Cass. sez. lavoro, Ord. 15/04/2024, n. 10043 n. 10.043 rel. Riolfi, in un azione di danno del dipendente verso la Regione Calabria per epatite C contratta durante il servizio presso la ASL 2 di CAstrovillari:
Fatto processuale:
<<.3. La Corte territoriale, invero, dopo aver operato previamente la qualificazione del titolo di responsabilità invocato dal ricorrente come responsabilità ex art. 2087 c.c., ha correttamente richiamato il principio generale, reiteratamente affermato da questa Corte, per cui, non costituendo l’art. 2087 c.c. ipotesi di responsabilità oggettiva, grava comunque sul lavoratore, che tale titolo di responsabilità venga ad invocare, l’onere di allegare, sia gli indici della nocività dell’ambiente lavorativo cui è esposto – da individuarsi nei concreti fattori di rischio, circostanziati in ragione delle modalità della prestazione lavorativa -sia il nesso eziologico tra la violazione degli obblighi di prevenzione ed i danni subiti (e.g. Cass. Sez. L – Sentenza n. 28516 del 06/11/2019; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 26495 del 19/10/2018; Cass. Sez. L -Sentenza n. 10319 del 26/04/2017 sino alle più risalenti Cass. Sez. L, Sentenza n. 4840 del 07/03/2006; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4840 del 07/03/2006).>>
Ed allora la SC:
<<4.4. Tale drastica declinazione del principio generale, pur correttamente richiamato, non ha tuttavia tenuto conto dei principi enunciati da questa Corte con riferimento alle specificità che caratterizzano l’attività istruttoria nel rito del lavoro.
Questa Corte, infatti, ha reiteratamente chiarito – anche con riferimento al giudizio d’appello – che nel rito del lavoro, l’esercizio dei poteri istruttori del giudice – che può essere utilizzato a prescindere dalla maturazione di preclusioni probatorie in capo alle parti – vede quali presupposti la ricorrenza di una semipiena probatio e l’individuazione di quegli elementi che sono stati ricondotti alla categoria della “pista probatoria”, e cioè di quelle informazioni che emergono dal complessivo materiale probatorio, anche documentale, e che costituiscono fattore che non solo vale a superare una rigida applicazione delle già richiamate preclusioni istruttorie e degli stessi limiti all’attività istruttoria, ma anche giustifica – ed anzi rende doveroso – l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio, oltre ad una valorizzazione complessiva e non parziale del materiale probatorio, sebbene anche solo indiziario (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 26597 del 23/11/2020; Cass. Sez. L, Ordinanza n. 33393 del 17/12/2019; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 32265 del 10/12/2019; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 11845 del 15/05/2018; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 28134 del 05/11/2018; Cass. Sez. L, Sentenza n. 9034 del 06/07/2000).
Tale principio, del resto, costituisce gemmazione di un principio più generale, anch’esso oggetto di reiterata enunciazione e riferito proprio alla verifica dell’effettiva sussistenza di uno scenario di assoluta mancanza di prova, quale quello evocato dalla decisione impugnata.
A mente di tale principio, nel rito del lavoro, la necessità di assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., nell’ambito del rispetto dei principi del giusto processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. e in coerenza con l’art. 6 CEDU, comporta l’attribuzione di una maggiore rilevanza allo scopo del processo -costituito dalla tendente finalizzazione ad una decisione di merito – che non solo impone di discostarsi da interpretazioni suscettibili di ledere il diritto di difesa della parte o, comunque, risultino ispirate ad un eccessivo formalismo, tale da ostacolare il raggiungimento del suddetto scopo, ma conduce a considerare del tutto residuale l’ipotesi di “assoluta mancanza di prove”.
Tale necessità si traduce in una maggiore pregnanza del dovere del giudice di pronunciare nel merito della causa sulla base del materiale probatorio ritualmente acquisito con una valutazione, non limitata all’esame isolato dei singoli elementi, ma operata in via globale nel quadro di una indagine unitaria ed organica (Cass. Sez. L, Sentenza n. 18410 del 01/08/2013; Cass. Sez. L, Sentenza n. 6753 del 04/05/2012, per risalire a Cass. Sez. U, Sentenza n. 11353 del 17/06/2004).
Alla luce di tali principi, quindi, pur restando immutate le regole generali di distribuzione degli oneri probatori, la presenza di elementi idonei a costituire “piste probatorie” determina il potere-dovere del giudice di procedere – anche tramite i poteri ufficiosi che gli sono attribuiti dalla legge – sia agli opportuni approfondimenti sia ad una valutazione complessiva del quadro probatorio – sia quello iniziale sia quello risultante dagli approfondimenti medesimi – la quale può sfociare in un giudizio conclusivo di totale carenza probatoria solo qualora, all’esito di un vaglio complessivo dell’insieme degli elementi disponibili, risulti l’assoluta inconsistenza del contributo probatorio di questi ultimi.
4.5. Si deve, a questo punto, rilevare che nella decisione impugnata la Corte d’appello risulta aver radicalmente trascurato – omettendone persino la menzione in parte motiva – una circostanza di cui pure essa stessa aveva dato atto nella propria diffusa ricostruzione dei fatti di causa, e cioè la precedente attivazione della procedura per il riconoscimento al ricorrente della causa di servizio proprio in relazione all’incidente cui viene attribuita la fonte del contagio accidentale, procedura nell’ambito della quale era stato espresso giudizio favorevole sia dalla Commissione medica sia dal Comitato di verifica>>.