Cass sez. I, ord. 08/03/2024 n. 6.263, rel. Caiazzo:
<<l riguardo, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello non abbia tenuto conto del mancato svolgimento della propria attività lavorativa per il periodo di due anni nel quale aveva seguito la famiglia in Polonia. Il secondo e terzo motivo (spettanza dell’assegno divorzile), aventi carattere preliminare rispetto al primo (misura dell’assegno divorzile)-esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi- sono fondati.
All’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto (Cass., S.U. 18287/2018).
Sciolto il vincolo coniugale, in linea di principio ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento; tuttavia tale principio è derogato, in base alla disciplina sull’assegno divorzile, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge, “ex post” divenuto ingiustificato, spostamento patrimoniale che in tal caso deve essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa>>.
Il rapporto tra le due funzioni (perequativa; assistenziale) non è chiarito adeguatamente, però.
Poi:
<<Pertanto, ove ne ricorrano i presupposti e vi sia una specifica prospettazione in tal senso, l’assegno deve essere adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole, in funzione perequativo-compensativa, del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale (Cass. 24250/2021; Cass. 23583/2022; Cass. 9144/2923).>>
Applicato al caso sub iudice:
<<Nel caso di specie, la Corte d’appello, con una motivazione più che stringata, ha ritenuto non provate le condizioni per il riconoscimento dell’assegno divorzile, poiché la Fe. insegna ed è proprietaria della porzione di casa in cui vive, e non provato – a differenza di quanto aveva ritenuto il giudice di primo grado, e senza alcun mutamento del quadro probatorio – che la medesima avesse perso la retribuzione e i contributi per il trattamento pensionistico per i 20 mesi nei quali aveva seguito il marito in Polonia, per ragioni di lavoro del medesimo. Orbene, la Corte territoriale non ha tenuto conto della durata (23 anni) del matrimonio, dell’età (circa 60 anni) della Fe., del fatto pacifico, che la stessa si fosse recata per 20 mesi in Polonia al seguito del marito, del fatto – del pari pacifico, essendo stato riconosciuto anche in questa sede dal Carver nel controricorso – che la ex moglie si era messa in aspettativa ai sensi della l. 26/1980, che prevede che il dipendente in aspettativa non ha diritto ad alcun assegno (art. 2) e che “Il tempo trascorso in aspettativa concessa ai sensi dello articolo 1 della presente legge non è computato ai fini della progressione di carriera, dell’attribuzione degli aumenti periodici di stipendio e del trattamento di quiescenza e previdenza”>>.