Le riparazioni eseguite dal venditore, in presenza di difetto nel bene venduto, costituiscono riconoscimento di debito al fine del termine prescrizionale

Cass. sez. 2 del 30.11.2023 n. 33.380, rel. Poletti:

<<Il riconoscimento del debito, ricondotto dalla giurisprudenza
di questa Suprema Corte alla categoria degli atti giuridici in senso
stretto, privi di carattere negoziale (Cass. n. 5982/2007; n.
2758/2020), ben può manifestarsi anche in forma tacita quando il
debitore compia un atto o tenga un comportamento incompatibile con
la volontà di contestare l’esistenza del debito, non essendo necessarie
formule particolari ma solo il carattere della sua univocità (Cass. n.
12953/2007, n. 21248/2012, n. 13897/2020).
Con più specifico riguardo alla fattispecie in esame, è frequente
nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione che “il
riconoscimento dei vizi della cosa venduta, che ai sensi del 2° co.
dell’art. 1495 cod. civ. rende la denunzia non necessaria, oltre che in
forma espressa può avvenire anche tacitamente e cioè mediante il
compimento di atti incompatibili con l’intenzione di respingere la
pretesa del compratore o di far valere la decadenza dal diritto alla
garanzia” (cfr. Cass. n. 16766/2019; n. 23970/2013; Cass. n.
10288/2002; Cass. n. 4219/1998).
È, questo – come correttamente affermato dalla decisione
impugnata – quanto si verifica anche per effetto del comportamento
del venditore che compia sulla cosa venduta interventi di riparazione,
come nel caso di specie in cui si contano, a partire dalla prima
riparazione consistente nella sostituzione del motorino di avviamento eseguita trascorsi tre mesi dalla consegna dell’autovettura,
innumerevoli interventi riparatori (ben diciotto!), tutti intervallati da
periodi inferiori all’anno, protrattisi fino al 15.02.2012. Tale “impegno
riparatore” del venditore, come lo definisce la sentenza impugnata,
specie se costantemente reiterato, può ritenersi certamente un fatto
incompatibile con la volontà di non riconoscere il diritto del
compratore, rispetto al quale corre il termine prescrizionale>>

Insegnamento condivisibile

Sul dovere della banca di vigilare su operaizoni anomale confliggenti con l’interesse del cliente: la base giuridica è il consueto dovere di buona fede in executivis

Cass. 03.11.2023  n. 30.588, rel. Catallozzi:

<<- si osserva che, secondo la giurisprudenza di codesta Corte, nonostante la banca non abbia alcun dovere generale di monitorare la regolarità delle operazioni ordinate dal cliente, nondimeno, in presenza di circostanze anomale idonee a ledere l’interesse del correntista, questa, in applicazione dei doveri di esecuzione del mandato secondo buona fede, deve rifiutare l’esecuzione o almeno informare il cliente (Cass. 31 marzo 2010, n. 7956);
tale obbligo di protezione si attiva alla ricorrenza cumulativa di due presupposti: che l’operazione sia ictu oculi anomala e che non risponda agli interessi del cliente;

– può aggiungersi che il dovere di astenersi dall’esecuzione di un’operazione – o almeno di informare il cliente prima di eseguirla – si riferisce a singole operazioni precisamente individuate, non estendendosi l’anomalia di un’operazione, idonea a far sorgere l’obbligo di protezione della banca, a quelle successive;

– la Corte di appello, ha espressamente richiamato tale giurisprudenza facendone discendere la responsabilità della banca in ragione del fatto che quest’ultima – su cui gravava il relativo onere probatorio – non aveva sempre informato preventivamente la cliente di determinate operazioni che andavano considerate ictu oculi «anomale» ed estranee ai suoi interessi;
– per l’esattezza, facendo proprio l’accertamento operato dal Tribunale in sede di liquidazione del danno, ha riconosciuto che una serie di operazioni effettuate sui rapporti intestati alla Audisio, costituite da assegni incassati da Stefano e Corrado Bortolotti quali beneficiari o giratari, prelievi in contanti, bonifici in loro favore, incasso del ricavato della vendita dell’imbarcazione «Clara» e assegni emessi in favore di terzi, erano state poste in essere dai Bortolotti «nel loro interesse esclusivo e in assenza di un interesse della Audisio» (cfr. pagg. 16-17
e 81-82);
– ha, poi, rilevato che sin dal primo semestre 2004 i funzionari della banca si erano resi conto delle anomalie dei movimenti riguardanti la gestione patrimoniale e i conti correnti intestati alla Audisio – in particolare, delle frequenti operazioni del Bortolotti sia di utilizzo della giacenza esistente sui conti correnti, sia di passaggi di liquidità dalla gestione al conto corrente – e avevano segnalato tale circostanza alla Direzione (nella persona dell’Amministratore delegato Pietro D’Aquì), la quale, però si era attivata solo tardivamente, nonostante la Audisio fosse stata individuata quale «cliente di direzione», da seguire con «massima assistenza nel servizio» in quanto segnalata quale «cliente
problematica» in relazione alle sue abnormi spese e alla necessità di prevenire la progressiva erosione del suo patrimonio (cfr. pag. 74-76);

– ha, sul punto, osservato che a far data dal momento in cui il carattere anomale delle disposizioni impartite dal Bortolotti, quale delegato a operare sulla gestione patrimoniale e sui conti correnti, si era reso evidente la banca, in osservanza degli obblighi di protezione sulla stessa gravanti, avrebbe dovuto astenersi dall’esecuzione delle stesse, se non previa informazione della cliente che, nei casi rilevati, era stata omessa;
– dall’esame congiunto dei richiamati passaggi motivazionali, nonché dal complessivo tenore della sentenza impugnata, emerge che la Corte di appello ha riconosciuto che le operazioni poste in essere dal Bortolotti con riferimento alla gestione patrimoniale e ai conti correnti della Audisio, così come individuate quali voci di danno in sede di liquidazione dell’importo risarcitorio, presentassero carattere di operazioni ictu oculi anomale e non rispondenti agli interessi del cliente e ha accertato che la banca avesse dato corso a tali esecuzioni pur in assenza di una previa specifica informazione della cliente;
– così argomentata la sentenza di appello si sottrae alla censura prospettata, avendo accertato sia l’esecuzione da parte della banca di disposizioni impartite sulla gestione patrimoniale e sui conti correnti – da parte del delegato Bortolotti – caratterizzate dalla presenza di circostanze anomale idonee a ledere l’interesse del correntista, provvedendo alla loro individuazione, sia la mancata relativa
preventiva informazione specifica alla correntista prima della loro
esecuzione;

– le medesime considerazioni svolte con riferimento alla responsabilità contrattuale valgono con riferimento alla responsabilità per fatto illecito, in relazione alla ritenuta cooperazione nell’illecito del terzo, atteso che l’accertata inosservanza degli obblighi informativi gravanti sulla banca possono essere espressivi di un atteggiamento negligente o, comunque, imprudente della banca e, in quanto tale, idoneo a integrare il contestato requisito dell’elemento soggettivo>>

I gravi motivi per il recesso del conduttore da locazione commerciale ex art. 27 c. 8 L. 392/1978

Cass. sez. III, 17.07.2023 n. 20.503, rel.  Condello.

<<Trattandosi di recesso ‹‹titolato››, e in ciò distinguendosi dal recesso ad nutum, la comunicazione del conduttore non può, tuttavia, prescindere dalla specificazione dei motivi, con la conseguenza che tale requisito inerisce al perfezionamento della stessa dichiarazione di recesso e, al contempo, risponde alla finalità di consentire al locatore la precisa e tempestiva contestazione dei relativi motivi sul fattuale o della loro idoneità a legittimare il recesso medesimo (Cass., sez. 3, 17/01/2012, n. 549; Cass. 26/11/2002, n. 16676; Cass. 29/03/2006, n. 7241; Cass., 24/04/2008, n. 10677), dovendo conseguentemente escludersi che il conduttore possa esplicitare successivamente le ragioni della determinazione assunta (Cass., sez. 3, 30/06/2015, n. 13368). In tal senso si è espressa anche la sentenza di questa Corte n. 24266/2020, richiamata dalla ricorrente nella memoria illustrativa a supporto della doglianza.
Le ragioni che consentono al locatario di liberarsi del vincolo contrattuale devono, inoltre, essere determinate da avvenimenti estranei alla sua volontà, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto, tali da rendere oltremodo gravosa per il conduttore la sua prosecuzione. Inoltre, con riferimento
all’andamento dell’attività aziendale, può integrare grave motivo, legittimante il recesso del conduttore, non solo un andamento della congiuntura economica sfavorevole all’attività di impresa, come è di intuitiva evidenza (Cass., sez. 3, 24/09/2019, n. 23639; Cass., sez.  3, 09/05/2023, n. 12461), ma anche uno favorevole – purché sopravvenuto e oggettivamente imprevedibile (al momento della stipula del contratto) – che lo obblighi ad ampliare la struttura aziendale in misura tale da rendergli particolarmente gravosa la persistenza del rapporto locativo (cfr. Cass., sez. 3, 10/12/1996, n. 10980; Cass., sez. 3, 20/02/2004, n. 3418; Cass., sez. 3, 21/04/2010, n. 9443).
Nel caso di sopravvenuto andamento favorevole della congiuntura aziendale, i fatti, per essere tali da rendere oltremodo gravosa la prosecuzione del contratto, devono innanzitutto presentare una connotazione oggettiva, non potendo risolversi nella unilaterale valutazione effettuata dal conduttore in ordine all’opportunità ed alla mera vantaggiosità di continuare a occupare l’immobile locato, poiché, in tal caso, si ipotizzerebbe la sussistenza di un recesso ad nutum, contrario all’interpretazione letterale, oltre che allo spirito della suddetta norma (cfr. Cass., sez. 3, 28/02/2008, n. 5293; Cass., sez. 3, 08/03/2007, n. 5328).
In tal caso, pertanto, la gravosità della persistenza del rapporto locativo deve essere valutata oggettivamente ed in concreto utilizzando come parametri comparativi, da una parte, la dimensione e le caratteristiche del bene locato e del nuovo locale e, dall’altra, le sopravvenute nuove esigenze di produzione e di commercio dell’azienda. Ne consegue che il giudice del merito non può limitarsi a prendere in considerazione il fatto che vi sia stato un aumento del fatturato aziendale o un aumento del personale lavorante, indici di per sé soli, utili ma non sufficienti al fine propostosi, ma deve altresì verificare, sulla base delle prove raccolte – il cui onere spetta al conduttore recedente secondo i principi generali in materia di ripartizione dell’onere probatorio – se nello specifico ed in concreto le caratteristiche dell’immobile oggetto di locazione siano divenute inadeguate alla accresciuta dimensione dell’azienda così da rendere oltremodo gravosa per il conduttore la prosecuzione del rapporto locativo (Cass., sez. 3, 26/06/2012, n. 10624; Cass., sez. 3, 29/04/2015, n. 8706)>>

Il marchio TEAM USA per gioielli, abbigliamento, borse, è sufficientemente distintivo

Marcel Pemsel su IPkat ci notizia della decisione 14.,11.2023 del 4 board of appeal EUIPO case R 1128/2023-4, .United States Olympic and Paralympic Committee, circa la distintività del marchiio denominativo TEAM USA poer prodotti in classe 14, 18, 21 e 25.

In primo grado la domanda di registrazione è respinta ma è accolta in appello.

<<18  The mark for which protection is sought consists of the expression ‘TEAM USA’. The
examiner held that the entire European Union public would understand this expression as
having the following meaning: a group of players representing the United States of
America in a competitive game or sport, which as such is not contested by the IR holder.
19 The examiner, based on the dictionary definitions of the terms ‘TEAM’ and ‘USA’,
assumed that the expression ‘TEAM USA’ was a banal statement indicating information
about an aspect of the goods in question namely that the goods for which protection is
sought may be either used by a group of USA players during a competition, or be
distributed as promotional products or sold during competitions and/or sporting event>>

Ed ecco il dissenso :

<<22  Indeed, the examiner’s reasoning that since all the goods in question can either be used by
a group of US players during a competition or be distributed and sold during competitions
and/or sporting events, the mark for which protection is sought would be perceived by the
relevant consumer as a non-distinctive indication of an aspect of the goods and not as an
indication of their commercial origin cannot be followed. The Board also fails to
understand why the perception of the sign ‘TEAM USA’ as ‘an indication of the
provenance of a group of players’ prevents it from being able to function as a commercial
badge of origin for the goods concerned.
23 The expression ‘TEAM USA’ does not convey any concrete information evoking the
goods in question, namely jewellery items, backpacks and bags, mugs, glasses and water
bottles, as well as clothing articles. None of the examples given by the examiner can
demonstrate that the expression ‘TEAM USA’ is perceived by the relevant public as a non-
distinctive, frequently used or banal statement for jewellery items in Class 14, mugs,
glasses and empty water bottles in Class 21, backpacks and bags in Class 18 or clothing
articles in Class 25.
24 The expression ‘TEAM USA’ as a whole has the minimum degree of distinctiveness
required under Article 7(1)(b) EUTMR for the goods concerned. The registration of a sign
as a trade mark is not subject to the establishment of a certain level of creativity or artistic
imagination on the part of the IR holder, but to the sole ability of the sign to individualise
the goods of the IR holder in relation to those offered by its competitors (24/03/2021,
T-93/20, Windsor-castle, EU:T:2021:164, § 22). The mark for which protection is sought
allows the relevant consumer to distinguish the goods concerned from those of other
undertakings without conducting any analytical examination and without paying particular
attention.
25 The internet links provided by the examiner insofar as they use the expression ‘TEAM
USA’ as a whole refer to the team of top players representing the USA at particular sports
events. The name of a sports team is not excluded, in principle, from the signs capable of
constituting a European Union trade mark, as it follows from Article 4 EUTMR. In this
particular context, the mark ‘TEAM USA’ is likely to be used for goods that are typical
merchandising and souvenir articles, and therefore to designate that they are manufactured,
marketed or supplied under the control of the IR holder, to which responsibility for their
quality can be attributed. The mere affixing of the mark for which protection is sought on
the goods in question enables those goods to be distinguished from other merchandising
and souvenir articles sold or provided by other undertakings (06/09/2018, C‑488/16 P,
NEUSCHWANSTEIN, EU:C:2018:673, § 65-66; 05/07/2016, T‑167/15,
NEUSCHWANSTEIN, EU:T:2016:391, § 43).
26 Thus, the mere fact that the mark for which protection is sought may represent or coincide
with the name of a sports team, in this case the team of top players representing the USA
at particular sports events, does not preclude, as such, its registration. The need to keep a
certain sign free for competitors is, in principle, not an interest protected under
Article 7(1)(b) EUTMR, but rather of other absolute grounds, such as Articles 7(1)(c), (d)
or (e) EUTMR. As regards names, and this could apply also to the name of a sports team,
the interest not to monopolise a name independently of its distinctive character is not an
interest protected under Article 7(1)(b) EUTMR (16/09/2004, C‑404/02, Nichols,
EU:C:2004:538, § 31).
27 The examiner provided no other reason, nor can the Board see why the mark for which
protection is sought should be considered to be lacking distinctive character for the goods
in question. The sign does not lack distinctive character under Article 7(1)(b) EUTMR>>

La decisione pare tutto sommato condivisibile.

Pemsel non la pensa così: <<In this sense, the sign ‘TEAM USA’ either describes that a team based in the US is responsible for the goods in question or that the goods are meant for people supporting the USA. Both meanings appear to be non-distinctive. The fact that they are rather vague is not decisive (see e.g. T-81/13 at para. 20)>>

Al contrrio il segno non pare evocare alcuna assunzione di responsabilità in capo a chicchessia per i beni nè allusioni ad una qualche oggettiva (e non solo creata dal marketing) idoneità per i tifosi USA

Corresponsabilità di Amazon per il danno da prodotto pericoloso venduto tramite il suo marketplace

Eric Goldman dà notizia di interessante sentenza che afferma la corresponsabilità in oggetto.

Il prodotto era una fotocamera di dimensioni minime che poteva essere nascosta ad es. dentro un tubo portaasciugamasni. Permetteva quindi la violazione della privacy tramite cattura di immagini delle persone in condizioni di nudità o comunque intime.

Il concorso è basato sul fatto che non aveva rilevato questo aspetto ed anzi aveva pubblicizzato l’uso nascosto cioè non  visibile alle persone presenti nella stanza.

Si tratta di Distr. sud della West Virginia CIVIL ACTION NO. 3:23-cv-0046 del 30.11.2023, M.S. c. Amazon.

<<These cases represent variations of the same theme: when a seller promotes a product suggesting a particular use, harms that result from that suggested use are foreseeable. Here, M.S. alleges Amazon approved product descriptions suggesting consumers use John Doe’s camera to record private moments in a bathroom. Amazon cannot claim shock when a consumer does just that. See King v. Kayak Mfg. Corp., 387 S.E.2d 511, 522–23 (W. Va. 1989) (recognizing a defendant’s “advertising or promotional material concerning the uses of the product are a part of [the] reasonable use[s] of the product”) (citing sources)>>

La domanda: <<The thrust of M.S.’s complaint is simple: Wells bought a hidden camera from Amazon.com and used it exactly as advertised. See, e.g., Am. Compl. ¶ 22. The causal chain is short. Amazon approved and helped market John Doe’s camera. See id. ¶¶ 8, 18, 21, 24, 26.
Amazon knew the camera’s product description suggested using the camera as a towel hook in the bathroom. See id. ¶¶ 8, 21. Amazon cannot claim surprise when a consumer uses the camera that way. See supra Part I.A. A retailer can expect consumers to use products as advertised. See King, 387 S.E.2d at 522 (citing cases); Livingston v. Isuzu Motors, Ltd., 910 F. Supp. 1473, 1496 (D. Mont. 1995) (“Courts have held that a manufacturer’s advertisements indicate a use of the product a manufacturer was able to foresee.”)>>

<<M.S.’s theory of liability is not like this sprawling opioid litigation. This is not a case of “numerous independent actions by multiple actors.” In re Opioid Litig., 2023 W.V. Cir. LEXIS 3
at *24. The crux of M.S.’s complaint is Amazon worked closely with John Doe to inspect, market, and distribute John Doe’s camera. See Am. Compl. ¶¶ 8–9, 13, 18, 20, 23, 26. A consumer then used John Doe’s product as advertised and the advertised use harmed M.S. See id.
¶ 29. Yes, Amazon did not install the camera in M.S.’s private bathroom or surreptitiously record her. See Defs.’ Mem. at 6. Wells did. See Am. Compl. ¶¶ 29–30. But Wells’ use of the camera was foreseeable, see supra Part I.A, and not “too remote” from Amazon’s alleged conduct, In re Opioid Litig., 2023 W.V. Cir. LEXIS 3 at *24. As such, the Court finds the risk of harm stemming from third parties is not “slight” but expected. Miller, 455 S.E.2d at 825.

Accordingly, the Court finds M.S. properly alleges proximate causation>>

Servitù apparenti e servitù discontinue nel possesso ad usucapionem

Utili precisazioni al pratico da Cass. sez. II ord. del 227-11-2023, n. 32.816 , rel. Mocci (testo da Altalex)

<<4.1) Sul punto, la Corte d’appello ha testualmente affermato
“Invero ed in particolare, non solo non risulta allegato, ma neppure
provato, l’intervenuto iniziale acquisto dell’effettivo esercizio del
potere di fatto uti domini della servitù, quale momento da cui far
decorrere il ventennio utile per il maturare dell’usucapione non
potendosi far coincidere questo momento con quello
dell’ultimazione dell’opera, che costituisce, in relazione alla
fattispecie reale invocata, un antecedente logico-naturale,
differente dall’esercizio del possesso esclusivo, della situazione di
fatto corrispondente al relativo diritto reale, non potendosi del
resto neppure omettere di aggiungere che difetta anche la prova
rigorosa (gravante sull’attore), del possesso pacifico, di cui anche
con riferimento alla servitù discontinua, è pur sempre necessaria
l’allegazione e la prova”.
4.2) In sostanza, la Corte distrettuale ha negato la declaratoria di
usucapione della servitù di veduta per la mancanza di prova sia
sull’effettivo esercizio del potere di fatto, sia sul possesso pacifico.
I giudici di secondo grado hanno però mancato di confrontarsi con
la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui il
requisito dell’apparenza della servitù discontinua, richiesto al fine
della sua costituzione per usucapione, si configura quale presenza
di segni visibili d’opere di natura permanente obiettivamente
destinate al suo esercizio, tali da rivelare in maniera non equivoca
l’esistenza del peso gravante sul fondo servente per l’utilità del
fondo dominante, dovendo dette opere, naturali o artificiali che
siano, rendere manifesto trattarsi non di un’attività posta in essere
in via precaria, o per tolleranza del proprietario del fondo servente,
comunque senza “animus utendi iure servitutis”, bensì d’un onere
preciso, a carattere stabile, corrispondente in via di fatto al
contenuto di una determinata servitù che, peraltro, non implica
necessariamente un’utilizzazione continuativa delle opere stesse, la
cui apparenza e destinazione all’esercizio della servitù permangono,
a comprova della possibilità di tale esercizio e pertanto, della
permanenza del relativo possesso, anche in caso di utilizzazione
saltuaria (Sez. 2, n. 3076 del 16 febbraio 2005; Sez. 2, n. 8736 del
26 giugno 2001).
4.3) In altri termini, in tema di servitù discontinue, l’esercizio
saltuario non è di ostacolo a configurarne il possesso, dovendo lo
stesso essere determinato con riferimento alle peculiari
caratteristiche ed alle esigenze del fondo dominante.
4.4) Ma la sentenza impugnata si rivela carente anche con riguardo
al tema della visibilità delle opere, ai sensi dell’art. 1061 cod. civ., che deve essere tale da escludere la clandestinità del possesso e da
far presumere che il proprietario del fondo servente abbia contezza
dell’obiettivo asservimento della proprietà a vantaggio del fondo
dominante. Sotto tale profilo, esattamente censurato dalla
ricorrente, la Corte d’appello omette qualunque motivazione, ed
anche il richiamo a Sez. 2, n. 24401 del 17 novembre 2014 risulta
lacunoso e difficilmente comprensibile.
4.5) Siffatta indagine appare, per converso, doverosa, posto che,
secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’esistenza di un’opera
muraria munita di parapetti e di muretti, dai quali sia
obiettivamente possibile guardare e affacciarsi comodamente verso
il fondo del vicino, è sufficiente a integrare una veduta e il possesso
della relativa servitù, senza che occorra anche l’esercizio effettivo
dell’affaccio (essendo la continuità dell’esercizio della veduta
normalmente assorbito nella situazione oggettiva dei luoghi), ne’
che tali opere siano sorte per l’esercizio esclusivo della veduta,
essendo sufficiente che le stesse tale esercizio rendano possibile
(Sez. 2, n. 20205 del 13 ottobre 2004; Sez. 2, n. 866 del 16
gennaio 2007)>

Trascrizione di sentenza straniera di adozione da parte del genitore intenzionale di nato tramite tramite PMA

Cass- sez. 1 del 23.11.2023 n.  32.527, rel. Iofrida:

<<La terza censura è infondata.

La L. n. 218 del 1995, art. 41, comma 1, stabilisce: “I provvedimenti stranieri in materia di adozione sono riconoscibili in Italia ai sensi degli artt. 64, 65 e 66. Restano ferme le disposizioni delle leggi speciali in materia di adozioni dei minori”.

Il Comune ricorrente ritiene che ostino al riconoscimento in Italia del provvedimento giurisdizionale spagnolo di adozione da parte della A.A. i principi derivanti dalla legge ordinaria, riguardanti i limiti di accesso alla filiazione ed alla costituzione degli status, oltre il divieto di accesso all’adozione legittimante per le coppie omoaffettive, contenuto nella L. n. 76 del 2016, art. 1 comma 20, ancorchè formanti un’unione civile, principi che compongono la nozione di ordine pubblico da applicare come limite ai fini del chiesto riconoscimento.

Orbene, che la sentenza straniera che riconosca l’adozione ottenuta dal partner nella coppia tra persone dello stesso sesso non sia contraria all’ordine pubblico si trae da principi di diritto ancora recentemente affermati da questa Corte.

Le Sezioni Unite, con sentenza n. 38162/2022, hanno, infatti, statuito che, “in tema di riconoscimento delle sentenze straniere, l’ordine pubblico internazionale svolge sia una funzione preclusiva, quale meccanismo di salvaguardia dell’armonia interna dell’ordinamento giuridico statale di fronte all’ingresso di valori incompatibili con i suoi principi ispiratori, sia una funzione positiva, volta a favorire la diffusione dei valori tutelati, in connessione con quelli riconosciuti a livello internazionale e sovranazionale, nell’ambito della quale, il principio del “best interest of the child” concorre a formare l’ordine pubblico che, in tal modo, tende a promuovere l’ingresso di nuove relazioni genitoriali, così mitigando l’aspirazione identitaria connessa al tradizionale modello di filiazione, in nome di un valore uniforme rappresentato dal miglior interesse del bambino” e che “il minore nato all’estero mediante il ricorso alla surrogazione di maternità ha un diritto fondamentale al riconoscimento, anche giuridico, del legame sorto in forza del rapporto affettivo instaurato e vissuto con il genitore d’intenzione; tale esigenza è garantita attraverso l’istituto dell’adozione in casi particolari, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d), che, allo stato dell’evoluzione dell’ordinamento, rappresenta lo strumento che consente, da un lato, di conseguire lo “status” di figlio e, dall’altro, di riconoscere giuridicamente il legame di fatto con il “partner” del genitore genetico che ne ha condiviso il disegno procreativo concorrendo alla cura del bambino sin dal momento della nascita”. In motivazione, si è altresì rilevato che, allorchè il progetto procreativo sia seguito dalla concretezza ed attualità dell’accudimento del minore e sia caratterizzato dall’esercizio in via di fatto della responsabilità genitoriale attraverso la cura costante del bambino, la mancata attribuzione di una veste giuridica a tale rapporto non si limiterebbe alla condizione del genitore d’intenzione, che ha scelto un metodo di procreazione che l’ordinamento italiano disapprova, ma finirebbe con il pregiudicare il bambino stesso, il cui diritto al rispetto della vita privata si troverebbe significativamente leso, considerato che “una discriminazione del bambino, fatta derivare dallo stigma verso la decisione dell’adulto di aver fatto ricorso a una tecnica procreativa vietata nel nostro ordinamento, si risolverebbe in una violazione del principio di eguaglianza e di pari dignità sociale, ponendo a carico del nato conseguenze riconducibili unicamente alle scelte di chi ha concepito la sua nascita” e che “il nato non è mai un disvalore e la sua dignità di persona non può essere strumentalizzata allo scopo di conseguire esigenze general- preventive che lo trascendono”. Avuto poi riguardo al limite dell’ordine pubblico, posto dalla L. n. 218 del 1995, art. 64, comma 1, lett. g), che svolge una funzione di meccanismo di “salvaguardia dell’armonia interna dell’ordinamento giuridico statale di fronte all’ingresso di valori incompatibili con i suoi principi ispiratori, di argine contro la compromissione dei valori irrinunciabili dell’ordinamento del foro”, vocazione, tuttavia, in parte ridimensionata per effetto della progressiva integrazione tra ordinamenti, realizzata al fine di soddisfare le esigenze di tutela dei diritti fondamentali, le Sezioni Unite hanno evidenziato come “la sentenza straniera deve misurarsi con il portato della Costituzione e di quelle leggi che, come nervature sensibili, fibre dell’apparato sensoriale e delle parti vitali di un organismo, inverano l’ordinamento costituzionale” e come l’operazione che il giudice deve svolgere “ha ad oggetto, non la coerenza della normazione interna di uno o più istituti con quella estera che ha condotto alla formazione del provvedimento giurisdizionale di cui si chiede il riconoscimento, ma la verifica della compatibilità degli effetti che l’atto produce con i limiti non oltrepassabili”, “costituiti: dai principi fondanti l’autodeterminazione e le scelte relazionali del minore e degli aspiranti genitori; dal principio del preminente interesse del minore, di origine convenzionale ma ampiamente attuato in numerose leggi interne ed in particolare nella recente riforma della filiazione; dal principio di non discriminazione, rivolto sia a non determinare ingiustificate disparità di trattamento nello status filiale dei minori con riferimento in particolare al diritto all’identità ed al diritto di crescere nel nucleo familiare che meglio garantisca un equilibrato sviluppo psico-fisico nonchè relazionale, sia a non limitare la genitorialità esclusivamente sulla base dell’orientamento sessuale della coppia richiedente; dal principio solidaristico che fonda la genitorialità sociale sulla base del quale la legge interna ed il diritto vivente hanno concorso a creare una pluralità di modelli di genitorialità adottiva, unificati dall’obiettivo di conservare la continuità affettiva e relazionale ove già stabilizzatasi nella comunità familiare”.

E con riferimento alla trascrizione di un certificato, sia pure relativo a nascita all’estero, questa Corte (Cass. 23319/2021) ha ribadito che “In materia di stato civile, è legittimamente trascritto in Italia l’atto di nascita formato all’estero, relativo a un minore, figlio di madre intenzionale italiana e di madre biologica straniera, non essendo contrario all’ordine pubblico internazionale il riconoscimento di un rapporto di filiazione in assenza di un legame biologico, quando la madre intenzionale abbia comunque prestato il consenso all’impiego da parte della “partner” di tecniche di procreazione medicalmente assistita, anche se tali tecniche non sono consentite nel nostro ordinamento”.

La novità del caso in esame è rappresentata dalla nascita, in (Omissis), dei due bambini, nati con gravidanza realizzata (in (Omissis)) con la tecnica della procreazione medica assistita, e dal fatto che si chiede il riconoscimento della sentenza straniera di adozione con riferimento a cittadine italiane same-sex che si sono sposate all’estero.

Ma la questione giuridica di contrarietà o meno all’ordine pubblico, quale causa ostativa al riconoscimento degli effetti della sentenza straniera, si porrebbe anche se l’adozione estera avesse riguardato genericamente una coppia non sposata.

Ed essa va risolta alla luce dei principi di diritto già affermati e sopra richiamati>>.

La Piaggio ottiene finalmente ragione circa la registrazione come marchio di forma dellle linee della Vespa LX

Il Trib. UE 29.11.2023, T-19/22,  nella lite tra Piaggio e il produttore cinese dà ragione alla prima circa la registrabilità come marchio tridimensionale dell’aspetto della Vespa modello LX, che riproduto qui sotto:

(dal sito curia.eu)

La sentenza è interessante assai, anche per il profilo probatorio reggente l’accertamento di distintività sopravvenuta.

Il Trib. nega la distintività ab origine, ma accoglie la domanda di distintivià sopravvenuta (secodnary meaning), riformando la decisione amminstrativa, con miotivaiozne che riporto di seguito.

Va notato che viene superata l’insidiosa eccezione del produttore cinese, per cui i documenti provatori di Pioaggio erano sì relativi alal Vespa ma non esattamente al modello de quo (§ 95).

Ed ecco la motivaizone pertinetne:

<< 99   Nel caso di specie, dagli elementi del fascicolo risulta che la forma rappresentata dal marchio contestato corrisponde alla raffigurazione tridimensionale dello scooter «Vespa LX» commercializzato dalla ricorrente.

100    Sebbene gran parte degli elementi di prova prodotti dalla ricorrente non si riferiscano direttamente a tale raffigurazione, ma piuttosto alla «Vespa» in generale o ad altri modelli di «Vespa», resta tuttavia il fatto che la ricorrente ha prodotto taluni elementi di prova che riguardano specificamente il marchio contestato, come gli opuscoli e i sondaggi di opinione.

101    Inoltre, occorre osservare che l’apparenza complessiva degli scooter che figurano negli elementi di prova prodotti dalla ricorrente, ivi compreso lo scooter «Vespa LX», resta essenzialmente la stessa.

102    Come rilevato dalla ricorrente, ciò è corroborato, in particolare, dalla circostanza che le tre caratteristiche della forma rappresentata dal marchio contestato che sono state menzionate dalla ricorrente, ossia lo scudo a forma di freccia, la forma a «Ω rovesciata» tra la sella e la pedana nonché la forma a «X» tra le bombature laterali e il sottosella, compaiono in tutti gli altri scooter «Vespa» che figurano negli elementi di prova della ricorrente e in tutti gli scooter «Vespa» commercializzati tra il 1945 e il 2008 che sono stati presentati dalla ricorrente nella sua risposta alla comunicazione dell’esaminatrice del 3 aprile 2014.

103    Tale constatazione è altresì corroborata dalla sentenza del 6 aprile 2017 del Tribunale di Torino (allegato 12 al ricorso), nella quale è stato riconosciuto che le tre caratteristiche summenzionate nonché la forma a goccia della scocca erano ricorrenti in tutti i modelli di «Vespa» dal 1945 a oggi e, in ogni caso, certamente nello scooter «Vespa LX», la cui forma è rappresentata dal marchio contestato.

104    Infine, le variazioni tra i diversi modelli di scooter «Vespa» sono poco numerose.

105    Ne consegue che, tenuto conto dell’esistenza di elementi di prova che riguardano specificamente il marchio contestato, gli elementi di prova che fanno riferimento alla «Vespa» in generale o ad altri modelli di «Vespa» concernono, in un certo modo, la forma rappresentata dal marchio contestato e non possono essere ignorati nell’ambito dell’esame del carattere distintivo acquisito in seguito all’uso del marchio contestato. Infatti, non è escluso che tali elementi di prova, considerati nel loro insieme, siano idonei a dimostrare che il pubblico di riferimento percepisce tutti gli scooter «Vespa», ivi compreso lo scooter «Vespa LX» la cui forma è rappresentata dal marchio richiesto, come provenienti da una stessa impresa determinata, tenuto conto del loro aspetto complessivo, che è rimasto essenzialmente lo stesso dal 1945. La commissione di ricorso ha, pertanto, commesso un errore di valutazione nel ritenere in sostanza, ai punti 72 e 73 della decisione impugnata, che tali elementi di prova non fossero rilevanti.

106    Sotto un secondo profilo, la commissione di ricorso ha rilevato che i dati relativi al volume delle vendite, ai fatturati, alle quote di mercato e agli investimenti pubblicitari non erano affidabili e che nessun elemento di prova consentiva di corroborarli.

107    A tal riguardo, dalla tabella contenente i dati relativi al volume delle vendite e alla quota di mercato della «Vespa» in 26 Stati membri risulta che i modelli di «Vespa» hanno avuto il volume di vendite più elevato, e che essi hanno altresì detenuto una delle quote di mercato più considerevoli in tutti gli Stati membri tra il 2007 e il 2012. Inoltre, per quanto riguarda i dati relativi a Cipro e a Malta, che non figurano nella tabella summenzionata, dalla tabella che presenta il volume delle vendite e il fatturato relativi a detti modelli in tutti gli Stati membri risulta che il volume delle vendite e i fatturati per questi due Stati membri non sono stati particolarmente importanti, ma sono aumentati tra il 2009 e il 2012.

108    Sebbene, come ha correttamente sottolineato la commissione di ricorso, tali dati consistano in semplici tabelle Excel preparate dalla ricorrente stessa, sicché il loro valore probatorio è limitato, resta nondimeno il fatto che la ricorrente ha prodotto elementi di prova idonei a confermare taluni dati relativi al volume delle vendite e alla quota di mercato detenuta dalla «Vespa». Si tratta, in particolare, della lettera dell’ANCMA del 29 gennaio 2015 la quale conferma, quanto meno, i dati relativi al volume delle vendite e alle quote di mercato della «Vespa» in Italia tra il 2007 e il 2012. Parimenti, la relazione di verifica contabile attesta che la ricorrente ha ottenuto notevoli introiti tra il 2005 e il 2013 in Italia, grazie alla vendita di «Vespa».

109    La commissione di ricorso ha, pertanto, commesso un errore di valutazione nel ritenere in sostanza, ai punti 70 e 84 della decisione impugnata, che nessun elemento di prova fosse tale da corroborare i dati relativi al volume delle vendite, ai fatturati e alle quote di mercato della «Vespa».

110    Per di più, dalla tabella relativa agli investimenti pubblicitari della ricorrente risulta che quest’ultima ha destinato importi molto elevati alla promozione della «Vespa», perlomeno in Italia, Germania, Spagna, Francia e Belgio, tra il 2003 e il 2012.

111    Se è vero che anche tali dati sono contenuti in una tabella Excel preparata dalla ricorrente stessa, sicché il loro valore probatorio è limitato, occorre tuttavia osservare che taluni elementi di prova erano idonei a corroborare l’entità degli investimenti pubblicitari realizzati dalla ricorrente.

112    Anzitutto, la relazione di verifica contabile conferma che la ricorrente ha realizzato considerevoli investimenti pubblicitari tra il 2005 e il 2013 in Italia. La ricorrente ha poi presentato opuscoli in inglese e in italiano su diversi modelli di «Vespa», un libro dedicato al «mito di Vespa» e una pubblicazione intitolata «Vespa. Un’avventura italiana nel mondo», i quali erano idonei a dimostrare che la «Vespa» era stata pubblicizzata non solo in Italia, ma anche a livello internazionale. Infine, il catalogo «Eurovespa 2000» e la presenza di «Vespa club» in 20 Stati membri erano parimenti tali da dimostrare che la ricorrente aveva compiuto alcuni sforzi al fine di promuovere la «Vespa» all’interno dell’Unione.

113    La commissione di ricorso ha, pertanto, commesso un errore di valutazione nel ritenere, al punto 71 della decisione impugnata, che nessun elemento di prova fosse idoneo a corroborare i dati relativi agli investimenti pubblicitari realizzati dalla ricorrente rispetto alla «Vespa».

114    Sotto un terzo profilo, la commissione di ricorso ha ritenuto che gli elementi di prova non coprissero l’intero territorio dell’Unione. In particolare, i sondaggi di opinione sarebbero stati realizzati solo in dodici Stati membri e, quindi, coprirebbero solo una parte di detto territorio. Inoltre, i dati relativi al volume delle vendite, ai fatturati e alle quote di mercato non sarebbero corroborati da alcun elemento oggettivo, sicché la ricorrente non avrebbe prodotto elementi di prova rilevanti per quanto riguarda gli Stati membri non interessati dai sondaggi di opinione. Detta commissione ha pertanto ritenuto che, anche ammettendo che i sondaggi di opinione e le altre prove prodotte dalla ricorrente siano rilevanti, i risultati dei citati sondaggi in dodici Stati membri non potevano né essere estesi a tutti gli Stati membri, né essere completati e corroborati, negli Stati membri non interessati dai sondaggi in parola, dagli altri elementi di prova prodotti dalla ricorrente.

115    Se è certo vero che i sondaggi di opinione riguardano solo dodici Stati membri, mentre l’Unione ne contava 27 alla data di deposito della domanda di registrazione, occorre tuttavia sottolineare che, benché occorra dimostrare che il marchio contestato ha acquisito carattere distintivo in tutti gli Stati membri dell’Unione, non è affatto richiesto che gli stessi tipi di elementi di prova vengano prodotti per ogni Stato membro [v. sentenza del 28 ottobre 2009, BCS/UAMI – Deere (Combinazione dei colori verde e giallo), T‑137/08, EU:T:2009:417, punto 39 e giurisprudenza ivi citata]. Infatti, l’assenza di sondaggi non esclude che sia dimostrato che un segno ha acquisito carattere distintivo in seguito all’uso, dal momento che tale dimostrazione può essere fornita mediante altri elementi (v., in tal senso, sentenze del 28 ottobre 2009, BCS/UAMI – Deere (Combinazione dei colori verde e giallo), T‑137/08, EU:T:2009:417, punto 41, e del 10 giugno 2020, Louis Vuitton Malletier/EUIPO – Wisniewski (Raffigurazione di un motivo a scacchiera), T‑105/19, non pubblicata, EU:T:2020:258, punto 63).

116    Inoltre, come ricordato al precedente punto 88, gli elementi di prova del carattere distintivo acquisito in seguito all’uso possono riguardare complessivamente tutti gli Stati membri oppure un gruppo di Stati membri. Taluni elementi di prova possono, di conseguenza, presentare una rilevanza riguardo a più Stati membri, se non a tutta l’Unione (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Société des produits Nestlé e a./Mondelez UK Holdings & Services, C‑84/17 P, C‑85/17 P e C‑95/17 P, EU:C:2018:596, punti 80 e 87). Come ricordato al precedente punto 85, nessuna disposizione del regolamento n. 207/2009 impone di dimostrare con prove distinte l’acquisizione del carattere distintivo in seguito all’uso in ciascun singolo Stato membro, e sarebbe eccessivo esigere che la prova di una siffatta acquisizione venga fornita separatamente per ciascuno Stato membro.

117    Orbene, si deve necessariamente constatare che taluni elementi di prova diversi dai dati relativi al volume delle vendite, ai fatturati e alle quote di mercato potevano essere rilevanti ai fini della valutazione del carattere distintivo acquisito in seguito all’uso del marchio contestato negli Stati membri non interessati dai sondaggi di opinione.

118    Si tratta, in particolare, della presenza della «Vespa» nel Museum of Modern Art di New York, dei numerosi estratti di giornali online che mettono tutti in luce che, secondo esperti internazionali di design, la «Vespa» fa parte dei dodici oggetti che hanno segnato il design mondiale nel corso degli ultimi cento anni, delle fotografie contenute nella pubblicazione intitolata «Il mito di Vespa», le quali mostrano l’utilizzo degli scooter «Vespa» in film noti a livello mondiale, come «Vacanze romane», o ancora della presenza di «Vespa club» in numerosi Stati membri, i quali erano idonei a dimostrare il carattere iconico della «Vespa» e, quindi, il suo riconoscimento a livello globale, anche in tutta l’Unione.

119    La commissione di ricorso ha, pertanto, commesso un errore di valutazione nell’omettere di tener conto degli elementi di prova in questione i quali erano, invece, tali da dimostrare il carattere distintivo acquisito in seguito all’uso del marchio contestato in tutta l’Unione>>.

Sospennsione della responsabilità genitoriale ex art. 333 c.c.: basta il pericolo potenziale (cioè il suo rischio)

Cass. ord. sez. 1 del 23.11.2023 n. 32.537, rel. Iofrida:

<<La Corte d’appello, pur dando atto dei progressi in termini di consapevolezza del ruolo genitoriale da parte della A.A. e del miglioramento generale del clima del nucleo familiare, non emergendo criticità, secondo le segnalazioni dei servizi sociali, ha ritenuto di dovere comunque confermare i provvedimenti adottati dal Tribunale, solo perchè non dovevano essere interrotti la situazione di difficile equilibrio e i progressi raggiunti.

Questa Corte ha da ultimo chiarito che “Ai fini della sospensione della responsabilità genitoriale ex art. 333 c.c., non occorre che la condotta del genitore abbia causato danno al figlio, poichè la norma mira ad evitare ogni possibile pregiudizio derivante dalla condotta (anche involontaria) del genitore, rilevando l’obiettiva attitudine di quest’ultima ad arrecare nocumento anche solo eventuale al minore, in presenza di una situazione di mero pericolo di danno” (Cass. 27553/2021).

Si è osservato, avuto riguardo alla formula elastica usata dal legislatore, che ritiene sufficiente, per l’adozione del provvedimento di sospensione della potestà genitoriale, a norma dell’art. 333 c.c., una condotta del genitore che “appare comunque pregiudizievole al figlio”, che non occorre, a tal fine, che un tale comportamento abbia già cagionato un danno al figlio minore, potendo il pregiudizio essere anche meramente eventuale per essersi verificata una situazione di mero pericolo di un danno per lo stesso minore. Il legislatore ha, in sostanza, introdotto una disciplina molto protettiva per il minore allo scopo di evitare, nei limiti del possibile, ogni obiettivo pregiudizio derivante dalla condotta di un genitore, che può essere anche non volontaria, rilevando la mera attitudine obiettiva ad arrecare danno al figlio (Cfr. Cass. 21 febbraio 2004, n. 3529 in motivazione).

Anche lo stesso decreto impugnato dà atto che le criticità emerse nel nucleo familiare erano indubbiamente da ricollegare alle fragilità manifestate dalla A.A., da ricollegare soprattutto alla difficilissima situazione personale conseguente al traumatico lutto per la morte del marito e padre dei minori, E.E., quando i figli avevano appena tre anni, F.F. portatore di disabilità, due anni, B.B., e due mesi, C.C., nonchè dall’assenza di supporto adeguato ad opera dei servizi sociali del Comune di (Omissis).

La Corte d’appello ha riconosciuto come la A.A. aveva dimostrato, dopo una condizione iniziale di “assoluta ed ingovernabile instabilità di ciascun membro della famiglia”, tanto da fare apparire come unica soluzione quella del collocamento dei ragazzi presso una casa-famiglia, grazie all’apporto dei Servizi sociali del Comune di (Omissis), ove la A.A. si è trasferita, e del Curatore speciale dei minori, di essere in grado, se adeguatamente guidata, di assolvere “in maniera sufficientemente corretta ai doveri inerenti alla responsabilità genitoriale”, essendosi anche attivata a percorrere un proprio “percorso di supporto individuale” oltre a quello di psicoterapia familiare.

Orbene, se il venir meno del clima conflittuale in passato esistente in famiglia ha consentito il rientro di tutti e tre i fratelli nella casa familiare dove convivono con la madre, non si spiega – e qui la contraddittorietà motivazionale anche denunciata – la conferma del provvedimento di limitazione della responsabilità genitoriale, in assenza di violazioni dei doveri del genitore e di condotte comunque pregiudizievoli per i figli del genitore>>.

Niente di particolarmente innovativo