Prelazione agraria su fondo solo parzialmene destrinato ad usi agricoli

Ineressante precisazioni in Cass. sez. 2 del 04.10.2023 n. 27.986, rel. Falaschi (massima ufficiale, come si legge in ilcaso.it):

<<In tema di prelazione agraria, il carattere eccezionale delle norme impedisce un’interpretazione estensiva del concetto di fondo rustico, ex art. 8, comma 2, della l. n. 590 del 1965, tale da comportare l’applicazione della relativa disciplina a quelle parti del terreno che abbiano destinazione edilizia, industriale o turistica. Ne deriva che, quando sia alienato un fondo destinato solo in parte a scopi agricoli, il coltivatore diretto potrà esercitare il suo diritto di prelazione o di riscatto alla sola parte del fondo che abbia tale destinazione, fermo restando il potere del proprietario di esigere che la prelazione e il riscatto si estendano all’intero fondo, ove le parti rimanenti divenissero, all’esito, relitti inutilizzabili>>

La responsabilità dei soci per i debiti della società cancellata opera anche quando sono loro assegnati beni (partecipazione societaria) diversi dal danaro

Sul tema in oggetto (art. 2495 c.3 c.c) v. Cass. n. 31.109 del 8 novembre 20232, rel. Caponi:

<<La questione di diritto che essi sollevano si innesta sulla seguente situazione di fatto così come accertata nei giudizi di merito. Il bilancio di liquidazione della società a responsabilità limitata ha ripartito pro quota ai due soci una partecipazione in un’altra società della quale era titolare la s.r.l. poi estinta ed ha quantificato il controvalore in denaro delle due quote ripartite. La tesi dei due soci ricorrenti è che essi non sono tenuti a rispondere del debito sociale (la restituzione della caparra nella misura del doppio), poiché ai sensi dell’art. 2495 c.c., comma 3, i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione.

Vi è in effetti qualche precedente, come Cass. 15474/2017 citato dal P.M. nelle sue osservazioni, che sembra rimanere ancorato al tenore letterale dell’art. 2495 c.c. (allora) comma 2, per cui tra “la società cancellata dal registro delle imprese e i suoi soci può configurarsi una vicenda successoria, giacché, come è stato osservato, il successore intra vires dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere un successore (Cass. SU 6070/2013, in motivazione); ma è altrettanto vero che la successione ha luogo solo se ricorra la condizione posta dall’art. 2495 c.c., comma 2, e, quindi, se vi siano state somme riscosse dai soci in base al bilancio finale di liquidazione” (così Cass. 15474/2017, cit., p. 6 s.).

Tuttavia, “beni” (e non solo “somme”) è la parola con cui il sistema normativo, nelle sue disposizioni di portata più generale (a partire dall’art. 2740 c.c.), contrassegna l’oggetto della responsabilità patrimoniale del debitore. Se è vero, come è vero, che si ha a che fare con un fenomeno di responsabilità patrimoniale (dei soci, pur limitata da quanto da loro ricevuto) per adempimento di obbligazioni (contratte dalla società estinta), l’onere di addurre ragioni giustificative ricade sulle spalle di chi intende sostenere un’interpretazione che restringe, in questa ipotesi, alle somme di denaro riscosse l’oggetto della responsabilità patrimoniale, piuttosto che sulle spalle di chi argomenta che il tenore letterale dell’art. 2495 c.c. (oggi) comma 3, non può frapporre ostacoli ad un’applicazione, anche in questa ipotesi, della nozione di beni come oggetto generale della responsabilità patrimoniale.

La conferma si ritrae proprio da una rilettura della parte di Cass. SU 6070/2013, relativa all’interpretazione dell’art. 2495 c.c. (allora) comma 2 (p. 8 s.) da cui si cita nel proseguimento, con una scrittura in corsivo di alcune parole che è appunto vivificata dalla prospettiva interpretativa qui accolta: “Il dissolversi della struttura organizzativa su cui riposa la soggettività giuridica dell’ente collettivo fa naturalmente emergere il sostrato personale che, in qualche misura, ne è comunque alla base e rende perciò del tutto plausibile la ricostruzione del fenomeno in termini successori (…) Persuade di ciò anche il fatto che il debito del quale, in situazioni di tal genere, possono essere chiamati a rispondere i soci della società cancellata dal registro non si configura come un debito nuovo, quasi traesse la propria origine dalla liquidazione sociale, ma s’identifica col medesimo debito che faceva capo alla società, conservando intatta la propria causa e la propria originaria natura giuridica. (…) Nessun ingiustificato pregiudizio viene arrecato alle ragioni dei creditori, del resto, per il fatto che i soci di società di capitali rispondono solo nei limiti dell’attivo loro distribuito all’esito della liquidazione. Cass. SU 6070/2013 prosegue poi (p. 10 ss.) con la parte più ardua, tesa a recuperare i “residui attivi non liquidati” e le “sopravvenienze attive” alla responsabilità patrimoniale per l’adempimento dei debiti della società estinta, attraverso il subingresso dei soci, entro il limite menzionato dei beni e/o utilità da loro ricevuti. In definitiva, è la stessa Cass. SU 6070/2013 che muove da una nozione di oggetto della responsabilità patrimoniale in termini di elementi “attivi”, cioè di beni, in coerenza con la disciplina generale della responsabilità patrimoniale. Tali sono ovviamente anche le partecipazioni societarie di cui era titolare la società estinta. Talché s’impone il rigetto di una interpretazione dell’art. 2495 c.c. (oggi) comma 3, rigidamente ancorata alla lettera di “somme… riscosse”, incompatibile con tale cornice generale.

Gli argomenti addotti dai ricorrenti non sono in grado di minare queste osservazioni, che confermano la correttezza dell’interpretazione adottata dalla Corte di appello, dal momento che ha chiamato a rispondere i due soci della società estinta dell’adempimento dell’obbligo di restituzione della caparra nella misura del doppio, il cui ammontare non esorbita dal controvalore quantificato né in relazione all’una, né in relazione all’altra delle quote dell’originaria partecipazione sociale, ripartite tra i due soci>>.

La soluzione è probabilmente esatta. La ratio dovrebbe tuttavia piuttosto appoggiarsi al  pregiudizio che subirebbero i creditori ogni volta che la debitrice in via di cancellazione assegnasse ai soci beni divesi dal denaro: lasciare a tale assegnazione la tutela o meno dei creditori genera disparità ingiustficate di trattamento.

Non è poi chiaro , se ben capisco, come mai i soci assegnatari siano personalmente responsabili e non la socieà partecipata.

Risarcimento del danno alla persona da fatto illecito e già erogato indennizzo INAIL: come coordinarli?

Risponde con ordinanza, assai utile a fini pratici, Cass. 31.10.2023 n. 30.293, rel. Iannello, sez. 3:

<<Secondo il principio affermato, in tema di compensatio lucri cum damno, da Cass. Sez. U. n. 12566 del 22/05/2018, i pagamenti effettuati dall’assicuratore sociale riducono il credito risarcitorio vantato dalla vittima del fatto illecito nei confronti del responsabile, quando l’indennizzo abbia lo scopo di ristorare il medesimo pregiudizio del quale il danneggiato chiede di essere risarcito.

Ciò posto, e considerata la diversità strutturale e funzionale dell’indennizzo corrisposto dall’assicuratore sociale (Inail) nel caso di infortunio rispetto al risarcimento civilistico del danno da lesione della salute, il criterio più coerente al detto principio per calcolare il credito risarcitorio residuo del danneggiato nei confronti del terzo responsabile (e cioè il c.d. danno differenziale) non è certo quello – che di fatto risulta applicato dai giudici di merito – di sottrarre tout court per intero l’indennizzo Inail dal credito risarcitorio che sia stato “a monte” calcolato e non è nemmeno quello di operare tale sottrazione secondo “poste omogenee” (vale a dire distinguendo all’interno dell’indennizzo Inail le soli due grandi poste del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale e sottraendo tout court l’importo complessivamente liquidato per quest’ultima categoria di danno), ma è piuttosto quello di sottrarre l’indennizzo Inail dal credito risarcitorio solo quando l’uno e l’altro siano stati destinati a ristorare pregiudizi identici (criterio per “poste identiche” e non per “poste omogenee”: v. Cass. Sez. 3 n. 26117 del 27/09/2021)><.

Assai commendevolmente la SC si pone il problema dell’applicazione conseguente:

<<Per meglio comprendere l’importanza di tale operazione sarà utile ricordare quali pregiudizi sono indennizzati dall’Inail, per poi esaminare in che conto debbano essere tenuti i relativi indennizzi al momento della liquidazione del danno differenziale>>.

E subito dopo dettaglia :

<<5. Nel caso di infortunio non mortale, l’Inail esegue in favore della vittima quattro prestazioni principali:

a) eroga una somma di denaro a titolo di ristoro del danno biologico permanente (D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13); tale importo viene liquidato in forma di capitale per le invalidità comprese tra il 6 e il 16%, ed in forma di rendita per le invalidità superiori;

b) eroga una somma di denaro a titolo di ristoro del danno (patrimoniale) da perdita della capacità di lavoro; tale danno è presunto juris et de jure nel caso di invalidità eccedenti il 16% e viene indennizzato attraverso una maggiorazione della rendita dovuta per il danno biologico permanente (art. 13, comma 2, lett. b), D.Lgs. cit., a tenore del quale: “le menomazioni di grado pari o superiore al 16 per cento danno diritto all’erogazione di un’ulteriore quota di rendita… commisurata… alla retribuzione dell’assicurato… per l’indennizzo delle conseguenze patrimoniali”); tale maggiorazione è calcolata moltiplicando la retribuzione del danneggiato per un coefficiente stabilito dall’Allegato 6 al D.M. 12 luglio 2000;

c) eroga una indennità giornaliera per il periodo di assenza dal lavoro, commisurata alla retribuzione e decorrente dal quarto giorno di assenza (D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 68);

d) si accolla le spese di cura, di riabilitazione e per gli apparecchi protesici (D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 66).

L’Inail, dunque, non indennizza il danno biologico temporaneo, non accorda alcuna “personalizzazione” dell’indennizzo per tenere conto delle specificità del caso concreto, non indennizza i pregiudizi non patrimoniali non aventi fondamento medico-legale (ovvero i pregiudizi morali).>>

Utilissima precisaizone :

<<Ne discende che:

a) se l’Inail ha pagato al danneggiato un capitale a titolo di indennizzo del danno biologico, il relativo importo va detratto dal credito risarcitorio vantato dalla vittima per danno biologico permanente, al netto della personalizzazione e del danno morale (Cass. n. 26117 del 2021, cit.; n. 9112 del 02/04/2019; n. 13222 del 26/06/2015);

b) se l’Inail ha costituito in favore del danneggiato una rendita, occorrerà innanzitutto determinare la quota di essa destinata al ristoro del danno biologico, separandola da quella destinata al ristoro del danno patrimoniale da incapacità lavorativa; la prima andrà detratta dal credito per danno biologico permanente, al netto della personalizzazione e del danno morale, la seconda dal credito per danno patrimoniale da incapacità di lavoro, se esistente;

c) poiché il credito scaturente da una rendita matura de mense in mensem, il diffalco di cui al punto b) che precede dovrà avvenire, con riferimento al danno biologico:

c’) sommando e rivalutando i ratei di rendita già riscossi dalla vittima prima della liquidazione;

c”) capitalizzando il valore della rendita non ancora erogata, in base ai coefficienti per il calcolo dei valori capitali attuali delle rendite Inail, di cui al D.M. 22 novembre 2016 (in Gazz. Uff. 19 dicembre 2016, n. 295, Suppl. Ord.) (Cass. n. 26117 del 2021, cit.; Cass. n. 25618 del 15/10/2018; n. 5607 del 07/03/2017; n. 26913 del 23/12/2016; n. 17407 del 30/08/2016);

ovviamente l’una e l’altra di tali operazioni andranno compiute sulla quota-parte della rendita omogenea al danno che si intende liquidare: e dunque la quota-parte destinata all’indennizzo del danno biologico o quella destinata all’indennizzo del danno patrimoniale, a seconda che si tratti di liquidare l’uno o l’altro;

d) il risarcimento del danno biologico temporaneo, del danno morale e della c.d. “personalizzazione” del danno biologico permanente in nessun caso potranno essere ridotti per effetto dell’intervento dell’assicuratore sociale;

e) il credito per inabilità temporanea al lavoro e quello per spese mediche di norma non porranno problemi di calcolo del danno differenziale, essendo i suddetti pregiudizi integralmente ristorati dall’Inail, salvo ovviamente che la vittima deduca e dimostri la sussistenza di pregiudizi eccedenti quelli indennizzati dall’Inail (ad esempio, per la perduta possibilità di svolgere lavoro straordinario, o per spese mediche non indennizzate dall’Inail)>>.

Così deve essere lo ius dicere: aiutare e immaginare l’applicazione reale delle regole proposte, non creare riflessioni astratte.

Il legato immobiliare in sostituzione di legittima è rinunciabile ma con forma scritta

Cass. ord. sez. 2 del 02.11.2023 n. 30.384, rel. Guida:

<<3.1. il dictum del giudice d’appello collima con la giurisprudenza di legittimità che, in passato (Cass. Sez. U., n. 7098/2011), ha chiarito che, in tema di legato in sostituzione di legittima, il legittimario in favore del quale il testatore abbia disposto ai sensi dell’art. 551 c.c., un legato avente ad oggetto un bene immobile (come nella specie: ed infatti la testatrice ha lasciato al marito l’usufrutto su beni immobili), qualora intenda conseguire la legittima, deve rinunciare al legato stesso in forma scritta ex art. 1350 c.c., comma 1, n. 5, risolvendosi la rinuncia in un atto dismissivo della proprietà di beni già acquisiti al suo patrimonio; infatti, l’automaticità dell’acquisto non è esclusa dalla facoltà alternativa attribuita al legittimario di rinunciare al legato e chiedere la quota di legittima, tale possibilità dimostrando soltanto che l’acquisto del legato a tacitazione della legittima è sottoposto alla condizione risolutiva costituita dalla rinuncia del beneficiario, che, qualora riguardi immobili, è soggetta alla forma scritta, richiesta dalla esigenza fondamentale della certezza dei trasferimenti immobiliari;

3.2. concorde è la giurisprudenza successiva che, a proposito dei requisiti di forma della rinuncia al legato in sostituzione di legittima relativo a beni immobili, ha ribadito che la rinuncia necessita della forma scritta quando il legato ha per oggetto beni immobili, mentre ove tale situazione non ricorra ben può risultare da atti univoci compiuti dal legatario, implicanti necessariamente la volontà di rinunciare al legato, tra i quali, tuttavia, non rientra la proposizione dell’azione di riduzione, ben potendo ipotizzarsi un duplice intento del legittimario di conservare il legato conseguendo anche la legittima (Cass. 29/04/2022, n. 13530);>>

Coreografia v. “emotes” nel diritto di autore: l’appello in Hanagami v. Epic Games

Avevo notiziato il 05.09.2022 su Central District della California 24 agosto 2022, caso 2: 22-cv-02063-SVW-MRW che aveva rigettato la domanda di tutela verso l’uso nel gioco Fortnite.

Ora l’appello (in 14 mesi !!!) che riforma la sentenza di primo grado.

La sentenza è di una certa  importanza per capire la disciplina della tutela autorale dell’opera coreografica.

Dal summary iniziale:

<<Games, Inc., the creator of the videogame Fortnite, infringed
the copyright of a choreographic work when the company
created and sold a virtual animation, known as an “emote,”
depicting portions of the registered choreography.
The panel held that, under the “extrinsic test” for
assessing substantial similarity, Hanagami plausibly alleged
that his choreography and Epic’s emote shared substantial
similarities. The panel held that, like other forms of
copyrightable material such as music, choreography is
composed of various elements that are unprotectable when
viewed in isolation. What is protectable is the
choreographer’s selection and arrangement of the work’s
otherwise unprotectable elements. The panel held that
“poses” are not the only relevant element, and a
choreographic work also may include body position, body
shape, body actions, transitions, use of space, timing, pauses,
energy, canon, motif, contrast, and repetition. The panel
concluded that Hanagami plausibly alleged that the creative
choices he made in selecting and arranging elements of the
choreography—the movement of the limbs, movement of the hands and fingers, head and shoulder movement, and tempo—were substantially similar to the choices Epic made in creating the emote.
The panel held that the district court also erred in dismissing Hanagami’s claim on the ground that the allegedly copied choreography was “short” and a “small component” of Hanagami’s overall work. The panel declined to address the issue whether the work was entitled to broad or only thin copyright protection>>.

(notizia e link da Eric Goldman)

Ancora su AI, data scraping e violazione di copyright (questa volta per lo più negata)

La corte del distr. Nord della California  30 ottobre 2023, Case 3:23-cv-00201-WHO, Andersen v. Stability AI, DeviantArt, Midjourney, esamina il tema in oggetto (segnalazione e link di Jess Miers su X).

Le domande sono tutte rigettate tranne quelal verso Stability, per la quale è cocnessa facoltà di modifica:

<<3. Direct Infringement Allegations Against Stability Plaintiffs’ primary theory of direct copyright infringement is based on Stability’s creation and use of “Training Images” scraped from the internet into the LAION datasets and then used to train Stable Diffusion. Plaintiffs have adequately alleged direct infringement based on the allegations that Stability “downloaded or otherwise acquired copies of billions of copyrighted images without permission to create Stable Diffusion,” and used those images (called “Training Images”) to train Stable Diffusion and caused those “images to be stored at and incorporated into Stable Diffusion as compressed copies.” Compl. ¶¶ 3-4, 25-26, 57. In its “Preliminary Statement” in support of its motion to dismiss, Stability opposes the truth of plaintiffs’ assertions. See Stability Motion to Dismiss (Dkt. No. 58) at 1. However, even Stability recognizes that determination of the truth of these allegations – whether copying in violation of the Copyright Act occurred in the context of training Stable Diffusion or occurs when Stable Diffusion is run – cannot be resolved at this juncture. Id. Stability does not otherwise oppose the sufficiency of the allegations supporting Anderson’s direct copyright infringement claims with respect to the Training Images>>.

Provvedimento itneressante poer chi si occupa del tema, dato che da noi ancora non se ne son visti.

Famiglia di marchi (a fini del giudizio di confondibilità)

App. Milano 3057 / 2’023 del 30.10.2023, rg 2355/2021.rel. Cortelloni, Sergio Ricci spa c. Sergio Rossi spa:

<<La Corte rileva che una “famiglia di marchi”, per essere tale, presuppone un “marchio capostipite” e altri marchi che riproducono lo stesso nucleo fondamentale, identificativo ed evocativo di determinati prodotti, con eventuali mere varianti grafiche, che, peraltro, devono apparire accessorie e marginali rispetto al nucleo fondamentale considerato.
Nel caso in esame, i segni di Stefano Ricci spa oggetto di disamina, come detto, sono i seguenti: …

Orbene, con riferimento a tali segni, sembra a questa Corte che la possibilità di ravvisare in essi un “nucleo fondamentale comune” incontri un forte ostacolo nel fatto che l’utilizzo delle lettere “SR” avviene – in ciascuno dei marchi considerati – con modalità del tutto particolari e differenti: talvolta, mediante l’impiego di forme “classicheggianti” (1); altre, con l’ulteriore inserimento di una cornice geometrica e decorata, a forma ottagonale, dentro la quale le lettere sono inserite su sfondo bianco (2); ancora, mediante l’utilizzo di decori intrecciati tali da rendere meno riconoscibili ed evidenti le lettere e da evidenziare maggiormente l’aspetto decorativo (3); in un altro caso, mediante l’utilizzo delle lettere con modalità non intrecciate e distanti fra loro, in “stampatello” maiuscolo e aventi fondo bianco /sfumato (4); infine, utilizzando forme moderne e quasi geometriche ove, ancora una volta, il richiamo alle lettere “SR” appare molto meno evidente e riconoscibile (5).
Pertanto, in assenza di un “nucleo fondamentale comune” – che non si ripete in modo costante ed evidente – non sembra possibile ravvisarsi, in concreto, l’esistenza di una “famiglia di marchi”, nel senso auspicato da parte appellante>>

E’ concorrenza sleale (ex art. 2598 n. 3 c.c.) proporre ai clienti del concorrente un’offerta reticente ed omissiva

 Trib.  Milano n. 3038/2023 del 17.04.2023, RG 40547/2023, rel.  Fazzini, Iliad c.  Vodafone:

<<All’interno di questo ambito, si deve ritenere che, nel caso di specie, Vodafone Italia Spa ha utilizzato sms o altre comunicazioni, caratterizzate da un messaggio pubblicitario che utilizza il prezzo come strumento di concorrenza, senza che, però, fosse stato evidenziato in maniera adeguata il prezzo complessivo, ovvero tutte le voci di prezzo o costo del servizio, essendo state omesse alcune singole componenti, quali i costi della SIM, di attivazione, etc. È evidente che tale comportamento non sia conforme alle regole della lecita concorrenza, atteso che l’utente non era stato messo nelle condizioni di effettuare una valutazione corretta nel formare un primo convincimento prima della sottoscrizione del contratto, con conseguenze negative anche al fine della scelta di un gestore piuttosto che un altro. Così come strutturati i messaggi, il tribunale ritiene che non ci fossero elementi per poter ritenere che il potenziale utente potesse supporre che accedendo al servizio avrebbe dovuto affrontare ulteriori costi iniziali rispetto a quelli già indicati. Si osserva, infatti che, dato che l’offerta esplicitava un costo periodico mensile nel caso in cui l’utente fosse voluto tornare a Vodafone o passare a tale società, senza alcun ulteriore riferimento a informazioni o a costi aggiuntivi, anche attraverso un richiamo a un sito internet, allo stato, non sussistono elementi perché esso avrebbe potuto intendere che l’offerta presupponeva invece anche un addebito di un costo iniziale, essendo evidente che esso aveva percepito l’offerta, in sostanza, come una sorta di abbonamento senza costo di attivazione, proprio per invogliare il cliente a ritornare sulle proprie scelte, o in cui gli eventuali costi iniziali erano stati assorbiti nel pagamento del canone fisso.
Rilevante a tale riguardo è anche la circostanza pacifica che per tali condotte Vodafone Italia Spa sia stata sanzionata dall’AGCM con provvedimento del 6.12.2019. In ordine alla rilevanza probatoria di tale provvedimento, si osserva che, benché non sia condivisibile quanto asserito da parte attrice in ordine a un suo valore probatorio privilegiato, essendo circostanza pacifica che tale provvedimento è stato oggetto di impugnazione davanti al TAR, con la conseguenza che, allo stato, esso non ha alcun specifico valore di carattere decisorio definitivo, alla luce dei principi espressi dalla Suprema Corte (cfr. Cass. 3640/2009; Cass. 5941/2011; Cass. 5942/2011), è evidente che comunque esso abbia un valore indiziario a favore della tesi di parte attrice ai fini della individuazione di un comportamento di concorrenza sleale>>.

Nessuna  liquidazione di danno, però:

<<In considerazione di ciò, il Collegio ritiene che sia evidente che, allo stato, non sussiste alcuna prova in ordine al fatto che i messaggi in questione siano stati diretti ai clienti Iliad e in quale misura e se essi abbiano determinato questi ultimi a scegliere di tornare al vecchio operatore Vodafone piuttosto che proseguire con il nuovo operatore, elemento necessario al fine di provare la sussistenza del danno eventualmente causato.     In un contesto del genere e in un mercato caratterizzato da una pluralità di operatori (e non solo dai due, parti nel presente giudizio), il tribunale ritiene che non sia possibile stabilire se e in quale misura gli utenti, se informati correttamente sui costi effettivamente applicati al momento del ricevimento del messaggio, sarebbero rimasti con il nuovo operatore Iliad. Si evidenzia, peraltro, che l’eventuale passaggio da un operatore all’altro non si realizza al momento della recezione del messaggio, ma solo a seguito della sottoscrizione di un contratto, in cui l’utente viene informato dei costi effettivamente applicati.
Alla luce di tale motivazione, non può essere accolta la richiesta di rimessione in termini proposta da Iliad per il deposito della documentazione reperita a seguito dell’accesso integrale degli atti del procedimento AGCM, essendo essa irrilevante ai fini del decidere, con conseguente stralcio dei documenti di cui è stato autorizzato il deposito in data 18.02.2022 e di quelli depositati da parte attrice all’udienza di precisazione delle conclusioni del 17.05.2022>>.

Rigettata pure la domanda di  concorrenza skleale per ritartdato trasferimento del numero in base alla discipliona della number portabilility.

Circa  la  pubblicazione della setenzna:

<<Si osserva, infatti, in particolare, alla luce dei principi espressi dalla Suprema Corte, che la pubblicazione in uno o più giornali della sentenza, che accerti atti di concorrenza sleale, ai sensi dell’art. 2600 c.c., costituisce una misura discrezionale non collegata all’accertamento del danno, trattandosi di una sanzione autonoma, diretta a portare a conoscenza del pubblico la reintegrazione del diritto offeso (cfr. Cass. 11362/2022), potendo essere disposta anche dopo che il concorrente abbia cessato la propria attività (cfr. Corte d’Appello di Milano, 14.04.2011).

Alla luce di ciò, il tribunale ordina la pubblicazione della sentenza (intestazione + dispositivo) a spese di Vodafone Spa entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione della presente sentenza, per una volta, a caratteri doppi del normale e con i nomi delle parti in grassetto, sul quotidiano il “Sole 24 ore”, con facoltà, per parte attrice di provvedervi direttamente in caso di inottemperanza della parte convenuta, recuperando successivamente le relative spese (cfr. Tribunale di Milano, sent. n. 5732/2016, 9.05.2016, est. Tavassi).
Il Collegio ritiene di non dovere accogliere la richiesta di pubblicazione della sentenza mediante inserzione sul sito ufficiale di Vodafone Italia S.p.A., su tutte le pagine ufficiali di Vodafone Italia S.p.A. presenti sui social network, su lettere da inviare a tutti i canali distributivi e a tutta la grande distribuzione e distribuzione organizzata, atteso che l’interesse di parte attrice risulta, allo stato, già soddisfatto in considerazione di quanto sopra disposto in ordine alla pubblicazione dell’intestazione e del dispositivo della sentenza sul quotidiano il “Sole 24 Ore”>>.

Tipi di tabelle millesimali condominiali e loro regime giuridico di modificabilità

Utili precisazioni in Cass. sez. II del 19/10/2023, rel. Chieca:

<< Da questi elementi la Corte territoriale ha tratto la conclusione che l’accordo di cui trattasi integra la “diversa convenzione” espressamente fatta salva dall’inciso finale dell’art. 1123 c.c., comma 1, non suscettibile di revisione ai sensi dell’art. 69 disp. att. c.c..

A sostegno della soluzione accolta ha richiamato i principi di diritto enunciati da questa Corte con sentenza n. 7300/2010, rammentando che in subiecta materia si suole distinguere tre tipologie di tabelle millesimali:

1) le tabelle convenzionali c.d. “pure”, caratterizzate dall’accordo con il quale “i condomini, nell’esercizio della loro autonomia”, dichiarano espressamente “di accettare che le loro quote nel condominio vengano determinate in modo difforme da quanto previsto dall’art. 1118 c.c. e art. 68 disp. att. c.c., dando vita alla “diversa convenzione” di cui all’art. 1123 c.c., comma 1, u.p.”: in questo caso, “la dichiarazione di accettazione ha valore negoziale e, risolvendosi in un impegno irrevocabile di determinare le quote in un certo modo, impedisce di ottenerne la revisione ai sensi dell’art. 69 disp. att. c.c.”;

2) le tabelle convenzionali c.d. “dichiarative”, che si differenziano dalle prime perché, “tramite l’approvazione della tabella, anche in forma contrattuale (mediante la sua predisposizione da parte dell’unico originario proprietario e l’accettazione degli iniziali acquirenti delle singole unità immobiliari, ovvero mediante l’accordo unanime di tutti i condomini), i condomini stessi intendono… non già modificare la portata dei loro rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio, bensì determinare quantitativamente siffatta portata (addivenendo, così, alla approvazione delle operazioni di calcolo documentate dalla tabella medesima)”: in detta ipotesi, “la semplice dichiarazione di approvazione non riveste natura negoziale, con la conseguenza che l’errore, il quale, in forza dell’art. 69 disp. att. c.c., giustifica la revisione delle tabelle millesimali, non coincide con l’errore vizio del consenso, di cui agli artt. 1428 c.c. e segg., ma consiste, per l’appunto, nella obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito”; [si tratta di negozio determinativo]

3) le tabelle c.d. “assembleari”, cioè adottate dall’organo collegiale del condominio con la maggioranza qualificata all’uopo richiesta, le quali risultano “pacificamente soggette al procedimento di revisione di cui al più volte menzionato art. 69” >>.

Lesione della capacità lavorativa generica e specifica: la prima può generare anche dannno patrimoniale

Summa sull’oggetto in Cass. sez. 3 del 15.09.2023 n. 26.641, rel. Rossello:

<<Sotto altro profilo, con riferimento alla riduzione della capacità lavorativa generica, si è da questa Corte posto in rilievo che essa non attiene alla produzione del reddito ma si sostanzia in un danno alla persona, in quanto lesione di un’attitudine o di un modo d’essere del soggetto in una menomazione dell’integrità psico-fisica risarcibile quale danno biologico (v. Cass., 25/8/2014, n. 18161; Cass., 6/8/2004, n. 15187).

Il danno da riduzione della capacità lavorativa specifica è viceversa generalmente ricondotto nell’ambito non già del danno biologico bensì del danno patrimoniale (cfr. in particolare Cass., 9/8/2007, n. 17464 e Cass., 27/1/2011, n. 1879), precisandosi peraltro al riguardo che l’accertamento dell’esistenza di postumi permanenti incidenti sulla capacità lavorativa specifica non comporta l’automatico obbligo di risarcimento del danno patrimoniale da parte del danneggiante, dovendo comunque il soggetto leso dimostrare, in concreto, lo svolgimento di un’attività produttiva di reddito e la diminuzione o il mancato conseguimento di questo in conseguenza del fatto dannoso (v. Cass., 25/8/2006, n. 18489, Cass., 8/8/2007, n. 17397, e Cass., 21/4/2010, n. 9444).

Recentemente si è da questa Corte peraltro precisato come la circostanza che i postumi permanenti di lieve entità rientrino nel danno biologico come menomazione della salute psicofisica della persona non significa lo stesso “assorba” anche la menomazione della generale attitudine al lavoro, giacché al danno alla salute resta pur sempre estranea la considerazione di esiti pregiudizievoli sotto il profilo dell’attitudine a produrre guadagni attraverso l’impiego di attività lavorativa, sicché gli effetti pregiudizievoli della lesione della salute del soggetto leso possono pertanto consistere in un danno patrimoniale da lucro cessante laddove vengano ad eliminare o a ridurre la capacità di produrre reddito (cfr. Cass., 24/2/2011, n. 4493).

A tale stregua, vanno al danneggiato risarciti non solo i danni patrimoniali subiti in ragione della derivata incapacità di continuare ad esercitare l’attività lavorativa prestata all’epoca del verificarsi del medesimo (danni da incapacità lavorativa specifica) ma anche i danni gli eventuali danni patrimoniali ulteriori, derivanti dalla perdita o dalla riduzione della capacità lavorativa generica, allorquando il grado di invalidità, affettante il danneggiato non consenta al medesimo la possibilità di attendere (anche) ad altri lavori, confacenti alle attitudini e condizioni personali ed ambientali dell’infortunato, idonei alla produzione di fonti di reddito.

In tale ipotesi l’invalidità subita dal danneggiato in conseguenza del danno evento lesivo si riflette infatti comunque in una riduzione o perdita della sua capacità di guadagno, da risarcirsi sotto il profilo del lucro cessante.

Va pertanto escluso che il danno da incapacità lavorativa generica non attenga mai alla produzione del reddito e si sostanzi sempre e comunque in una menomazione dell’integrità psicofisica risarcibile quale danno biologico, costituendo una lesione di un’attitudine o di un modo di essere del soggetto (cfr. Cass., 16/1/2013, n. 908).

La lesione della capacità lavorativa generica, consistente nella idoneità a svolgere un lavoro anche diverso dal proprio ma confacente alle proprie attitudini, può invero costituire anche un danno patrimoniale, non ricompreso nel danno biologico, la cui sussistenza va accertata caso per caso dal giudice di merito, il quale non può escluderlo per il solo fatto che le lesioni patite dalla vittima abbiano inciso o meno sulla sua capacità lavorativa specifica (cfr. Cass., 16/1/2013, n. 908).

Il grado di invalidità personale determinato dai postumi permanenti di una lesione all’integrità psico-fisica non si riflette infatti automaticamente sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica e, quindi, di guadagno, spettando al giudice del merito valutarne in concreto l’incidenza.

A tale stregua, nel caso in cui la persona che abbia subito una lesione dell’integrità fisica già eserciti un’attività lavorativa e il grado d’invalidità permanente sia tuttavia di scarsa entità (c.d. “micropermanenti”), un danno da lucro cessante derivante dalla riduzione della capacità lavorativa in tanto è configurabile in quanto sussistano elementi per ritenere che, a causa dei postumi, il soggetto effettivamente ricaverà minori guadagni dal proprio lavoro, essendo ogni ulteriore o diverso pregiudizio risarcibile a titolo di danno non patrimoniale (v. Cass., 18/9/2007, n. 19357; Cass., 7/8/2001, n. 10905).

Si è altresì precisato che l’invalidità di gravità tale da non consentire alla vittima la possibilità di attendere neppure a lavori diversi da quello specificamente prestato al momento del sinistro, e comunque confacenti alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, integra non già lesione di un modo di essere del soggetto, rientrante nell’aspetto del danno non patrimoniale costituito dal danno biologico, quanto un danno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di chance, ulteriore e distinto rispetto al danno da incapacità lavorativa specifica, e piuttosto derivante dalla riduzione della capacità lavorativa generica, il cui accertamento spetta al giudice di merito in base a valutazione necessariamente equitativa ex art. 1226 c.c. (v. Cass., 12/6/2015, n. 12211).

Tale danno deve allora se del caso riconoscersi non solo in favore di soggetto già percettore di reddito da lavoro, ma anche a chi non lo sia mai stato (es., casalinga: cfr. Cass., 12/9/2005, n. 18092) o non sia ancora in età non lavorativa (v., con riferimento al minore, Cass., 17/1/2003, n. 608), ovvero versi in concreto in una condizione lavorativa caratterizzata da carattere saltuario (v. Cass., 25/8/2020, n. 17690) o al momento del sinistro sia disoccupato e perciò senza reddito (v. Cass., 7/8/2001, 8n. 10905), potendo in tal caso escludersi il danno da invalidità temporanea ma non anche il danno collegato all’invalidità permanente che proiettandosi nel futuro verrà ad incidere sulla capacità di guadagno della vittima.

A tale stregua, un danno anche patrimoniale risarcibile può essere legittimamente riconosciuto anche a favore di persona che, subita una lesione, si trovi al momento del sinistro senza un’occupazione lavorativa e, perciò, senza reddito, in quanto tale condizione può escludere il danno da invalidità temporanea, ma non anche il danno futuro collegato all’invalidità permanente che proiettandosi appunto per il futuro verrà ad incidere sulla capacità di guadagno della vittima al momento in cui questa inizierà a svolgere un’attività remunerata, in ragione della riduzione della capacità lavorativa conseguente alla grave menomazione cagionata dalla lesione patita, da liquidarsi in via equitativa, tenuto conto dell’età della vittima stessa, del suo ambiente sociale e della sua vita di relazione (v. Cass., 30/11/2005, n. 26081; Cass., 18/5/1999, n. 4801. E, da ultimo, Cass., 27/10/2015, n. 21782; Cass., 4/11/2020, n. 24481).

Mentre la liquidazione del danno patrimoniale da incapacità lavorativa patito in conseguenza di un sinistro stradale da un soggetto percettore di reddito da lavoro deve avvenire ponendo a base del calcolo il reddito effettivamente perduto dalla vittima (v., da ultimo, Cass., 12/10/2018, n. 25370), in difetto di prova rigorosa del reddito effettivamente perduto o non ancora goduto dalla vittima può applicarsi il criterio del triplo della pensione sociale, oggi assegno sociale (v. Cass., 25/8/2020, n. 17690; Cass., 12/10/2018, n. 25370, ove si fa richiamo all’art. 137 cod. ass.; Cass., 27/11/2015, n. 24210; Cass., 17/1/2003, n. 608).

Emerge pertanto evidente che trattandosi di invalidità generica come nella specie integrante ipotesi di c.d. macropermanente (dell’80%) rimane invero integrata la lesione non solo di un’attitudine o di un modo di essere del soggetto danneggiato rientrante nell’aspetto (o voce) del danno non patrimoniale costituito dal danno biologico, sicché la relativa liquidazione non può essere pertanto in questo ricompreso (v. Cass., 27/10/2015, n. 21782; Cass., 12/6/2015, n. 12211) ma anche sotto il (differente) profilo dell’eventuale ulteriore danno patrimoniale derivante dalla riduzione della capacità lavorativa generica, in quanto per la sua entità l’invalidità non consente al danneggiato la possibilità di attendere (anche) ad altri lavori confacenti alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali ed idonei alla produzione di fonti di reddito, oltre a quello specificamente prestato al momento del sinistro.

Si tratta, in quest’ultima ipotesi, di un aspetto del danno da lucro cessante (cfr. Cass., 13/7/2011, n. 15385) di cui si compendia la categoria generale del danno patrimoniale, concernente la capacità di produzione di reddito futuro, o, più precisamente, della perdita di chance, da questa Corte intesa quale entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un risarcibile danno da considerarsi non già futuro (nel qual senso v. peraltro, da ultimo, Cass., 12/2/2015, n. 2737; Cass., 17/4/2008, n. 10111) bensì danno certo ed attuale in proiezione futura (nella specie, ad esempio la perdita di un’occasione favorevole di prestare altro e diverso lavoro confacente alle attitudini e condizioni personali ed ambientali del danneggiato idoneo alla produzione di fonte di reddito).

Danno che, ove dal giudice di merito individuato ed accertato, con adeguata verifica dell’assolvimento del relativo onere probatorio incombente sul danneggiato il quale può al riguardo avvalersi anche della prova presuntiva (v. Cass., 13/7/2011, n. 15385; Cass., 11/5/2010, n. 11353; Cass., 19/2/2009, n. 4052; Cass., 30/1/2003, n. 1443), va stimato con valutazione necessariamente equitativa ex art. 1226 c.c. (cfr. Cass., 17/4/2008, n. 10111, e, da ultimo, Cass., 12/2/2015, n. 2737).

La sua attribuzione, se dal giudice del merito riconosciuta come dovuta non realizza invero duplicazione alcuna nemmeno in presenza del riconoscimento e liquidazione del danno da incapacità lavorativa specifica, il quale attiene invero a1risarcimento del diverso pregiudizio che al danneggiato consegua in relazione al differente aspetto dell’impossibilità di attendere alla specifica attività lavorativa in essere al momento del sinistro (v. Cass., 12/6/2015, n. 12211).

Quanto al danno patrimoniale subito dai congiunti di persona deceduta o lesa a causa dell’altrui fatto illecito va sotto altro profilo ribadito che il diritto al relativo risarcimento ai medesimi iure proprio spettante ex art. 2043 c.c. richiede l’accertamento che risultino in conseguenza dello stesso in effetti privati di utilità economiche di cui già beneficiavano e di cui avrebbero presumibilmente continuato a fruire o goduto in futuro (v. Cass., 20/3/2017, n. 7054; Cass. civ. Sez. III, 06/02/2007, n. 2546).

Tale danno deve essere liquidato sulla base di una valutazione equitativa circostanziata, rimessa al giudice di merito, che tenga conto della rilevanza del legame di solidarietà familiare e delle prospettive di reddito (v. Cass. civ. Sez. III, 13/03/2012, n. 3966).

Si è al riguardo precisato che il danno patrimoniale da mancato guadagno derivante al congiunto dalla perdita della fonte di reddito collegata all’attività lavorativa della vittima configura un danno futuro, da valutarsi con criteri probabilistici in via presuntiva e con equo apprezzamento del caso concreto, e da liquidarsi in via necessariamente equitativa (v. Cass., 20/11/2018, n. 29830).

Ai fini della prova presuntiva, ben può la prova del fatto base essere desunta da elementi obiettivi acquisiti al compendio probatorio (cfr. Cass., 11/5/2010, n. 11353), essendo al riguardo invero sufficiente addirittura la relativa mera allegazione, in presenza di non contestazione della controparte (cfr. Cass., 24/11/2010, n. 23816; Cass., 2/11/2009, n. 23142; Cass., 1/8/2001, n. 10482. E già Cass., 13/11/1976, n. 4200).

Atteso che la presunzione solleva la parte ex art. 2697 c.c. onerata di provare il fatto previsto (v. Cass., 12/6/2006, n. 13546), allorquando ammessa essa -in assenza di prova contraria- impone infatti al giudice di ritenere il medesimo provato (v. Cass., 12/6/2006, n. 13546).

Provato presuntivamente (a fortiori in mancanza come nella specie di elementi anche solo indiziari di segno contrario dedotti dalla parte a cui svantaggio opera la presunzione) l’an del danno patrimoniale da lucro cessante (cfr. Cass., 16/5/2013, n. 11968; Cass., 11/11/1996, n. 9835), il quantum va quindi liquidato in via necessariamente equitativa ex art. 1226 c.c. (cfr. Cass., 17/4/2008, n. 10111, e, più recentemente, Cass.,12/2/2015, n. 2737; Cass., 12/6/2015, n. 12211)>>.