Cass. sez. I, ORD. 12/03/2024, n. 6.455, rel. Tricomi:
<<Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la quantificazione dell’assegno di mantenimento previsto in favore del figlio, deve tenere conto non solo delle “rispettive sostanze”, ma anche della capacità di lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge, con espressa valorizzazione, oltre che delle risorse economiche individuali, anche delle accertate potenzialità reddituali (Cass. n. 6197/2005 e Cass. n. 3974/2002), in uno con la considerazione delle esigenze attuali del figlio (Cass. n. 4811/2018; Cass., n. 16739/2020 e Cass. n. 19299/2020), nonché dei tempi di permanenza dello stesso presso ciascuno dei genitori e della valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti (Cass. n. 17089/2013).
Inoltre, la formazione di una nuova famiglia e la nascita di figli con il nuovo partner, pur non determinando automaticamente una riduzione degli oneri di mantenimento dei figli nati dalla precedente unione, deve essere valutata dal giudice come circostanza che può incidere nella determinazione dell’importo dovuto in quanto comporta il sorgere di nuovi obblighi di carattere economico (Cass. n. 14175/2016; Cass. n. 21818/2021). [o incide o non incide: non può essere che “possa incidere”]
Nel caso in esame, la Corte di merito non si è attenuta ai principi ricordati, essendo la motivazione sul raddoppio del mantenimento della figlia minore del tutto generica ed apodittica, oltre che costituente violazione delle norme succitate, essendo fondata sul solo presuntivo incremento delle esigenze della minore e sulla valorizzazione della più ampia permanenza temporale presso la madre, atteso che non vengono in alcun modo illustrate le ragioni del così cospicuo aumento, né vengono presi in esame ad alcun titolo i sopravvenuti oneri di mantenimento rispetto alla nuova prole dello Za.Ma>>.
E poi sul tema in generale ripete le note consideraizoni della sezione (anzi del relatore):
<<Il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio deve essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. All’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass. Sez. U. n.18287/2018).
Nella specie, la Corte d’appello – pur avendo accertato che, al momento della decisione, la moglie aveva quasi cinquanta anni, che la medesima, pur essendo laureata, si era sempre dedicata alla cura della figlia, pur avendo ricevuto diverse proposte di lavoro, e che aveva comunque cercato di lavorare, trasferendosi all’estero – ha negato l’assegno, sulla base del riscontro di un diritto di abitazione acquisito su di una casa in Firenze e della nuda proprietà di altra abitazione, senza effettuare ulteriori accertamenti sui redditi effettivi della medesima, e sulla sua ipotetica autosufficienza economica. La Corte ha, poi, del tutto omesso di effettuare una valutazione comparativa con i redditi del marito, neppure indicati, e sul contributo dato dalla donna alla formazione del patrimonio familiare, rinunciando ad accettare le proposte di lavoro dalla stessa Corte elencate>>.