Cass. sez. I, sent. 09/04/2024 n. 9.429, rel. Campese, con sentenza importante per i) la rarità di interventi sul tema, ii) l’importanza del tema trattato (varietà agricole) , iii) per il resoconto analitico della prassi contrattuale in questo settore poco conosciuto.
La motivazione però è troppo scarna circa il punto focale, cioè la derogabilità dell’art. 13 reg. 2100/94 (da noi art. 107 c.p.i.).
Disposizione che recita:
<< Articolo 13 – Diritti dei titolari della privativa comunitaria per ritrovati vegetali e atti vietati
1. In virtù della privativa comunitaria per ritrovati vegetali il titolare o i titolari di tale privativa, in appresso denominati «il titolare», hanno facoltà di effettuare in ordine alle varietà gli atti elencati al paragrafo 2.
2. Fatte salve le disposizioni degli articoli 15 e 16, gli atti indicati in appresso effettuati in ordine a costituenti varietali, o al materiale del raccolto della varietà protetta, in appresso denominati globalmente «materiali», richiedono l’autorizzazione del titolare:
a) produzione o riproduzione (moltiplicazione),
b) condizionamento a fini di moltiplicazione,
c) messa in vendita,
d) vendita o altra commercializzazione,
e) esportazione dalla Comunità,
f) importazione nella Comunità,
g) magazzinaggio per uno degli scopi di cui alle lettere da a) a f).
Il titolare può subordinare la sua autorizzazione a determinate condizioni e limitazioni.
3. Le disposizioni del paragrafo 2 si applicano a prodotti del raccolto soltanto qualora essi siano stati ottenuti mediante un’utilizzazione non autorizzata dei costituenti varietali della varietà protetta e a meno che il titolare abbia avuto una congrua opportunità di esercitare il suo diritto in relazione ai suddetti costituenti varietali>>.
Il contratto dava i diritti sui frutti al titolare della privativa, derogando al c. 3 cit. che invece glieli riserva solo alle condizioni ivi previste (nel caso specifico non ricorrenti).
Ebbene la SC dice che da un lato la corte di appello sbagliò nel riconoscere i diritti sui frutti al titolare, vista la disposizione cit. (§ 4.13). Non dice però perchè sbagliò, dato che ci fu un esplicito patto contrattuale.
Dall’altro esamina la natura della disposizione de qua come norma di ordine pubblico, che costiutisce il fulcro della lite. Se tale è, allora, il patto derogatorio è nullo e così pure il lodo arbitrale che lo ritenne valido.
Purtroppo su quest’ultimo punto la SC si limita a rinviare alle conclusioni del procuratore generale (§ 4.15), qui ripetute:
<<4.15. Fermo quanto precede, ritiene il Collegio che, al fine di configurare la nullità per contrarietà all’ordine pubblico (per violazione di norme imperative sancite dall’art. 13 del Regolamento (CE) 2100/94, posto che il giudice, nel ricercare i principi fondamentali dell’ordinamento italiano, deve tener conto anche delle regole e dei principi entrati a far parte del nostro sistema giuridico in virtù del suo conformarsi ai precetti del diritto internazionale, sia generale che pattizio, e del diritto dell’Unione europea) di una pattuizione come quella complessivamente derivante dalle già riportate clausole contrattuali nn. 3.4 e 4.2. del Contratto Principale suddetto, così da considerare la descritta statuizione del lodo definitivo, a sua volta, contraria all’ordine pubblico, rendendone ammissibile, pertanto, l’impugnazione della stessa avanti alla corte d’appello, secondo quanto previsto dal vigente art. 829, comma 3, cod. proc. civ., è sufficiente, da un lato, osservare, condividendosi quanto si legge nella requisitoria scritta del sostituto procuratore generale, che “richiamata la costruzione concettuale dell’ordine pubblico come l’insieme delle norme fondamentali e cogenti dell’ordinamento dettate a tutela di interessi generali, comprese quelle costituzionali e quelle che caratterizzano la struttura etico-sociale della comunità internazionale in un determinato momento storico, è decisivo considerare che il riconoscimento in favore del titolare della varietà vegetale di un diritto di proprietà su piante e frutti realizzati dalla controparte in conseguenza dell’utilizzo autorizzato dei costituenti varietali integri una lesione dei principi attinenti allo sviluppo dell’attività agricola ed alla libera concorrenza”. Dall’altro, e soprattutto, ribadire le chiare argomentazioni della sentenza CGUE ampiamente illustrata in precedenza laddove ha affermato che dal quinto, dal quattordicesimo e dal ventesimo considerando del Regolamento (CE) 2100/94 “risulta che, sebbene il regime istituito dall’Unione sia inteso a concedere una tutela ai costitutori che sviluppano nuove varietà al fine di incentivare, nell’interesse pubblico, la selezione e lo sviluppo di nuove varietà, tale tutela non deve andare oltre quanto è indispensabile per incentivare detta attività, a pena di compromettere la tutela degli interessi pubblici costituiti dalla salvaguardia della produzione agricola, l’approvvigionamento del mercato di materiale che presenti determinate caratteristiche o di compromettere l’obiettivo stesso di continuare ad incoraggiare la selezione costante di varietà migliorate. In particolare, secondo il combinato disposto del diciassettesimo e del diciottesimo considerando di detto regolamento, la produzione agricola costituisce un interesse pubblico che giustifica l’assoggettamento a restrizioni dell’esercizio dei diritti conferiti dalla privativa comunitaria per ritrovati vegetali. Al fine di rispondere a tale obiettivo, l’articolo 13, paragrafo 3, del regolamento n. 2100/94 dispone che la tutela conferita dal paragrafo 2 di tale articolo al titolare di una privativa comunitaria per ritrovati vegetali si applica soltanto a determinate condizioni ai “prodotti del raccolto”. (…). Inoltre, l’interesse pubblico connesso alla salvaguardia della produzione agricola, di cui al diciassettesimo e al diciottesimo considerando del regolamento n. 2100/94, sarebbe potenzialmente rimesso in discussione se i diritti conferiti al titolare di una privativa comunitaria per ritrovati vegetali dall’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 2100/94 si estendessero, indipendentemente dalle condizioni di cui al paragrafo 3 di tale articolo, al materiale del raccolto della varietà protetta che non può essere utilizzato a fini di moltiplicazione” >>.
Da un lato nascono perplessità su una motivaiozne costituita in toto e solo dal rinvio testuale alle conclusioni di una parte (del processo di legittimità, non della lite: v. Carmelo Sgroi sul tema del PG in Cassazione).
DAll’altro e più imporante, il reg. UE e i suoi considerando spiegano sì la disposizione, ma nulla dicono sulla sua inderogabilità. Si può forse inferirla , ma solo forse.
In ogni caso la SC avrebbe dotuvo offrire tale inferenza e in modo persuasivo. Sostanzialmente, allora, la decisione è immotivata.