Studio dell’EUIPO sull’utilizzo di intelligenza artificiale nell’enforcement di diritto diautore e design

Nel marzo 2022 stato pubblicato per conto dell’EUIPO lo <<Study on The Impact of Artificial Intelligence on the Infringement and Enforcement of Copyright and Designs>> (qui la pagina web che ne dà notizia e il link).

sia l’executive summary che le cobncluysionbs iundicatno i) opportunities, ii) drivers, iii) limitations and iv) concerns (es: Retroactive deconstruction of an algorithm may be required to assess the factors that influence a model’s predictions)

Opportunities: “Currently, the main areas of AI development are machine learning, natural language processing,
computer vision, expert systems, and explainable AI. Explainable AI is currently receiving increased
attention by experts and policy makers. Other technologies enhanced by AI, such as quantum
computing, blockchain, 3D printing, generative design, cloud services, and robotics also have great
potential. AI can identify and prioritise risks, instantly spot malware on a network, guide incident response, and detect intrusions before they occur. For example, machine learning stands out as a key
AI subfield that can be used to develop law enforcement tools such as the analysis of large amounts
of information to detect threats and identify social engineering bots, scanning of images to detect false
pages or illicit content, improving automatic content recognition (ACR) tools, and providing insights to
find infringement patterns”

Distintività del marchio e ruolo della commissione dei ricorsi

Il segno distintivo sub iudice era ” LA TUA PELLE MERITA DI ESSERE TRATTATA BENE”  per cosmetici e simili.

Il segno era stato rigettato in entrambi i gradi della sede amministrativa (UIBM e Commisisone dei ricorsi, art. 135 cpi).

Nè sortisce miglior esito in sede di legittimiutà  con Cass. sez. 1 n° 37.697 del 23.12.2022, rel. Reggiani.

Tre sono i punti di interesse: il ruolo della Commissione dei ricorsi, la registrabilità di uno slogan come mnarchio e il rapprto tra l’art. 7 e l’art. 13 cpi.

1°  PUNTO  :   “In materia di proprietà industriale, la Commissione dei ricorsi contro i provvedimenti dell’Ufficio Italiano Marchi e Brevetti (UIBM), prevista dal D.Lgs. n. 30 del 2005 art. 135, è un organo di giurisdizione speciale esclusiva di merito, che estende la sua cognizione a tutti i rapporti tra i richiedenti e l’UIBM che siano originati dall’attività amministrativa di tale Ufficio, e il suo operato non si risolve in un sindacato sulla legittimità degli atti contro cui è proposto ricorso, ma si sostanzia in una verifica della fondatezza delle richieste, afferenti a diritti soggettivi, che non sono state accolte dall’UIBM”, § 4.4.

Poco sopra a, § 4.3 aveva detto: <<in conclusione, la menzionata Commissione è un organo di giurisdizione speciale di merito, che estende la sua cognizione a tutti i rapporti tra richiedenti ed UIBM che abbiano origine dall’attività amministrativa dell’Ufficio. La Commissione, più che giudice dell’atto è giudice del rapporto, per cui la sua competenza resta modulata su tutto l’ambito in cui esercita funzione di controllo, essendo chiamata a verificare la pretesa del privato che è stata disconosciuta dall’UIBM>>.

2°  PUNTO  :  << 10.4. La giurisprudenza dell’Unione ha, peraltro, maturato un consolidato orientamento in ordine alla possibilità di registrare, come marchio, slogan pubblicitari, il quale si colloca in perfetta sintonia con gli argomenti appena evidenziati.

Con riferimento a marchi composti da segni o indicazioni che sono utilizzati quali slogan commerciali, indicazioni di qualità o espressioni incitanti ad acquistare i prodotti o i servizi cui detto marchio si riferisce, la registrazione non è esclusa in ragione di una siffatta utilizzazione (Corte di giustizia, 4 ottobre 2001, C-517/99, punto 40; Corte di giustizia UE, 21 ottobre 2004, C-64/02, punto 41; Corte di giustizia UE, 6 luglio 2017, C-139/16, punto 28), ma, si precisa, devono essere utilizzati gli stessi criteri selettivi utilizzati per altri tipi di segni (Corte di giustizia UE, 6 luglio 2017, C-139/16, punto 28).

La registrazione di un marchio non può, dunque, essere esclusa a causa del suo uso elogiativo o pubblicitario, ma il segno deve, comunque, essere percepito dal pubblico di riferimento come un’indicazione dell’origine commerciale dei prodotti e dei servizi da esso designati.

La connotazione elogiativa di un marchio denominativo non esclude che quest’ultimo sia comunque adatto a garantire ai consumatori la provenienza dei prodotti o dei servizi da esso designati. Un siffatto marchio può contemporaneamente essere percepito dal pubblico di riferimento come una formula promozionale e come un’indicazione dell’origine commerciale dei prodotti o dei servizi (Corte di giustizia UE, 6 luglio 2017, C139/16, punto 29).

Ciò comporta che la sola qualificazione di un messaggio come slogan pubblicitario non comporta automaticamente che abbia anche quel carattere distintivo, proprio del marchio, che deve essere accertato perché si compia una valida registrazione.

10.5. Nel caso di specie, come già evidenziato, la Commissione ha ritenuto sussistente il carattere promozionale del marchio e, facendo corretta applicazione delle norme sopra menzionate, ha accertato se avesse anche carattere distintivo, e cioè se fosse in grado di ricondurre il prodotto e i servizi prestati proprio all’impresa che ne ha chiesto la registrazione, escludendo che tale carattere fosse esistente, ritenendo che le espressioni usate non fossero in grado di ricondurre proprio alla impresa che ne ha chiesto la registrazione.

10.6. Il secondo motivo di ricorso, con riferimento alle censure appena esaminate, deve pertanto essere respinto in applicazione del seguente principio di diritto: “In tema di marchio d’impresa, l’imprenditore ha diritto alla registrazione anche di uno slogan pubblicitario, ma l’espressione contenente il messaggio promozionale deve adempiere alla finalità distintiva ossia essere idoneo a distinguere i prodotti o i servizi offerti da quell’impresa” >>.

3° PUNTO   : <<Dalla lettura combinata delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 30 del 2005, emerge con chiarezza che l’art. 7 D.Lgs. cit. individua un requisito la cui assenza impedisce già in astratto di considerare un segno come marchio, perché non è idoneo atti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese.

Il successivo art. 13 D.Lgs. cit. individua ipotesi in cui i segni in concreto perdono o acquistano capacità distintiva (rispettivamente, i segni divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi costanti del commercio e i segni che, a seguito dell’uso che ne sia stato fatto, abbiano acquistato carattere distintivo) e contiene la specificazione di alcuni segni che sono senza dubbio privi del carattere distintivo (in quanto costituite esclusivamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi

o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono), riportando anche riferimenti esemplificativi.

Ovviamente la disposizione da ultimo menzionata non si sostituisce a quella precedente, contenuta nell’art. 7 D.Lgs. cit., più generale, che individua i requisiti per ottenere la registrazione di un marchio, né esaurisce tutte le ipotesi in cui si deve escludere il carattere distintivo del segno, ma contiene solo una elencazione non esaustiva delle ipotesi in cui tale carattere non può ritenersi esistente>>, § 10.1.

Sulla distintività del marchio LA BIANCA per birra chiara

Trib. Milano n° 10253/2022 del 28.12.2022 , RG 17325/2020, Heineken c. MATTHIAS MÜLLER, rel. Fazzini Elisa, decidendo una lite sull’oggetto, ritiene che il marchio denominativo LA BIANCA per birre sia nullo perchè descreittivo di un tipo di birra di colorazione assai chiara

Due passaggi riporto:

1) <<Pertanto, la valutazione del carattere descrittivo di un marchio, dev’essere effettuata, da un lato, in relazione ai prodotti e ai servizi per il quali la registrazione del segno è stata richiesta e, dall’altro, in relazione alla percezione dello stesso da parte del pubblico di riferimento, costituito dal consumatore di tali prodotti o servizi (Ellos/UAMI (ELLOS), T 219/00, EU:T: 2002: 44, punto 29).  

La evidente ratio di tale disposizione consiste nell’assicurare che i segni descrittivi di una o più caratteristiche dei prodotti o dei servizi, per i quali è richiesta una registrazione come marchio, possano essere liberamente utilizzati da tutti gli operatori economici che offrono prodotti o sevizi. Tale disposizione, pertanto, impedisce che tali segni o indicazioni siano riservati a una sola impresa in forza della loro registrazione come marchi e che un’impresa monopolizzi l’uso di un termine descrittivo, a discapito delle altre imprese, comprese le concorrenti, che vedrebbero così ristretta la portata del vocabolario disponibile per descrivere i propri prodotti>>.

2) << Il Collegio ritiene che, a prescindere dalla presenza dell’articolo determinativo, il termine la “bianca” è, comunque, riconoscibile dal consumatore italiano nel senso dell’aggettivo, in quanto la mera assenza di un sostantivo, individuabile evidentemente con “birra”, accanto a tale termine non può impedire un simile riconoscimento da parte del consumatore medio, destinatario del prodotto, trattandosi di un aggettivo di uso corrente, in relazione alla commercializzazione della birra, come si può evincere anche dalle plurime etichette allegate da parte attrice. Si osserva, inoltre, tenuto conto dell’art. 13 sopra richiamato, laddove il legislatore ha previsto che è privo di carattere distintivo il marchio costituito “da indicazioni descrittive” che a esso si riferisce, come nel caso di segno che in commercio possa servire a “designare la specie, la qualità, […] altre caratteristiche del prodotto o servizio”, che sussista, nel caso di specie, dal punto di vista del pubblico di riferimento, un nesso tra il significato “la bianca” e il prodotto interessato, rappresentato dalla “birra”, poiché è evidente che il segno oggetto del contendere sia idoneo a disegnare una caratteristica che può riguardare in astratto la bevanda in oggetto, facilmente riconoscibile negli ambienti interessati. Si ritiene che sia irrilevante al riguardo che la birra prodotta in concreto appartenga alla diversa tipologia delle birre “Wizen” o “Weissen”, di tradizione bavarese, atteso che la valutazione sulla descrittività di un marchio deve essere effettuata in astratto. L’aggettivo qualificativo sostantivato “bianca”, preceduto dall’articolo determinativo “la”, infatti, attribuisce al prodotto specifiche intrinseche caratteristiche a esso inerenti, anche di reputazione presso il pubblico, essendo anche indice di un colore chiaro del prodotto, che, come tali debbono restare patrimonio comune di tutti i produttori della birra che possono o meno fabbricare e commercializzare la tipologia di birra bianca o di colore chiaro>>.

Il punto più interessante è quello in rosso sub 2, tenuto conto che il convenuto soccombente produceva birra non del tipo “Bianco” ma del tipo “Weizen” (che parrebbe merceologicamente diverso e magari anche -ma non è detto- di colorazione diversa e cioè forse meno chiara)

L’accesso alle informazioni sul trattamento dei propri dati implica anche sapere esattamente a chi sono stati comunicati

<<l’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), del RGPD deve essere interpretato nel senso che il diritto di accesso dell’interessato ai dati personali che lo riguardano, previsto da tale disposizione, implica, qualora tali dati siano stati o saranno comunicati a destinatari, l’obbligo per il titolare del trattamento di fornire a detto interessato l’identità stessa di tali destinatari, a meno che non sia impossibile identificare detti destinatari o che il suddetto titolare del trattamento non dimostri che le richieste di accesso dell’interessato sono manifestamente infondate o eccessive, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 5, del RGPD, nel qual caso il titolare del trattamento può indicare a detto interessato unicamente le categorie di destinatari di cui trattasi>>.

Così Gocrte di giustizia 12.01.2023, C-154/21, RW c. Österreichische Post AG.

In presenza di un dettato normativo di questa fatta (<<articolo 15 Diritto di accesso dell’interessato – 1.   L’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la conferma che sia o meno in corso un trattamento di dati personali che lo riguardano e in tal caso, di ottenere l’accesso ai dati personali e alle seguenti informazioni: (…) c)  i destinatari o le categorie di destinatari a cui i dati personali sono stati o saranno comunicati, in particolare se destinatari di paesi terzi o organizzazioni internazionali;>>), ci pare un esito assai difficilmente contestabile.

Assegno di mantenimento del figlio una volta divenuto (abbondantemente) maggiorenne

Cass. sez. 1 n° 358 del 10.02.2023, rel. Casadonte, sulloggetto (figlia quarantenne: § 9).

Domanda basata sull’art. 337 quinquies cc (dopo la statuzione iniziale contenuta nellla sentenza che -a conclusione di precedente giudizio- riconosceva lo status di figlio naturale e dava i comandi conseguenti).

Circostanze addotte dal padre ricorrente:

<<A sostegno della domanda, il sig. Martella ha esposto di aver
corrisposto ingenti quantità di denaro a favore della figlia, la quale
era tuttavia rimasta inerte nel reperire un’attività lavorativa,
avendo impiegato le risorse ricevute dal padre per acquistare un
immobile in una località balneare. Il medesimo ha inoltre lamentato
una drastica contrazione delle proprie consistenze conseguente alla
sua attuale condizione di pensionato, alla dismissione delle attività
imprenditoriali in precedenza intraprese, all’utilizzazione del
ricavato derivante dalla vendita di immobili di sua proprietà per
affrontare le spese del proprio sostentamento. Inoltre, ha allegato
il sopravvenuto obbligo di versare una tantum la somma di euro
100.000,00 in favore della moglie, in ragione dell’intervenuta
separazione consensuale tra i due avvenuta nel 2017>>.

Per il Tribunale adito si trattava di circostanze già vagliate.

Ma il ricorrente replica che, se viste in luce (cronologicamente) dinamica (cioè nella loro proieizonie temporale), erano sopravvenute.

La SC gli dà ragione:

<<Le doglianze del ricorrente, segnatamente quelle contenute
nel primo motivo di ricorso, colgono nel segno, giacché in base al
consolidato insegnamento giurisprudenziale, puntualmente
richiamato nel ricorso, ai fini del riconoscimento dell’obbligo di
mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti
economicamente, ovvero del diritto all’assegnazione della casa
coniugale, il giudice di merito è tenuto a valutare, con prudente
apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore
proporzionalmente crescenti in rapporto all’età dei beneficiari, le
circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo o
l’assegnazione dell’immobile, fermo restando che tale obbligo non
può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura,
poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di
un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto
delle sue capacità, inclinazioni e (purché compatibili con le
condizioni economiche dei genitori) aspirazioni” (cfr. Cass., n.
17183/2020)>>

Lesione della legittima, ordine di riduizione delle donaizni e non impugnabilità delle donazioni indirette

Interessanti insegnamenti in Cass. sez. 2 n° 35.461 del 2 dicembre 2022, rel. Tedesco, circa l’azione di reintegrazione della quota riservata ai legitimari (artt. 553 ss c,c,)

Riporto due passaggi:

1° sull’ordine delle riduzioni (artt. 555, 558 e 559 cc):

<<Consegue dalla inderogabilità dell’ordine di riduzione che:

a) il legittimario, il quale non abbia attaccato tutte le disposizioni testamentarie lesive, non potrà recuperare, a scapito dei convenuti, la quota di lesione a carico del beneficiario che egli non abbia voluto o potuto convenire in riduzione (ad esempio perché, trattandosi di legato, questo sia stato fatto a persona non chiamata come coerede e il legittimario non abbia accettato l’eredità con beneficio di inventario, mancando quindi la condizione prevista dall’art. 564 c.c., comma 1: Cass. n. 1562/1964);

b) il legittimario può pretendere dai donatari solo l’eventuale differenza fra la legittima, calcolata sul relictum e sul donatum, e il valore dei beni relitti: se questi sono sufficienti i donatari sono al riparo da qualsiasi pretesa, qualunque sia stata la scelta del legittimario nei riguardi dei coeredi e beneficiari di eventuali disposizioni testamentarie;

c) il legittimario non può recuperare a scapito di un donatario anteriore quanto potrebbe prendere dal donatario posteriore (Cass. n. 3500/1975; n. 22632/2013): se la donazione posteriore è capiente le anteriori non sono riducibili, anche se la prima non sia stata attaccata in concreto con l’azione di riduzione (Cass. n. 17926/2020)>>.

2° sulla non aggredibilità (e quindi sulla sicura circolabilità dei relativi beni) delle donazioni indirette:

<< Invero, se il donatario beneficiario della disposizione lesiva abbia alienato l’immobile donatogli, il legittimario, se ricorrono le condizioni stabilite dall’art. 563 c.c., può chiederne la restituzione anche ai successivi acquirenti, che sono invece al riparo da ogni pretesa restitutoria del legittimario nella diversa ipotesi di riduzione di una donazione indiretta (ad esempio nell’intestazione di beni in nome altrui); infatti nella donazione indiretta, come chiarito da questa Suprema Corte nel 2010, poiché l’azione di riduzione “non mette in discussione la titolarità del bene (…) il valore dell’investimento finanziato con la donazione indiretta dev’essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche del diritto di credito” (così testualmente Cass. n. 11496 del 2010; contra Cass. n. 4523/2022, nella quale è data per scontata l’applicabilità dell’art. 563 c.c. anche alle c.d. donazioni indirette, senza tuttavia confrontarsi con Cass. n. 11496 del 2010 cit., che, recependo le indicazioni espresse in dottrina, tale applicabilità aveva motivatamente escluso).>>

Prova del credito verso la curatela fallimentare: data certa ex art. 2704 cc ed efficacia delle scritture contabili ex art. 2710 cc

Cass. n° 33.728 del 16.11.2022, rel. Pazzi, sez. 1, Veneto Banca scpa c. Fall. Un MOndo di infissi srl, sull’oggetto.

Circa il primo aspetto:

<<5.2 Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (si veda, per tutte, Cass., Sez. U., 4213/2013) il curatore, in sede di formazione dello stato passivo, deve considerarsi terzo rispetto al rapporto giuridico posto a base della pretesa creditoria fatta valere con l’istanza di ammissione, conseguendone l’applicabilità della disposizione contenuta nell’art. 2704 c.c., comma 1, (erroneamente contestata dal nono motivo), norma che, come dimostra la sua collocazione sistematica all’interno del codice civile, regola l’efficacia dell’atto senza incidere in alcun modo sulla sua validità.

Ne discende che l’onere probatorio incombente sul creditore istante in sede di ammissione al passivo può ritenersi soddisfatto soltanto ove questi produca documentazione idonea – anche sotto il profilo dell’efficacia nei confronti della procedura concorsuale – a dimostrare la fondatezza della pretesa formulata.

L’eventuale mancanza di data certa nelle scritture prodotte dal creditore si configura come fatto impeditivo all’accoglimento della domanda ed oggetto di eccezione in senso lato, in quanto tale rilevabile anche d’ufficio dal giudice.

Malgrado l’affermazione del collegio di merito secondo cui la prova dell’anteriorità al fallimento del credito è elemento costitutivo del diritto di partecipare al concorso (pag. 3 del decreto impugnato) non sia conforme a questi principi (e debba essere corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4), l’errore classificatorio compiuto dal giudice di merito è ininfluente sull’esito della decisione impugnata, per il quale rileva, invece, che il fatto impeditivo costituito dalla mancanza di data certa formi oggetto di un’eccezione in senso lato, come tale rilevabile d’ufficio.

Una simile eccezione attiene, poi, a un fatto negativo, che non abbisogna di prova, cosicché spetta alla parte che invoca l’opponibilità del credito di contrastarla.

Il che significa che la mancanza di data certa impedisce che possa essere fatta valere l’efficacia dell’atto nei confronti del curatore, stante la sua posizione di terzietà, e, di conseguenza, che possa ritenersi adeguatamente assolto l’onere probatorio incombente sul creditore di dare prova delle proprie ragioni creditorie, e non certo (come erroneamente sostengono i motivi di ricorso 1, 2, 3, 15 e 17, predicando, sotto vari profili, un’inversione dell’onere probatorio in conseguenza del rilievo della mancanza, nella documentazione prodotta, del requisito in discorso) che rimanga a carico di chi contesta la data certa della documentazione prodotta (e tanto meno del giudice che rileva d’ufficio questo fatto impeditivo) l’onere di fornire la dimostrazione della posteriorità dell’insorgere del credito rispetto al fallimento>>.

Circa il secondo aspetto:

<<5.5 Il tribunale ha affermato che il curatore non agisce in qualità di terzo solo quando propone domanda giudiziale di adempimento di un’obbligazione contratta dal terzo nei confronti del fallito, ovvero quando esercita un’azione rinvenuta nel patrimonio di questi, mentre è terzo, sia rispetto ai creditori, sia rispetto allo stesso fallito, nei procedimenti in materia di formazione dello stato passivo; di conseguenza, ha escluso che in sede di verifica e di opposizione L.Fall., ex art. 98 possa trovare applicazione il disposto degli artt. 2709 e 2710 c.c. in tema di efficacia probatoria delle scritture contabili dell’imprenditore.

L’assunto, nella sua prima parte, non può essere interpretato nel senso preteso dalla ricorrente, ovvero come attributivo del ruolo di imprenditore al curatore che agisca per il recupero dei crediti del fallito o per la ricostruzione del suo patrimonio, dato che questi per dirla con Cass., Sez. U., 4213/2013 – “certamente non è un imprenditore”; esso, piuttosto, sottolinea come solo in tale ipotesi il curatore, facendo valere diritti propri (utendo iuribus) del fallito, subentri nella sua posizione sostanziale e processuale, anziché in quella di semplice gestore del suo patrimonio.

La statuizione fa dunque puntuale applicazione del principio espresso dalla sentenza più volte richiamata, secondo cui l’art. 2710 c.c., che conferisce efficacia probatoria tra imprenditori, per i rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa, ai libri regolarmente tenuti, non trova applicazione nei confronti del curatore del fallimento il quale agisca non in via di successione di un rapporto precedentemente facente capo al fallito, ma nella sua funzione di gestione del patrimonio del medesimo, non potendo egli, in tale sua veste, essere annoverato tra i soggetti considerati dalla norma in questione, operante soltanto tra imprenditori che assumano la qualità di controparti nei rapporti d’impresa>>.

Sulla sostituzione di deliberazione invalida con nuova deliberazione

Trib. Roma n° 17476/2022 del 25.11.2022, RG 53880/2018, rel. Goggi, sull’oggetto:

<<Secondo, infatti, l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale maggiormente
condivisibile che si è affermato in materia (cfr. Trib. di Monza 5/3/2001), dopo la
sostituzione, l’annullamento della prima delibera è precluso, in ogni caso, per effetto della cessazione della materia del contendere, essendo riservato al giudice della impugnazione della seconda delibera, specie nell’ipotesi, come quella per cui è causa, in cui il giudizio sia tuttora pendente, ogni sindacato sulla legittimità dell’atto di rinnovo.
Tale tesi si fonda sul presupposto, di cui non sembra potersi dubitare, dell’efficacia estintiva degli effetti della deliberazione sostituita da attribuirsi alla nuova deliberazione avente lo stesso oggetto della prima: la nuova delibera, invero, priva di ogni effetto la delibera che ha sostituito e tale sua efficacia mantiene fin tanto che non venga annullata per essere, a sua volta, contraria alla legge o allo statuto. Ne consegue che la sua eventuale non conformità alla legge o allo statuto – prevista dall’art. 2377 c.c. quale condizione per l’operatività della preclusione all’annullamento della delibera impugnata – potrebbe privarla di tale efficacia estintiva degli effetti della prima delibera solo se venisse annullata a seguito di un autonomo giudizio di impugnazione, giudizio che non può essere introdotto nell’ambito del giudizio di impugnazione avente per oggetto la delibera sostituita – stante la diversità dell’oggetto e la conseguente novità dell’eventuale domanda così introdotta in tale giudizio – né essere oggetto di un accertamento incidentale, ai soli fini della verifica delle condizioni di operatività della norma contenuta nell’ottavo comma dell’art. 2377 c.c., stante la necessità, allo scopo di privare di efficacia la delibera successivamente adottata, di una pronuncia costitutiva di annullamento, per sua natura incompatibile con un accertamento incidenter tantum. Al giudice dell’impugnazione della prima delibera, pertanto, è preclusa ogni valutazione circa la validità della delibera sostitutiva, con la sola eccezione, come è stato correttamente osservato in dottrina, della possibilità di rilevare, ove ricorrano, vizi comportanti la nullità della stessa delibera a norma dell’art. 2379 c.c.; tale nullità, infatti, comportando l’improduttività di qualsiasi effetto della (seconda) delibera, rilevabile anche d’ufficio, senza necessità di alcuna pronuncia costitutiva, potrebbe essere assoggettata, indipendentemente dall’impugnazione da parte degli interessati, a sindacato incidentale in seno al processo originato dall’impugnazione della delibera originaria>>

OK, può essere sia così. Solo che  nel caso sub iudice si tratta di rapporto tra delibere di organi diversi (Cda e assemblea soci), mentre la legge regola la sostituzione tra delibere dello stesso organo: il Tribunale avrebbe dovuto motivare sul punto.

Andrebbe poi approfondito il fatto che la delibera sostiotutiva dell’assemblea dei soci era solo “ratificante” l’indicazione del CdA

Il dovere degli amministratori è favorire il beneficio dei soci, secondo il § 172.1 Companies Act del 2006

Secondo la disposizione citata, <A director of a company must act in the way he considers, in good faith, would be most likely to promote the success of the company for the benefit of its members as a whole>.

Il che si determina avendo riguardo al lungo temrine, ai dipendneti etc. (ivi, lettere a-f).

Disposizione assai discussa nella sua portata: in particolare quale è il ruolo degli stakeholders diversi dai soci (soprattutto dei lavoratori)?

Ebbene, la Supreme Court inglese nella sentenza 5 ottobre 2022, BTI 2014 LLC (Appellant) v Sequana SA and others (Respondents), [2022] UKSC 25, dice che <<successo della company>> significa <<successo dei soci>>.

Almeno fino a che la società arriva vicino alla insolvenza, quando l’interesse da realizzare è anche quello dei creditori. Si v. < it is clear that, although the duty is owed to the company, the shareholders are the intended beneficiaries of that duty. To that extent, the common law approach of shareholder primacy is carried forward into the 2006 Act >, § 65

<The considerations listed in paragraphs (a) to (f) are capable of including the
treatment of certain creditors of the company. Creditors are liable to include
employees, suppliers, customers and others with whom the company has business
relationships; and their treatment may well affect the company’s reputation and its
creditworthiness, and have consequences for it in the long term. However, the primary
duty imposed by section 172(1) remains focused on promoting the success of the
company for the benefit of its members>, § 67.

E poi  : < In addition, it seems to me that acceptance that the fiduciary duty of directors to the
company is re-oriented so as to encompass the interests of creditors, when the
company is insolvent or bordering on insolvency, must result in a similar re-orientation
of related duties. The proper purposes for which powers can be exercised, in
accordance with section 171, include advancing the interests of the company, which in
those circumstances must be understood as including the interests of its creditors, as
was held in In re HLC Environmental Projects Ltd [2013] EWHC 2876 (Ch); [2014] BCC
337, para 99. Similarly, the duty under section 174 to exercise reasonable care, skill
and diligence must be directed, in those circumstances, to the interests of the
company as understood in that context, as appears to have been accepted in a number of cases>. § 73

Si tratta di sentenza molto ampia, diffusa da più fomnti : ad es. Irene-marie Esser e  Iain G MacNeil,   Shareholder Primacy and Corporate Purpose, 21 dic. 2022.

Concorrenza sleale di Fastweb verso Vodafone per illecita retention di clienti che avevano chiesto la migrazione

Chi  si interessa del mondo dei gestori telefonici troverà utile studiare Appello Milano n. 3048/2020 del 24.11.2020, RG 4005/2015, rel. Fontanella, vodafone Omnitel c. Fastweb.

Vodafone aveva fatto illecita attività c.d. di retention (=trattenimento) verso suoi clienti che avevano iniziato la migrazione verso Vodafone (F., cioè , avvertitane, li contattava per cercare di trattenerli).

La sentenza è centrata sul dato tecnico per accertare l’illecito e poi su quello contabile per accertare il danno .

La domanda è di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 cc

E’ accertato l’illecito, spot.  in base a decisione amministrativa AGCom e a perizia di causa.

Quanto alla quantificazione, è interssante l’iter logico del ctu e della Corte: bisogna stimare quanti clienti Vodafone ha perso (o meglio: non acquisito) stante la retention di F.  Poi bisogna stimare la redditività di ciascuno.

Essendo per lo più privati e micromprese,  la AMPU (Average Margin Per User: guadagno medio unitario) è stata stimata in euro 33,47 per Vodafon e € 8,42 per Fastweb

E’ poi interessante la stima del danno da pubblicità correttiva realizzata da Vodafone: non può essere correlata solo all’illecito di retention,  per cui in via quirtativa ha stimato euro 149,000. Precisamente: <Con riguardo, invece, alla quantificazione dei costi delle spese pubblicitarie inutilmente sopportate da Vodafone e riferibili ai clienti perduti per via delle condotte di retention poste in essere da Fastweb, il CTU ha valutato non corretto il prospetto di Vodafone per i seguenti motivi:
– Vodafone non ha differenziato, nel suddetto calcolo, i diversi segmenti di clientela. Secondo il CTU, “la presunzione che ogni segmento di clientela sia destinatario di un’identica quota di spese pubblicitarie e promozionali è certamente una possibilità concreta, ma totalmente priva di gravità, precisione e concordanza” (cfr. p. 16 CTU);
– Vodafone, come ogni altro operatore telefonico, dedica importanti risorse alla pubblicità istituzionale relativa al “brand” in sé, senza alcuna specifica connessione con particolari segmenti di clientela. Non sarebbe, dunque, possibile sostenere, con riguardo a tale quota delle spese pubblicitarie, una diminuita utilità delle stesse per via dell’attività di retention.
Tuttavia, ha rilevato ancora il CTU, non potrebbe negarsi che l’attività in questione abbia vanificato quantomeno una parte dei costi pubblicitari e promozionali sostenuti da Vodafone; per tale motivo, con criterio del tutto equitativo, l’Ing. Vestita ha stimato che le spese suddette, sostenute con riferimento ai clienti oggetto di retention, debbano  ragionevolmente essere comprese tra un massimo di Euro 374.138 e un minimo di Euro 261.298, con un valore intermedio di Euro 315.614.
La Corte ritiene di addivenire alla quantificazione in via equitativa di tale voce di danno considerando che Vodafone avrebbe dovuto comunque sostenere costi pubblicitari sia per mantenere la clientela già acquisita, sia per attrarne nuova, sia per sostenere il brand. Si tratta, quindi, di costi fissi rispetto ai quali appare verosimile ritenere che la perdita di un numero di clienti non superiore a 8.000 circa (come calcolati dal CTU Sanchini nella misura massima) possa avere inciso in misura modesta rispetto al totale della clientela alla quale la pubblicità è diretta.
Pertanto, si reputa equo riconoscere a tale titolo l’importo di Euro 149.655,00 (pari al 20% della spesa complessiva di Euro 748.276).>>

Infine è degno di nota il rigetto della domanda di danno all’immagine:

<<Infine, Vodafone assume di avere subito “un danno all’ immagine e alla reputazione commerciabile esprimibile in termini di perdita di chance”.
Precisa Vodafone che “[a] causa delle condotte di Fastweb, infatti, Vodafone agli occhi del mercato è risultata, suo malgrado, incapace di proporre offerte commerciali competitive rispetto a quelle del suo competitor” (cfr. pag. 42 atto d’ appello).
Rileva la Corte in proposito, come peraltro evidenziato dallo stesso CTU, che la chance di un’impresa si concretizza quando essa, per il solo fatto di operare in un certo mercato, ha l’opportunità di accedere a nuovi diversi segmenti di attività (nuove categorie di prodotti, nuovi segmenti di clientela, nuove aree geografiche, etc.) sino a quel momento non sfruttati.
Il danno all’immagine o alla reputazione commerciale, invece, ha riguardo alla perdita della fiducia e dell’apprezzamento da parte dei clienti e costituisce una fattispecie dannosa del tutto differente dalla perdita di chance, non impedendo al gestore di accedere a nuovi segmenti del mercato non precedentemente sfruttati.
Chiariti la diversa natura e il diverso ambito di incidenza dei due pregiudizi, e prescindendosi dall’incongruenza della prospettazione dell’appellante, ritiene la Corte che tale ulteriore voce di danno vada nella specie esclusa, stante il difetto di prove dirette o indizi gravi, precisi e concordanti (cfr. Corte di Cassazione civile sez. III, 19/07/2018, n. 19137) e considerato che il circoscritto ambito temporale e quantitativo del fenomeno di retention, come accertato, non appare idoneo a diffondere una generalizzata fama negativa circa le capacità tecniche e commerciali di Vodafone.>>