La (non) distintività dei pattern trademarks

Eleonora Rosati in IPKat ci notizia della confrma d’appello EUIPO secondo cui non è intrinsecamente distintivo il marchio seriale di Prada sotto rappresentato

o perlomeno non lo è per la maggior parte dei prodotti indicxati indomanda.

E’ infatti dal pubblico perceptico come decorativo, non come indicatore dell’rigina imnrpenditoriale (giudizio dubbio, data ormai la sua notorietà, ma forse alla fine esatto) e comnque siffuso nel commercio, almeno per certi prodotti

Si tratta di 2nd Board od Appeal 19.12.2023, case R 827/2023-2, Prada SA Applicant / Appellant .

Sul trattamento dei pattern trademarks:

 <<24  That case-law, which was developed in relation to three-dimensional trade marks
consisting of the appearance of the product itself, also applies where the contested mark is
a figurative mark consisting of the two-dimensional representation of that product. In such
a case, the mark likewise does not consist of a sign unrelated to the appearance of the
products it covers (21/04/2015, T-359/12, Device of a checked pattern (maroon & beige),
EU:T:2015:215, § 24 and case-law cited). The same applies to a pattern mark consisting
of the two-dimensional representation of that product.
25 That is also the case for a figurative mark consisting of a part of the shape of the product
that it represents, inasmuch as the relevant public will immediately and without further
thought perceive it as a representation of a particularly interesting or attractive detail of
the product in question, rather than as an indication of its commercial origin (21/04/2015,
T-359/12, Device of a checked pattern (maroon & beige), EU:T:2015:215, § 25 and case-
law cited). The same applies to a pattern mark consisting of a part of the shape of the
product that it represents>>

Ineressanti sono poi le consiederaozipni sul raggruppamento dei prodotti in classi omogenee al fine del giudizio di distintività a

Versamenti in conto futuro aumento di capitale e termine per deliberare l’aumento medesimo: quando ricorre la bancarotta da distrazione?

Considerazioni di interesse anche per il giuscommercialista in Cass. pen., Sez. V, Sent., (data ud. 23/06/2023) 26/09/2023, n. 39139, rel. Belmonte, circa i versamenti eseguiti senza (previa, direi) determinazione del termine entro cui l’aumento va deliberato.

Riporto i passaggi finali:

<<1.7. Tirando le fila del ragionamento e alla luce dei richiamati approdi giurisprudenziali, quel che emerge con chiarezza è che, in caso di crisi aziendale, il salvataggio attuato dai soci attraverso integrazioni del patrimonio, che possono avere diverse gradazioni, non può prescindere dalla garanzia di una informazione simmetrica tra soci e terzi sulle condizioni finanziarie della società. La ragione per la quale il conferimento destinato a coprire futuri aumenti di capitali deve essere assoggettato a un termine finale conoscibile anche dal ceto creditorio sta nella considerazione che i creditori confidano nel patrimonio dell’impresa per l’adempimento delle obbligazioni sociali. Diversamente ragionando, si trasferirebbe il rischio di impresa dalla società sui creditori, oltre a consentirsi la restituzione sine causa di somme conferite per altra ragione. 1.8. Il principio che deve essere affermato è quello che, in caso di un conferimento in conto di aumento futuro di capitale, esigenza di garanzie del ceto creditorio impongono l’individuazione di un termine finale a cui è correlato, in caso di mancata deliberazione dell’aumento, l’insorgenza del diritto di restituzione del conferimento; laddove la restituzione avvenga prima del termine (pattuito o fissato dal giudice), si realizza una distrazione da bancarotta societaria; nel caso in cui non sia stato concordato un termine a garanzia dei creditori, nè esso venga sollecitato al giudice, le somme non potranno essere restituite, in quanto destinate a coprire l’aumento di capitale (c.d. riserva targata). Diversamente, si avrebbe un rimborso sine causa, essendo correlata la relativa obbligazione alla mancata adozione della delibera entro un determinato termine.

E’ corretto, dunque, affermare che il socio conferente ha diritto alla restituzione, ove non segua la delibera dell’aumento di capitale, anche durante la vita della società, in quanto si tratta in questi casi di apporti destinati alla copertura anticipata di un determinato aumento di capitale non ancora deliberato, così da sostanziarsi in un’anticipazione della sottoscrizione del capitale destinata a perfezionarsi solo con la deliberazione societaria successiva (Cass. civ. Sez. 1 n. 31186 del 03/12/2018, Rv. 652065 – 01), ma il principio deve essere inteso nel senso che la somma anticipata resta vincolata fin quando non si verifica la condizione, sospensiva o risolutiva, della mancata delibera entro un termine che deve essere necessariamente determinato>>.

Applicato al caso de quo: <<1.9. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tali principi: i giudici di merito hanno plausibilmente argomentato che nessun termine era stato stabilito; che neppure risulta sollecitata la fissazione giudiziaria di un termine per la restituzione; che non erano venuti meni i programmi legati all’aumento di capitale. Correttamente la Corte territoriale ha ritenuto integrata la bancarotta fraudolenta patrimoniale, contestualmente escludendo la configurabilità della bancarotta preferenziale, in coerenza con il principio affermato già dalla sentenza ‘Vesprinì, secondo cui “in tema di reati fallimentari, il prelievo di somme a titolo di restituzione di versamenti operati dai soci in conto capitale (o indicati con analoga dizione) integra la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, non dando luogo tali versamenti ad un credito esigibile nel corso della vita della società; al contrario, il prelievo di somme quale restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo integra la fattispecie di bancarotta preferenziale.”(Sez. 5 n. 8431/2019).

Sul bilanciamento da eseguire quando viene impugnato il riconoscimento per difetto di veridicità (art. 263 cc)

Cass. Sez. I ord. 22/11/2023 n.  32.417, rel. Tricomi, in un caso di impugnaizone proposta da moglie e figlio del riconoscente:

<In particolare, pur avendo ritenuto tempestivamente esercitata l’azione, alla stregua della disciplina transitoria dettata dal D.Lgs. n. 154 del 2013, ha affermato che, nel caso di specie, l’interesse di natura pubblicistica all’accertamento della verità non poteva prevalere rispetto al diritto, anch’esso dotato di copertura costituzionale, all’identità sociale del soggetto riconosciuto in considerazione della lunghissima durata dello status conseguito per effetto del riconoscimento di paternità operato da C.D.G. e, quindi, alla oramai fortemente consolidata condizione identitaria acquistata dall’appellante. Ha rilevato altresì che il riconoscimento da parte del congiunto dei ricorrenti era stato convintamente voluto ed aveva costituito parte integrante della identità personale di E., mentre il disconoscimento dopo così ampio lasso di tempo non solo incideva negativamente nelle relazioni sociali di chi lo subiva, ma colpiva la sua dignità personale privandolo della coscienza di sé e delle proprie radici, ricordando che era stato accertato che il rapporto padre-figlia era perdurato, nonostante la fine della relazione con la madre di questa, S.I…>>

Poi la SC dice la sua:

<<3.2.- L’azione di impugnazione del riconoscimento ex art. 263 c.c., rientra nel quadro più ampio delle azioni di stato, ovvero di quelle azioni intese a conseguire una pronuncia che incida sullo status filiationis della persona.

In tema di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, si è assistito al superamento dell’orientamento che individuava un’automatica coincidenza tra favor veritatis e favor minoris o status filiationis e la stessa riforma dell’art. 263 c.c., introdotta con il D.Lgs. n. 154 del 2013 (qui applicato dalla Corte di merito) esprime una regolamentazione che ha notevolmente rafforzato l’esigenza di stabilità dello status filiationis e di tutela del figlio.

Assume decisivo rilievo, in proposito, ricordare alcuni interventi della Corte costituzionale, la quale ha provveduto a precisare la necessaria sussistenza di uno spazio di bilanciamento in concreto fra gli interessi implicati, affidato alla valutazione giudiziale. Significativa, in proposito, si rivela l’affermazione – già rinvenibile in Corte Cost. sent. n. 272 del 2017, e successivamente richiamata nelle più recenti Corte Cost. sent. n. 127 del 2020 e n. 133 del 2021 – secondo cui l’art. 263 c.c., sottende “l’esigenza di operare una razionale comparazione degli interessi in gioco, alla luce della concreta situazione dei soggetti coinvolti”, posto che “la regola di giudizio che il giudice è tenuto ad applicare in questi casi (deve) tenere conto di variabili molto più complesse della rigida alternativa vero o falso”. Si è dinanzi, quindi, di un’azione nella quale il giudice non procede ad un mero accertamento della verità biologica, ma opera un bilanciamento in concreto tra gli interessi coinvolti (cfr. Corte Cost. sent. n. 133 del 2021), ricordandosi, peraltro, che la menzionata norma regola qualsivoglia ipotesi di impugnazione per difetto di veridicità, abbracciando tanto casi di riconoscimento effettuato nella consapevolezza della non paternità, quanto ipotesi in cui il consenso all’atto personalissimo si fondi sull’erronea supposizione del legame biologico.

In tema di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, si è affermato che “i significativi mutamenti sociali degli ultimi anni impongano di affiancare al parametro della verità genetica altri criteri, quali quelli della verità affettiva o sociale, in una prospettiva di tutela degli stabili e rilevanti assetti relazionali di fatto” (Cass. n. 30403/2021; Cass. n. 4791/2020) e la giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni mostrato di avere superato la tesi della assolutezza del principio di prevalenza dell’interesse all’accertamento della verità biologica della procreazione ed ha affermato la necessità di bilanciare la verità del concepimento con l’interesse concreto del figlio alla conservazione dello status acquisito (Cass. n. 27140/2021; n. 4791/2020; Cass. n. 8617/2017; Cass. n. 4020/2017; Cass. n. 26767/2016), con affermazioni di principio che i ricorrenti nemmeno contestano, deducendone piuttosto l’inapplicabilità in caso di figlio maggiorenne.

Tuttavia, anche la questione dell’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità che sia stata promossa in relazione ad un figlio già maggiorenne, è stata affrontata da questa Corte in maniera puntuale e ricca di approfondimenti anche in relazione al quadro normativo Eurounitario, ed è stato affermato, all’esito di un’ ampia argomentazione che si condivide, il seguente principio che si intende confermare, secondo il quale “Nell’azione, intrapresa dal terzo interessato, di impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di un figlio nato da genitori non uniti in matrimonio e già maggiorenne al momento della instaurazione del corrispondente giudizio, il bilanciamento che il giudice adito è tenuto ad effettuare tra il concreto interesse del soggetto riconosciuto ed il favore per la verità del rapporto di filiazione non può costituire il risultato di una valutazione astratta e predeterminata, né può implicare, ex se, il sacrificio dell’uno in nome dell’altro, ma impone di tenere conto di tutte le variabili del caso concreto, tra cui il diritto all’identità personale del riconosciuto, correlato non solo alla verità biologica, ma anche ai legami affettivi e personali interni alla famiglia, al consolidamento della condizione identitaria acquisita per effetto del falso riconoscimento ed all’idoneità dell’autore del riconoscimento allo svolgimento del ruolo di genitore” (Cass. n. 3252/2022).

3.3.- Orbene, il bilanciamento, in concreto, fra gli interessi implicati, affidato alla valutazione giudiziale e richiesto dalla riportata giurisprudenza costituzionale intervenuta sull’art. 263 c.c., assume un significato ancora più pregnante in una vicenda – quale quella oggi all’attenzione di questa Corte – caratterizzata dal fatto che il giudizio non è stato intrapreso dal genitore C.D.G., deceduto nel (Omissis), ma dai suoi eredi – la vedova ed il figlio, nato in costanza di matrimonio – nel (Omissis) e che ha riguardato una persona attualmente di circa quarantaquattro anni, che ne aveva sei al momento del riconoscimento oggi impugnato e circa trentasei al momento della instaurazione, nei suoi confronti, del giudizio di primo grado. In una siffatta fattispecie, dunque, ancor più si impone “l’esigenza di operare una razionale comparazione degli interessi in gioco, alla luce della concreta situazione dei soggetti coinvolti”, posto che “la regola di giudizio che il giudice è tenuto ad applicare in questi casi (deve) tenere conto di variabili molto più complesse della rigida alternativa vero o falso” (cfr. Corte Cost. sent. n. 127 del 2020).

Di tutto ciò, la Corte di appello si è fatta carico (fol. 18 e ss.), compiendo una accurata disamina dei profili identitari coinvolti, conseguiti all’avvenuto riconoscimento, ed ha attuato il necessario bilanciamento in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, di guisa che la decisione risulta immune dai vizi denunciati.

Priva di rilievo risulta, infine, la disciplina dettata dalla L. n. 40 del 2004, in tema di procreazione medicalmente assistita, che non si attaglia al caso di specie>>.

Sulla (non) risarcibilità del c.d. danno tanalogico e del danno non patrimoniale: sintesi del diritto vivente

Quasi una lectio magistralis in Cass. sez. 3 del 27.12.2023 n. 35.998, rel. Porreca, sul tema in oggetto:

<< – in ipotesi di condotta colpevole del sanitario cui sia conseguita la perdita anticipata della vita, perdita che si sarebbe comunque verificata, sia pur in epoca successiva, per la pregressa patologia del paziente, non è concepibile, né logicamente né giuridicamente, un danno da “perdita anticipata della vita” trasmissibile “iure successionis”, non essendo predicabile, nell’attuale sistema della responsabilità civile, la risarcibilità del danno tanatologico (Cass., 19/09/2023, n. 26851);

– è possibile, dunque, discorrere (risarcendolo) di “danno da perdita anticipata della vita”, con riferimento al diritto “iure proprio” degli eredi, rappresentato dal pregiudizio da minor tempo vissuto dal congiunto (Cass., n. 26851 del 2023, cit.);

– in ipotesi di morte del paziente dipendente (anche) dall’errore medico, qualora l’evento risulti riconducibile alla concomitanza di una condotta umana e di una causa naturale, tale ultima dovendosi ritenere lo stato patologico non riferibile alla prima, l’autore del fatto illecito risponde “in toto” dell’evento eziologicamente riconducibile alla sua condotta, in base ai criteri di equivalenza della causalità materiale, potendo l’eventuale efficienza concausale dei suddetti eventi naturali rilevare esclusivamente sul piano della causalità giuridica, ex art. 1223 c.c., ai fini della liquidazione, in chiave complessivamente equitativa, dei pregiudizi conseguenti, ascrivendo all’autore della condotta un obbligo risarcitorio che non comprenda anche le conseguenze dannose da rapportare, invece, all’autonoma e pregressa situazione patologica del danneggiato (Cass., n. 26851 del 2023, cit., in cui si richiama l’ormai costante giurisprudenza sul punto);

e’ stato sottolineato (Cass., n. 26851 del 2023, pag. 17) che quando la vittima è già deceduta al momento dell’introduzione del giudizio da parte degli eredi “non è concepibile, né logicamente né giuridicamente, un “danno da perdita anticipata della vita” trasmissibile iure successionis (Cass., 04/03/2004, n. 4400, Cass. n. 5641 del 2018, … e Cass., Sez. U., n. 15350 del 2015,…), non essendo predicabile, nell’attuale sistema della responsabilità civile, la risarcibilità del danno tanatologico.

Esemplificando, causare la morte d’un ottantenne sano, che ha dinanzi a sé cinque anni di vita sperata, non diverge, ontologicamente, dal causare la morte d’un ventenne malato che, se correttamente curato, avrebbe avuto dinanzi a sé ancora cinque anni di vita.

L’unica differenza tra le due ipotesi sta nel fatto che, nel primo caso, la vittima muore prima del tempo che gli assegnava la statistica demografica, mentre, nel secondo caso, muore prima del tempo che gli assegnava la statistica e la scienza clinica: ma tale differenza non consente di pervenire ad una distinzione “morfologica” tra le due vicende, così da affermare la risarcibilità soltanto della seconda ipotesi di danno.

E’ possibile, dunque, discorrere (risarcendolo) di “danno da perdita anticipata della vita”, con riferimento al diritto iure proprio degli eredi, solo definendolo il pregiudizio da minor tempo vissuto ovvero da valore biologico relazionale residuo di cui non si è fruito, correlato al periodo di tempo effettivamente vissuto….

In conclusione, nell’ipotesi di un paziente che, al momento dell’introduzione della lite, sia già deceduto, sono, di regola, alternativamente concepibili e risarcibili iure hereditario, se allegati e provati, i danni conseguenti:

a) alla condotta del medico che abbia causato la perdita anticipata della vita del paziente (determinata nell’an e nel quantum), come danno biologico differenziale (peggiore qualità della vita effettivamente vissuta), considerato nella sua oggettività, e come danno morale da lucida consapevolezza della anticipazione della propria morte, eventualmente predicabile soltanto a far data dall’altrettanto eventuale acquisizione di tale consapevolezza in vita;

b) alla condotta del medico che abbia causato la perdita della possibilità di vivere più a lungo (non determinata né nell’an né nel quantum), come danno da perdita di chances di sopravvivenza.

In nessun caso sarà risarcibile iure hereditario, e tanto meno cumulabile con i pregiudizi di cui sopra, un danno da “perdita anticipata della vita” con riferimento al periodo di vita non vissuta dal paziente”;

pertanto, “quando sia certo che la condotta del medico abbia provocato (o provocherà) la morte anticipata del paziente, la morte stessa diviene, di regola, evento assorbente di qualsiasi considerazione sulla risarcibilità di chance future, salvo quanto si dirà…

Nell’esigenza di pervenire ad una terminologia chiara e condivisa, va pertanto chiarito che:

a) vivere in modo peggiore, sul piano dinamico-relazionale, la propria malattia negli ultimi tempi della propria vita a causa di diagnosi e/o cure tardive da errore medico, rappresenta un danno biologico (differenziale);

b) nel contempo, trascorrere quegli ultimi tempi della propria vita con l’acquisita consapevolezza delle conseguenze sulla (ridotta) durata della vita stessa a causa di diagnosi e/o cure tardive da errore medico, costituisce un danno morale, inteso come sofferenza interiore e come privazione della capacità di battersi ancora contro il male;

c) perdere la possibilità, seria apprezzabile e concreta, ma incerta nell’an e nel quantum, di vivere più a lungo a causa di diagnosi e/o cure tardive da errore medico, è un danno da perdita di chance;

d) la perdita anticipata della vita per un tempo determinato a causa di un errore medico in relazione al segmento di vita non vissuta, è un danno risarcibile non per la vittima, ma per i suoi congiunti, nei termini prima chiariti, quale che sia la durata del “segmento” di esistenza cui la vittima ha dovuto rinunciare.

…deve concludersi che non vi è spazio, in linea generale, per sovrapposizioni concettuali tra istituti speculari (chance e perdita anticipata della vita), salvo che si chiariscano e si accertino, motivando rispetto alla concreta fattispecie, le differenze come sinora ricostruite. Ne consegue, pertanto, che:

a) nel caso di perdita anticipata della vita (una vita che sarebbe comunque stata perduta per effetto della malattia) sarà risarcibile il danno biologico differenziale (nelle sue due componenti, morale e relazionale: art. 138 nuovo testo c.a.p.), sulla base del criterio causale del “più probabile che non”: l’evento morte della paziente, verificatasi in data X, si sarebbe verificata, in assenza dell’errore medico, dopo il tempo (certo) X+Y, dove Y rappresenta lo spazio temporale di vita non vissuta: il risarcimento sarà riconosciuto, con riferimento al tempo di vita effettivamente vissuto – e non a quello non vissuto, che rappresenterebbe un risarcimento del danno da morte (riconoscibile, viceversa, iure proprio, ai congiunti) stante l’irrisarcibilità del danno tanatologico – in tutti i suoi aspetti, morali e dinamico-relazionali, intesi tanto sotto il profilo della (eventuale) consapevolezza che una tempestiva diagnosi e una corretta terapia avrebbero consentito un prolungamento (temporalmente determinabile) della vita che va a spegnersi, quanto sotto quello della invalidità permanente “differenziale” (la differenza, cioè, tra le condizioni di malattia effettivamente sopportate e quelle, migliori, che sarebbero state consentite da una tempestiva diagnosi e da una corretta terapia);

b) il danno da perdita di chance di sopravvivenza sarà invece risarcito, equitativamente, volta che, da un lato, vi sia incertezza sull’efficienza causale della condotta illecita quoad mortem, ma, al contempo, vi sia certezza eziologica che la condotta colpevole abbia cagionato la perdita della (come detto apprezzabile) possibilità di vivere più a lungo (possibilità non concretamente accertabile nel quantum né predicabile quale certezza nell’an, a differenza che nell’ipotesi sub a). La valutazione equitativa di tale risarcimento non sarà, dunque, parametrabile, sia pur con le eventuali decurtazioni, né ai valori tabellari previsti per la perdita della vita, né a quelli del danno biologico temporaneo;

c) il danno da perdita anticipata della vita e il danno da perdita di chance di sopravvivenza, di regola, non saranno né sovrapponibili né congiuntamente risarcibili, pur potendo eccezionalmente costituire oggetto di separata ed autonoma valutazione qualora l’accertamento si sia concluso nel senso dell’esistenza di un danno tanto da perdita anticipata della vita, quanto dalla possibilità di vivere ancora più a lungo, qualora questa possibilità non sia quantificabile temporalmente, ma risulti seria, concreta e apprezzabile, e sempre che entrambi i danni siano riconducibili eziologicamente (secondo i criteri rispettivamente precisati) alla condotta colpevole dell’agente.

…fermo il generale principio, come sopra espresso, della generale irrisarcibilità dell’ulteriore danno da perdita di chance in presenza di un danno da perdita anticipata della vita, in via eccezionale possono darsi ipotesi in cui il Giudice di merito ritenga, anche sulla base della prova scientifica acquisita, che, oltre al tempo determinato di vita anticipatamente perduta, esista, in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto, la seria, concreta e apprezzabile possibilità (sulla base dell’eziologica certezza della sua riconducibilità all’errore medico) che, oltre quel tempo, il paziente avrebbe potuto sopravvivere ancora più a lungo. In tal caso, sempre che e soltanto se tale possibilità non si risolva in una mera speranza, ovvero si collochi in una dimensione di assoluta incertezza eventistica, che non attinga la soglia di quella seria, concreta, apprezzabile possibilità (come lascerebbe intendere, in via di presunzione semplice, l’avvenuta morte, benché anticipata, del paziente), tale ulteriore e diversa voce di danno risulterà concretamente e limitatamente risarcibile, in via equitativa, al di là e a prescindere dai parametri (sia pur diminuiti percentualmente) relativi al danno biologico e al quello da premorienza”;

nel caso di specie, è stato accertato in fatto che, senza l’omissione del sanitario, colposamente causale, la vittima, deceduta per infarto due giorni dopo, avrebbe “più probabilmente che non” vissuto un periodo di vita determinato, di sette anni, come tale risarcibile “iure proprio” non “iure successionis”, in linea con quanto osservato anche dal Pubblico Ministero;

si osserva che quanto alla sussistenza della domanda di risarcimento del danno “non patrimoniale, “iure proprio”, in conseguenza della perdita di una persona cara”, essa, da correlare ai principî appena riaffermati, risulta da ciò che lo stesso ricorso, nella corretta cornice di specificità regolata dall’art. 366 c.p.c., n. 6, riporta alle pagine 15 e 16;

per quanto appena detto, non viene invece in discussione la domanda di danno “iure proprio” da perdita di “chance”;>>

“LARA CROFT” vs “LoraCraft”: un caso di tutela della rinomanza extramerceologica

Marcel Pemsel su IPKat segnala Opposition Division EUIPO Nо B 3 180 999 del 30.11.2023.

L’ufficio esclude la confondibilità ordinaria ex art. 8.1, EUTMR per carenza di affinità merceologica (corde e packaging per imballaggio vs. ceramiche etc.)

Riconosce però la tutela allargata per ingiustificato vantaggio dalla notorietà altrui ex art. 8,.5 EUTMR

<<It has to be recalled that the contested goods have a link to the earlier reputed goods and services, as explained in section c) above. Furthermore, the earlier mark enjoys a high reputation in the European Union in connection with video games. Consequently, and according to case-law, earlier marks with a strong reputation will be recognised in almost any context, particularly as a result of their above-average quality, which reflects a positive message, influencing the choice of the consumers as regards goods or services of other producers/providers.

Furthermore, it is important to underline that the earlier trade mark is inherently distinctive in relation to the goods and services they are registered for. This fact makes it even more likely that the applicant will attempt to benefit from the value of the opponent’s sign since such a distinctive trade mark as “Lara Croft” will be recognised in almost any context. The mere fact that the applicant changed the position of two letters will in no way impede such a recognition, as the structure of the contested sign – female Christian name and last name – is still identical to the earlier right.

An unfair advantage occurs when a third party exploits the reputation of the earlier mark to the benefit of its own marketing efforts. In practice, the applicant ‘hooks onto’ the renowned mark and uses it as a vehicle to encourage consumer interest in its own products. The advantage for the applicant is a substantial saving on investment in promotion and publicity for its own mark, since it benefits from that which has made the earlier mark famous. This is unfair because it is done in a parasitic way (08/02/2002, R 472/2001 1, BIBA/ BIBA).

Furthermore, in view of the earlier trade mark special attractiveness, it may be exploited even outside its natural market sector, by merchandising (as demonstrated by the opponent). Hence, as the earlier mark has a high reputation and the commercial and as especially the merchandising context in which the goods are promoted are very close, the Opposition Division can accept the opponent’s claim that consumers of goods in Class 9 and in Class 22 make a connection between the applicant’s goods and the reputed mark Lara Croft used by the opponent.

The opponent has invested large sums of money and effort in creating a certain brand image associated with its trade mark, by creating a fictious character which attracts the admiration of the public, inciting them to be a close as possible to this character (for instance women dressed like Lara Croft in fan events), and one way of doing this is by buying merchandising goods, bearing the name Lara Croft.

This image associated with a trade mark confers on it an – often significant – economic value, which is independent of that of the goods for which it is registered. Consequently, Article 8(5) EUTMR aims at protecting this advertising function and the investment made in creating a certain brand image by granting protection to reputed trade mark, irrespective of the similarity of the goods or services or of a likelihood of confusion, provided it can be demonstrated that use of the contested application without due cause would take unfair advantage of, or be detrimental to, the distinctive character or repute of the earlier mark.

The notion of taking unfair advantage of distinctiveness or repute covers cases where the applicant benefits from the attractiveness of the earlier right by using for its services a sign that is similar (or identical) to one widely known in the market and, therefore, misappropriating its attractive powers and advertising value, or exploiting its reputation, image and prestige. This may lead to unacceptable situations of commercial parasitism, where the applicant is allowed to take a ‘free ride’ on the investment of the opponent in promoting and building up goodwill for its mark, as it may stimulate sales of its products to an extent that is disproportionately high for the size of its promotional investment. In its judgement of 18/06/2009, C 487/07, L’Oréal, EU:C:2009:378, § 41, 49, the Court indicated that unfair advantage exists where there is a transfer of the image of the mark, or of the characteristics that it projects, to the goods identified by the identical or similar sign. By riding on the coat-tails of the reputed mark, the applicant benefits from the power of attraction, reputation and prestige of the reputed mark. The applicant also exploits, without paying any financial compensation, the marketing effort expended by the proprietor of the earlier mark in order to create and maintain the image of that mark.

The use of the mark applied for in connection with the abovementioned goods will almost certainly draw the relevant consumer’s attention to the opponent’s highly similar and very well-known mark. The contested mark will become associated with the aura of fame that surrounds the Lara Croft brand. Many consumers are very likely to think that there is a direct connection between the goods of the applicant, and the famous Lara Croft character, as the sings are made up of identical letters, or might not even notice the difference.

Article 8(5) EUTMR exists to prevent this type of situation, where one mark takes unfair advantage of its distinctive character and repute. The applicant could take unfair advantage of the fact that the public knows the trade mark Lara Croft so well, in order to introduce its own similar trade mark without incurring any great risk and the cost of introducing a totally unknown trade mark to the market.

On the basis of the above, the Opposition Division concludes that the contested trade mark will take unfair advantage of the distinctive character or the repute of the earlier trade mark.

The opponent also argues that use of the contested trade mark would be detrimental to the repute of the earlier trade mark.

As seen above, the existence of a risk of injury is an essential condition for Article 8(5) EUTMR to apply. The risk of injury may be of three different types. For an opposition to be well founded in this respect it is sufficient if only one of these types is found to exist. In the present case, as seen above, the Opposition Division has already concluded that the contested trade mark would take unfair advantage of the distinctive character or repute of the earlier trade mark. It follows that there is no need to examine whether other types also apply>>.

Decisione esatta.

I marchi “Royal” e “Sussex Royal” per birre non sono confondibili

Così decide il Board of appeal EUIPO 19.12.2023, case R 1729/2022-4, Ui Phoenix Kerbl v. Royal Unibrew A/S (segnalazione di Alessandro Cerri in IPKat).

Marchio richiesto: SUSSEX ROYAL

Anteriorità opposta: ROYAL nonchè ROYAL UNIBREW (ma l’esame ha riguardato solo il primo segno)

Giustamente il BoA esclude confondibilità data la assenza di distintività di ROYAL (“segno di uso comune negli usi costanti del commercio”, se si applicasse il ns diritto, art. 13.1A cpi)

<<Overall assessment of the likelihood of confusion
45 The global assessment of the likelihood of confusion implies some interdependence between the relevant factors, in particular between the similarity of the signs and that of the goods or services covered. Accordingly, a low degree of similarity between those goods or services may be offset by a high degree of similarity between the signs, and vice versa (29/09/1998, C-39/97, Canon, EU:C:1998:442, § 17; 18/12/2008, C-16/06 P, Mobilix, EU:C:2008:739, § 46; 05/03/2020, C-766/18 P, BBQLOUMI (fig.) / HALLOUMI, EU:C:2020:170, § 69).
46 It is also settled case-law that the more distinctive the earlier mark, the greater will be the likelihood of confusion, and therefore trade marks with a highly distinctive character, either per se or because of the recognition they possess on the market, enjoy broader protection than marks with a less distinctive character (11/11/1997, C-251/95, Sabèl, EU:C:1997:528, § 24; 29/09/1998, C-39/97, Canon, EU:C:1998:442, § 18; 22/06/1999, C-342/97, Lloyd Schuhfabrik, EU:C:1999:323, § 20).
47 On the other hand, where the signs overlap in a descriptive, non-distinctive or weak element, the global assessment of the likelihood of confusion will not often lead to a finding that that likelihood exists (12/06/2019, C-705/17, ROSLAGSÖL, EU:C:2019:481, § 55).
48 The ratio legis of trade mark law is to strike a balance between the interest of the proprietor of a trade mark in safeguarding its essential function, and the interests of other economic operators in having signs capable of denoting their goods and services. Therefore, excessive protection of marks consisting of elements that are devoid of any distinctive character or have a very weak distinctive character could adversely affect the attainment of the objectives pursued by trade mark law, if the mere presence of these elements in the signs at issue led to a finding of a likelihood of confusion without taking into account theremainder of the specific factors in the case (18/01/2023, T-443/21, YOGA ALLIANCE INDIA INTERNATIONAL, EU:T:2023:7, § 117-118).
49 In the present case, notwithstanding the fact that the goods covered by the signs at issue are identical or similar, the low degree of visual and phonetic similarity and at most low degree of conceptual similarity between them, in conjunction with the weak distinctiveness of the earlier mark, rule out the possibility that the relevant public might think that the goods at issue come from the same undertaking or from economically linked undertakings.
50 For the part of the public which perceives the contested sign as a conceptual unit clearly referring to the Duke and Duchess of Sussex (namely Prince Harry and Megan Markle), no likelihood of confusion exists, as the conceptual difference between the signs counteracts any visual and phonetic similarities that exist (04/05/2020, C-328/18 P, BLACK LABEL BY EQUIVALENZA (fig.) / LABELL (fig.) et al., EU:C:2020:156, § 74 and the case-law cited).
51 For the remaining part of the public, the coincidence in an allusion to luxury and superb quality (being a result of the common word ‘ROYAL’) is sufficiently outweighed by the additional verbal element ‘SUSSEX’ at the beginning of the contested sign. There is no risk that this difference will not be noted by the consumers. As a result, there is no direct likelihood of confusion. The contested sign will not be taken for the earlier mark (05/02/2007, T‑501/04, ROYAL / ROYAL FEITORIA et al., EU:T:2007:54, § 47-49).
52 The opponent claims that the contested sign will be perceived as a sub-brand of the earlier mark. However, for such an indirect likelihood of association to occur, the trade mark applied for must display such similarities to the earlier mark that might lead the consumer to believe that the sign is somehow connected with the earlier right (and therefore, that the goods covered by it have the same or a related commercial origin). This likelihood of association may occur only if the trade mark applied for shares with the earlier mark characteristics capable of associating the signs with each other (by analogy 15/03/2023, T‑174/22, Breztrev / Brezilizer et al., EU:T:2023:134, § 83; 25/10/2023, T‑511/22, HPU AND YOU (fig.) / DEVICE OF THREE HEXAGONS (fig.) et al., EU:T:2023:673, § 80). If the similarity between the signs resides only in an element that has a minimal degree of distinctiveness, such an association is not likely. For such an association to occur the signs would need to overlap in a distinctive element, or at least in the structure and/or stylisation. Average consumers do not usually take one component of a composite trade mark and compare it with another mark (even less if it is weakly distinctive).
53 The earlier mark has a low degree of inherent distinctiveness. It is apparent from the case-law, that such marks enjoy less extensive protection and, therefore, the likelihood of confusion is, in such cases, not likely (12/05/2021, T‑70/20, MUSEUM OF ILLUSIONS (fig.) / MUSEUM OF ILLUSIONS (fig.), EU:T:2021:253, § 91-92, 95).
54 Bearing in mind the above, the Board finds that no likelihood of confusion exists on the basis of the inherent distinctiveness of earlier international registration No 854 092 designating the European Union for any part of the public.
55 As a result, the claim of enhanced distinctive character and reputation of the earlier mark needs to be examined (as it might substantially affect the global assessment of likelihood of confusion)>>.

Rimanda però per l’esame dell’altro segno e della domanda basata sulla rinomanza (improbabilissima , direi, per tali sgni)

Resta da capire come secondo il diritto internazionale si possa impedire lo sfruttamento della notorietà altrui (i duchi del Succesx, Harry e Meghan), a prescindere da loro registraizoni come marchio