Cass. Sez. I, Sent. 19/12/2023, n. 35.434, rel. Ioffrida:
<<Sul tema della pariordinazione dei criteri di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, si sofferma poi Cass. 17 febbraio 2021, n. 4215, a mente della quale, posto che l’assegno divorzile svolge una funzione sia assistenziale che perequativa e compensativa, il giudice: a) attribuisce e quantifica l’assegno alla stregua dei parametri pari ordinati di cui all’art. 5, 6 comma, prima parte, tenuto conto dei canoni enucleati dalle Sezioni Unite del 2018, prescindendo dal tenore di vita godibile durante il matrimonio; b) procede pertanto ad una complessiva ponderazione “dell’intera storia familiare”, in relazione al contesto specifico e, in particolare, atteso che l’assegno deve assicurare all’ex coniuge richiedente – anche sotto il profilo della prognosi futura – un livello reddituale adeguato allo specifico contributo dallo stesso fornito alla realizzazione della vita familiare e alla creazione del patrimonio comune e/o personale dell’altro coniuge, accerta previamente non solo se sussista uno squilibrio economico tra le parti, ma anche se esso sia riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli all’interno della coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due e verifica, infine, se siffatto contributo sia stato già in tutto o in parte altrimenti compensato, fermo che, nel patrimonio del coniuge richiedente, l’assegno non devono computarsi anche gli importi dell’assegno di separazione, percepiti dal medesimo in unica soluzione, in forza di azione esecutiva svolta con successo, in ragione dell’inadempimento dell’altro coniuge.
4.3. In definitiva, occorre un rigoroso accertamento del fatto che lo squilibrio, presente al momento del divorzio, fra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti è l’effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari, il che giustifica il riconoscimento di un assegno “perequativo”, cioè di un assegno tendente a colmare tale squilibrio reddituale e a dare ristoro, in funzione riequilibratrice, al contributo dato dall’ex coniuge all’organizzazione della vita familiare, senza che per ciò solo si introduca il parametro, in passato utilizzato e ormai superato, del tenore di vita endoconiugale, mentre in assenza della prova di questo nesso causale, l’assegno può essere solo eventualmente giustificato da una esigenza strettamente assistenziale, la quale tuttavia consente il riconoscimento dell’assegno solo se il coniuge più debole non ha i mezzi sufficienti per un’esistenza dignitosa o non può procurarseli per ragioni oggettive. L’assegno divorzile, infatti, deve essere anche adeguato sia a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere rinunciato, in particolare, a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, sia ad assicurare, in funzione perequativa, sempre previo accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico-patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, un livello reddituale adeguato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale.
Sciolto il vincolo coniugale, in linea di principio ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, ma tale principio è derogato, in base alla disciplina sull’assegno divorzile, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge, “ex post” divenuto ingiustificato, spostamento patrimoniale che in tal caso deve essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa>>.
Si noti bene: son due ipotesi autonome, non cumulate.