevante che determini la sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale. E, come tale, esso deve essere specificamente allegato e provato dall’ attore che deduce il suo verificarsi come causa di scioglimento della società.
Cioè, a fronte di una fattispecie così ampia e tutt’altro che tassativa descritta dalle fonti di prassi contabile, è irrilevante o addirittura fuorviante riferirsi ad essa quando si pretenda l’applicazione di norme che assumono a fattispecie rilevante eventi determinati, linguisticamente designati da significanti diversi, la cui sussistenza o meno bensì rileva ma del tutto indipendentemente dalla circostanza che essi siano eventualmente qualificabili anche in
termini di “perdita di continuità aziendale”. Così è, ad esempio, per l’insufficienza patrimoniale di cui all’art. 2394 c.c., per la “discesa del capitale sociale sotto il minimo legale” di cui all’art. 2484 comma 1 n. 4 c.c., per il dissesto di cui art. 217, comma 1, n. 4 l.f. (art. 217, comma 1, n. 4 c.c.i.), per l’insolvenza di cui all’art. 5 l.f. (art. 2 let. b c.c.i.).
E così è anche per la situazione di “definitiva perdita della continuità aziendale”, di individuazione pratica e priva di referente normativo preciso, quando, come spesso accade, riferita ad un disequilibrio finanziario tale che l’attività svolta risulterebbe irreversibilmente programmata alla distruzione di ricchezza e alla traslazione del rischio di impresa sui creditori o sia fotografata da bilanci prospettici che presentano cash flow negativi e in presenza di indici economico-finanziari negativi dai quali emergerebbe che l’impresa non è più in condizioni di continuare a realizzare le proprie attività.
In tali casi la “definitiva perdita di continuità aziendale” o si risolve in realtà nelle diverse fattispecie normativamente previste di insufficienza patrimoniale, perdita del capitale sociale, insolvenza, dissesto, oppure, ma con diversa rilevanza rispetto al passato, si identifica in una manifestazione di quella prevista dall’art. 2086, comma 2, c.c. che tuttavia non riguarda lo
scioglimento della società.
➢ La sistematica del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza significativamente conferma il quadro interpretativo appena descritto.
Invero la fattispecie di perdita della continuità aziendale è posta dai principi fondanti previsti in materia – quelli stabiliti dal nuovo secondo comma dell’art. 2086 c.c. – a presupposto dell’  obbligo di reazione degli amministratori, in forma di adozione ed attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento, in vista del “recupero della continuità aziendale”. Con il ché è ribadita sia la natura prognostica del relativo giudizio che la sua reversibilità, connotati
questi propri anche del concetto di crisi aziendale, quale definito dall’art. 2, let. a) c.c.i.
A tal proposito, in ordine al rapporto tra “crisi” e “perdita di continuità aziendale” letto nel quadro della descrizione di quest’ultima situazione quale restituita dai citati principi contabili e di revisione, non si può mancare di osservare che la prima fattispecie, per come definita, assorbe in sé molti, se non tutti, i parametri finanziari che quei principi ascrivono invece alla
“continuità aziendale”. Se ne ricava che, sul piano normativo, la situazione di “perdita di continuità aziendale” è definibile per sottrazione dai parametri, criteri ed indicatori previsti dai principi contabili e di revisione, di tutte quegli eventi / situazioni di natura finanziaria che oggi vanno ricondotti alla fattispecie “crisi” di cui all’art. 2, let a) cit.
Ugualmente, situazioni “deficit patrimoniale” o “capitale ridotto al di sotto dei limiti legali” andranno ascritte non già alla fattispecie “perdita di continuità aziendale”, essendo piuttosto da ricondurre, per quel che qui rileva, alla fattispecie di cui all’art. 2484, comma 1, n. 4 c.c.
Né si tratta di distinzioni nominalistiche o inutili, poiché alle diverse fattispecie sopra indicate sono collegate discipline ben diverse in relazione ai poteri e doveri degli amministratori, dei sindaci, dei soci, con altrettanto diverse discipline delle loro responsabilità risarcitorie.

➢ La lettera delle innovazioni apportate dal “codice della crisi” all’art. 2484, comma 1, c.c., non fa confermare ulteriormente, a contrario (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit), la superiore ricostruzione ermeneutica. E’ stata aggiunta una fattispecie ulteriore di scioglimento della società data dalla apertura delle procedure di liquidazione giudiziale e controllata (n. 7 bis).
Orbene, considerata l’importanza conferita alla situazione di perdita della continuità aziendale nella sistematica del diritto della crisi e la considerazione della liquidazione come extrema ratio, sembra ovvio inferirne che, se il legislatore avesse voluto fare anche della prima una causa di scioglimento della società l’avrebbe detto, inserendo un’altra ipotesi oltre l’unica invece aggiunta.
➢ Lungi dal rivelarsi nominalistico, l’argomento da ultimo espresso ben si accorda con l’intenzione del legislatore, essendo del tutto disfunzionale, in vista del “recupero della continuità aziendale”, prevedere che quando essa fosse persa, la società versi in stato di scioglimento, con il conseguente sorgere, in capo
agli amministratori, non solo dell’obbligo di attuazione di uno degli strumenti di soluzione della crisi previsti a quel fine, ma anche dell’innesco della fase liquidatoria ex artt. 2485 e ss. c.c., comportante di  per sé dissoluzione di ricchezza ed assai più difficilmente reversibile ex art. 2487 ter c.c>>.

Rimane difficilino registrare marchi di posizione (soprattutto se consistente nella colorazione delle suole dei calzari)

Descrizione del marchio nella pagina web EUIPO: <<The mark consists of a product configuration consisting of a metallic gold sole on footwear. The dotted lines demonstrate placement of the mark and are not claimed as a feature of the mark. >>

Disegno ivi presente:

(dal fascicolo EUIPO)

Rigettata la domanda di registaizone dallEUIPOP  n° 018731419 con decisione 31 agosto u.s..: il segno  <<does not possess at first sight any distinctive character in relation to the goods pursuant to Article 7(1)(b) EUTMR and is therefore unable to function as a trade mark in the market place, i.e. it fails to distinguish these goods from those of other undertakings>>

Però la corte di giustizia UE 12.06.2018 ha validato quello rinomato di colore rosso di Louboutin (caso C-163/16) (L?ufficio non la menziona)

(segnalazione di Louise Rooms in IPKat)

Confondibilità rigettata in appello EUIPO

marchio posteriore for classes 5, 35 and 44, namely “pharmaceuticals”, “medical preparations”, “food supplements” and “dietetic substances for babies (colori rivendicati)
marchio anteriore designating, inter alia, classes 5, 30 and 32, “ia” designating goods in class 10 and “ia” designating services in class 35.

Il 1st board of appeal EUIPO 31.10.2023, case R 1529/2023-1, INTERAPOTHEK, S.A.U. v. Q4MEDIA rigetta per assebnza di confondibilità ex art. 8.1.b EUTMR.

Conclusione:

<<Overall assessment of the likelihood of confusion
36 The enhanced distinctiveness of the earlier mark was not claimed. Its inherent
distinctiveness results from the distinctive element ‘iaʼ in the central and initial position
but is weakened by the fact that its second word ‘BABYʼ is descriptive. The last word
‘interapothekʼ cannot be seen as a meaningful expression: as explained before, even if its
part ‘apothekʼ can be related to ‘Apothekeʼ (German word for ‘pharmacyʼ) the
combination with the prefix ‘interʼ lacks any tangible sense and is not descriptive. The
element may be seen as allusive but still distinctive. Overall, the inherent distinctiveness
of the earlier mark is under average.
37 The level of attention of both, the professional and the general public is high. The mark
has been found aurally similar to an average degree but conceptually and visually only to
a low degree. For the relevant goods and services the visual aspect is not less important
than the aural one, because the goods are bought on sight and the services are often
contracted on basis of written descriptions (offers, catalogues, Internet searches).
Therefore, taking into consideration the high level of attention of the relevant public and
the weakened distinctiveness of the earlier mark, the likelihood of confusion cannot be
confirmed even for identical goods. Even less so can this likelihood exist for goods that
are only similar.
38 The other earlier marks invoked in the opposition are even less similar to the EUTM
application as they overlap with the latter in only two letters, but differ in a multitude of
factors (beginning, length, font of the letter ‘aʼ, colours, initial letter/sound, number of
syllables). The likelihood of confusion does not exist on the basis of these marks either.>>