Recensione diffamante, a carico di avvocato, postata su Google Maps e responsabilità di quest’ultimo: opera il safe harbor ex § 230 CDA?

La risposta è positiva, naturalmente.

Si tratta di avvocato operante nelle vicinenza di Portland e diffamato da pesante recensione postata su Google maps.

Caso facile, allora,  per il Tribunale dell’Oregon Daniloff c. Google+1, 30 gennaio 2023, Case No. 3:22-cv-01271-IM .

Il prof. Eric Goldman dà pure il link alla recensione diffamante .

L’0aavvopcato attopre aveva CHJIESTO danni per 300.000 dollari a google e al recensore.

<<In evaluating Defendant Google’s immunity under the CDA, this Court applies the threefactor Ninth Circuit test. See Kimzey, 836 F.3d at 1268. First, to determine whether Defendant Google qualifies as an interactive computer service provider, this Court notes that Google is an
operator who passively provides website access to multiple users. Fair Hous. Council of San
Fernando Valley v. Roommates.com, LLC, 521 F.3d 1157, 1162 (9th Cir. 2008) (en banc) (“A
website operator . . . [who] passively displays content that is created entirely by third parties . . .
is only a service provider with respect to that content.”). Accordingly, as Defendant Google
argues and Plaintiff concedes, Google qualifies as an interactive computer service provider. ECF
8 at 5; ECF 9 at 3; see also 47 U.S.C. § 230(f)(3); Lewis v. Google LLC, 461 F. Supp. 3d 938,
954 (N.D. Cal. 2020) (collecting cases), aff’d, 851 F. App’x 723 (9th Cir. 2021); Gaston v.
Facebook, Inc., No. 3:12-CV-0063-ST, 2012 WL 629868, at *7 (D. Or. Feb. 2, 2012), report and
recommendation adopted, No. 3:12-CV-00063-ST, 2012 WL 610005 (D. Or. Feb. 24, 2012).
Second, because Plaintiff premises his defamation claim on Defendant Google’s
publication of Defendant Keown’s review, ECF 1-1, Ex. A, at ¶ 22, this Court finds that Plaintiff
seeks to treat Google as a publisher or speaker. See Kimzey, 836 F.3d at 1268 (holding that
defamation claim based on Yelp review was “directed against Yelp in its capacity as a publisher
or speaker” (citing Barnes, 570 F.3d at 1102)).
Third, as the allegedly defamatory review was posted by Defendant Keown, ECF 1-1, Ex.
A, at ¶ 5–7, this Court finds the relevant information was provided by another information
content provider. Rather than allege that Defendant Google created the review, Plaintiff alleges
that Defendant Google “hosted” it via Plaintiff’s Google Business profile, id. at ¶ 30, thereby
“material[ly] contribut[ing]” to the defamatory review. ECF 9 at 3. An entity who “contributes
materially to the alleged illegality of the conduct” at issue is not entitled to protection under
Section 230. Roommates.com, 521 F.3d at 1168.
The Ninth Circuit addressed a similar argument in Kimzey, a case arising out of a
negative review on Yelp’s website. Kimzey, 836 F.3d at 1265. While the plaintiff in that case
claimed that Yelp had “authored” the review at issue through its star-rating system, id. at 1268,
the Ninth Circuit found that “Yelp’s rating system . . . is based on rating inputs from third parties
and . . . [is] user-generated data,” id. at 1270. As such, the Ninth Circuit held that Yelp’s actions
did not qualify as “creation” or “development” of information and that “the rating system [did]
‘absolutely nothing to enhance the defamatory sting of the message’ beyond the words offered
by the user.” Id. at 1270–71 (quoting Roommates.com, 521 F.3d at 1172).
Defendant Keown’s review similarly qualifies as user-generated data and Defendant
Google’s hosting of that review through its Google Business profile system does not qualify as a
material contribution. This Court finds that Plaintiff bases his defamation claim on a review
provided by an information content provider other than Defendant Google—thus fulfilling the
third factor required under Kimzey. See also id. at 1265 (observing that a claim “asserting that
[an interactive computer service provider is] liable in its well-known capacity as the passive host
of a forum for user reviews [is] a claim without any hope under [Ninth Circuit] precedent[]”).
Accordingly, Plaintiff’s defamation claim against Defendant Google satisfies the Ninth Circuit’s
three-factor test and Defendant Google is immune under Section 230 of the CDA.
To the extent that Plaintiff relies on Defendant Google’s refusal to remove Defendant Keown’s review in pursuing his defamation claim, ECF 1-1 at ¶ 11–17; ECF 9 at 4, this Court also holds that Defendant Google is immunized under the CDA for this decision. Roommates.com, 521 F.3d at 1170–71 (“[A]ny activity that can be boiled down to deciding whether to exclude material that third parties seek to post online is perforce immune under Case 3:22-cv-01271-IM Document 11 Filed 01/30/23 Page 6 of 7PAGE 7 – OPINION AND ORDER section 230.”); see also Barnes, 570 F.3d at 1105. Accordingly, Defendant Google’s Motion to Dismiss, ECF 8, is GRANTED.>>

Renzi v. Travaglio: altra decisione civile fiorentina in tema di diffamazione

Dopo quella di agosto u.s. (v. mio post 24 agosto 2022),  Trib. Firenze interviene ancora sul tema con sentenza n° 316/2023, RG 7918/2020, rel. Zanda.

Il fatto storico:

<<Dalla stessa narrativa del fatto, emerge che la presunta diffamazione deriva non già dall’intervista, ovvero dalle parole proferite da Marco travaglio a Tagadà ma indirettamente dal fatto che dietro la sua persona si trovasse una libreria con libri e oggetti vari tra cui degli oggetti assuntivamente tali da incidere negativamente sulla reputazione dl politico Matteo Renzi.
La diffamazione dunque si sarebbe attuata in forma mediata non attraverso le parole dell’intervistato, in primo piano, ma attraverso la valenza comunicativa degli oggetti posti in secondo piano e che stavano alle sue spalle, e in particolare un rotolo di carta igienica con il volto dell’attore sul lembo mobile e due disegni ritraenti un segnale di pericolo e un escremento e separata un’immagine dell’attore>>

La domanda risarcitoria di Renzi è rigettata, trattandosi di critica politica lecita, anche come satira.

Poi:

<<Guardando il video dell’intervista, non emerge invero il detto carattere diffamatorio in quanto in primo piano si trova il giornalista Travaglio che parla e quindi lo spettatore è portato a concentrarsi sulle sue parole e poco sugli oggetti della libreria; quindi non si può affermare che sia più probabile che non, il fatto che i telespettatori avessero notato quei piccoli dettagli alle spalle dell’intervistato; non si vede nemmeno bene che si tratti di un rotolo di carta igienica, e comunque l’immagine dell’attore non è percepibile perché troppo piccola o coperta dal capo dell’intervistato o sgranata dal fatto di essere in secondo piano, spesso ripreso da lontano; l’accostamento al rotolo della carta igienica di un personaggio politico è poi effettivamente diffusa sui rotoli che vengono venduti su Ebay e Amazon che ritraggono scherzosamente anche altri personaggi della politica nazionale e internazional>>

Sul tema centrale (satira):

<<Come ribadisce la Corte di Giustizia a commento dell’art. 11 della CEDU la satira (in questo caso riferibile anche a un terzo estraneo al giudizio) è espressione di libertà democratica e un uomo politico deve sempre tollerarla indipendentemente dal contesto di critica politica, mettendo in conto di essere sottoposto a caricature, accostamenti ridicolizzanti anche privi di significati politici ben precisi.
La satira ai politici è l’anima della democrazia perché solo nei regimi totalitari la satira è vietata e gli uomini politici non possono essere rappresentati in forma satirica caricaturale e ridicolizzante.
Si veda l’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dei cittadini dell’unione europea e il controllo della Corte di Giustizia sul rispetto da parte degli stati aderenti, sul tema della libertà di espressione, affinchè non si vadano a creare ostacoli alle libertà fondamentali previste dal Trattato dell’Unione, tra cui la libertà di espressione e il pluralismo di media.
Come afferma la sentenza corte di giustizia nella nota sentenza 7.12.76 Handyside la corte di Strasburgo ha qualificato la libertà di espressione come la “precondizione” per l’esercizio e il godimento di tutti gli altri diritti, fondamentali, ed è sia un diritto fondamentale, sia lo strumento di tenuta delle libertà fondamentali degli stati democratici sicchè si può affermare che il livello di democrazia effettiva di uno stato si può valutare dalla maggiore o minore estensione della libertà di espressione e massimamente dalla satira politica.
Dunque seppure si volesse intendere che in un’intervista televisiva si possa prescindere dalle parole dell’intervistato per dare valore, invece, agli oggetti posti in secondo piano e alla loro valenza comunicativa e seppure si volesse vietare la possibilità di farsi riprendere con vignette o immagini caricaturali di personaggi politici anche accostati alla carta igienica o ritratti sulla carta igienica, resta comunque il fatto che un personaggio politico in uno stato democratico deve tollerare immagini satiriche della sua persona e del suo volto, anche impresse su gadget come quello di causa, perché solamente in un regime totalitario è vietato criticare o ridicolizzare un personaggio politico. Si noti, infatti, che la corte di cassazione italiana nega che alla satira possa applicarsi il limite della continenza per sua natura esclusa dalla satira che è eccessiva graffiante e smodata.
Quanto alle sentenze che se da un lato negano la necessità della continenza per il messaggio satirico dall’altro, tuttavia, richiedono la funzionalizzazione della satira ad un messaggio politico si rileva che in realtà la satira potrebbe tradursi esclusivamente nella messa alla berlina dl personaggio pubblico, anche senza un sottostante messaggio politico, ovvero il vignettista o il satirico potrebbe anche non avere alcun messaggio politico da proporre, potrebbe anche essere un soggetto “a-politico” ed essere comunque libero di ridicolizzare e mettere alla berlina un personaggio pubblico, anche al di fuori di un ben preciso accadimento storico e di un fatto politico, perché non risulta alcun elemento normativo che suggerisca che la libertà di satira e di espressione debbano necessariamente veicolare un messaggio politico o una critica politica per essere “giustificabili”; anzi la mera rappresentazione del volto dei politici deformati, con caricature somatiche è sempre stata ritenuta legittima proprio come espressione di satira, avulsa da messaggi o contenuti politici tecnicamente intesi, detta proprio satira politica solo per l’oggetto, ossia per i personaggi politici che ne formavano l’oggetto.
Altrimenti si dovrebbe dire che la satira si possa ammettere solo se il personaggio politico viene rappresentato nell’atto di compiere un’azione politica, o in collegamento con un episodio politico di attualità ben preciso, il che non è.>>

Subito dopo:

<<In ogni caso, nel caso in oggetto non ci sono né parole, né immagini riferibili direttamente a Marco Travaglio, come accadrebbe se si trattasse di una sua vignetta, soggetto al quale possa ricondursi il carattere presuntivamente diffamatorio dell’immagine dell’attore impressa, ed è emersa la prova che la presenza di piccoli oggetti nemmeno evidenti alle sue spalle, non solo non era mediamente percepibile da uno spettatore medio, ma non è risultata nemmeno voluta dal convenuto, che si trovava lì per l’eccezionalità dell’intervista nella fascia oraria pomeridiana invece che tardo pomeridiana allorquando la sala a ciò dedicata risultava occupata..
In ogni caso lo spettatore attento che avesse avuto modo di accorgersi di quelle piccole immagini alle spalle del convenuto, e dunque in secondo piano, in mezzo per giunta a tanti altri oggetti, avrebbe avuto casomai, secondo l’id quod plerumque accidit, una semplice reazione di mera ilarità, ma non si sarebbe certamente fatto alcuna idea peggiorativa o anche solo diversa della reputazione dell’attore, rispetto a quella che aveva prima dell’intervista di Travaglio su Tagadà, perché si sarebbe reso contestualmente conto del carattere satirico delle immagini, tale da non incidere negativamente sulla reputazione dell’attore; si ritiene quindi difetti anche la prova dell’an di danno, che difatti non è stato nemmeno allegato. A questi argomenti si aggiunge che la valutazione dell’equilibrio tra libertà di espressione e reputazione dell’uomo pubblico al potere, spetta in ultima analisi alla suprema corte di giustizia che applica l’art. 10 della convenzione, per cui diviene rilevante la disamina delle pronunce della Corte sull’art. 10 Convenzione; ebbene in un caso esaminato dalla Corte di Giustizia, sentenza del 10.10.2022, i politici furono messi alla berlina in modo molto più eclatante e per giunta utilizzando internet con portata diffusiva maggiore; in particolare i politici al potere erano raffigurati come l’asino dai capelli bianchi che indossava un abito e la scrofa con i capelli biondi che indossava calze di pizzo, reggicalze e tacchi alti, circondati da maiali; tutti brandivano spade e bandiere.>>

Parametri:

<<In questo contesto, i criteri pertinenti da prendere in considerazione sono il contributo a un dibattito di interesse generale, la notorietà della persona interessata, l’oggetto del servizio giornalistico, il comportamento precedente della persona interessata, il contenuto, la forma e le ripercussioni della pubblicazione, nonché, se del caso, le circostanze in cui sono state scattate le fotografie.>>

Condanna per abuso del processo ex art. 96.3 cpc pari al doppio delle spese di lite liquidate (nonostante i precedenti siano per il triplo, ivi citt.) così motivato:

<<Alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia i cui principi il giudice interno deve applicare in rapporto ai diritti fondamentali dei cittadini dell’Unione, compatibili con la parte rigida e i diritti fondamentali riconosciuti dalle Costituzioni interne europee, e considerata l’inoffensività del fatto come emerge oggettivamente proprio dal video e persino la incolpevolezza del fatto, come emerge dalle dichiarazioni della teste escussa, considerato infine che il danno da diffamazione è tabellato nelle tabelle di Milano e giunge al massimo ad euro 50.000,00 che può essere incrementato con ragionevolezza in rapporto a specifiche circostanze, senza comunque mai poter giungere ad un importo siffatto; considerato che stando alle decisione dell’unione europea l’essere un personaggio pubblico lungi dal poter determinare 500 mila euro di danno, è, caso mai, criterio di valutazione della insussistenza del fatto, e ciò per la maggiore tolleranza che si richiede al personaggio al potere; ebbene tutto ciò considerato si ritiene sussistano le condizioni dell’abuso del processo, con conseguente applicazione dell’art. 96 comma 3 c.p.c., liquidando al giornalista Marco Travaglio e a carico di Renzi Matteo, il triplo delle spese legali liquidate, giusta cass. sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8943 del 18/03/2022 conforme a cass. sez. 6 – 2, Ordinanza n. 21570 del 30/11/2012 (….).

Cionondimeno poiché qui le spese ammontano ad euro 21 mila calcolate sulla base dell’importo del tutto eccessivo della domanda rigettata, si liquida l’indennizzo al doppio delle spese legali liquidate.>>

La parte in rosso è la più interessante e non è scontata. La satira non deve affatto ripercorrere tutto il o parte del messaggio politico del soggetto satireggiato: la critica del potere, alla base della democraticità, può essere libera.

Da approfondire pure quella in verde , inerente al vincolo europeo sulla disciplina dei diritti fondamentali

Sulla satura v. ora Jacopo Menghini,  Libertà di satira, una sfida per i social media, in  forumcostituzionale.it, 2022-4.

Responsabilità del Registrar di domain names per l’uso illecito del dominio da parte del nuovo assegnatario? Si applica il safe harbour ex § 230 CDA?

L’appello del 9° circuito 3 febbrio 2023, No. 21-16182, Scotts Rigby v. Godaddy, sull’uso indebito del nome di dominio “scottrigsbyfoundation.org;” dato a un terzo e divenuto sito di giochi d’azzardo.

dal Summary iniziale:

<<When Rigsby and the Foundation failed to pay
GoDaddy, a domain name registrar, the renewal fee for
scottrigsbyfoundation.org, a third party registered the thenavailable domain name and used it for a gambling
information site. (…)
The panel held that Rigsby could not satisfy the “use in
commerce” requirement of the Lanham Act vis-à-vis
GoDaddy because the “use” in question was being carried
out by a third-party gambling site, not GoDaddy, and Rigsby
therefore did not state a claim under 15 U.S.C. § 1125(a). As
to the Lanham Act claim, the panel further held that Rigsby
could not overcome GoDaddy’s immunity under the
Anticybersquatting Consumer Protection Act, which limits
the secondary liability of domain name registrars and
registries for the act of registering a domain name. The
panel concluded that Rigsby did not plausibly allege that
GoDaddy registered, used, or trafficked in his domain name
with a bad faith intent to profit, nor did he plausibly allege
that GoDaddy’s alleged wrongful conduct surpassed mere
registration activity>>

E sorpttutto sul § 230 CDA , che protegge da molte domande:

<<The panel held that § 230 of the Communications
Decency Act, which immunizes providers of interactive
computer services against liability arising from content
created by third parties, shielded GoDaddy from liability for
Rigsby’s state-law claims for invasion of privacy, publicity,
trade libel, libel, and violations of Arizona’s Consumer
Fraud Act.

The panel held that immunity under § 230
applies when the provider is an interactive computer
services, the plaintiff is treating the entity as the publisher or
speaker, and the information is provided by another
information content provider.

Agreeing with other circuits,
the panel held that domain name registrars and website
hosting companies like GoDaddy fall under the definition of
an interactive computer service.

In addition, GoDaddy was
not a publisher of scottrigsbyfoundation.org, and it was not
acting as an information content provider.>>

La registrazione abusiva di telefonata può provare l’infedeltà matrimoniale: intorno al concetto di “prova illecita”

Di un certo itneresse Appello Reggio Calabria 11.05.2022, RG 760/2019, sent. n° 345/2022.

Il figlio aveva lasciato il suo cell. acceso nell’auto della madre, presumendo che avrebbe incontrato un amante e di poterla quindi registrare. Così fu.

Il padre utilizzo tale registrzione producendola come CD nel processo di dovorzio e trascrivendone il contenuto nell’atto introduttivo.

Particolarità processuale: aveva ritirato il fascicolo diparte (col  CD) in udienza di precisazione  delle concluisioni, per restituirlo solo dopo il termine per le conclusionali.

I problemi son due:

i) se tale registrazione è lecita o illecita;

ii) nel secondo caso, se sia producibile/utilizzabile nel giudizio divile.

Vecchi temi quello delle prove illecite e delle prove atipiche nel processo civile (scritti importanti di Ricci ed oggi di Passanante). Un tempo illecite  erano spt. i documenti rubati, oggi i documenti informatici violanti la privacy.

La Corte ritiene utilizzabile tale prova come prova atipica, mancando una norma che ne sancisca l’inutilizzabilità come nel c.p.p.

<<Intanto, può escludersi che la condotta in questione abbia determinato la commissione di un reato, non ricorrendo, in particolare, tutti gli elementi costitutivi delle fattispecie di cui agli artt. 615 bis e 617 c.p..
In ogni caso, è opinione della Corte che anche la ravvisabile violazione della sfera di riservatezza altrui non impedisca l’acquisizione e la valutazione della prova nel presente procedimento.
L’ordinamento processuale civile, infatti, non prevede alcuna norma che, come l’art. 191 c.p.p. nell’ordinamento penale, sanzioni l’inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge.
Esso è, invece, governato dai principi della atipicità della prova e del libero convincimento del giudice, in virtù dei quali, in assenza di divieti di legge, quest’ultimo può formare il proprio convincimento anche, per esempio, in base a prove atipiche, come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento,
relative all’ammissione e all’assunzione della prova (ex plurimis, cfr. Cass. Civ., sez. I, n. 25067/2018; sez. III, n. 13229/2015).
L’applicazione di eventuali sanzioni – anche di carattere procedurale – conseguenti a condotte poste in essere in violazione delle norme contenute negli altri ambiti ordinamentali è a tali sede riservata e non incide sulla libera apprezzabilità della prova in ambito civile.
Ciò premesso, nel caso in esame si è comunque in presenza di una registrazione fonografica, riconducibile al disposto dell’art. 2712 c.c..
La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che la registrazione su nastro magnetico di una conversazione può costituire fonte di prova, ex articolo 2712 del c.c., se colui contro il quale la registrazione è prodotta non contesti che la conversazione sia realmente avvenuta, né che abbia avuto il tenore risultante dal nastro; il “disconoscimento” che fa perdere alle riproduzioni la loro qualità di prova deve essere però chiaro, circostanziato ed esplicito, nel senso che deve concretizzarsi nell’allegazione di elementi che attestino la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta (ex plurimis: Cass. Civ., sez. II, n. 1220/2019; sez. II, n. 313/2019; sez. III, n. 1250/2018).
Nel caso in esame, nella memoria integrativa depositata dopo la costituzione in giudizio del marito, con la produzione della registrazione e della relativa trascrizione, la difesa della B. si è limitata ad affermare che le frasi riportate erano state pronunciate in un contesto burlesco tra amici, con espressioni forzate frutto di ironia, ed ha, solo in termini del tutto generici ed ipotetici, dedotto la necessità di opportuni riscontri e verifiche.
Solo, tardivamente, nella comparsa ex art. 183, comma VI, n. 3, c.p.c. la stessa difesa ha, in termini peraltro altrettanto generici, evidenziato la necessità della “esibizione” in giudizio dello smartphone utilizzato per la registrazione, al fine di “correlare” il compact disk con questo.
Va detto, ancora, che, rendendo l’interrogatorio formale deferitole, la stessa B____ ha espressamente riconosciuto la propria voce ed ammesso di aver parlato con un uomo di nome Angelo (“Ho ascoltato la registrazione prodotta in atti su c.d., riconosco la mia voce e riconosco di aver fatto più telefonate in quella circostanza…Riconosco che ho anche parlato con un uomo di nome Angelo”).
Infine, occorre evidenziare che il supporto contenente la registrazione, ritirato insieme al fascicolo di parte all’atto della assegnazione della causa a sentenza, è stato prodotto nuovamente in sede di giudizio di impugnazione, come pacificamente consentito (ex plurimis: Cass. Civ., sez. VI, n. 29309/2017; sez. III, n. 28462/2013; sez. II, n. 3466/1982).
Peraltro, e per inciso, correttamente il primo Giudice aveva utilizzato la trascrizione della conversazione riportata nella comparsa di risposta del resistente e, come visto, di fatto non contestata.
Ciò posto, le valutazioni compiute in sentenza circa la rilevanza causale della violazione dell’obbligo di fedeltà da parte della odierna appellante – chiaramente evincibile dal colloquio telefonico intrattenuto dalla B____  con un uomo di nome Angelo – appaiono pienamente condivisibili.
E’ vero, infatti, che nella memoria integrativa la ricorrente non ha contestato la circostanza del repentino mutamento di abitudini di vita a partire dal mese di giugno 2013 e, soprattutto, non ha adeguatamente allegato, né tanto meno provato che la crisi della coppia fosse preesistente e legata alla violazione dei doveri coniugali da parte del marito, del tutto generiche e non ricollegate a comportamenti ed eventi concreti risultando le relative deduzioni.
Il tenore della conversazione registrata il 27 febbraio 2014 lascia invece intendere, come sottolineato in sentenza, l’esistenza di un rapporto e di una consuetudine risalenti fra la B____ ed il suo interlocutore, con cui peraltro la donna parlava del Bar R____  proprio il luogo che, a partire dall’estate precedente, aveva preso a frequentare con assiduità nelle ore notturne (si rimanda ai brani riportati in sentenza)>>.

Manca però ogni accesso all’inquadramento tramite il GDPR , spt. trmite l’art. 9.1.lett. f) , secondo cui non applica il divieto di trattamento se <<il trattamento è necessario per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali;>>.

Se vale per i dati biometrici , tale eccezione varrà anche per i dati meno “delicati”.

Creatività di opera digitale

Cass. 16.01.2023 n° 1.107, sez. 1, rel. Scotti,. sull’argomento.

Poche le consiedraizoni realmente interessanti, ripetendosi tralatici giudizi sulla creatività:

<<4.3. Nel caso di specie la Corte di appello è partita dall’esatta premessa, conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale in tema di diritto d’autore il concetto giuridico di creatività, cui fa riferimento la L. n. 633 del 1941, art. 1 non coincide con quello di creazione, originalità e novità assoluta, ma si riferisce, per converso, alla personale e individuale espressione di un’oggettività appartenente alle categorie elencate, in via esemplificativa, nell’art. 1 della legge citata, di modo che un’opera dell’ingegno riceva protezione a condizione che sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppur minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore.

Di conseguenza la creatività non può essere esclusa soltanto perché l’opera consiste in idee e nozioni semplici, ricomprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia; inoltre, la creatività non è costituita dall’idea in sé, ma dalla forma della sua espressione, ovvero dalla sua soggettività, di modo che la stessa idea può essere alla base di diverse opere, che sono o possono essere diverse per la creatività soggettiva che ciascuno degli autori spende e che, in quanto tale, rileva ai fini della protezione (Sez. 1, n. 25173 del 28.11.2011; Sez. 1, n. 21172 del 13.10.2011; Sez. 1, n. 20925 del 27.10.2005)>>.

Interessante è semmai il giudizio sul perchè la sentenza non sia apparente/carente , ma sufficientemente motivata: compito difficile su un concetto vago come quello di creativirtà. Ecco :

<<4.4. Nella fattispecie, la Corte di appello ha osservato che l’opera è creativa allorché esprime una idea originale, proveniente solo dall’ispirazione del suo autore e ha confermato la valutazione espressa dal giudice di primo grado, sostenendo che l’immagine non era una semplice riproduzione di un fiore, ma ne comportava una vera e propria rielaborazione, perciò meritevole di tutela autorale per il suo carattere creativo (pag.11, primo periodo).

La Corte di appello, poi, ha rafforzato tale valutazione, dando conto dell’ampia valorizzazione impressa all’opera da parte della stessa RAI in occasione della presentazione della manifestazione alla stampa periodica, volta a porre in risalto il fiore e la sua valenza simbolica facendolo campeggiare sul palco spoglio, invece tradizionalmente addobbato con vere decorazioni floreali. Ha infine considerato quale ulteriore indizio confirmativo il grado di notorietà raggiunto dall’opera sul web, dando conto di visualizzazioni, preferenze e commenti.

4.5. La motivazione è pertanto esistente e non meramente apparente e rende ragione del percorso seguito dai giudici genovesi: l’opera non è una semplice riproduzione di un fiore ma una sua rielaborazione; la stessa RAI l’ha implicitamente riconosciuto, valorizzandola in modo accentuato come simbolo della manifestazione; gli utenti hanno reagito positivamente con acquisizione di un buon grado di notorietà.>>

Inrterssante, infine, è l’apertura verso la creatività di opera frutto di software (intellegenza artificiale?):

<<5.1. La RAI si duole del fatto che la Corte di appello abbia erroneamente qualificato come opera dell’ingegno una immagine generata da un software e non attribuibile a una idea creativa della sua supposta autrice.

La ricorrente sostiene che l’opera dell’arch. B. è una immagine digitale, a soggetto floreale, a figura c.d. “frattale”, ossia caratterizzata da autosimilarità, ovvero da ripetizione delle sue forme su scale di grandezza diverse ed è stata elaborata da un software, che ne ha elaborato forma, colori e dettagli tramite algoritmi matematici; la pretesa autrice avrebbe solamente scelto un algoritmo da applicare e approvato a posteriori il risultato generato dal computer.

(…) 5.3. La questione è nuova perché non risulta trattata nella sentenza impugnata e la stessa ricorrente non indica quando e come l’avrebbe sottoposta al giudice di primo grado e a quello di appello.

Non è certamente sufficiente a tal fine l’ammissione della controparte di aver utilizzato un software per generare l’immagine, circostanza questa che, come ammette la stessa ricorrente, è pur sempre compatibile con l’elaborazione di un’opera dell’ingegno con un tasso di creatività che andrebbe solo scrutinato con maggior rigore (cfr ricorso, pag.17), se, com’e’ avvenuto nel caso concreto, la RAI non ha chiesto ai giudici di merito il rigetto della domanda per quella ragione.

E infatti si sarebbe reso necessario un accertamento di fatto per verificare se e in qual misura l’utilizzo dello strumento avesse assorbito l’elaborazione creativa dell’artista che se ne era avvalsa.>>

La Sc ribadisce cjhe il giuidizi odi creatività è di fatti e no di diriutto, , § 4.6. Il che però non è esatto.

Domanda di marchio in mala fede perchè mirante a sottrarre il segno alla massa attiva, gestita dalla Procedura di Insolvenza

interessante caso deciso da Trib. UE 10.01.2023, T-528/21, Neratax ltd v. EUIPO + altri .

In pratica il successivo retgistrante era d’accordo col primo registrante , il quale era caduto in insolvenza e aveva permesso la registrazione e poi lasciando decadere il proprio diritto.

Agiscono in gudizio, per fare valere la malafede del deposito, alcuni creditori della società insolvente (tipo la ns. surrogatoria ex 2900 cc ?’).

Il Trib. conferma le decisioni amminsitrative e ravvisa mala fede nel deposito.

Ratione temporis applica il reg. 207/2009, art. 51.1.b.

<< 49   In that regard, the Board of Appeal, after setting out the chronology of events, found that it had been shown that the filings of the contested marks were a key part of a coordinated strategy, between the applicant and Krentin, to remove earlier national marks of some value from the assets of Krentin while ensuring that they were registered by means of equivalent EU trade marks covering the same goods. The Board of Appeal took the view that, consequently, the contested marks had been filed with the aim of undermining the interests of third parties and not with the aim of supplying the goods concerned to the European market in a climate of fair competition, as the applicant submits.

50      As has been pointed out in paragraph 42 above, it is apparent from the case-law that bad faith can be characterised by, inter alia, the intention of obtaining an exclusive right for purposes other than those falling within the functions of a trade mark, in particular the essential function of indicating origin. In the present case, it is apparent from the chronology set out in paragraphs 2 to 18 above that the applicant, first of all, filed the contested marks, which were registered without opposition on the part of Krentin, which was the proprietor of the earlier national marks, and then granted licences in respect of them to Krentin or companies which had close links with Krentin. Thereafter, around two months before it applied to be declared insolvent, Krentin surrendered its rights in the earlier national marks which were equivalent to the contested marks. That had the result of preventing the intellectual property rights conferred by the earlier national marks from forming part of Krentin’s assets although control over them was retained after they had been turned into equivalent EU trade marks.

51      In that regard, the applicant does not provide any plausible explanation regarding the commercial logic underlying the applications for registration of the contested marks. Moreover, it has not adduced any evidence to prove that it actually supplied the goods covered by the contested marks to the European market or even carried out an actual commercial activity other than owning the contested marks and granting them by means of licences to the company which was the proprietor of the earlier national marks or to companies which had close links with that company. It must be stated that the applicant has confined itself to repeating the arguments which it had already submitted before the Board of Appeal, by claiming that it was founded for the purpose of supplying those goods to the European market beginning with Germany and Cyprus. Consequently, and as the Board of Appeal correctly pointed out in the contested decisions, there is no conceivable reason other than that set out in paragraph 50 above for a company like Krentin to agree to having licences granted to itself, over EU trademarks which are equivalent to national marks of which it is the proprietor, and to surrendering its marks afterwards.   The applicant’s intention was not therefore that of supplying the goods concerned to the European market as it claims, but that of removing intellectual property rights from Krentin’s assets, as was correctly explained in the contested decision.

52      Furthermore, the contradictions in the applicant’s arguments, which were pointed out by the Board of Appeal, only bear out the existence of a dishonest intention. In that regard, the Board of Appeal pointed out that the applicant had explained, during the proceedings before the Cancellation Division, that there was contact between itself and Krentin only after the applications for registration of the contested marks had been filed. However, as is apparent from paragraph 28 of the application, and as EUIPO has correctly pointed out, the applicant nevertheless claims that it reached an agreement with all the parties involved (Krentin, CREDIN Denmark, Bertzeletos SA and Mr Théodore Bertzeletos) in 2014, before it filed the applications for registration of the contested marks. It must be stated that the applicant has in no way provided any explanations regarding that contradiction.

53      Consequently, the Board of Appeal was right in finding that the applicant had filed the contested marks with the aim of undermining the interests of third parties and not with the aim of supplying the goods concerned to the European market in a climate of fair competition>>.

Lecita riprodizione dell’immagine altruji su qutodiano in occasione di pubblico evento

Cass. sez. III del 25/01/2023 n. 2.304, rel. Dell’Utri, sul tema.

Non ci sono elaborazioni particolari.

Mi pare dubbio assai un paio di passaggi.

1°  <<vale peraltro rilevare come la questione di fatto posta ad oggetto dell’odierno censura attenga ad un aspetto del tutto marginale della vicenda in esame, apparendo del tutto evidente che il profilo di consenso rilevante, ai fini della legittimazione alla diffusione dell’immagine, non deve tanto riguardare lo scatto della fotografia in sé, bensì la diffusione della stessa su un organo di stampa, apparendo, conseguentemente, del tutto irrilevante la circostanza che le persone ritratte abbiano manifestato la propria disponibilità ‘ad essere fotografate’, ben potendo conservare la propria volontà contraria alla diffusione di tale fotografie su un organo ad ampia diffusione come un giornale quotidiano: questione, quest’ultima, rimasta del tutto estranea ai termini dell’odierna censura;>>.

Non si chiede la SC se il consenso alla foto comprendesse (tacitamente magari, cioè alla luce delle circostanze) anche quello alla successiva diffusione via stampa (perchè mai, potrebbe taluno pensare,  una persona si fa fotografare magari da un fotografo professionsta del quotidiano? Andava approfondito il fatto).

2°  <<peraltro, in tema di autorizzazione dell’interessato alla pubblicazione della propria immagine, le ipotesi previste dalla L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 97, comma 2, ricorrendo le quali l’immagine può essere riprodotta senza il consenso della persona ritratta, sono giustificate dall’interesse pubblico all’informazione, determinando una pretesa risarcitoria solo se da tale evento derivi pregiudizio all’onore o al decoro della medesima.>.

L’art. 97.2 cit. dice “non può essere esposto o messo in commercio>>: per cui non c’è solo il diritto al risarcimento, ma anche quello di vietare l’esposizione (tutela reale, non solo obbligatoria).

Sulla rivedibilità del giudicato portato dal decreto ingiuntivo, se non ha esaminato l’abusività di clausola a danno del consumatore

Il noto intervento della Corte di giustiza sul tema (che sconvolge l’ordinamento processuale per il quale il giudicato non è più rivedibile) viene applicato (per la prima volta, a quanto mi consta) dall’ interessante ragionamento condotto da a Trib. Milano 17.01.2023 n° 298/2023, RG 12984/2020, g.u. Ilaria Gentile.

<<Orbene, alla luce dei principi posti dalla CGUE nelle citate quattro sentenze gemelle, il Giudice qui adito è tuttavia chiamato a verificare, emergendo ex actis l’esistenza di una clausola che appare abusiva in contratto concluso con consumatore, anche a fronte della sollecitazione pervenuta dal consumatore, se il provvedimento giurisdizionale in tesi passato in giudicato contenga una motivazione -anche sommaria- da cui si ricavi che il Giudice del monitorio abbia considerato: se GIANNI era un consumatore, se nel contratto (lettera di impegno del 1.12.2016) posto a fondamento dell’ingiunzione contro GIANNI erano presenti clausole potenzialmente vessatorie ai sensi degli artt. 33 e ss d. lgs 6.09.2005 n. 206, Codice del consumo e, in caso positivo, se ne abbia escluso la vessatorietà con motivazione, anche sommaria, avvisando il consumatore ingiunto che tali clausole erano state valutate come non abusive e che il consumatore sarebbe decaduto definitivamente dal poterne far valere l’abusività se non si fosse opposto nel termine di 40 giorni.
Tanto si ricava in particolare dalla sentenza CGUE del 17.05.2022 C-600/19, Ibercaja Banco.
In altre parole, secondo l’insegnamento delle citate sentenze gemelle della CGUE, immediatamente applicabile al diritto nazionale ai rapporti non esauriti, le norme nazionali che prevedono l’intangibilità del giudicato di cui a decreto ingiuntivo non rempestivamente opposto (art. 2909 cc e 647 cpc), in relazione a decreto ingiuntivo privo di espressa motivazione sulla non abusività delle clausole contenute nei contratti posti a fondamento della decisione, contrastano con gli artt. 6 e 7 dir. 93/12/CEE e art. 47 Carta, atteso che a mente dell’art. 6 della direttiva le clausole abusive non sono opponibili al consumatore e a mente dell’art. 7 l’ordinamento nazionale deve fornire mezzi adeguati e efficaci per farne cessare l’inserzione nei contratti e le norme processuali nazionali per l’esame del carattere abusivo delle clausole non devono essere tali da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto europeo (pricipio di effettività).
Sembra insomma al Giudice che i principi posti dalla CGUE nelle citate sentenze gemelle impongano a ben vedere una revisione della consolidata giurisrudenza nazionale, sopra citata, in materia di giudicato implicito, atteso che il giudicato implicito concernente la validità di clausole abusive in contratti con consumatori -alla luce delle sentenze CGUE del 17.05.2022- non può più considerarsi realmente stabile, essendo soggetto, a condizione che il consumatore non sia completamente inerte, a possibile revisione da parte di altro giudice.
Difatti, in applicazione dei principi posti dalla CGUE nelel citate quattro sentenze gemelle, a condizione che il consumatore non sia rimasto completamente inerte, il Giudice che sia investito dell’esecuzione del provvedimento giurisdizionale o dell’impugnazione, deve poter essere in grado di rilevare d’ufficio l’abusività di quelle clausole non espressamente esaminate dal precedente giudice, anche se ciò comporti la disapplicazione delle nrme processuali interne che ostano a tale controllo, perché si tratta di norme processuali che rendono impossibile la tutela giurisdizionale dei diritti conferiti dal diritto europeo al consumatore.
A ben vedere, secondo l’insegnamento della Corte di Lussemburgo, non è affatto sufficiente a ritenere riconosciuta una tutela effettiva al consumatore, che la verifica della validità delle clausole abusive sia presumibile nel decreto ingiuntivo passato in giudicato, ancorchè non esplicitata in sommaria motivazione, in quanto passaggio logico necessario per la decisione del giudice, ma occorre che sia una verifica effettiva, cioè realmente avvenuta, e quindi esternata in una motivazione del provvedimento, ancorchè sommaria.
Orbene, nel caso qui in esame, si deve accertare che il decreto ingiuntivo n. 25123/2019 non contiene alcuna motivazione sulla validità o meno della clausola di deroga della competenza contenuta nella scrittura cd “lettera di impegno” del 1^.12.2016, posta a fondamento della pretesa ingiuntiva, nonostante tale clausola sia in plateale violazione dell’art. 33 co. 2 lett. u) Codice del consumo, men che meno il decreto contiene una motivazione in ordine alla natura di consumatore di GIANNI e in ordine alla sussistenza della competenza per territorio del Tribunale di Milano con riferimento al consumatore ingiunto.
Di conseguenza, alla luce dei principi posti dalla CGUE nelle citate sentenze del 17.05.2022, discende che questo Giudice, innanzi al quale il consumatore ha evidenziato per la prima volta l’abusività della clausola di deroga della competenza e l’incompetenza per territorio del Tribunale di Milano in relazione al foro del consumatore deve esaminare nel merito tale difesa, in quanto mai prima d’ora espressamente esaminata e decisa in un provvedimento giurisdizionale.>>

E poi:

<<Si aggiunge, per chiarezza, che da un lato si reputa che non compete certamente a questo Giudice -a fronte dello jus superveniens costituito dalle sentenze del 17.05.2022- stabilire dal punto di vista sistematico quale possa essere il rimedio giurisdizionale più adeguato (tra quelli esistenti e semmai adattabili con interpretazione adeguatrice, ad es. actio nullitatis, opposizione tardiva, revocazione, ecc) ad attuare i principi posti dalle citate sentenze, atteso che tanto spetta semmai alla Corte di legittimità in sede nomofilattica, ovvero alla Dottrina o anche al Legislatore, che potrebbe addirittura normare un rimedio ad hoc. Dall’altro lato, però, si reputa che non è certamente possibile per questo Giudice dismettere la disamina del rilievo di ufficio e della sollecitazione della consumatrice in questa causa, assumendo che tanto spetterebbe ad altro Giudice (ad es. al Giudice dell’esecuzione) in forza di altro specifico rimedio: infatti si osserva che il diniego della disamina, qui e ora, della possibile abusività della clausola per ragioni di rito, si tradurrebbe nell’imporre al consumatore di dare corso ad altro rimedio e promuovere altro giudizio e, a ben vedere, tradirebbe integralmente l’insegnamento principale della Corte di Lussemburgo, la quale ha ripetuto in tante sentenze, che “non appena” (ex multis: sentenza CGUE del 4.06.2020 C-495/19, Kancelaria Medius, punto 37) emerge ex actis la presenza di una clausola possibilmente abusiva in contratto con i consumatori, il giudice euro-unitario, se non vi è stata una statuizione espressa sul punto di altro giudice e se il consumatore non è stato totalmente inerte, deve immediatamente esaminare nel merito tale questione.>>

Sicchè:

<<Da tanto discende, a mente dell’art. 33 co. 2 lett. u) Codice del consumo, che la clausola derogativa della competenza, contenuta nella lettera di impegno assuntivo della garanzia, datata 1^.12.2016, del seguente tenore: “In caso di controversia è competente unicamente il Foro di Milano” (doc. 9 fasc. monitorio), è nulla ed inopponibile alla consumatrice GIANNI.>>

Conclusioni:

<<In conclusione, l’opposizione svolta da GIANNI è tardiva e improcedibile.
Il decreto ingiuntivo opposto, tuttavia, non contiene motivazione espressa sulla validità della clausola abusiva di deroga di competenza presente nella “lettera di impegno” del 1^.12.2016 dedotta in giudizio, né contiene l’avviso al consumatore sulla decadenza in cui incorre, in caso di mancata opposizione, nel far valere tale abusività: di conseguenza, considerati i principi posti dalla CGUE nelle sentenze gemelle del 17.05.2022 (la sentenza resa nelle cause C-693/19 e C-831/19 concerne proprio l’incompatibilità con il diritto europeo degli artt. 647 cpc e 2909 cc nell’ipotesi di giudicato implicito su clausole abusive) spetta a questo Giudice, investito dal consumatore dell’eccezione di incompetenza per territorio e abusività della clausola derogativa di competenza, questioni anche rilevate di ufficio, esaminare nel merito tali questioni.
Nel merito, la clausola di deroga di competenza è effettivamente abusiva e, quindi, nulla, con conseguente incompetenza del Tribunale di Milano a conoscere della pretesa ingiuntiva contro GIANNI, per essere competente in via esclusiva il Tribunale di Trapani.
Il decreto ingiuntivo opposto, di conseguenza, è nullo limitatamente all’ingiunzione pronunciata contro GIANNI, per essere stato emesso da Giudice incompetente per territorio, con conseguente declaratoria come da dispositivo e assegnazione del termine per la riassunzione>>.

La disposizioni azionate dal giudice sono l’art. 6.1  e l’art. 7.1 della dir. 93/13.

La clausola dichiarata nulla afferiva alla competenza territoriale.

Risarcimento del danno, trasferimento dei profitti e restituzione dell’indebito: brevissime sui rimedi contro la contraffazione brevettuale (art.. 125 cod. propr. ind.)

Mero accenno a temi complessi in Cass. sez. 1 n_ 1692 del 19.01.2023, rel. Valentino D., in tema di risarcimento del danno da violazione brevettuale (a seguito di un lunghissimo processo: fatti del 1992/3 !!)

Premessa generale: <<In generale, è pur vero che questa Corte ha costantemente ribadito che la liquidazione in via equitativa è legittima solo a condizione che l’esistenza del danno sia comunque dimostrata, sulla scorta di elementi idonei a fornire parametri plausibili di quantificazione e che la liquidazione equitativa del danno presuppone l’esistenza di un danno risarcibile certo (e non meramente eventuale o ipotetico), nonché vi sia l’impossibilità, l’estrema o la particolare difficoltà di provarlo nel suo preciso ammontare in relazione al caso concreto (ex multis Cass., n. 5956 del 2022). Invero, il giudice che opta per tale valutazione deve adeguatamente dar conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito, restando, poi, inteso che al fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo, occorre che il giudice indichi, anche solo sommariamente e nell’ambito dell’ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti, per determinare l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al quantum (Cass., n. 12009/2022).

In particolare, però, in tema di lesione del diritto dell’inventore del brevetto questa Corte ha più ribadito che il danno va liquidato sempre tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto, vale a dire considerando il margine di profitto conseguito, deducendo i costi sostenuti dal ricavo totale. In particolare, in tale ambito, il criterio della “giusta royalty” o “royalty virtuale” segna solo il limite inferiore del risarcimento del danno liquidato in via equitativa che però non può essere utilizzato a fronte dell’indicazione, da parte del danneggiato, di ulteriori e diversi ragionevoli criteri equitativi, il tutto nell’obiettivo di una piena riparazione del pregiudizio risentito dal titolare del diritto di proprietà intellettuale (Cass., n. 5666/2021; Cass., n. 20236/2022).>>

Ricorda poi che <<Questa Corte (Cass., n. 4048 del 2016) aveva, già, affermato la regola iuris secondo cui, “in tema di valutazione equitativa del danno subito dal titolare del diritto di utilizzazione economica di un’opera dell’ingegno, non è precluso al giudice il potere dovere di commisurarlo, nell’apprezzamento delle circostanze del caso concreto, al beneficio tratto dall’attività vietata, assumendolo come utile criterio di riferimento del lucro cessante, segnatamente quando esso sia correlato al profitto del danneggiante, nel senso che questi abbia sfruttato a proprio favore occasioni di guadagno di pertinenza del danneggiato, sottraendole al medesimo”.>>

Principio di diritto per il giudice di rinvio:

“In tema di proprietà industriale, in caso di lesione del diritto dell’inventore al proprio brevetto, il danno accertato va liquidato tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto, vale a dire considerando il margine di profitto conseguito dal contraffattore, deducendo i costi sostenuti dal ricavo totale. In particolare, in tale ambito, il criterio della “giusta royalty” o “royalty virtuale” segna solo il limite inferiore del risarcimento del danno liquidato in via equitativa, che però non è sufficiente a dar conto del suo ammontare a fronte dell’indicazione, da parte del danneggiato, di ulteriori e diversi e ragionevoli criteri, per la sua liquidazione, allo scopo di giungere a una piena riparazione del pregiudizio risentito dal titolare del diritto di proprietà intellettuale”.

Sentenza non positiva, buttando qua e là senza spiegazione concetti complessi come risarcimento del danno, profitti del violatore e royalty ragionevole.

 Motivazione esiguissima se non inesistente , anche perchè quasi mero collage di propri precedenti senza speigazione del relatore.

L’eccezione ex art. 65 l. aut. comprende non solo la riproduzione in giornali o riviste ma anche in rassegne-stampa

Precisazioni utili sull’eccezione ex art. 65 l. aut. dalla sempre ottima penna del rel. Scotti della sez. 1 in Cass. 1.651 del 19.01.2023 (azione di accertamento negativo).

Ai fatti non si applica la dir. 790/2019 o meglio il d. lgs di attuazione (177/2021, art. 43 bis l. aut.), precisa la SC.

Al § 5 e § 11 p. 8 e p. 12/3  la ratio della’rt. 65 l. aut.

Al § 7 la SC conferma la natura eccezionale della facoltà ex art. 65. Però, nonostante l’art. 14 oprel.  vieti l’analogia legis,  è ammessa l’interpretazione estensiva (p.12).

eD ALLORA: <<La ratio dell’art.65, comma 1, l.d.a. va chiaramente colta nella
ritenuta meritevolezza di tutela, anche in base ai valori
costituzionali, della finalità informativa delle pubblicazioni (riviste e
giornali, anche radiotelevisivi) che godono dell’eccezione in una
prospettiva di amplificazione della risonanza dell’articolo di attualità
nell’interesse pubblico alla massima circolazione delle informazioni.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale13 di 19
Ed allora, non si scorge alcuna differenza apprezzabile, come
correttamente osservato dalla Corte romana, tra i giornali e le
riviste, da un lato, e le rassegne stampa, dall’altro, che sono
destinate a soddisfare una innegabile finalità informativa, pur
indubbiamente selettivamente appuntata su di uno specifico
interesse nutrito dal pubblico di riferimento.
Non si comprenderebbe quindi per quale ragione l’eccezione
avrebbe dovuto valere solo per una pubblicazione come un giornale
o una rivista, magari super-specialistica, e non già per una
rassegna compilativa, altrettanto specialistica o di nicchia.
La distinzione, posta in risalto dai ricorrenti, fra interesse pubblico
alla lettura di giornali e riviste e interesse privato alla lettura di
rassegne stampa, si rivela, ad attenta analisi, fuorviante: in
entrambi i casi vi è un interesse generale, collettivo e più ampio,
alla circolazione e alla diffusione delle informazioni, e un interesse
privato e particolare, che al primo si sovrappone, a soddisfare il
bisogno informativo di una collettività, un gruppo o un soggetto.
Il tutto, sullo sfondo e nell’inquadramento generale dell’espresso
riconoscimento della liceità dell’attività di redazione di rassegne
stampa mediante citazione di articoli di giornale, beninteso nel
rispetto delle regole di correttezza professionale, impresso dal
ricordato art.10 della Convenzione di Berna.
La finalità di lucro è ininfluente, in quanto non considerata nella
disposizione dell’art.65 l.d.a., ma solo nel secondo comma
dell’art.101 l.d.a. (su cui infra) e comune anche alla diffusione di
giornali e riviste>>.