Il marchio tridimendsionale costituito da design con valore artistico: la SC si pronuncia sul (l’ennesima lite nel) caso Piaggio v. ZHEJIANG ZHONGNENG INDUSTRY GROUP

Cass. sez. 1 del 28 novembre 2023 n. 33.100, rel,. Ioffrida, affronta tre importanti questioni, in una delle più interessanti vertenze IP degli ultimi anni:

Questo il marchio Piaggio,  costituito dal frontale dello scooter:

“TRIDIMENSIONALE IL MARCHIO CONSISTE NELLA RAPPRESENTAZIONE TRIDIMENSIONALE DI UNO SCOOTER. LA RAPPRESENTAZIONE È FORNITA IN 5 VISTE ORTOGONALI E 1 PROSPETTICA, COME DA ALLEGATO” (dal fascicolo)

V. qui il fascicolo in TMview.

Tre , si diceva, son le questioni affrontate:

1) se vi sia o meno valore sostanziale nella forma, tale da render invalido il marchio ex art. 9.1.c) cpi,

2) il rapporto tra tale giudizio e l’eventuale artisticità dell’oggetto ex art. 2 n. 10 l. aut.

3) l’individuazione del segno su cui rendere il giudizio di contraffazine, tenuto conto che il frotnale è leggermente variato più volte nel corso degli anni.

Sub 1) la SC (§ 3.6) accoglie la tesi dei produttore cinese : il valore sostanziale non significa “decisivo” o “prevalente”: basta che contribuisca in qualche modo alla scelta di acqisto.

Ci pare tesi errata: il termine “sostanziale” significa assai di più di quanto afferma la SC.

Irrilevante la giurisprudenza europea che non può violare la cristallina portata semantica del lemma.

sub 2):  stante la sostanziale sovrapponibilià tra valore sostnziale (art. 9.c cpi) e valore artistico (art. 2.10 l. aut.) , <<ne consegue che, il riconoscimento di un valore artistico alla forma di un prodotto quale opera di design, ai fini della tutela secondo la l.d.a., – per essere la (Omissis) addirittura divenuta, per effetto di numerosi riconoscimenti da parte dell’ambiente artistico, non meramente industriale (quali anche le innumerevoli presenze in “film, pubblicità, fotografie, che hanno come protagonista un mito”, pag. 29 della sentenza impugnata), “un’icona simbolo del costume e del design artistico italiano”, comporta, di regola, che la stessa forma dia al prodotto quel “valore sostanziale” che osta alla registrazione della forma come marchio>> (§ 3.9).

Il giudizio è affrettato visto che son diversi i consumatori/utenti nei due casi.

Inoltre non viene  considerato il fattore tempo: prima che il segno di forma sia “iconico”, il marchio può essere stato depositato validamente.

sub 3) è il punto più complesso sia in teoria che in fatto. La SC ravvisa unicità del segno su cui operare il giudizio contraffattorio (conterebbe una sua concezine astratta, astorica), pur in presenza di (modesto) variare nel corso degli anni (§ 4,3). E’ questine difficile, implicante anche un approccio di teoria estetica e sulla quale non mi pronuncio. CErto non accoglierla porrebbe problemi pratici assai significativi, allalue dell’evoluzione graduale ma costante del frontale nel corso del tempo.

Pertanto rinvia ad altra sezione della CdA di Torino

E’ grave, infine, circa la tecnica redazionale,  che i nostri giudici si ostinino nel non inserire la riproduzione completas (qui non c’è nemmeno una minimale) dei segni o dei prodotti incausa : vanifica la ratio della pubbliczione della sentenza ,. consistente nel permettere il controllo pubblico e democratico della stessa.

E’ lacuna che dovrebbe essere colmata.

L?interverrrsione del possesso nella estensione del diritto da diritto sulla quopta di contitolarità a diritto sull’intero

Cass. sez. 2 del 30/11/2023 n. 33.453, rel. Oliva, secondo cui l’interversione in tale caso non è quella dell’art. 1164 cc,  dovendo essere rivolta ai comproprietari.

La seconda parte mi pare esatta, ma non la prima: le condotte verso i comproprietari son sempre quelle tradizionalmente ascritte al concetto di interversio possessionis-

<<E, quanto all’interversio possessionis, va del pari ribadito che il “Il partecipante alla comunione che intenda dimostrare l’intenzione di possedere non a titolo di compossesso, ma di possesso esclusivo (“uti dominus”), non ha la necessità di compiere atti di interversio possessionis alla stregua dell’art. 1164 c.c., dovendo, peraltro, il mutamento del titolo consistere in atti integranti un comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo ed animo domini della cosa, incompatibile con il permanere del compossesso altrui, non essendo al riguardo sufficienti atti soltanto di gestione, consentiti al singolo compartecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri, o ancora atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o l’erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune, non possono dare luogo ad una estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro compossessore” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9100 del 12/04/2018, Rv. 648079; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16841 del 11/08/2005, Rv. 584306; principio valido anche ai rapporti tra coeredi, prima della divisione, in forza di Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 9359 del 08/04/2021, Rv. 660860, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10734 del 04/05/2018, Rv. 648439 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1370 del 18/02/1999, Rv. 523346). Il semplice godimento della cosa comune da parte di uno dei compossessori, dunque, non è di per sé idoneo a far ritenere lo stato di fatto funzionale all’esercizio del possesso ad usucapionem, poiché ben potrebbe trattarsi della conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte degli altri compossessori; è dunque necessario, ai fini dell’usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla cosa attraverso un’attività apertamente e inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l’onere della relativa prova su chi invoca l’avvenuta usucapione del bene>>.

Risarcimento del dannon non patrimoniale da inadempimento contrattuale: quando la cancellazione del volo non permette di partecipare al funerale del padre

Cass.  sez. III del 29/11/2023 n. 33.276m, rel. Tassone:

Premessa;

<<- le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto modo di affermare, nella nota sentenza n. 26972/2008, i seguenti principi di diritto:

– il danno non patrimoniale, quando ricorrano le ipotesi espressamente previste dalla legge, o sia stato leso in modo grave un diritto della persona tutelato dalla Costituzione, è risarcibile sia quando derivi da un fatto illecito, sia quando scaturisca da un inadempimento contrattuale;

– il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi “previsti dalla legge”, e cioè, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c.:

a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall’ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale;

b) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato (ad es., nel caso di illecito trattamento dei dati personali o di violazione delle norme che vietano la discriminazione razziale); in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento (quali, rispettivamente, quello alla riservatezza od a non subire discriminazioni);

c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi, che, al contrario delle prime due ipotesi, non sono individuati “ex ante” dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice;

– il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, è risarcibile – sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. – anche quando non sussiste un fatto-reato, né ricorre alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, a tre condizioni:

a) che l’interesse leso – e non il pregiudizio sofferto – abbia rilevanza costituzionale (altrimenti si perverrebbe ad una abrogazione per via interpretativa dell’art. 2059 c.c., giacché qualsiasi danno non patrimoniale, per il fatto stesso di essere tale, e cioè di toccare interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile);

b) che la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità (in quanto il dovere di solidarietà, di cui all’art. 2 Cost., impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza);

c) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità.

Infine, questa Corte ha altresì ritenuto che il danno non patrimoniale, di cui si invoca il risarcimento, non è in re ipsa, in quanto il danno risarcibile si identifica non con la lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento ma con le conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, anche attraverso presunzioni (v. ex multis Cass., 26/10/2017, n. 25420; Cass., 28/03/2018, n. 7594; Cass., 06/12/2018, n. 31537)>>.

Applicaizone al caso, con principio di diritto:

<<3.1 Orbene, nel caso di specie l’impugnata sentenza non ha fatto buon governo dei suindicati principi, in quanto ha omesso di effettivamente valutare se il pregiudizio non patrimoniale dedotto abbia superato quella soglia di sufficiente gravità individuata in via interpretativa dalla giurisprudenza e lo ha sbrigativamente qualificato in termini di lievità e di totale irrilevanza, senza considerare, come condivisibilmente evidenziato sia dal ricorrente sia dalla Procura Generale, che le relazioni familiari godono di tutela costituzionale (artt. 29 e 30 Cost.) e che secondo la sensibilità comune la partecipazione alle esequie del proprio padre defunto costituisce evento necessariamente unico ed irripetibile, tale da scandire il momento del saluto e della consapevolezza della perdita subita, per cui la sussistenza di forzati impedimenti, causati dall’altrui inadempimento, alla partecipazione ad un evento siffatto può ragionevolmente essere collocata nell’ambito della soglia della risarcibilità imposta dal diritto vivente, non potendo essere relegata sic et simpliciter, senza alcun apprezzamento da parte del giudice di merito, nell’ambito del pregiudizio bagattellare.

6. [4., invece, non 6., immagino…] In conclusione, il ricorso va accolto e va posto il seguente principio di diritto: “premesso che il danno non patrimoniale, di cui si invoca il risarcimento, non è in re ipsa, in quanto si identifica non con la lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento ma con le conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, anche attraverso presunzioni, l’impedimento alla partecipazione delle esequie di un genitore determinata da inadempimento (come nel caso di specie) o illecito altrui, giustifica il risarcimento del danno non patrimoniale“.

Presupposti per l’assegno divorzile

Cass. Sez. I, Ord. 14/11/2023, n. 31.719, rel. Pazzi:

<<7.3 La Corte distrettuale ha mancato di attribuire all’assegno riconosciuto la funzione equilibratrice-perequativa che esso doveva necessariamente avere, omettendo di verificare in maniera appropriata, innanzitutto, l’inadeguatezza dei mezzi della richiedente e l’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive.
Occorreva poi verificare – con riferimento all’intera vicenda coniugale, protrattasi nel caso di specie per dodici anni – se una simile condizione fosse saldamente ancorata alle caratteristiche e alla ripartizione dei ruoli endofamiliari.
La mancanza di quest’ultima verifica ha finito per condurre la Corte territoriale ad attribuire valore determinante alla comparazione della situazione economico-patrimoniale delle parti, quando, al contrario, la situazione della richiedente costituiva una mera premessa fenomenica ed oggettiva che doveva essere seguita dalla verifica della riconducibilità delle cause che avevano prodotto la condizione di inadeguatezza agli indicatori delle caratteristiche dell’unione matrimoniale così come descritti nella L. n. 898 del 1970 , art. 5 , comma 6, prima
parte i quali assumono rilievo in misura direttamente proporzionale alla durata del matrimonio.
In altri termini il giudice di merito, nel valutare l’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge che richieda l’assegno divorzile, o l’impossibilità per lo stesso di procurarseli per ragioni oggettive, deve tener conto, utilizzando i criteri di cui alla L. n. 898 del 1970 , art. 5 , comma 6, sia della impossibilità di vivere autonomamente e dignitosamente da parte di quest’ultimo, sia della necessità di compensarlo per il particolare contributo che dimostri di avere dato alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, senza che abbiano rilievo, da soli, lo squilibrio economico tra le parti e l’alto livello reddituale dell’altro ex coniuge, tenuto conto che la differenza reddituale è coessenziale alla ricostruzione del tenore di vita matrimoniale, ma è oramai irrilevante ai fini della determinazione dell’assegno, e l’entità del reddito e/o del patrimonio dell’altro ex coniuge non giustifica, di per sè, la corresponsione di un assegno in proporzione delle sue sostanze (Cass. 21234/2019>>.

L’interpretazione dell’art. 5.5 legge divorzio , sulla scia di Cass. sez. un. 18.287/2018, è ormai consolidata.

(testo fornito da Ondif)

La sopravvenienza di figli, a chi già ne aveva, non è equiparabile alla analoga sopravvenienza a chi non ne aveva alcuno: solo alla seconda fattispecie si applicarsi la revoca testamentaria ex art. 687 cc

Così Cass. 5 ottobre 2023 n. 28.043, rel,. Criscuolo, ove si legge:

<<Cass. n. 18893/2017 ha, infatti, affermato che il testamento redatto dal “de cuius” che, al momento della sua predisposizione,
già avesse figli, dei quali fosse nota l’esistenza, non è soggetto a
revocazione per il caso di successiva sopravvenienza di un altro
figlio, ex art. 687 c.c., attesa la natura eccezionale – e, dunque,
non suscettibile di applicazione analogica o estensiva – di tale
disposizione, che contempla la diversa ipotesi in cui il testamento
sia stato predisposto da chi non aveva o ignorava di aver figli o
discendenti>>

Questa la motivazione:

<<Tale precedente, dopo aver richiamato il dibattito dottrinale, circa
il fondamento soggettivo o oggettivo della previsione, ha reputato
preferibile optare per la seconda soluzione che ancora il rimedio
alla modificazione in sé della situazione familiare in relazione alla
quale il testatore aveva disposto dei suoi beni. A tale conclusione
è pervenuta nell’ottica prevalente della tutela dei figli, non senza
osservare che la stessa non si pone in irresolubile contrasto con il
diverso approccio volontaristico che è invece alla base dell’esegesi
della previsione di cui all’art. 803 c.c., deponendo in tal senso
anche le differenze evidentemente esistenti tra le due norme
(come testimoniato dal fatto dal fatto che la revocazione della
donazione è rimessa ad un’iniziativa del donante ovvero dei suoi
eredi, ed è assoggettata ad un breve termine di decadenza,
palesandosi in tal modo come la perdita di efficacia della
donazione sia ricollegata ad una specifica iniziativa individuale ed
al fatto che il ripensamento del donante debba intervenire in un lasso di tempo contenuto, laddove a contrario la fattispecie in
materia di testamento opera di diritto, ed anche laddove il de
cuius abbia potuto fruire di un termine, anche ampio, per
procedere alla revoca del precedente testamento ed ad una
eventuale nuova manifestazione di volontà).
La tesi cd. oggettiva trova poi il supporto anche del dato letterale
che non consente di ampliare l’ambito di applicazione della norma
al caso in oggetto. Inoltre, l’ancorare in chiave oggettiva la
revocazione ad una modificazione della situazione familiare, sia
pure nella prospettiva di assicurare una tutela della posizione dei
figli, impone di affermare che la modificazione debba essere tale
da creare un quadro oggettivo radicalmente mutato rispetto a
quello presentatosi al testatore alla data di redazione del
testamento, e che appaia quindi connotato dalla sopravvenienza
di figli, di cui si ignorava l’esistenza. Ciò che vuol dirsi è che non
ogni mutamento della composizione del quadro familiare, quale la
nascita di figli ulteriori può portare alla revocazione, ma solo
quello che denoti, con la necessità anche di un richiamo alla
ipotetica volontà del de cuius, legata alla preponderanza
dell’affetto nei confronti dei figli, non ancora provato alla data cui
risale il testamento, una situazione affatto diversa, e che possa
appunto giustificare la revocazione. Inoltre, ed a favore sempre
della lettura rigorosa della previsione di cui all’art. 687 c.c., sono
stati rimarcati alcuni inconvenienti che la più attenta dottrina ha
avuto modo di segnalare in relazione all’ipotesi in cui invece si
optasse per la revocazione anche in caso di sopravvenienza di figli
ulteriori. In tal senso si pensi al caso in cui il testatore abbia
deciso di non istituire il figlio a lui noto, preferendo altri soggetti
ovvero che al contrario, abbia deciso di istituirlo, in tutto il suoCorte di Cassazione – copia non ufficiale
Ric. 2018 n. 25845 sez. S2 – ud. 25-09-2023 -16-
patrimonio o anche solo in parte dello stesso. Nel primo caso, il
figlio noto, in assenza di figli sopravvenuti, potrebbe tutelare le
sue ragioni solo avvalendosi dell’azione di riduzione, mentre,
qualora vengano scoperti altri figli, o ne sopravvengano, e si
ammettesse l’estensione dell’art. 687 c.c., verrebbe alla
successione legittima, contro, però, la volontà (reale) del
testatore. Nel secondo caso, sempre ammessa l’estensione
analogica dell’art. 687 c.c., anziché essere soggetto all’azione di
riduzione, nuovamente il figlio noto, scoperti o sopravvenuti altri
figli, verrebbe alla successione legittima, ancora una volta contro
la volontà (reale) del testatore. Si è acutamente sottolineato che,
anche a voler ravvisare la ratio della norma in esame nella tutela
di interessi familiari, il «bilanciamento» fra questi ultimi interessi
e la volontà (reale) del testatore è stato compiuto nel momento in
cui sono state scritte le norme sulla successione necessaria, le
quali impongono di dover reagire nel caso di lesione avverso l’atto
che esprima la volontà (reale) del testatore, senza quindi poter
beneficiare (al di fuori dell’ipotesi di cui all’art. 549 c.c.) di una
caducazione automatica delle previsioni lesive dei diritti dei
legittimari. La «prevaricazione» della volontà (reale) del testatore,
in vista della tutela di interessi familiari può considerarsi
giustificata, solo se funzionale alla tutela dei figli ignoti al tempo
del testamento o sopravvenuti, come peraltro confortato dalla
previsione di cui al terzo comma della norma in esame, ma non
anche laddove il testatore si sia determinato a dettare le proprie
volontà in presenza di figli a lui noti, essendo quindi esclusa la
parificazione della fattispecie qui esaminata a quella invece
puntualmente descritta dal legislatore>>.

Lascia perplessi in un giudice di solito molto attento (ed espertissimo della materia successoria) l’equiparazione (parrebbe una confusione) tra analogia ed interpretazione estensiva di una norma eccezionale

L’assegnazione automatizzata di putneggio di solvibilità (scoring) costituisce decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato ex art. 22.1 GDPR

Corte di Giustizia 7 dicembre 2023 , C-634/21 afferma quanto sopra.

Dato il tenore letterale della norma, la conclusione è esatta ma anche scontata.

<<42  Quanto al tenore dell’articolo 22, paragrafo 1, del RGPD, tale disposizione prevede che un interessato ha il diritto di non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, compresa la profilazione, che produca effetti giuridici che lo riguardano o che incida in modo analogo significativamente sulla sua persona.

43      L’applicabilità di tale disposizione è quindi soggetta a tre condizioni cumulative, vale a dire, in primo luogo, che deve esistere una «decisione», in secondo luogo, che tale decisione deve essere «basata unicamente sul trattamento automatizzato, compresa la profilazione», e, in terzo luogo, che essa deve produrre «effetti giuridici [riguardanti l’interessato]» o incidere «in modo analogo significativamente sulla sua persona».

44      Per quanto riguarda, in primo luogo, la condizione relativa all’esistenza di una decisione, occorre rilevare che la nozione di «decisione», ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 1, del RGPD, non è definita da tale regolamento. Tuttavia, dalla formulazione stessa di tale disposizione risulta che tale nozione rinvia non solo ad atti che producono effetti giuridici riguardanti il soggetto di cui trattasi, ma anche ad atti che incidono significativamente su di esso in modo analogo.

45      L’ampia portata rivestita dalla nozione di «decisione» è confermata dal considerando 71 del RGPD, ai sensi del quale una decisione che implica la valutazione di taluni aspetti personali di un interessato, di cui quest’ultimo dovrebbe avere il diritto di non essere oggetto, può «includere una misura» che produce «effetti giuridici che lo riguardano» o incide «in modo analogo significativamente sulla sua persona». Secondo tale considerando, sono coperti dal termine «decisione», a titolo esemplificativo, il rifiuto automatico di una domanda di credito online o pratiche di assunzione elettronica senza interventi umani.

46      Poiché la nozione di «decisione» ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 1, del RGPD può quindi includere, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 38 delle sue conclusioni, diversi atti che possono incidere sulla persona interessata in vari modi, tale nozione è sufficientemente ampia da ricomprendere il risultato del calcolo della solvibilità di una persona sotto forma di tasso di probabilità relativo alla capacità di tale persona di onorare impegni di pagamento in futuro.

47      Per quanto riguarda, in secondo luogo, la condizione secondo cui la decisione, ai sensi di tale articolo 22, paragrafo 1, deve essere «fondata esclusivamente su un trattamento automatizzato, compresa la profilazione», come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 33 delle sue conclusioni, è pacifico che un’attività come quella della SCHUFA risponde alla definizione di «profilazione» di cui all’articolo 4, punto 4, del RGPD e quindi che tale condizione è soddisfatta nel caso di specie, dato che il testo della prima questione pregiudiziale si riferisce peraltro esplicitamente al calcolo automatizzato di un tasso di probabilità basato su dati personali relativi ad una persona e riguardante la capacità di quest’ultima di onorare un prestito in futuro.

48      Per quanto riguarda, in terzo luogo, la condizione secondo cui la decisione deve produrre «effetti giuridici» riguardanti la persona di cui trattasi o incida «in modo analogo significativamente» su di essa, dal tenore stesso della prima questione pregiudiziale risulta che l’azione del terzo al quale è trasmesso il tasso di probabilità è guidata «in modo decisivo» da tale tasso. Pertanto, secondo gli accertamenti di fatto del giudice del rinvio, in caso di domanda di mutuo rivolta da un consumatore a una banca, un tasso di probabilità insufficiente comporta, in quasi tutti i casi, il rifiuto di quest’ultima di concedere il prestito richiesto.

49      In tali circostanze, si deve ritenere che anche la terza condizione alla quale è subordinata l’applicazione dell’articolo 22, paragrafo 1, del RGPD sia soddisfatta, in quanto un tasso di probabilità come quello di cui trattasi nel procedimento principale incide, quanto meno, sull’interessato significativamente.

50      Ne consegue che, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, nelle quali il tasso di probabilità stabilito da una società che fornisce informazioni commerciali e comunicato a una banca svolge un ruolo decisivo nella concessione di un credito, il calcolo di tale tasso deve essere qualificato di per sé come decisione che produce nei confronti di un interessato «effetti giuridici che lo riguardano o che incid[e] in modo analogo significativamente sulla sua persona», ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 1, del RGPD>>

Ancora sul marchio di forma Lego

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disegno del marchio di forma presente in sentenza

Trib. UE 6 dicembre 2023 , T-297/22, BB Services v. EUIPO-Lego, afferma la validità comer marchio di forma del segno tridimensionsale sopra rappresentato.

Era stata azionata la violazione dell’art. 7.1.e) sub i) (forma del prodotto) e sub ii) (forma necessaria per ottenere un risultato tecnico) Reg. 2017/1001.

La chiave di volta sta nel fatto che , secondo la interpretazione del Trib., per aversi tale nullità bisogna che tutti gli elementi della forma siano volti a riprodurre il prodotto o ad ottenere un risultato tecnico. Quindi, se anche un solo elemento è sganciato da questa necessità, la fattiaspecie astratta non si applica e il marchio è valido

Sub i) :

<< 72   Infatti, le caratteristiche essenziali che derivano dal tenone sulla testa, dalle mani a gancio e dai fori sotto i piedi e sul retro delle gambe della figurina controversa possono essere dedotte dal marchio contestato, tenuto conto della sua rappresentazione grafica, ma anche da altri elementi d’informazione, in particolare dalla conoscenza che ha il pubblico del sistema di costruzione modulare dell’interveniente, come si evince dai documenti versati nel fascicolo dalla ricorrente (v. punti 27, 53 e 54 supra), nei limiti in cui questi sono ricollegabili ai motivi e agli argomenti da essa esposti dinanzi al Tribunale (v. punto 21 supra), e che è altresì un fatto notorio (v. punto 55 supra).

73      Si deve pertanto ritenere che il tenone sulla testa, i ganci sulle mani e i fori sul retro delle gambe e sotto i piedi della figurina di cui trattasi costituiscano caratteristiche essenziali del marchio contestato, tenuto conto della sua natura di «figurina da costruzione incastrabile». Tali elementi risultano importanti per la compatibilità di tale figurina e per la sua idoneità ad essere assemblata con altri prodotti.

77      Si deve concludere che, se è vero che la commissione di ricorso ha correttamente ritenuto che le caratteristiche considerate al punto 51 della decisione impugnata fossero caratteristiche essenziali del marchio contestato, essa ha invece commesso un errore di valutazione omettendo di considerare essenziali le caratteristiche supplementari asserite dalla ricorrente, ossia il tenone sulla testa, i ganci alle mani e i fori sul retro delle gambe e sotto i piedi>>.

Sub ii) :

<<156   Pertanto, l’articolo 7, paragrafo 1, lettera e), ii), del regolamento n. 40/94 non può applicarsi qualora vi sia almeno una caratteristica essenziale della forma che non è necessaria per ottenere un risultato tecnico, di modo che il marchio contestato non è costituito «esclusivamente» dalla forma necessaria per ottenere un risultato tecnico (v. punti 121 e 122 supra).

157    Nel caso di specie, la forma controversa è quindi suscettibile di tutela come marchio dell’Unione europea se almeno una delle sue caratteristiche essenziali non deriva direttamente dal risultato tecnico della natura incastrabile o della modularità del prodotto considerato in quanto figurina da costruzione incastrabile. Per inciso, va notato che i risultati non tecnici del prodotto considerato come figurina giocattolo sono irrilevanti ai fini dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera e), ii), del regolamento n. 40/94 e non possono impedire la registrazione del marchio contestato.

158    Orbene, è giocoforza rilevare che la forma cilindrica o «a botte» della testa della figurina controversa non discende direttamente dal risultato tecnico di assemblaggio e di incastro di una figurina da costruzione incastrabile nel sistema di costruzione modulare dell’interveniente. Lo stesso dicasi per la forma corta e rettangolare del collo e per la forma trapezoidale, piatta e angolare del busto, nonché per la forma specifica delle braccia con le mani e per quella delle gambe con i piedi.

159    Infatti, le caratteristiche ornamentali e di fantasia menzionate ai punti da 51 a 54 della decisione impugnata (v. punti 64 e 78 supra) ed elencate al precedente punto 158, derivano dalla libertà dell’ideatore della figurina giocattolo e della figurina da costruzione incastrabile. Mentre la presenza di fattezze umane e di dispositivi di assemblaggio è fondamentalmente richiesta dalla duplice natura del prodotto, vi è una notevole libertà per quanto riguarda la configurazione di tali elementi.

160    La commissione di ricorso, ai punti 53 e 84 della decisione impugnata, ha quindi giustamente ritenuto, in sostanza, che tali caratteristiche essenziali, data la loro natura ornamentale e di fantasia, potessero essere modificate e configurate con, in linea di principio, una notevole libertà di progettazione.

165    La valutazione della commissione di ricorso non contrasta neppure con l’interesse sotteso all’articolo 7, paragrafo 1, lettera e), ii), del regolamento n. 40/94, che consiste nell’evitare che il diritto dei marchi si traduca nel concedere a un’impresa un monopolio su soluzioni tecniche o caratteristiche funzionali di un prodotto (v. punto 101 supra). La commissione di ricorso ha tenuto in debito conto tale interesse al punto 84 della decisione impugnata (v. punto 160 supra). Il marchio contestato non rende impossibile, per i concorrenti, l’immissione sul mercato di figurine che presentano caratteristiche tipiche di tale categoria di giocattoli. Non impedisce neppure la distribuzione di figurine di diversa concezione compatibili con il sistema di costruzione modulare dell’interveniente. Come rilevato, in sostanza, dalla commissione di ricorso al punto 53 della medesima decisione, esiste un’ampia libertà di progettazione per figurine del genere>>.

l’analisi del Tribunale è alquanto approfondita,  per cui sarà da tenere in considerazione per chi si occuperà del tema .

Le Sezioni Unite sulla sussidiarietà nell’azione di ingiustificato arricchimento

Cass., Sez. Un, 5 dicembre 2023, n. 33954, Pres. Virgilio, Est. Criscuolo (lik offerto da dirittodellacrisi.it) dà quirsto princiopio di dirittyO:

<<Ai fini della verifica del rispetto della regola di sussidiarietà di cui
all’art. 2042 c.c., la domanda di arricchimento è proponibile ove la
diversa azione, fondata sul contratto, su legge ovvero su clausole
generali, si riveli carente ab origine del titolo giustificativo.
Viceversa, resta preclusa nel caso in cui il rigetto della domanda
alternativa derivi da prescrizione o decadenza del diritto azionato,
ovvero nel caso in cui discenda dalla carenza di prova circa
l’esistenza del pregiudizio subito, ovvero in caso di nullità del
titolo contrattuale, ove la nullità derivi dall’illiceità del contratto
per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico>>

In motivazione:

<<Colgono nel segno le riflessioni di quella dottrina che ha
sottolineato come l’azione di arricchimento non possa far rivivere
il diritto prescritto, che è estinto e resta tale.
La regola della sussidiarietà impone di affermare che, se
l’impoverito dispone di altre difese, l’azione di arricchimento non
può essere esercitata, e ciò vale anche se le altre difese, già
pertinenti al soggetto, siano andate perdute, come appunto nel
caso della prescrizione. Né può trascurarsi l’argomento speso da
autorevole dottrina secondo cui “concedere in questi casi l’azione
di arricchimento, significherebbe frustrare la finalità di quegli
istituti, che consiste proprio nel determinare la perdita di un
diritto a danno di chi non lo ha esercitato”.
Una precisazione però si impone per le ipotesi di rigetto ovvero di
infondatezza della domanda proponibile in via principale, e ciò in
quanto, alla luce della disamina della giurisprudenza di questa
Corte, come compiuta al punto 5. che precede, la formale
adesione al principio della sussidiarietà in astratto risulta oggetto
di un costante temperamento, soprattutto nel caso in cui l’azione
principale sia fondata su una fonte contrattuale, mediante il
riconoscimento della sua esperibilità ove sia riconosciuta la nullità
del titolo contrattuale azionato (si veda da ultimo Cass. n. 13203/2023, secondo cui, nei casi in cui l’azione contrattuale è
stata rigettata per inesistenza del titolo, sarebbe contraddittorio
sostenere che la proposizione di una azione, che presuppone la
non esistenza di un contratto, possa essere impedita da una
pronuncia che abbia per l’appunto dichiarato la non esistenza di
un contratto, e ciò anche perché, se al rigetto del rimedio
contrattuale, determinato dall’inesistenza del titolo, potesse
conseguire l’improponibilità del rimedio sussidiario, costituito
dall’azione di arricchimento, l’avente diritto sarebbe privato di
qualsiasi strumento processuale per ottenere il rimborso del
pregiudizio subito; conf. Cass. n. 15496/2018).
Tuttavia, come confermato da Cass. n. 13203/2023, va ribadito
che resta preclusa la possibilità di agire ex art. 2041 c.c., anche in
caso di nullità del titolo contrattuale, ove la nullità derivi
dall’illiceità del contratto per contrasto con norme imperative o
con l’ordine pubblico (conf. ex multis, Cass. n. 10427/2002; Cass.
n. 14085/2010)….

Occorre quindi distinguere tra le ipotesi in cui il rigetto derivi dalriconoscimento della carenza ab origine dei presupposti fondanti
la domanda cd. principale, da quelli in cui derivi dall’inerzia
dell’impoverito ovvero dal mancato assolvimento di qualche onere
cui la legge subordinava la difesa di un suo interesse.
Nella prima ipotesi il rigetto per accertamento della carenza ab
origine del titolo fondante la domanda cd. principale comporta che
quello che appariva un concorso da risolvere ex art. 2042 c.c. in
favore della domanda principale si rivela essere in realtà un
concorso solo apparente, in quanto deve escludersi la stessa
ricorrenza di un diritto suscettibile di essere dedotto in giudizio
con la conseguente improponibilità della domanda ex art. 2041
c.c.
Viceversa, il rigetto della domanda, correlato al mancato
assolvimento dell’onere della prova in relazione alla sussistenza
del pregiudizio, non esclude che il diverso titolo sussista e che
quindi sia preclusa la domanda fondata sulla clausola residuale.
Se la domanda principale è correlata ad una pretesa scaturente
da un contratto, di cui si lamenta l’esecuzione in maniera difforme
da quanto pattuito, chiedendosi il ristoro del pregiudizio subito e
si accerta che il contratto era affetto da nullità, lo spostamento
contrattuale si palesa privo di una giusta causa e legittima quindi
la proposizione, anche in via subordinata nel medesimo giudizio,
dell’azione di arricchimento.
Se viceversa, incontestata o dimostrata l’esistenza del contratto,
il rigetto sia derivato dalla mancata prova da parte del contraente
del danno derivante dall’altrui condotta inadempiente, la domanda
di arricchimento resta preclusa in ragione della clausola di cui
all’art. 2042 c.c.

>>.

La Court of Appeal inglese sulla creatività come artistic work di una graphic user interface

Si reclama il diritto di autore sul lavoro grafico sottostante (GUIs: graphical user interfaces), creato tramite uso di un software:

La corte di appello 20.11.2023, [2023] EWCA Civ 1354 – Case No: CA-2023-000920, THJ SYSTEMS LIMITED – OPTIONNET LLP Claimants copntro DANIEL SHERIDAN-SHERIDAN OPTIONS MENTORING CORPORATION ravvisa la creatività.

La ravvisa non però secondo la tradizionale concezione inglese dello “skill and labour” , come aveva fatto il giudice in primo grado: << I am satisfied that the work of creating the look and functionality of interface including the arrangements of the tables and graphs did involve the exercise of sufficient skill and labour for the result to amount to an artistic work>>. § 21

La ravvisa invece secondo il concetto del diritto UE , elaborato dalla sentenza Infopaq del 2009 da parte della Corte di Giustizia (<< “… original in the sense that it is its author’s own intellectual creation”>>, § 15):

<<23 In my judgment the Defendants are right that the judge did not apply the correct test, which I have set out in paragraph 16 above. This is not because of his reference to “functionality” in [214], which appears to be a slip of the pen having regard to what he went on to say in the last sentence of [215]. It is because the test he applied was that of “skill and labour”, which was the test applied by the English courts prior to Infopaq, including in Navitaire Inc v easyJet Airline Co Ltd [2004] EWHC 1725 (Ch), [2006] RPC 3 and Nova Productions Ltd v Mazooma Games Ltd [2006] EWHC 24 (Ch), [2006] RPC 14, and not the test of “author’s own intellectual creation” laid down by the Court of Justice. As can be seen from cases such as Football Dataco and Funke Medien, these two tests are not the same, and the European test is more demanding; although Painer establishes that even a simple portrait photograph may satisfy it in an appropriate case. In fairness to the judge, I should make it clear that he was not referred to any of the relevant case law on this question (although the Defendants cited BSA, they did so in relation to a different issue).

It follows that this Court must re-assess the originality of the R & P Charts applying the correct test. Before turning to consider the evidence, it is important to make five points. First, the test is an objective one. Secondly, the test is not one of artistic merit: section 4(1)(a) of the 1988 Act expressly provides that graphic works qualify as artistic works “irrespective of artistic quality”, and nothing in the case law of the CJEU suggests otherwise. Thirdly, the burden of proof lies on the Claimants. Fourthly, particularly given that we are concerned with graphic works, a key item of evidence is the works themselves. Fifthly, as counsel for the Defendants rightly emphasised, the functionality of the Software is irrelevant to this question. The enquiry concerns the visual appearance of the R & P Charts. Given the informative purpose of the R & P Charts, the visual appearance is primarily a matter of the layout of the R & P Charts.

It can be seen from the example of the R & P Charts reproduced above, particularly when enlarged, that the various component parts of the image have been laid out with some care. Mr Mitchell has designed the display so as to cram quite a large amount of information into a single screen. Moreover, he has made choices as to what to put where, including such matters as which commands to put into the ribbon and in what order. He also selected what fonts and colours to use.

When one turns to Mr Mitchell’s evidence, his statement that “the look and feel of it is my brainchild” was not challenged. Nor were his statements that “[e]verything is original” and “everything on there is my design” because, although he had sourced components from a library, he had put them “into various locations”. The cross-examiner used the analogy of building something from Lego bricks, and in my view the analogy is a good one. As the Court of Justice held in BSA at [48], “the national court must take account, inter alia, of the specific arrangement or configuration of all the components which form part of the graphic user interface”. Mr Mitchell did not enlarge upon the choices he had made, but he was not asked about this. Nor was it put to Mr Mitchell that the visual appearance of the R & P Charts was dictated by technical considerations, rules or other constraints which left no room for creative freedom. Nor did the Defendants adduce any evidence to contradict Mr Mitchell’s evidence, such as similar graphical user interfaces produced by third parties. As the judge observed, the evidence was limited, but nevertheless it was all one way.

It is plain that the degree of visual creativity which went into the R & P Charts was low. But that does not mean that there was no creativity at all. The consequence of the low degree of creativity is that the scope of protection conferred by copyright in the R & P Charts is correspondingly narrow, so that only a close copy would infringe: see Infopaq at [45]-[48]. (It is sometimes suggested that Painer at [95]-[98] is authority to the contrary, but all that passage establishes is that the protection conferred by copyright on portrait photographs as a category is not inferior to that enjoyed by other categories of works, including other kinds of photographs.) It does not mean that the R & P Charts are not protected by copyright at all, which would have the consequence that even an identical copy would not infringe.

I therefore conclude that, even though the judge applied the wrong test, he was correct to find that the R & P Charts were original. I would therefore dismiss the Defendants’ appeal, save that I would restrict the declaration made by the judge to the R & P Charts>>.

(notizia e link a Bailii da

Diritto di marchio vs. diritto alla parodia del marchio stesso : la lite sul marchio VANS

Lisa Ramsey su Twitter (X)  segnala  un articolo da Bloomberg law che offre il link all‘Appello del 2 circuito 5 dicembre 2023, docket No. 22-1006, Vans v. MSCHF.

Il caso è intreressante , affrontando un tema di attualità: il rapporto tra diritto di marchio e quello di parodia, da inserire nel diritto alla libetà di parola.

Il problema nasce quando il secondo è esercitato da imprenditori (anche gli artisti allora possono esserlo ed anzi lo sono nel diritto della concorrenza): c’è infatti il sospetto che vogliano lucrare sulla notorietà altrui.

La corte fa qui prevalere il diritto di marchio, appellandosi alla sentenza Supreme Court del 2023  Jack Daniel’s Properties, Inc. v. VIP Products LLC e a un precedente imprtante in del 2 circuito Rogers v. Grimaldi dek 1989  per cui la parodia va bene solo se e fino a che non generi confondibilità:

<<The Supreme Court’s decision in Jack Daniel’s forecloses MSCHF’s argument
that Wavy Baby’s parodic message merits higher First Amendment scrutiny under Rogers. As the Court held, even if a defendant uses a mark to parody the
trademark holder’s product, Rogers does not apply if the mark is used “‘at least in
part’ for ‘source identification.’” Id. at 156 (quoting Tommy Hilfiger Licensing, Inc.,
v. Nature Labs, LLC, 221 F. Supp. 2d 410, 414–15 (S.D.N.Y. 2002)).
Here, MSCHF used Vans’ marks in much the same way that VIP Products
used Jack Daniel’s marks—as source identifiers. As discussed above and
illustrated below, VIP Products used the Jack Daniel’s bottle size, distinctive
squared-off shape, and black and white stylized text to invoke an image of Jack
Daniel’s famous whiskey bottle.
Jack Daniel’s, 599 U.S. 148–49.
Likewise, MSCHF’s design evoked myriad elements of the Old Skool
trademarks and trade dress. Among other things, MSCHF incorporates, with
distortions, the Old Skool black and white color scheme, the side stripe, the
perforated sole, the logo on the heel, the logo on the footbed, and the packaging.
See Part I, above. MSCHF included its own branding on the label and heel of the
Wavy Baby sneaker, just as VIP Products placed its logo on the toy’s hangtag. But
even the design of the MSCHF logo evokes the Old Skool logo. And unlike VIP
Products, MSCHF did not include a disclaimer disassociating it from Vans or Old
Skool shoes. See Jack Daniel’s, 599 U.S. at 150 (noting the dog toy included a
disclaimer that read: “This product is not affiliated with Jack Daniel Distillery”).
A trademark is used as a “source identifier” when it is used “to identify or
brand a defendant’s goods or services” or to indicate the “‘source or origin’ of a
product.” Id. at 156 (alterations adopted). MSCHF used Vans’ trademarks—
particularly its red and white logo—to brand its own products, which constitutes
“quintessential ‘trademark use’” subject to the Lanham Act. Id. at 155 (citation
omitted); see also Harley-Davidson, Inc. v. Grottanelli, 164 F.3d 806, 812–13
(mechanic’s use of Harley-Davidson’s bar and shield motif in his logo, despite
the “humorous[]” message, was traditional trademark use subject to the
likelihood of confusion analysis).
Moreover, although MSCHF did not purport to sell the Wavy Baby under
the Vans brand, it admitted to “start[ing]” with Vans’ marks because “[n]o other
shoe embodies the dichotomies—niche and mass taste, functional and trendy,
utilitarian and frivolous—as perfectly as the Old Skool.” Jt. App’x at 353. In
other words, MSCHF sought to benefit from the “good will” that Vans—as the
source of the Old Skool and its distinctive marks—had generated over a decades-
long period. See Jack Daniel’s, 599 U.S. at 156. Notwithstanding the Wavy Baby’s
expressive content, MSCHF used Vans’ trademarks in a source-identifying
manner. Accordingly, the district court was correct when it applied the
traditional likelihood-of-confusion test instead of applying the Rogers test>>.

La composizione del conflitto di interssi è ragionevole: ok alla parodia e alla libertà di espressine, ma in termini chiari e non equivoci (cioè senza alcun rischio di confondibilità).

La parodia come interesse antagonista della privativa di marchio è tema ancora non affrontato sistematicamente.

Pur se non espressamente previsto  (art. 14 dir. 2015/2436; a differenza dal diritto di autore: dir. 29-2001 art. 5.3.k), è però in generale da ammettere. Resta il compito di individuarne i confini e cioè di conciliarlo con il diritto di marchio.