Assai interessante insegnamento in Cass. sez. II 16/02/2024, n. 4.245, rel. Caponi:
<<Dinanzi ad una domanda di tutela così specificamente congegnata nella sua complessità e nel suo ordine di priorità, l’art. 1497 c.c. si limita a ricordare che, laddove la cosa venduta non abbia le qualità essenziali per l’uso a cui è destinata (come nel caso di specie è stato accertato sulla base della c.t.u.), sono applicabili le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento.
Pertanto, ciò non esclude logicamente che il compratore – se ed in quanto lo voglia in via prioritaria – abbia diritto a mantenere fermo in capo a lui (attraverso una do-manda di riduzione del prezzo) la proprietà del bene conseguita per effetto del contratto. La soluzione opposta avrebbe come conseguenza che l’ordine dei rimedi – e quindi la scala di priorità dei bisogni di tutela da soddisfare – sia dettato non già dall’attore ma dal convenuto della domanda di tutela.
Se è vero che “il processo deve dare per quanto è possibile pratica-mente a chi ha un diritto tutto quello e proprio quello ch’egli ha diritto di conseguire ai sensi del diritto sostanziale”, l’attore che risulti avere ragione (non il convenuto) ha diritto di delineare il “proprio quello”. Né i “sensi del diritto sostanziale” possono essere impastoiati da vincoli fatti discendere da formulazioni letterali che – come quelle degli artt. 1492 e 1497 c.c. nelle loro relazioni reciproche – rendono ossequio ad una tradizione storica da ambientare nel clima moderno; mentre le distinzioni tra vizi attinenti ai processi di produzione, ecc., da un lato, e, dall’altro lato, le qualità afferenti alla natura della cosa, così come gli esempi addotti a loro sostegno, non estendono la loro forza al di là delle parole e delle immagini che essi impiegano nel profilarsi alla no-stra attenzione. Non esistono le qualità essenziali in sé delle cose, ma si danno le qualità predicate come essenziali (o meno) in vista di un interesse verso di esse meritevole di tutela. Ne segue che la suddivisione tra i vizi (occorsi nel procedimento di produzione e/o conserva-zione), da un lato, e, dall’altro lato, la mancanza di qualità essenziali rispetto al tipo dedotto nel contratto esprime piuttosto il tentativo di elargire ex post ragioni a un retaggio storico.
La conclusione è in linea con l’orientamento prevalente della dot-trina, secondo il quale il caso di presenza di vizi e quello di mancanza di qualità sono soggetti ad una disciplina che non conosce paratie, ma snodi di collegamento, giacché il profilo di atipicità dell’azione giudizia-ria conferisce non solo alla domanda di risoluzione ma anche a quella di riduzione del prezzo il tratto di rimedio generale a tutela dell’acquirente, che quindi può domandare la riduzione del prezzo anche nelle fattispecie contemplate dall’art. 1497 c.c.>>
Questione interessante, ma non esposta in modo chiarissimo. Ok sull’ultimo passaggio, che intenderei così: in presenza di difetto di qualità, si può qualificarlo invece come “vizio” da quanti minoris e chiedere la riduzione rpezzo. Ma la modalitò specifica quale è: 1) l’acqurente lo fa azionando appunto la disciplina dei vizi? 2) oppure senza specificare alcunchè? 3) o addirittura la risoluzione da difetto di qualità e poi modificando la domanda in riduzione prezzo?
Se fosse sub 1, non ci sarebbe nulla di strano: ma la SC parrebbe ammettere pure 2) e 3) (si dovrebbe leggere qualche passggio cbe sta subito prima, qui omesso)
Nel caso specifico era stata avanzata l’ulrtima dom and n via principale e quella risolutioeria in via subordinata.