Cautelare veneziano sulla tutela della DOC Prosecco contro impresa non concorrente

L’ampiezza di tutela delle DOC divini offerta dall’art. 103 reg. UE 1308/2013 è dimostrata dall’ordinanza cautelare 2 ottobre 2023, RG 8170/2023, giudice dr Doro.

Le imprese convenute non erano minimamente in concorrenza col Consorzio di tutela Prosecco (vendevano caramelle e per di più con forma sessualmente esplicita).

Riporto il passaggio più significativo sul concetto di “evocazione”:

<<L’utilizzazione della D.O.C. “Prosecco” nel prodotto oggetto di causa e nella sua pubblicità presente sul sito internet di Cold costituisce una violazione delle predette disposizioni sotto molteplici profili, giacché:
– vi è un uso della D.O.C. sia diretto sia indiretto, giacché il termine “Prosecco” è riportato più volte nella confezione e nella descrizione del prodotto presente nel sito internet di Cold;
– vi è uno sfruttamento indebito della D.O.C., giacché il produttore e il distributore
utilizzano la notorietà del termine “Prosecco” e si “agganciano” alla medesima al fine di garantire un successo commerciale al prodotto, che però non ha alcun legame con il prodotto tipico tutelato dalla D.O.C. e con il relativo disciplinare;
– vi è, altresì, un indebolimento della D.O.C., che normalmente viene riferita a vini di pregio e invece nel prodotto di cui è causa viene accostata a caramelle dalla forma fallica e all’organo sessuale maschile (“PERFECT FOR LOVER OF WILLIES AND PROSECCO”), ledendo gravemente l’immagine della D.O.C.;
– è irrilevante che il prodotto non sia identico o simile a quello protetto dalla D.O.C., alla luce dei principi richiamati dalla giurisprudenza sopra richiamata;
– è chiaramente idonea ad indurre in errore il pubblico dei consumatori relativamente all’origine e alle caratteristiche intrinseche del prodotto, facendo pensare che lo stesso abbia un qualche legame con il vino D.O.C. “Prosecco” o lo contenga tra gli ingredienti, quando così non è, come si evince dalla lista degli ingredienti riportata nel retro della confezione.
La condotta appare altresì integrare illecito concorrenziale per appropriazione dei pregi e per scorrettezza professionale ex art. 2598, nn. 2 e 3, c.c. e, con specifico riferimento all’ultimo punto, pubblicità ingannevole ai sensi dell’art. 2, lett. b), del D. Lgs. n. 145/2007 e pratica commerciale scorretta in quanto ingannevole ex artt. 20 e 21 del D. Lgs. n. 206/2005>>.

Qui la scorrettezza era eclatante dato che il Prosecco nemmeno figurava tra gli ingredienti.

Applicabilità giudiziale diretta dell’art. 36 Cost. nel determinare la retribuzione del lavoratore

Cass. n° 27.713 del 02.10.2023 sull’oggetto, che viene esaminato in modo approfondito (segnalata e massimata da ilcaso.it).

Riporto solo alcuni passaggi:

<<28. Secondo quanto affermato in epoca risalente dalla Corte costituzionale quello al salario minimo costituzionale delineato nell’art. 36 integra un diritto subiettivo perfetto (sentenza n. 30/1960) che “deve rispondere a due fondamentali e diverse esigenze” indicate dalla norma (Corte cost. sentenza n. 74 del 1966, n. 559 del 1987).
La norma non si limita a stabilire l’an del diritto al salario, ma attribuisce a chi lavora il diritto ad un salario con contenuti qualificanti che fanno riferimento al quantum del corrispettivo oggetto dell’obbligazione contrattuale; si tratta di indicazioni immediatamente precettive idonee a conformare le clausole relative al corrispettivo del lavoro contenute all’interno di ciascun contratto di lavoro.
Tali indicazioni giuridiche (insieme ad altre norme costituzionali pure riferite o riferibili alla retribuzione, come gli artt. 3, 37, 38, 39, 40 e 41 Cost.) interpellano anzitutto gli agenti negoziali (associazioni sindacali e datoriali) in quanto massima autorità salariale.
Si rivolgono inoltre al legislatore che deve operare politiche di valorizzazione e di sostegno al reddito in funzione della promozione individuale e sociale dei lavoratori e delle indeclinabili esigenze familiari a cui lo stesso reddito deve far fronte .
Il giudice è chiamato ad intervenire in ultima istanza, per assicurare, nell’ambito di ogni singolo rapporto di cui è chiamato a conoscere, la rispondenza dei predetti interventi allo statuto del salario delineato a livello generale nella normativa costituzionale; ed in caso di violazione ripristinare la regola violata dichiarando la nullità della clausola individuale e procedendo alla quantificazione della giusta retribuzione costituzionale (in applicazione delle regole civilistiche dell’art. 2099, 2° comma e dell’art. 1419,1 comma c.c.)
29. Per ciò che riguarda, in particolare, l’opera compiuta in materia dalla giurisprudenza è noto che secondo una elaborazione che dura oramai da oltre 70 anni (Cass. 12.5.1951 n. 1184; Cass. 21.2.1952, n. 461; 27.2.1958 n.663, 15 febbraio 1962 n. 308) questa Corte di legittimità ha affermato che il giudice chiamato ad adeguare – in base all’art. 2099, 2° comma c.c. – il trattamento retributivo all’art. 36 della Cost. può fare riferimento – come parametri esterni per la determinazione del giusto corrispettivo – alla retribuzione stabilita dai contratti collettivi nazionali di categoria, i quali fissando standard minimi inderogabili validi su tutto il territorio nazionale, finiscono così per acquisire, per questa via giudiziale, una efficacia generale, sia pure limitata alle tabelle salariali in essi contenute. (….)

32. Deve essere ora evidenziato che l’oggetto dell’intervento giudiziale può riguardare non solo il diritto del lavoratore di richiamare in sede di determinazione del salario il CCNL della categoria nazionale di appartenenza, ma anche il diritto di uscire dal salario contrattuale della categoria di pertinenza; atteso che, per la cogenza dell’art. 36 Cost., nessuna tipologia contrattuale può ritenersi sottratta alla verifica giudiziale di conformità ai requisiti sostanziali stabiliti dalla Costituzione che hanno ovviamente un valore gerarchicamente sovraordinato nell’ordinamento.
In materia di uscita dal contratto nazionale di categoria, si veda da ultimo Cass. n. 17698/2022 (che richiama le convergenti pronunce di questa Corte nn. 4622/2020, 4621/2020, 9862/2019, 9005/2019, 7047/2019, 5189/2019); nonché, in una controversia analoga alla presente, con precipuo riferimento alla fuoriuscita dal CCNL Servizi fiduciari oggetto di questa pronuncia, v. Cass. n. 20216/2021.
33. Quello appena richiamato integra un orientamento già consolidato a cui questo Collegio intende dare continuità nella decisione di questa causa, in quanto conforme alle regole ed allo spirito della nostra Costituzione, ed a cui occorre apportare solo alcune limitate precisazioni per fugare taluni dubbi e chiarire il consolidato orientamento di legittimità a fronte della realtà di fatto che si è venuta a determinare negli ultimi tempi nel nostro Paese, e dentro la quale si colloca oggi la questione della sindacabilità del contratto collettivo nazionale di categoria sottoscritto da OO.SS. maggiormente rappresentative, che è oggetto della controversia.
34. Si tratta di una realtà che è già stata posta più volte all’attenzione della magistratura del lavoro, della magistratura amministrativa e persino della magistratura penale, chiamate ad interloquire in diverso modo sulla misura dei salari fissati in sede collettiva, anche ad opera di organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.
Ciò ha creato una rinnovata attenzione dialettica sul tema anche da parte della dottrina, sollecitata da ultimo dall’intervento della Direttiva già in precedenza richiamata, in materia di salari adeguati all’interno dell’Unione Europea, n. 2022/2041 del 19 ottobre scorso>>.

La sconfitta di Tesla sul marchio per birre GIGABIER presso l’EUIPO

Marcel Pemsel su IPKaT dà notizia della sconfitta amministrativa (per ora) di Testla sul marchio GIGABIER per birre.

E’ la decisione della divisione di opposizione OPPOSITION Nо B 3 162 062, Tesla c. Juicyphant GmbH, 20.09.2023.

La norma azionata dall’opponente Tesla è l’art. 8.4 reg. Ue 1001 del 2017, per cui:

<<4.   In seguito all’opposizione del titolare di un marchio non registrato o di un altro segno utilizzato nella normale prassi commerciale e di portata non puramente locale, il marchio richiesto è escluso dalla registrazione se e in quanto, conformemente a una normativa dell’Unione o alla legislazione dello Stato membro che disciplina detto segno:

a)

sono stati acquisiti diritti a detto contrassegno prima della data di presentazione della domanda di marchio UE, o della data di decorrenza del diritto di priorità invocato per presentare la domanda di marchio UE;

b)

questo contrassegno dà al suo titolare il diritto di vietare l’uso di un marchio successivo.>>

così interpretato dall’ufficio:

<<Therefore, the grounds of refusal of Article 8(4) EUTMR are subject to the following requirements:

• the earlier sign must have been used in the course of trade of more than local significance prior to the filing of the contested trade mark;

• pursuant to the law governing it, prior to the filing of the contested trade mark, the opponent acquired rights to the sign on which the opposition is based, including the right to prohibit the use of a subsequent trade mark;

• the conditions under which the use of a subsequent trade mark may be prohibited are fulfilled in respect of the contested trade mark.

These conditions are cumulative. Therefore, where a sign does not satisfy one of those conditions, the opposition based on a non-registered trade mark or other signs used in the course of trade within the meaning of Article 8(4) EUTMR cannot succeed>>.

Tesla non riesce a dare questa prova.

Il ragionameno in diritto non è particolarmente interessante.

Lo è quello in fatto, anche se troppo detagliato per essere riporatto in toto.

Mi limito alla conclòusione:

<<The Opposition Division considers that the evidence does not provide a convincing picture of use of the opponent’s sign prior to the time of the filing of the contested trade mark, nor does it indicate that any such use could be considered as meeting the minimum threshold of ‘use in the course of trade of more than mere local significance’ in the relevant territories, as set out in Article 8(4) EUTMR. Moreover, the documents submitted do not provide any concrete indications as to the potential degree of recognition of the opponent’s sign by the public in the relevant territories at the relevant point in time.

Whether or not a trade sign is of more than mere local significance may be established by demonstrating the existence of a network of economically active branches throughout the relevant territory, but also more simply, for example, by producing invoices issued outside the region in which the proprietor has its principal place of business or press cuttings showing the degree of recognition on the part of the public of the sign relied on (24/03/2009, T-318/06 – T-321/06, General Optica, EU:T:2009:77, § 43). (……)

The opponent’s CEO merely stating that, at some point in the future, they intend to produce/offer a beer under the sign ‘GIGABIER’ does not constitute ‘prior use in the course of trade of more than mere local significance’, contrary to the opponent’s assertions.>>

E infine:

<<Considered in the context of a half hour long speech, the opponent’s CEO only briefly referred to the relevant goods while an image of two empty bottles branded ‘Gigabier’ briefly appeared on the screens behind him. When considered with the other indicia in the evidence referred to above (as well as the weaknesses thereof, including the brevity of the interlude between the opponent’s announcement and the relevant date), it is clear that these Annexes only support the conclusion that the single use of the earlier sign prior to the relevant date is the opponent’s brief announcement at an event in Germany, attended by a maximum of 9,000 people, that a beer may possibly be launched in the future under that brand. The evidence also shows that this announcement attracted some comments on social media. However, the evidence does not show that this single announcement by the opponent during a brief event at the new factory plant in Brandenburg, one day prior to the filing of the contested application, was followed by or attracted the attention of a substantial part of the relevant public in Ireland and/or Denmark. Therefore, the opponent has clearly failed to prove that its use of the sign in the course of trade in Ireland and/or Denmark prior to the relevant date was of more than mere local significance in those territories.

This conclusion is not altered by the content, date or language of publication of the articles submitted as Annex 1, which make no mention of the relevant sign or goods, and instead only refer to the opponent’s plans for/construction of a car manufacturing plant.

The opponent has failed to prove that – at the relevant date – the public in the relevant territories were exposed to or were aware of any of the articles or social media posts submitted as evidence, or indeed of the opponent’s announcement itself. No evidence was submitted (such as invoices, price lists, turnover or sales figures, press clippings or actual advertising) demonstrating the opponent’s prior use of ‘GIGABIER’ for the relevant goods (much less attesting to any significance, duration or intensity thereof) as required under Article 8(4) EUTMR. In the same vein, none of the evidence submitted provides any true or reliable indications as to the relevant public’s degree of awareness of the opponent’s sign (if any) prior to the filing of the contested sign.

Any use, however minimal, which could potentially be established in relation to the claimed sign (for example, the social media posts showing two order confirmations of ‘GIGABIER’/Annex 13, which would in any case amount to only €89 and DKK 700 in terms of sales according to the prices of the products indicated in the 2023 blog excerpts/Annex 14) would only have occurred in 2023 (see Annexes 12-16), which is clearly well after the contested EUTM application’s filing date of 10/10/2021. Furthermore, there are no other indications in the evidence submitted that the opponent even referred to publicly (much less indeed made any actual relevant use of) the sign relied upon between their CEO’s mention of ‘GIGABIER’ in their speech on 09/10/2021 and their Twitter posts in 2023/Annexes 12-16. Indeed, the Danish blog excerpts and articles submitted as Annex 14, dating to 2023, refer to the ‘launch’ of ‘GIGABIER’ having occurred in 2023>>.

Sul luogo del danno da illecito ai fini della giurisdizione ex reg. UE 1215 del 2012, art. 7 n° 2

Trib. Milano 5 luglio 2023 n° 5553/2023 sez. 14 Trib. IMpr., rel. Fazzini Elisa, rigetta una domanda di misure di diritto di autore avanzata da soggetto italiano contro pretesi contraffattori inglesi per carenza di giurisdizione.

Ciò perchè il criterio di colelgasmento del luogo del dannn (“in materia di illeciti civili dolosi o colposi, davanti all’autorità giurisdizionale del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire;” art. 7 n. 2 del reg. cit.) non va inteso come danno conseguenza ma solo come danno evento.

<<A tale riguardo, il Collegio rileva che la Corte di Giustizia identifica, in generale, detto luogo sia in quello in cui ha avuto luogo la condotta lesiva, sia in quello in cui il danno si è concretizzato, sicché il convenuto può essere citato, a scelta dell’attore, dinanzi al giudice dell’uno o dell’altro (Corte UE 28 gennaio 2015, causa C-375/13; Corte UE 16 giugno 2016, causa C-12/15; Corte UE 5 luglio 2018, causa C27/17; Corte UE 29 luglio 2019, causa C-451/18). Alla luce degli insegnamenti della Suprema Corte, il tribunale ritiene che occorra tenere presente che “per luogo in cui il danno si è concretizzato” si deve aver riguardo al «danno iniziale», l’unico ad essere destinato ad assumere rilievo ai fini della giurisdizione, senza che assumono rilevanza i diversi luoghi ove si asserisce patito il pregiudizio patrimoniale (cfr. Cass. S.U. 13504/2023; Cass. S.U. 8571/2015; Cass. S.U. 23593/2010), in quanto il criterio del locus commissi delicti non può dilatarsi fino a ricomprendere qualsiasi luogo in cui possano
essere risentite le conseguenze negative a valle di un danno verificatosi altrove (cfr. Corte UE 10 giugno 2004, causa C-168/02), né tantomeno detto luogo può coincidere con il domicilio del danneggiato, laddove la condotta dannosa si sia verificata altrove (cfr. Corte UE 16 giugno 2016, causa C-12/15). In considerazione dei principi espressi dai giudici di legittimità e da quelli europei, è, dunque, evidente che la disposizione di cui all’art. 7.2 del Regolamento deve essere interpretata nel senso che per ‘luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire’ debba intendersi il luogo in cui “si è prodotta la lesione del diritto della vittima, senza avere riguardo al luogo dove si sono verificati o potranno verificarsi le conseguenze future della stessa” (cfr. Cass., S.U. 24245/2015), in quanto tale espressione non può riguardare il luogo del domicilio del ricorrente, in cui è localizzato il centro principale del suo patrimonio, per il solo motivo che egli avrebbe ivi subìto un danno finanziario derivante dalla perdita di elementi del suo patrimonio avvenuta e subìta in un altro Stato membro (cfr. Corte UE 10 giugno 2004, causa C-168/02).
Alla luce di tali principi, il tribunale ritiene che il “danno iniziale”, nel caso di specie, debba collocarsi nel Regno Unito a seguito della pubblicazione del libro “The Good Mothers”, essendosi verificate in Italia esclusivamente le eventuali conseguenze patrimoniali, che rappresentano il c.d. danno conseguenza o danno risarcibile, non contemplate dall’art. 7 n. 2 del Regolamento. Nessuna rilevanza,
assume, ai fini della sussistenza di una giurisdizione in capo al giudice italiano, la circostanza che il libro, attraverso la piattaforma e-commerce Amazon, sia acquistabile anche in Italia (cfr. nota 4, pag. 6 dell’atto di citazione), atteso che è circostanza pacifica che esso sia stampato esclusivamente in lingua inglese, non destinato, pertanto, a un pubblico italiano>>

Solo che la legge parla di evento dannoso: quindi fino a che una conseguenza negativa nel patrimoniio della vittima non ci sia, non c’è evento di danno. Quindi deve trattarsi del luogo del danno conseguenza, non della condotta.   La legge avrebbe dobuto dire “l’autorità giurisdizionale del luogo in cui la condotta poi risoltasi in danno è stata tenuta …> .

Il che dovrebbe valere per l’azione sia su danno patrimoniale che non patrimoniale.

Da notare che il giudice riesce ad applicare il reg. citato UE contro un soggetto di un paese che dal 2016 non è più in UE

Nella cessione di azienda, la responsabilità del cessionario per i debiti aziendali non necessariamente richeide la loro annotazione nei libri contabili: può bastare la loro conoscenza, come quando la cessione è in sostanza simulata

Intreressante fattispecie decisa da una approfondita ed esatta Cass. 13.09.2023 n. 26.450, sez. 3, rel. Spaziani sull’art. 2560 c.2 cc.

RAgionamento astratto:

<<1.1.f. L’individuazione del differente fondamento dogmatico dei due orientamenti induce, tuttavia, anche l’evidenziazione del presupposto fondamentale della fattispecie regolata dall’art. 2560 c.c., in entrambi i capoversi in cui esso si articola.

Essa fattispecie – sia che la si ricostruisca, in termini soggettivi, come successione nell’impresa, sia che la si ricostruisca, in termini oggettivi, come trasferimento di beni e di rapporti giuridici (nella prima ipotesi, coinvolgente tutti i debiti di cui si provi che il cessionario abbia conoscenza; nella seconda ipotesi, coinvolgente i soli debiti risultanti dai libri contabili obbligatori) – postula, in ogni caso, una reale dualità di soggetti e, dunque, una effettiva alterità tra il cedente e il cessionario.

Questo presupposto fondamentale della fattispecie è stato, del resto, posto in evidenza dalle Sezioni Unite di questa Corte con la pronuncia 28/02/2017, n. 5054.

Questa pronuncia – peraltro diretta a dirimere la specifica questione se ed, eventualmente, a quali condizioni, il cessionario di un’azienda commerciale risponda, a norma dell’art. 2560 c.c., comma 2, ovvero ad altro titolo, del debito restitutorio che consegue alla revoca fallimentare di un pagamento ricevuto dal cedente – pur escludendo, in relazione alla peculiare fattispecie, che, ai fini dell’insorgenza della responsabilità solidale prevista dalla norma, sia sufficiente la conoscibilità, tramite i libri contabili obbligatori, del precedente rapporto contrattuale intrattenuto dal dante causa con un imprenditore, divenuto poi insolvente alla data del pagamento – e pur osservando, in linea generale, che la responsabilità solidale del cessionario di azienda va ricondotta “nell’alveo dell’evidenza diretta, risultante dai libri contabili obbligatori dell’impresa, a tutela del suo legittimo affidamento, essenziale per il corretto svolgimento della circolazione di beni di particolare rilievo commerciale” – ha, peraltro, affermato, sia pure in obiter dictum, che l’operatività dell’art. 2560 c.c., comma 2, “incontra un limite solo nella carenza di un’effettiva alterità soggettiva delle parti titolari dell’azienda” (Cass., Sez. Un., 28/02/2017, n. 5054).

Le Sezioni unite, esemplificando, hanno osservato che il difetto di alterità soggettiva si riscontra nel caso di trasformazione, anche eterogenea, della forma giuridica del soggetto e nel caso del conferimento dell’azienda di una impresa individuale in una società unipersonale.

Queste indicazioni vanno ritenute meramente esemplificative e non tassative, per modo che deve reputarsi che il difetto di dualità soggettiva, che esclude l’applicazione della norma codicistica in esame, sussista in tutti i casi in cui, in seguito al trasferimento dell’azienda, al di là della diversa forma o denominazione giuridica, la compagine sociale dell’impresa e gli organi amministrativi della stessa siano rimasti immutati, poiché in tali casi il trasferimento dell’azienda è solo formale.

In queste ipotesi, non vi è spazio per l’applicazione dell’art. 2560 c.c., comma 2, poiché la norma non potrebbe esplicare la funzione che si riconduce alla sua ratio, ovverosia la salvaguardia dell’interesse dell’acquirente dell’azienda, quale accollante dei relativi debiti, ad avere precisa conoscenza degli stessi; interesse che si correla a quello, superindividuale, alla certezza dei rapporti giuridici e alla facilità di circolazione dell’azienda>>.

Applicazione al caso sub iudice:

<<1.1.g. Nel caso di specie è stato accertato in sede di merito – ed è incontroverso tra le parti – che il sig. R.F. era socio di maggioranza ed amministratore unico della cedente Intercontinentale Organizzazione Turismo s.r.l., ma anche amministratore unico della cessionaria Iottour Viaggi s.r.l., nonché socio di maggioranza e presidente del consiglio d’amministrazione di IOT – Intercontinental Organization of Tourism, a sua volta socia unica della cessionaria.

E’ stato, poi, altresì accertato – ed anche questa circostanza è incontroversa – che la compagine sociale della società cedente era formata dallo stesso R.F. (per una quota pari al 72,17%) e da G.A. (per la rimanente quota del 27,83%), i quali, dal 2011, erano divenuti, rispettivamente, presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato di IOT – Intercontinental Organization of Tourism.

In tale situazione, a prescindere dalla circostanza se la “cessione” fosse connotata, o no, dalla finalità fraudolenta accertata dal giudice d’appello, non si poneva il problema di tutelare l’interesse del cessionario alla conoscenza dei debiti dell’azienda acquistata, poiché mancava in radice, nella sostanza, l’alterità soggettiva del cessionario medesimo rispetto al cedente, che quei debiti aveva assunto.

Inoltre, diversamente da quanto reputato dal giudice di primo grado (e conformemente, invece, a quanto ritenuto da quello d’appello), nessun rilievo poteva attribuirsi, in senso favorevole alla società debitrice, alla circostanza che il debito verso la sig.ra M. non risultasse nella relazione di stima di cui all’art. 2465 c.c. (tra l’altro, specificamente prescritta dalla legge con riguardo ai conferimenti dei beni in natura e dei crediti, non anche dei debiti), mentre l’ulteriore circostanza che esso debito risultasse invece nel bilancio finale di liquidazione della società cedente, lungi dall’essere assunta a presupposto dell’accoglimento dell’opposizione a precetto, avrebbe dovuto essere valorizzata in funzione dell’affermazione della responsabilità dell’opponente>>.

L’autorità della concorrenza tedesca sulla abusività della clausole imposte da Google

nel caso B7-70721 l’autogirà garante tedesca fa partire un’indagine verso Google per la vioalzione dell’art. 19a.2.4  e art. 32.b.1 della legge concorrenziale tedesca.

Si tratta della decisione 5 ottobre 2023 : vedila in inglese nel sito dell’autorità.

Ex art. 19a.2.4, l’autorità può impedire di

<<4. creating or appreciably raising barriers to market entry or otherwise impeding other undertakings by processing data relevant for competition that have been collected by the undertaking, or demanding terms and conditions that permit such processing, in particular

a) making the use of services conditional on the user agreeing to the processing of data from other services of the undertaking or a third-party provider without giving the user sufficient choice as to whether, how and for what purpose such data are processed;

b) processing data relevant for competition received from other undertakings for purposes other than those necessary for the provision of its own services to these undertakings without giving these undertakings sufficient choice as to whether, how and for what purpose such data are processed;>>

Andiamo ora alle violazioni ravvisarte, sostanzialmente consistenti nella insufficiente scelta data all’utente:

<<(51) .First of all, there is a lack of sufficient granularity in the setting options both when a  Google account is created and when Google’s services are used by non-authenticated  users. Users do not have the option to opt out of cross-service data processing and to limit the processing of data to the Google end user service in which the data were generated. Users only have the choice to accept personalisation across all services –  including data Google collects on third-party websites and apps as well as data Google obtains from third parties – or to opt out of personalisation altogether, also including personalisation based on the data collected in the specific service used. Due to this lack of fine-tuning users cannot make a free choice.19 As a result, they may be tempted to consent to more extensive data processing than they actually wish to accept. The Decision Division has thus reached the preliminary view that insufficient granularity of the choices offered can also result from the fact that no differentiation is possible with regard to different processing purposes.
(52) Furthermore, users are not given sufficient choice within the meaning of Section 19a(2) sentence 1 no. 4a GWB with regard to Google’s data processing terms as in some cases Google offers users no choice at all as to the data processing options, thus not giving any choice with regard to cross-service data processing. When users use a service either by signing in to an account or without an account, Google provides for the possibility of (cross-service) data processing for certain areas without giving users the option of rejecting this.20 Users who wish to use one of Google’s services thus have no choice but to accept cross-service data processing (“take it or leave it”).
(53) Furthermore, the setting options offered by Google – both for signed-in users and for non-authenticated users – lack sufficient transparency. There is a lack of sufficiently concise and comprehensible indications which could provide users with sufficient information as to whether, how and for what purpose Google processes data across services.
The information provided by Google is not sufficient to make users understand
the far-reaching possibilities Google provides for cross-service data processing. In particular, Google does not explain to users which of their data are processed, how they are processed and what is included in the processing purposes. The use of imprecise or unclear terminology and the exclusive reference to examples instead of conclusive definitions contribute to this. In addition, data processing enabled by the users’ consent is presented from a one-sided positive perspective whereas the significant extent of cross-service data processing is not disclosed to users. Users can thus not easily comprehend the scope of the choice options.
(54) Finally, when creating a Google account there is no equivalence of consent and rejection. This is because in the context of the so-called “Express personalisation” users can only accept the data processing option provided for, but have no possibility of rejecting this. Rejection is only possible in the context of the so-called “Manual personalisation”, which requires considerably more clicks. For users it is therefore easier to consent than to reject. In this way, Google exerts an unreasonable influence on the users’ decision so that they have no free choice and no sufficient choice within the meaning of Section 19a(2) sentence 1 no. 4a GWB>>.

Azione di classe contro Google, basata su illecito data scraping per allenare la sua intelligenza artificiale

E’ diffusa in rete la notizia della citazione in giudizio per l’illecito in oggetto del 11 luglio 2023 da parte della Clarkson law firm, reperibile ad es proprio nel sito dello studio)  (“web-scraping theft” per la chatbox BArd, concorrente di OpenAI, ad altro).

Provato Bard con richiesta di consulenza giuridica: fa diversi errori (serve altro allenamento)

Google scansionerebbe e raccoglierebbe qualunque dato passa per i suoi server (irragionevole dubitarne). Pare che non sia molto coperta da consenso contrattuale (nonostante nessuno riesca a farle modificare i moduli di accettazione iniziali)

Sono azionati diritto di privacy,  di proprietà sui dati (non coincidente con la privacy; opinabile, ma dipende da come i due istituti son configurati nei singoli ordinamenti), di copyright, di concorrenza sleale (sub III, da § 153 ss.)

Consenso informato circa trattamento algoritmico di dati reputazionali

Cass. 28.358 del 10.10.2023, rel. Nazzicone, sez. I, (link offerto da Il Sole 24 ore) esamina un caso di pretesa illegittimità di tratamento dati reptuaizonali da aprte di algoritmo (era un sito che offriva consulebza sulal reputaizone nel web).

Il focus è sul se sia valido il consenso (artt. 23 e 13 del d. lgs 196/2003, ora sostituiti dal GDPR) espresso enza conoscere esattamente il funzionamento dell’algoritmo.

O meglio, visto che la risposta deve essere negativa, bisogna capiure quando ricorra una conoscenza sufficiente per dare validità al consenso espresso. Il tema è assai interessante e si porrà sempre più spesso.

Premessa tecnica:

<<4.1. – Al giudice del merito era stato demandato di verificare,
sulla base delle regole dell’iniziativa de qua, se il trattamento svolto
con mezzi informatici fosse adeguatamente trasparente con
riguardo all’algoritmo di calcolo del c.d. rating reputazionale, fulcro
dell’intero sistema progettato al riguardo.
Secondo la sentenza rescindente, infatti, il necessario
accertamento in punto di fatto – al fine di reputare la validità del
consenso in ragione della sussistenza di una conoscenza effettiva
consapevolezza delle finalità e modalità di espletamento del
trattamento – riguardava la trasparenza e la conoscenza delle
caratteristiche funzionali dell’algoritmo.
Ciò che si richiedeva, cioè, non è che l’associato debba
conoscere ex ante con certezza l’esito finale delle valutazioni che il
sistema di intelligenza artificiale opera – perché altrimenti sarebbe
quanto meno inutile – ma il procedimento che conduce alle
medesime.
4.2. – In matematica, un procedimento da seguire viene
descritto sinteticamente da un’equazione, la quale si compone di
variabili e di funzioni che le collegano.
L’algoritmo è un procedimento di risoluzione di un problema: da
determinati dati di ingresso (input) derivano soluzioni (output).
Lo “schema esecutivo” di un algoritmo specifica, pertanto, i
passi da eseguire in sequenza, per giungere al risultato.
Gli studiosi della materia precisano che un algoritmo è
costruibile, se i dati ed il procedimento rispettano alcuni requisiti.

Li ricorda anche la ricorrente, nel primo motivo di ricorso:
richiedendosi che i passaggi siano elementari, univoci, di numero
finito, operabili in un tempo finito e con un risultato unico.
E, nel caso, in esame non è in questione se l’algoritmo, per
funzionare algebricamente e quindi per il processo informatico,
possedesse tali requisiti>>.

Poi passa a spiegare che il punctum dolens è la validità o meno del consenso espresso:

<<I requisiti del consenso sono, dunque, la prestazione libera e
specifica in riferimento ad un trattamento chiaramente individuato
e le previe informazioni di cui all’art. 13, ossia, in particolare, circa
le finalità e le modalità del trattamento.
Quando, come nella specie, i dati personali sono destinati ad
essere “lavorati” da un algoritmo, dovrà dunque anche tale
modalità essere coperta dal consenso.
Pertanto, nella vicenda in esame, ad integrare i presupposti del
“libero e specifico” consenso, affinché esso sia legittimo e valido, è
richiesto che l’aspirante associato sia in grado di conoscere
l’algoritmo, inteso come procedimento affidabile per ottenere un
certo risultato o risolvere un certo problema, che venga descritto
all’utente in modo non ambiguo ed in maniera dettagliata, come
capace di condurre al risultato in un tempo finito.
Che, poi, il procedimento, come spiegato con i termini della
lingua comune, sia altresì idoneo ad essere tradotto in linguaggio
matematico è tanto necessario e certo, quanto irrilevante: ed
invero, non è richiesto né che tale linguaggio matematico sia
osteso agli utenti, né, tanto meno, che essi lo comprendano.
Ciò che rileva, invece, è che sia possibile tradurre in linguaggio
matematico/informatico i dati di partenza, cosicché il tutto divenga
opportunamente comprensibile alla macchina, grazie ai soggetti
esperti programmatori, secondo le sequenze e le istruzioni tratte
dai dati “in chiaro”, come descritti nel regolamento più volte citato.
4.3. – Ora, sulla base degli accertamenti compiuti dal giudice
del merito, tali parametri di riferimento erano tutti presenti nel
regolamento>>

Poi la SC erra vistosamente:

<<Mentre non si comprende la pretesa che fosse indicato il “peso
specifico” dei vari criteri – posto che si tratta di termine scientifico,
concernente il rapporto tra il peso e il volume di una materia, non
sempre essendo opportuno il travaso al diritto dei termini di altre
scienze – si potrà anche non concordare con la logica o con taluno
dei criteri sottesi al sistema illustrato nel regolamento, che il primo
motivo del ricorso riporta: ma non è questione ora rilevante,
richiedendosi, ai fini del trattamento dei dati personali su consenso
dell’interessato, soltanto che il sistema dei parametri ostesi fosse
sufficientemente determinato.
E proprio questa è la situazione di fatto, accertata dal giudice
del merito, onde la sua sussunzione nella fattispecie del valido
consenso era dovuta, secondo il controllo affidato a questa Corte in
sede di legittimità>>

I vari fattori concorrenti non è detto abbiano la medesima importanza per determinare l’output finale. Il peso specifico di ciascuno può variare, per  cui   l’interessato deve avere il diritto di conoscerlo. Non capisce il punto la SC.

Si veda l’art. 14.2.g) GDPR, che  impone al titolare del trattamento dare informazioni all’interessato circa <<l’esistenza di un processo decisionale automatizzato, compresa la profilazione di cui all’articolo 22, paragrafi 1 e 4, e, almeno in tali casi, informazioni significative sulla logica utilizzata, nonché l’importanza e le conseguenze previste di tale trattamento per l’interessato>>.

Sulla validità del c.d. vitalizio alimentare (art. 1872 cc)

Ondif segnala Cass. n. 28.329 del 10.10.2023, rel. Carrato, sull’oggetto.

Viene ritenuto valido il vitalizio consistente nel trasferimento di nuda proprieotà immobiliare da padre di 82 anni a figlia a fronte di dovere di costei prestargli assistenza materiale e morale, date le non cattive condizioni di salute del primo.

Massima di Cianciolo Valerid di Ondif :

<<Sussistono tutti i presupposti per ravvisare la validità del contratto di mantenimento, avuto riguardo alle condizioni circa la prognosi delle patologie del vitaliziato e alla insussistenza della univoca predeterminabilità della durata successiva della vita dello stesso, elementi questi da portare ad escludere la sproporzione tra le prestazioni>>.

Ancora sul mantenimento del figlio maggiorenne

Cass. ass. Civ., Sez. I, ord. 20 settembre 2023 n. 26875, rel. Nazzicone, interessante anche per gli aspetti fattuali.

Principi di diritto enunciati:

1 – “In tema di mantenimento del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica, l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente, vertendo esso sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro: di conseguenza, se il figlio è neomaggiorenne e prosegua nell’ordinario percorso di studi superiori o universitari o di specializzazione, già questa circostanza è idonea a fondare il suo diritto al mantenimento; viceversa, per il “figlio adulto”, in ragione del principio dell’autoresponsabilità, sarà particolarmente rigorosa la prova a suo carico delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa”.

2 – “I principi della funzione educativa del mantenimento e dell’autoresponsabilità circoscrivono, in capo al genitore, l’estensione dell’obbligo di contribuzione del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica per il tempo mediamente necessario al reperimento di un’occupazione da parte di questi, tenuto conto del dovere del medesimo di ricercare un lavoro contemperando, fra di loro, le sue aspirazioni astratte con il concreto mercato del lavoro, non essendo giustificabile nel “figlio adulto” l’attesa ad ogni costo di un’occupazione necessariamente equivalente a quella desiderata”.

3 – “I principi della funzione educativa del mantenimento e dell’autoresponsabilità circoscrivono, in capo al genitore, l’estensione dell’obbligo di contribuzione del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica per il tempo mediamente necessario al reperimento di un’occupazione da parte di questi, tenuto conto del dovere del medesimo di ricercare un lavoro contemperando fra di loro, ove si verifichi tale evenienza, il bisogno di particolari attenzioni o cure del genitore convivente con i doveri verso sé stesso, la propria vita e la propria indipendenza economica, potendo tale necessità unicamente giustificare, dopo la maggiore età, meri ritardi nel conseguire la propria autonomia economico-lavorativa, ma mai costituire, nel “figlio adulto”, che anzi è allora tanto più tenuto ad attivarsi, ragione della completa elisione dei doveri verso sé stesso, anche in vista della propria vita futura”.