Cass. sez. I, sent. 02/04/2024 n. 8.633, rel. Scotti (con le consuete pregevoli sinteticità e chiarezza di questo relatore):
<<13. Secondo il noto orientamento che risale alle sentenze delle Sezioni Unite del 12.3.2013, n. 6070 e 6072, la cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società medesima, impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio.
Se l’estinzione della società cancellata dal registro interviene in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dagli art. 299 e ss. cod. proc. civ., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci. Ove invece l’evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dagli articoli appena citati o si sia verificato quando il farlo constare in quei modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta.
Qualora all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale:
(a) le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali;
(b) si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato.
Secondo l’indirizzo giurisprudenziale prevalente i soci sono destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, ma non definiti all’esito della liquidazione, indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano goduto, o no, di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione.
Secondo questa giurisprudenza, formatasi in tema di contenzioso tributario, qualora l’estinzione della società di capitali, all’esito della cancellazione dal registro delle imprese, intervenga in pendenza del giudizio di cui la stessa sia parte, l’impugnazione della sentenza resa nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta in quanto il limite di responsabilità degli stessi di cui all’art. 2495 c.c. non incide sulla loro legittimazione processuale ma, al più, sull’interesse ad agire dei creditori sociali, interesse che, tuttavia, non è di per sé escluso dalla circostanza che i soci non abbiano partecipato utilmente alla ripartizione finale, potendo, ad esempio, sussistere beni e diritti che, sebbene non ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, si sono trasferiti ai soci. (Sez. 5, n. 9094 del 7.4.2017; Sez. 5 , n. 15035 del 16.6.2017; Sez. 5, n. 897 del 16.1.2019; Sez.5, n. 1713 del m21.1.2018; Sez.5, n. 14446 del 5.6.2018; Sez.5, n. 23730 del 29.7.2022; Sez.5. n. 13247 del 28.4.2022; Sez. 5, n. 22692 del 26.7.2023).
In particolare, si è detto che “La possibilità di sopravvenienze attive o anche semplicemente la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio non consentono, dunque, di escludere l’interesse dell’Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, in considerazione della natura dinamica dell’interesse ad agire, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti”.
14. Il limite di responsabilità dei soci ex art. 2495 c.c., comma 2, non incide sulla loro legittimazione processuale, ma, al più, sull’interesse ad agire dei creditori sociali, interesse che, tuttavia, non è di per sé escluso dalla circostanza che i soci non abbiano partecipato utilmente alla ripartizione finale, perché ben possono, ad esempio, sussistere beni e diritti che, sebbene non ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, si sono trasferiti ai soci.
Se quindi dal lato passivo dei rapporti facenti capo alla società estinta questa Corte predica la non necessaria correlazione tra titolarità in capo agli ex soci di beni o diritti e la loro legittimazione processuale, tale principio deve anche valere anche con riferimento alla situazione simmetrica, ossia alla legittimazione processuale attiva in caso di trasferimento del diritto controverso, che determina, agli effetti dell’art. 111 cod. proc. civ., la prosecuzione del processo tra le parti originarie, non venendo meno la legitimatio ad causam della parte cedente.
Vale a dire: come l’assenza di beni o diritti ripartiti non incide sulla legittimazione processuale passiva dei soci, giacché non configura una condizione da cui dipende la possibilità di proseguire nei loro confronti l’azione originariamente intrapresa dal creditore sociale verso la società, così le stesse circostanze non precludono l’assunzione da parte loro della qualità di successori processuali e correlativamente, la loro legittimazione ad causam ai fini della prosecuzione del processo.
L’effettiva liquidazione e ripartizione dell’attivo e, prima ancora, ovviamente, la sua sussistenza se costituisce fondamento sostanziale e misura (nonché limite) della titolarità sostanziale del rapporto in capo a ciascuno dei successori, non può però anche ritenersi presupposto della assunzione, in capo al socio, della qualità stessa di successore e, correlativamente, della legittimazione ad causam ai fini della prosecuzione del processo ai sensi dell’art. 111 cod. proc. civ.
16. La legittimazione processuale dei soci, dunque, si pone su un piano preliminare e distinto da quello concernente la concreta titolarità sostanziale del rapporto.
Gli ex soci pertanto sono legittimati a proseguire il processo incardinato nei confronti della società estinta, a prescindere dalla titolarità effettiva del credito, trasferita per atto inter vivos ad altro soggetto, e quindi possono parteciparvi al processo quale mero sostituto processuale, sì come sono legittimati passivamente all’azione dei creditori sociali, ancorché non abbiano ricevuto beni in sede di liquidazione.
Da questa premessa discende l’irrilevanza della attribuzione del credito in sede di bilancio finale di liquidazione, cosa che in una situazione del genere di quella sopra illustrata neppur teoricamente poteva avvenire, visto che il credito era già stato trasferito a terzi in precedenza.
In altri termini, gli ex soci sono legittimati ex art.111 cod. proc. civ. a proseguire la controversia intrapresa dalla società estinta e da essa proseguita quale sostituto processuale del successore a titolo particolare nel rapporto controverso ex art.110 cod. proc. civ. e in questo caso non sono tenuti a dimostrare di essere subentrati nel credito in precedenza ceduto>>.
Dunque il principio di diritto:
“Nel caso di trasferimento a titolo particolare per atto inter vivos del diritto controverso in corso di causa, gli ex soci della società cedente estinta sono successori a titolo universale ai sensi dell’art.110 cod. proc. civ. nella posizione meramente processuale della società estinta, parte originaria legittimata ex art.111 cod.proc.civ a proseguire il giudizio, e perciò essi pure legittimati, indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano goduto, o no, di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione.”